sabato 17 agosto 2013

Latine loquimur, n. 10

     Dopo ere geologiche, dovute a una rigogliosa parentesi politica, il mio blog è lieto di presentarvi il decimo appuntamento della rubrica Latine loquimur, dedicata alle frasi famose e ai proverbi latini in uso ancora oggi.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.


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Captatio benevolentiae
[pronuncia scolastica: captàzio benevolènzie]
[pronuncia restituita: captàtio benevolèntiae]

     Significa “cattura della benevolenza” e indica tutta quella serie di gesti, di parole, di comportamenti con cui qualcuno cerca di aggraziarsi il favore di qualcun altro. A volte raggiunge gli estremi della ruffianeria, ma non per forza l’espressione ha un’accezione così negativa: per esempio, un attore sul palco potrà inaugurare il suo spettacolo ringraziando «questo bellissimo pubblico», in modo da creare un legame emotivo con esso e apparire più simpatico. Più frequentemente, però, la captatio benevolentiae viene adoperata per scopi meno disinteressati: ecco allora che, per esempio, il politico locale, poco prima delle elezioni, viene a bussare fino a casa sorridendo ed elargendo complimenti, o fa mandare un biglietto di auguri o telefona per sapere come stiamo; oppure ecco l’amico che ci dice «Ah, vai a cena? Del resto sei un ottimo cuoco tu, dev’essere una cena squisita», con la speranza di poter scroccare un invito.


Busillis
[pronuncia scolastica: busìllis]
[pronuncia restituita: busìllis]

     Ci sono due storielle che raccontano l’origine di questo termine. Ecco la prima…
     C’era una volta un professore che in classe dettava a voce il testo latino da far tradurre agli alunni; uno degli alunni, sentendo dire al professore in diebus illis (“in quei giorni”), scrisse erroneamente in die busillis: ora, in die significa “nel giorno”, ma busillis non vuol dire nulla, non esiste. L’alunno rimase comprensibilmente bloccato su questa banalità e il suo professore, vedendolo in difficoltà, lo incoraggiò, ma egli rispose: «Professore, non riesco a trovare sul dizionario busillis».
     Nell’altra cronaca, un monaco amanuense in pieno medioevo, mentre ricopiava una frase del Vangelo che diceva in diebus illis magnis plenae (ovvero “in quei giorni [c’era] un’abbondanza di grandi cose”), sbagliò a staccare le parole (a quei tempi non si scriveva separando le parole con uno spazio come facciamo oggi e la punteggiatura, usata molto meno, aiutava poco) e lesse Indie busillis magnis plenae, che sembrava dire “In India [c’era] un’abbondanza di grandi busillis”. L’amanuense si rivolse a Giovanni di Cornovaglia chiedendogli il significato di questa parola bizzarra.
     Da allora il termine ha finito per significare “problema irrisolvibile”, “questione difficile”, “grattacapo di difficile soluzione” e si usa nelle espressioni «Ecco il busillis!», o anche «Qui sta il busillis!», per dire «Ecco l’inghippo!».


Pro memoria
[pronuncia scolastica: pro memòria]
[pronuncia restituita: pro memòria]


     Noi lo scriviamo in una sola parola, promemoria, perché oggi l’espressione si è trasformata in un sostantivo a tutti gli effetti, ma in origine erano due parole diverse. Pro in latino significa “davanti” e quindi anche “a favore, in difesa di” (perché chi difende qualcosa gli si pone davanti per proteggerla) e memoria è la memoria, il ricordo, la facoltà di ricordare. Quindi vuole dire “a favore della memoria”. Il promemoria è qualunque accorgimento possiamo usare per rammentarci di qualcosa che abbia una certa urgenza o una scadenza a breve termine: un esempio di promemoria è una lista della spesa, oppure gli appunti sulla nostra agenda degli appuntamenti. Oggi si chiamano “post it”, che ha una forza comunicativa molto più debole: sono i fogliettini gialli, anche virtuali, su cui annotiamo numeri, codici, parole chiave che ci servono più o meno nell’immediato.

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