Dopo ere geologiche,
dovute a una rigogliosa parentesi politica, il mio blog è lieto di presentarvi
il decimo appuntamento della rubrica Latine
loquimur, dedicata alle frasi famose e ai proverbi latini in uso ancora
oggi.
Nota:
la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia
restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai
Romani.
gdfabech
Captatio benevolentiae
[pronuncia scolastica: captàzio
benevolènzie]
[pronuncia restituita: captàtio
benevolèntiae]
Significa “cattura
della benevolenza” e indica tutta quella serie di gesti, di parole, di
comportamenti con cui qualcuno cerca di aggraziarsi il favore di qualcun altro.
A volte raggiunge gli estremi della ruffianeria, ma non per forza l’espressione
ha un’accezione così negativa: per esempio, un attore sul palco potrà
inaugurare il suo spettacolo ringraziando «questo bellissimo pubblico», in modo
da creare un legame emotivo con esso e apparire più simpatico. Più
frequentemente, però, la captatio benevolentiae viene adoperata per scopi
meno disinteressati: ecco allora che, per esempio, il politico locale, poco prima
delle elezioni, viene a bussare fino a casa sorridendo ed elargendo
complimenti, o fa mandare un biglietto di auguri o telefona per sapere come
stiamo; oppure ecco l’amico che ci dice «Ah, vai a cena? Del resto sei un
ottimo cuoco tu, dev’essere una cena squisita», con la speranza di poter
scroccare un invito.
Busillis
[pronuncia scolastica: busìllis]
[pronuncia restituita: busìllis]
Ci sono due
storielle che raccontano l’origine di questo termine. Ecco la prima…
C’era una volta un professore che in classe dettava a voce il testo
latino da far tradurre agli alunni; uno degli alunni, sentendo dire al
professore in diebus illis (“in quei
giorni”), scrisse erroneamente in die
busillis: ora, in die significa “nel
giorno”, ma busillis non vuol dire
nulla, non esiste. L’alunno rimase comprensibilmente bloccato su questa
banalità e il suo professore, vedendolo in difficoltà, lo incoraggiò, ma egli
rispose: «Professore, non riesco a trovare sul dizionario busillis».
Nell’altra cronaca, un monaco amanuense in pieno medioevo, mentre ricopiava
una frase del Vangelo che diceva in
diebus illis magnis plenae (ovvero “in quei giorni [c’era] un’abbondanza di
grandi cose”), sbagliò a staccare le parole (a quei tempi non si scriveva
separando le parole con uno spazio come facciamo oggi e la punteggiatura, usata
molto meno, aiutava poco) e lesse Indie
busillis magnis plenae, che sembrava dire “In India [c’era] un’abbondanza
di grandi busillis”. L’amanuense si
rivolse a Giovanni di Cornovaglia chiedendogli il significato di questa parola
bizzarra.
Da allora il termine ha finito per significare “problema irrisolvibile”,
“questione difficile”, “grattacapo di difficile soluzione” e si usa nelle
espressioni «Ecco il busillis!», o
anche «Qui sta il busillis!», per
dire «Ecco l’inghippo!».
Pro memoria
[pronuncia scolastica: pro
memòria]
[pronuncia restituita: pro
memòria]
Noi lo
scriviamo in una sola parola, promemoria, perché oggi l’espressione si è trasformata
in un sostantivo a tutti gli effetti, ma in origine erano due parole diverse. Pro in latino significa “davanti” e
quindi anche “a favore, in difesa di” (perché chi difende qualcosa gli si pone
davanti per proteggerla) e memoria è
la memoria, il ricordo, la facoltà di ricordare. Quindi vuole dire “a favore
della memoria”. Il promemoria è qualunque accorgimento possiamo usare per
rammentarci di qualcosa che abbia una certa urgenza o una scadenza a breve
termine: un esempio di promemoria è una lista della spesa, oppure gli appunti
sulla nostra agenda degli appuntamenti. Oggi si chiamano “post it”, che ha una
forza comunicativa molto più debole: sono i fogliettini gialli, anche virtuali,
su cui annotiamo numeri, codici, parole chiave che ci servono più o meno nell’immediato.
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