mercoledì 26 febbraio 2014

Scripta manent, n. 19 – Il mercato politico: le contraddizioni dei partiti e degli elettori

     Quello che vi propongo oggi è una serie di passi tratti da una bella raccolta di riflessioni sulla democrazia moderna del politologo Norberto Bobbio. La raccolta è stata pubblicata col titolo di Il futuro della democrazia e rappresenta un insieme di ragionamenti interessanti sui meccanismi e le contraddizioni del modo con cui oggi funzionano i governi democratici. Nel particolare clima politico dei nostri tempi, in cui una certa politica fa di tutto per spingere la gente a disinteressarsi delle questioni dello stato (che poi sono le loro questioni), mi appare più che mai urgente che le persone siano in grado di riconoscere i meccanismi dannosi per la politica e preferire invece quelli buoni.
     Il passo qui proposto parla del modo con cui i partiti comunicano tra loro (che Bobbio chiama il “grande mercato”) e quello con cui i partiti comunicano con i loro elettori (“piccolo mercato”). Alla base dei meccanismi esposti c’è il funzionamento di un intero paese e il suo destino, giacché sono gli elettori che danno il permesso ai partiti di fare politica e sono i partiti che attuano le decisioni della vita pubblica.

     P.S. Le note tra parentesi sono mie.




     Oggi chi consideri realisticamente come si prendono le decisioni in un parlamento, dove i deputati sono tenuti alla disciplina di partito, e quando se ne discostano lo fanno non sempre per difendere interessi nazionali contro interessi di parte ma perché ubbidiscono a gruppi di pressione che in un certo senso rappresentano interessi ancor più particolari di quelli dei partiti, deve ammettere che una dizione come quella dell’art. 67 della costituzione «Ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione» suona falsa, se non addirittura ridicola. Ogni membro del parlamento rappresenta prima di tutto il proprio partito, così come in uno stato di ceti il delegato rappresentava prima di tutti gli interessi del proprio ceto. Con questo non voglio affatto proporre un anacronistico confronto fra lo stato di ceti e lo stato di partiti, ma semplicemente mettere in rilievo ancora una volta quanto sia difficile vedere attuato in pratica l’ideale dell’unità statale al di sopra delle parti, anche quando i soggetti politici non sono più i gruppi, i ceti, gli ordini che difendono gli interessi particolari, ma gl’individui di uno stato democratico investiti di una pubblica funzione. La difficoltà nasce dal fatto che le società parziali che Rousseau voleva coerentemente bandire dalla sua repubblica proprio perché avrebbero fatto valere interessi di parte non solo non sono scomparse con l’avvento della democrazia, ma sono enormemente aumentate sia per effetto dello stesso sviluppo della democrazia da cui sono nati i grandi partiti di massa, sia in conseguenza della formazione di grandi organizzazioni per la difesa d’interessi economici  nelle società industriali, caratterizzate da forti concentrazioni di potere economico. Tra questi potentati quasi sovrani si svolgono continue negoziazioni che costituiscono la vera trama dei rapporti di potere nella società contemporanea, nella quale il governo, il “sovrano” nel senso tradizionale della parola, il cui posto dovrebbe essere super partes (1), figura come un potentato fra gli altri, e non sempre è il più forte.
     Mentre tra partiti si svolge il grande mercato, tra partiti e cittadini elettori si svolge il piccolo mercato, quello che oggi si chiama “mercato politico” per eccellenza, attraverso il quale i cittadini elettori investiti, in quanto elettori, di una funzione pubblica, diventano clientes (2), e ancora una volta un rapporto di natura pubblica si trasforma in un rapporto di natura privata. Si tratta del resto di una forma di privatizzazione del pubblico che dipende dalla precedente, cioè dalla capacità dei partiti di tenere in pugno i loro deputati e di ottenere da loro il mantenimento delle promesse fatte agli elettori. Ne dipende, in quanto la trasformazione dell’elettore in cliente è possibile soltanto attraverso la trasformazione del mandato libero in mandato vincolato (3). I due fenomeni sono strettamente connessi e sono entrambi espressione di quella dissoluzione dell’unità organica dello stato che ha costituito il nucleo essenziale della teoria e dell’ideologia (più ideologia che teoria) dello stato moderno, e nello stesso tempo anche una forma di corruzione del principio individualistico da cui è nata la democrazia moderna, la cui regola del gioco è la regola di maggioranza, fondata sul principio che ogni testa è un voto.
     Che la democrazia moderna sia nata dalla concezione individualistica, atomistica, della società, non è dubbio […] Non è pure dubbio che la democrazia rappresentativa sia nata dal presupposto (sbagliato) che gl’individui, una volta investiti dalla funzione pubblica di scegliere i loro rappresentanti, avrebbero scelto i “migliori”. C’è un brano in una lettera dei Federalist Papers¸ scritta da Madison, che ogniqualvolta mi è accaduto di leggerla ai miei scolari non ha mancato di provocare una grande ilarità: è il brano in cui uno dei vantaggi della democrazia rappresentativa viene fatto consistere nell’elezione di un «corpo di cittadini, la cui provata saggezza può meglio discernere l’interesse collettivo del proprio paese e la cui sete di giustizia renderebbe meno probabile che si sacrifichi il bene del paese a considerazioni particolarissime e transitorie». Sbagliato il presupposto, perché non si riesce a capire come mai ci si potesse illudere (anche se si tratta di un’illusione dura a morire) sul fatto che il cittadino chiamato a scegliere il suo rappresentante politico non scegliesse la persona o il gruppo che gli dava le maggiori garanzie di soddisfare i suoi interessi. La vecchia definizione dell’appartenenza a un partito come idem sentire de re pubblica (4) lasciava credere falsamente che chi vota per un partito lo faccia perché convinto della bontà delle idee che esso esprime, un voto, come oggi si direbbe, di opinione. Nelle società di massa il voto di opinione sta diventando sempre più raro: oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito o credono di aver capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza grave danno, e come tutti i riti, ad esempio la messa alla domenica, sono in fin dei conti una seccatura. Opinione discutibile, condannevole, detestabile, ma opinione. Sta aumentando invece il voto di scambio, via via che gli elettori si fanno più smaliziati e i partiti più abili. […] Nello scambio fra risorse pubbliche e consenso, in cui consiste la peculiarità del contratto politico, l’interesse dell’elettore s’incontra con l’interesse del partito. La forza di un partito si misura a numero di voti. Tanto maggiore il numero di voti nel piccolo mercato che si svolge tra il partito e gli elettori, tanto più grande la forza contrattuale del partito nel grande mercato che si svolge nei rapporti dei partiti fra loro, anche se nel grande mercato conta non solo il numero dei voti che un partito può mettere sul piatto della bilancia ma anche la collocazione nel sistema delle alleanze, sicché un piccolo partito quando è determinante per la formazione di una maggioranza ha un peso specifico maggiore […].



Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia


NOTE:
(1) Espressione latina che significa “al di sopra delle parti”, ovvero “imparziale”.
(2) Nome che nell’antica Roma si dava a tutti coloro che chiedevano la protezione di un personaggio potente (generalmente un patrizio) in cambio di supporto e di mantenimento (in denaro o in natura). Dal termine deriva la parola italiana “clienti” che qui non è usata nel suo significato comune di “acquirente”, ma nel senso (un po’ dispregiativo) di persona che svende il proprio voto in cambio di favori personali.
(3) Il mandato libero è il potere conferito a un rappresentante politico (un parlamentare) di interpretare a suo modo gli interessi della collettività: oggi tutte le moderne democrazie hanno il mandato libero (cioè i rappresentanti non hanno vincolo di mandato), nel senso che, anche se il deputato è stato eletto da un gruppo X facente parte di una collettività generale C, non può essere obbligato per legge a soddisfare, una volta eletto, le promesse fatte al gruppo X, perché esso viene eletto comunque rappresentante di tutta la collettività C e deve perciò sacrificare gli interessi particolari in favore di quelli generali, se necessario. Un mandato vincolato è invece una forma di conferimento del potere in cui il rappresentante è obbligato a farsi semplice portavoce degli interessi di un ristretto gruppo di persone e deve curare esclusivamente quegli interessi particolari, altrimenti il mandato gli viene revocato.
(4) Significa letteralmente “avere la stessa opinione sullo stato”, ovvero condividere stesse idee sul modo con cui si fa politica.





martedì 25 febbraio 2014

Latino e greco antico patrimonio dell’umanità: firma l’appello all’UNESCO

     Cosa rispondereste se vi chiedessi di cancellare dalla vostra memoria tutta la vostra infanzia? Vi piacerebbe perdere il ricordo dei vostri giochi, della prima volta che avete imparato a scrivere, o che avete giocato a calcio, o la prima volta che avete capito cosa significa innamorarsi, o il primo bacio? Come vi sentireste a continuare la vostra vita (anche lunga e in perfetta salute) senza più avere dentro di voi quel pezzo di voi stessi? Immaginate se addirittura vi chiedessi di cancellare dalla vostra mente tutto ciò che avete imparato a scuola: non parlo solo di sapere leggere, scrivere o contare, ma proprio di tutte le idee che avete imparato stando a scuola, le opinioni che vi siete formati sulle cose, i meccanismi che avete capito dalla storia e che si ripetono ancora oggi. Immaginate infine se vi chiedessi di dimenticare gli insegnamenti dei vostri genitori, compresi tutti i valori che vi hanno trasmetto, comprese le loro “lezioni di vita”, che vi permettono di affrontare anche le situazioni che non avete mai vissuto. Dalla psicologia sappiamo che ciò che avviene nella nostra infanzia, anche quello che non riusciamo a ricordare, ha un’importanza enorme perché ci dà gli elementi per farci diventare ciò che siamo da adulti. Quindi senza l’infanzia non saremmo quelli che siamo, e non potremmo nemmeno insegnare ai nostri figli a essere gli uomini che vorremmo. 

     Il progresso delle nostre vite si bloccherebbe se perdessimo elementi importanti del nostro passato, esso morirebbe, sarebbe come un albero a cui vengono tolte le radici: anche se continuasse a rimanere piantato non farebbe germogliare nemmeno una foglia. Cancellare il passato significa quindi bloccare il futuro.

     Ebbene, questo discorso vale perfettamente non solo per i singoli individui ma anche per i popoli. Anzi, per l’umanità nel suo complesso. Ci sono e ci sono stati nella storia fenomeni così importanti da condizionare e plasmare l’anima e lo spirito dei popoli, al punto da dar loro un’identità, un modo di essere e di “funzionare”. Si tratta di meccanismi o espressioni che, se vengono eliminati, non permettono più di formare le persone, esattamente come un essere umano che non può più formarsi o formare i propri simili se gli vengono negati quei preziosissimi “strumenti” culturali di cui parlavamo poco fa. Tra questi strumenti ci sono le cosiddette lingue classiche, ovvero il latino e il greco antico. Chi ha studiato queste lingue, e le ha studiate per bene, sa quanto inestimabile sia il valore che esse incarnano. Tuttavia il loro insegnamento nelle scuole viene seriamente minacciato dalle recenti politiche scolastiche di più di un governo. Ecco perché è nata questa bellissima petizione, promossa dall’Istituto Italiano pergli Studi Filosofici e dall’Accademia Vivarium Novum, con cui si chiede all’UNESCO di annoverare le lingue classiche tra il patrimonio dell’umanità.

     Esorto vivamente tutti coloro che abbiano buon senso a firmarla, perché anche coloro che non le hanno mai studiate hanno ricevuto e ricevono ogni giorno nella loro vita gli “effetti” che tali lingue hanno da sempre esercitato. Leggendo il breve testo della petizione ciascuno si farà un’idea più chiara di quello che intendo.

     La firma avviene online, in un solo semplice passaggio. Aprendo QUESTO LINK sarete indirizzati alla pagina dove compare il testo della petizione (che vi lascio alla fine del post): cliccando sul tasto rosso “Sign petition” si apre una piccola finestra con i soliti campi da compilare con un nome e un indirizzo e-mail. Fatto!

     Lascio anche questo link da cui potrete anche scaricare un testo in varie lingue (tra cui anche latino e greco!) e promuovere, volendo, la petizione.

TESTO

Appello per il riconoscimento del latino e del greco come “patrimonio immateriale dell’umanità”

L’umana cultura ha spesso, in occidente come nelle regioni d’oriente, sentito quasi l’esigenza di lingue atte non solo a superare i confini spaziali che separano uomo da uomo, ma anche a riunire, vinta la tirannide del tempo, sapienti vissuti in epoche diverse, la cui voce, espressa in una forma non soggetta alle mutazioni del divenire continuo, giungesse viva e chiara ad altri cercatori nel corso dei secoli. Queste lingue, non mai o non più parlate da nessun popolo, hanno svolto nella storia delle idee e della cultura un ruolo fondamentale, e tuttora costituiscono un inestimabile tesoro dell’umanità. Così il sanscrito ha, non solo in India, trasmesso intatte dottrine e speculazioni filosofiche da epoche remotissime fino ai nostri giorni; così l’arabo classico e il persiano medievale ci hanno consegnato le meditazioni dei mistici sufi e le discussioni dei pensatori che riflettevano con profondità sui testi sacri e sulle opere d’Aristotele e Platone; così la lingua ebraica, solo di recente riportata alla vita, ha per quasi due millenni tramandato la sapienza d’un popolo nelle forme consacrate dai suoi testi; così il cinese antico ci consente ancor oggi d’ascoltare la lezione di Confucio e Laoze. Tutte queste lingue, e le civiltà ch’esse esprimono, costituiscono un grande patrimonio, che va tutelato e difeso.

L’Europa tutta riconosce nelle civiltà greca e latina le radici storiche del proprio mondo e il tesoro inesauribile della memoria comune del vecchio continente. La lingua greca, sfruttando la sua estrema malleabilità e la sua formidabile potenza espressiva, ha dato voce al pensiero filosofico e, attraverso di esso, a concetti come quello di libertà, di virtù, di democrazia, di politica, dell’idea che trascende la miseria transeunte. È la lingua in cui s’è forgiato tutto il lessico intellettuale europeo, che ancor oggi s’adopera nell’intero mondo occidentale ogni volta che si fa riferimento a creazioni o scoperte dello spirito umano, alle scienze della natura, alla medicina, alla filosofia.

Il latino, con la sua solennità e la sua concretezza, ha accolto l’eredità della Grecia, e ha costituito, ben oltre i confini temporali dell’Impero politico che la sosteneva e diffondeva, il veicolo comune della cultura europea, dando la possibilità ad uomini diversi per nazionalità, per religione e per costumi, di sentirsi cittadini d’un’unica res publica, che, pur avendo perduto quell’unità materiale ch’era stata garantita da Roma, ne conservava i due doni più preziosi: la lingua unica e le leggi.

Di latino s’è nutrito il messaggio cristiano, terza radice della nostra civiltà, che ha fatto vibrare un nuovo apporto vitale sulle note immortali della liturgia; l’azione politica e civile di Carlo Magno e dei suoi successori, nonché le imponenti ramificazioni del monachesimo e il lavoro degli umanisti ne hanno corroborato e maggiormente diffuso l’uso tra tutti i popoli d’Europa, e l’hanno trasformato nel cemento che ha culturalmente unificato per tanti secoli il variegato mosaico di genti che la compongono. Il latino ha conservato, nello scorrere del tempo e delle epoche, un’incredibile vitalità, perché ha saputo sempre rinnovarsi adeguandosi di volta in volta alle diverse esigenze del mondo di cui diventava espressione. In latino si sono espressi S. Tommaso e Dante, Giordano Bruno ed Erasmo, Tommaso Moro e Galileo, Cartesio e Leibniz, Newton e Gauss, insieme all’armonico coro di voci diverse di migliaia d’altri scienziati, letterati, giuristi, filosofi, matematici, umanisti che han fatto l’Europa.

Latino e greco hanno costituito la base fondamentale dell’educazione d’ogni uomo colto dell’occidente fino alla metà del Novecento, continuando a far sentire in tal modo il loro benefico influsso su tutta la nostra civiltà.

L’Europa si sta oggi avviando verso una nuova unità: l’Unione europea, che si sta realizzando gradualmente, ma con rapidità. Viviamo già in una realtà d’unione finanziaria, di libera circolazione delle persone, dei beni, dei capitali e dei servizi, e va realizzandosi a pieno titolo anche l’unione monetaria.

È necessario però che l’Europa unita recuperi anche e soprattutto la consapevolezza della sua identità culturale e non dimentichi le civiltà e le lingue che l’hanno prodotta, coltivandole come bene collettivo, espressione dell’uniformità di concetti e di pensieri di tipo europeo.

Le nuove esigenze di tipo pragmatico stanno lentamente emarginando lo studio delle lingue latina e greca nelle scuole di tutt’Europa. I futuri uomini colti del nostro continente rischiano dunque d’ignorare quasi del tutto il passato in cui affondano le radici della nostra civiltà e del nostro pensiero. Non ci si può accontentare d’una conoscenza sommaria e superficiale raggiunta attraverso traduzioni e resoconti in chiave moderna: né può costituire elemento di conforto la presenza del latino e del greco come lingue in scuole di tipo professionalizzante, destinate solo a formare futuri antichisti, in cui tali discipline non hanno più la funzione formativa di garantire una possibilità all’uomo colto d’accedere alle radici del suo passato, ma costituiscono un mero strumento di lavoro per lo svolgimento della sua futura professione. Delle tre radici della civiltà europea, latina, greca e cristiana, l’Italia, per la sua particolare condizione di territorio in cui la cultura ellenica ha sviluppato fiorenti colonie e straordinarie scuole di pensiero filosofico, e Roma ha costituito da un lato il centro propulsore dell’impero che da lei prende nome, e dall’altro la sede primaria e il punto d’irradiazione della cultura cristiana; l’Italia, dicevamo, rappresenta quasi il punto d’ideale confluenza storica.

È per questo che chiediamo all’UNESCO:
- di farsi garante d’una continua sensibilizzazione dei governi europei per invitarli a impegnarsi, soprattutto nelle loro politiche scolastiche, per la salvaguardia concreta delle lingue latina e greca, come massima espressione della sostanza culturale d’Europa, portata in diverse parti del mondo;
- d’impegnarsi per dichiarare il latino e il greco «patrimonio culturale dell’umanità» non soltanto europea, ma anche extraeuropea, come elemento unificante della civiltà occidentale e come eredità d’inestimabile valore lasciataci da oltre duemilasettecento anni di storia culturale,
- di voler investire il governo italiano della responsabilità di “garante della salvaguardia del latino e del greco” come discipline portanti, assieme alla filosofia, di una scuola formativa non professionalizzante, e d’un’educazione globale e umana delle nuove generazioni;
- e di nominare l’Italia “scrigno simbolico” e crocevia delle culture e delle lingue greca e latina, perché si sviluppi un interesse che coinvolga tutti i settori della sua cultura, dal sistema scolastico al mondo della scienza, dello spettacolo e dei mezzi di comunicazione di massa.


lunedì 24 febbraio 2014

Governo Renzi: ecco i difetti che il premier non vi ha detto

Matteo Renzi
     Da poco Letta è stato sfiduciato dal PD per i palesi fallimenti del suo governo e i geni della Casta politica hanno ben pensato di ripresentare agli italiani lo stesso programma, ma con un volto nuovo, per rassicurarli. Nasce così il governo Renzi I, che molti hanno già ribattezzato “governo Napolitano III”, perché è il terzo governo non scelto dal voto dei cittadini italiani ma pilotato con manovre molto dubbie dal due volte Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La gran parte dei media hanno ricamato cornici auree attorno a questo evento e lo stesso Renzi si è prestato a fare la parte dello statista composto davanti alle telecamere per presentare agli italiani nel modo migliore possibile questo passo che, come vedremo è tutt’altro che tranquillizzante per noi cittadini. In queste righe cercheremo di riflettere su quei punti che non sono stati affrontati in maniera critica dai diretti interessati e proveremo a mostrare le prime gravi pecche di questo neonato governo, mettendo in mostra meccanismi e sottolineando particolari che dovrebbero interessare alla gente per farsi un’idea un pio’ più libera su Renzi e sui protagonisti stessi di questo nuovo modo di fare politica che si è affermato in Italia sotto l’egida di Giorgio Napolitano.

     Apparentemente il governo nascente presenta delle novità, per così dire, “di vetrina” che lo fanno apparire migliore del precedente e questo dovrebbe avere nelle intenzioni degli artefici la funzione di tranquillizzare l’opinione pubblica che sempre più si allontana dalla politica. Per esempio, questo esecutivo si vanta di aver ridotto drasticamente il numero dei ministeri, riducendolo a 16 (mentre il precedente governo Letta ne aveva 21). In secondo luogo Renzi ha tenuto a sottolineare lo sforzo di introdurre nella squadra personalità giovani, come giovane è lui (un dato che ha contribuito molto alla sua escalation mediatica): l’età media dei ministri sarebbe infatti alquanto bassa; in ultimo c’è la parità di genere: 8 ministri uomini e 8 donne condividono, in perfetto equilibrio, la gestione della cosa pubblica.
     Questi sono gli elementi che secondo Renzi dovrebbero bastare a fare del suo governo un ottimo governo, al punto che il neopremier promette di fare una riforma al mese (sebbene la maggioranza in Parlamento sia molto più precaria di quella che aveva il suo predecessore, quindi non si capisce cosa gli dia tanta sicurezza).

     Vediamo ora cosa agli italiani non è stato fatto notare in tutte le conferenze stampa e le interviste sinora tenute…

Un premier inaffidabile
     In primis ci sono alcune incoerenze dello stesso Renzi che ne mettono in discussione la credibilità agli occhi della gente. Un politico è credibile quando le sue azioni si mantengono abbastanza vicino alle sue idee e a ciò che egli dichiara di voler fare, altrimenti quel politico è inaffidabile, una “sola”, un imbroglione. Ebbene, appena pochissimi giorni fa, quando l’ipotesi della Presidenza del Consiglio non ancora era in auge, Renzi andava sbandierando a destra e a sinistra che «anche se si formasse un nuovo governo non sarei io candidabile avendo più volte detto che se andrò a Palazzo Chigi un giorno, ci andrò forte del consenso popolare, non di manovre di Palazzo». La promessa era quindi di farsi scegliere dagli italiani, non come Monti e Letta, che sono stati imposti da “manovre di Palazzo”. E infatti, detto fatto, Renzi diventa premier senza farsi eleggere. Giudicate voi…

Le “nuove” facce (di bronzo): cambiare tutto per non cambiare niente
     La seconda pecca che sa di presa per i fondelli riguarda il rinnovamento della squadra. Essa presenta indubbiamente facce nuove, ma Renzi si è dimenticato di spiegare che qualche faccia nuova non trasforma affatto il governo: è come dire che avendo cambiato i cerchioni, la vernice e la targa di un’auto, questa sia un’auto diversa che funziona in modo diverso. Le più forti personalità del precedente (e fallimentare) governo Letta figurano ancora nel governo Renzi, alla faccia del rinnovamento. Si tratta di Alfano, personalità che ha fatto molte pressioni a Renzi (pressioni che hanno funzionato: Alfano è addirittura rimasto nello stesso identico ruolo che aveva nel governo Letta, Ministro dell’Interno), oppure Lorenzin, che è rimasta Ministro della Salute, pari pari a prima; o ancora Lupi, che hanno lasciato alle Infrastrutture e Trasporti.
     Accanto a questi ministri monouso, usati per fare sempre la stessa cosa, vediamo anche i ministri multiuso, ovvero persone che non sono state sostituite in nome del rinnovamento, ma semplicemente spostate ad altri dicasteri: è il caso di Franceschini, deportato ai Beni culturali; oppure Andrea Orlando (su cui diremo meglio più avanti), che Letta aveva voluto all’Ambiente e che Renzi ha messo alla Giustizia.



Alfano: il Ministro dell’Interno che può permettersi di non sapere
     Colpisce, sempre in barba alla pulizia della classe dirigente, la presenza di Alfano non solo perché era già stato Ministro, ma perché, come ricorderete, su di lui si era abbattuto lo scandalo del caso Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako prelevata dalla polizia italiana: un fatto grave perché Alfano ha sempre dichiarato di non esserne informato e proprio lui, che era Ministro dell’Interno, doveva conoscere e gestire quella vicenda in modo regolare. Lo stesso Renzi a tal proposito aveva dichiarato: «Se il Ministro dell’Interno sapeva e ha mentito è un problema. Se non sapeva è ancora peggio». Cosa credete che abbia fatto Renzi di fronte a un Ministro che, nel migliore dei casi, è incapace e, nel peggiore, è un bugiardo? Ovvio: l’ha voluto nel suo governo. E nello stesso identico ruolo.
     Certo, qualcuno potrà dire che il povero Renzi è stato “costretto” perché non si poteva immaginare di avere in mano tutte le redini della faccenda: che ci siano ricatti nel bel clima delle larghe intese è normale: tutti si ricattano a vicenda, perché nelle larghe intese all’italiana non esiste alcuna stabilità, essa è un’accozzaglia di tutte le forze politiche, ognuna delle quali spinge per accaparrarsi qualcosa. E bisogna per forza accontentare tutti, perché altrimenti la struttura si frantuma, se qualcuno fa i capricci e minaccia di andarsene l’equilibrio si perde e tutto crolla.

Giustizia: il veto di Napolitano bacchetta Renzi
     Ma veniamo a quella che forse è la pecca maggiore: il Ministero della Giustizia. Come sappiamo, in Italia quello della Giustizia è un dicastero che scotta, perché i problemi che deve gestire sono molti e difficili: a cominciare dal problema del sovraffollamento delle carceri (problema volutamente mai risolto per avere la scusa di usare l’indulto), fino alla riforma della giustizia (che tanto interessa a Berlusconi e a quelli come lui). Grazie all’uscente Ministro Cancellieri, poi, anche l’immagine di questo ruolo era stata compromessa. Serviva dunque un volto nuovo e affidabile.
Nicola Gratteri
     Renzi pensa a Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, un magistrato anti-’ndrangheta, uno che politicamente si era sempre mostrato indipendente non essendosi mai candidato per alcuna forza politica. Gratteri aveva anche qualche proposta per risolvere i problemucci di Palazzo Piacentini: costruzione di nuove carceri per evitare il sovraffollamento senza mandare fuori criminali; inasprimento del 41bis, il regime di carcere duro per i detenuti mafiosi o molto pericolosi, che non avrebbero dovuto essere in contatto con nessuno (ricordiamo che il 41bis era uno dei punti del famoso “papello” di Totò Riina, che imponeva allo stato di migliorare le condizioni dei mafiosi giù condannati in cambio della cessazione delle bombe nella stagione stragista dei primi anni ’90); detenzione negli spazi esterni e lavoro per il reinserimento sociale dei detenuti non gravissimi; accordi bilaterali con paesi stranieri per far scontare ai detenuti non italiani una parte della pena nel loro paese d’origine; diverse riforme al codice di procedura penale
     Quindi, come si vede, Gratteri era uno che rischiava di far davvero funzionare la giustizia in questo paese. E andava bene persino a Berlusconi, che come si sa è allergico alla “razza” dei pm: il condannato di Arcore si era anche informato su «questo signore che conosco troppo poco» e non aveva avuto niente da ridire! Renzi lo vuole in squadra, fino alla sera prima di presentare la lista al Quirinale gli giura e spergiura che il posto è suo, che ce l’ha praticamente in tasca. Ma non avevamo fatto i conti con re Giorgio, il vero manovratore e arbitro della vita politica italiana dal 2011 a oggi. Napolitano si è subito imposto, ponendo un forte veto su Gratteri. Ora, le motivazioni vere le lasciamo all’intelligenza del lettore, riportando solo la scusa ufficiale, che è stata: «c’è una regola sempre rispettata: i magistrati non possono andare alla Giustizia».
     Pensate: un magistrato ad amministrare la giustizia. Che ossimoro! È come dire che nella cucina di un ristorante vanno messi i cuochi: ma siamo matti? In verità, di magistrati alla Giustizia ce ne sono stati eccome: Nitto Palma, per esempio, era Guardasigilli durante l’ultimo governo Berlusconi. Ma soprattutto: se a Napolitano sta tanto a cuore seguire quelle “regole non scritte” della buona politica, perché ha violato quell’altra regola non scritta (ricordata e sostenuta da lui stesso) che dice che un Presidente della Repubblica non deve ricandidarsi due volte? Giudicate voi…
     Renzi dichiarava di voler difendere a tutti i costi il suo candidato: «Non voglio cedere!». Gli sono bastati cinque minuti per cedere agli ordini di Napolitano, che sennò gli bocciava tutta la squadra. Gratteri viene fatto così fuori e al suo posto Napolitano piazza Orlando, che quasi se la fa sotto, che preferiva restare all’Ambiente e ammette di essere «preoccupato»: «Io Ministro della Giustizia? Mamma mia, che responsabilità enorme…!».

Demagogia spicciola
     In tutto questo bel panorama Renzi ha rincarato la dose: il suo governo non doveva neanche esistere e ora già parla di arrivare al 2018 (praticamente un’intera legislatura politica). Niente governo di scopo, nato solo per fare le cose essenziali e poi andare al voto (a proposito: non c’è cenno di legge elettorale in questo programma governativo). Il neopremier afferma che tutti ci hanno messo la faccia, che «questo governo risponde solo a me. Se sbagliamo è colpa mia, solo mia. Se c’è una responsabilità è mia, punto. Non ci sono più alibi». Roba grossa! Ma in un paese come l’Italia, che dimentica entro 24 ore anche le promesse più teatrali (come il milione di posti di lavoro), è come se non fosse mai stato detto.
     E alla domanda “Perché mai dovremmo astenerci dal ribellarci ora che un ennesimo governo è stato imposto al paese calpestando il più grande potere dei cittadini, ovvero la sovranità?” Renzi risponde «Perché l’Italia non ha scelta!». Potere della logica: si può ribaltare il mondo intero con essa. Ma l’Italia, una scelta, ce l’ha eccome e anche più di una. Peccato che ogni volta che qualcuno si proponga come alternativa si attivi subito la macchina del fango per gettare discredito su proposte positive o personalità affidabili. Alcuni esempi in proposito: la proposta della nuova legge elettorale del MoVimento5telle è stata fatta passare in secondo piano dai media e nessun politico di nessuno schieramento ne ha fatto cenno, mentre la Cassazione ha dichiarato che una legge elettorale nuova occorre perché quella che abbiamo è incostituzionale (il governo Letta non ha fatto la legge elettorale); oppure il succitato Gratteri, subito adombrato da Napolitano; o ancora tutti i candidati “nuovi” che si sono presentati alle scorse politiche, tutti screditati con le motivazioni più banali proprio da quei politici che hanno sulle spalle condanne o processi pendenti (Ingroia non andava bene perché era stato magistrato e non poteva fare il premier, Grillo dice troppe parolacce...).
     Se nascondi le alternative valide per poter dire “io sono l’unica alternativa” è ovvio che poi chiunque si opponga appaia come un irresponsabile che vuole male al paese. E la maggioranza degli italiani, che ragiona con la pancia e guarda Barbara D’Urso convinta di informarsi sull’attualità, dà ragione a questi paradossi.

Critiche a Renzi
     Qualche perplessità Renzi è riuscito a suscitare almeno in seno allo stesso PD, da cui si sono levate fondamentalmente due critiche. La prima, più forte, proveniente da Pippo Civati, il quale parla di Matteo Letta e valuta l’ipotesi di rompere col PD, perché non riesce a riconoscersi nella condotta di Renzi; l’altra, più tecnica, di Cuperlo, che fa notare come essere contemporaneamente segretario del PD e capo del Governo sia una cosa su cui occorre «avviare una riflessione molto seria», perché «nel nostro partito ora viviamo un’anomalia». Poi ci sarebbero anche i montiani, che si sono visti trombare il loro esponente Mario Mauro alla Difesa e che rischiano di mettere in pericolo il voto di fiducia al governo.

E se Renzi fallisse…?
     Ad ogni modo, staremo a vedere cosa sarà in grado di fare questo governo del giovane vecchio, che promette una riforma al mese, proprio in prossimità delle elezioni europee e che viaggia con un rottamatore che si tiene i rottamati. Renzi rischia grosso, se fallisce il colpo sarà pesante. Io, comunque, credo che in Italia uno come lui non avrebbe difficoltà a riemergere. Anzi, credo che riemergerebbe con lo stesso metodo che l’ha portato prima a vincere le primarie e poi a essere scelto come volto del nuovo governo (che nuovo non è ma ha solo cambiato faccia): il successo mediatico. Riemergerebbe esattamente come ha fatto Berlusconi per tante volte. Anche lui sarebbe un “rieccolo”, come veniva chiamato Amintore Fanfani, che proprio quando lo credevi morto, rispuntava inaspettatamente. Come fa notare la prof.ssa Signorelli, docente di antropologia culturale all’Università “Federico II” di Napoli, «Renzi ha ottenuto una primazia conquistata con le armi tipiche delle società post-moderne: alla visibilità è corrisposto il successo, al successo il consenso. I fattori dovrebbero invece avere un ordine diverso: illustro le mie idee, guadagno il consenso e poi ottenuto il successo. Prima c’era l’ideale come carattere collettivo. Si stava col Pci, non con Togliatti».

     Ecco quindi il panorama: abbiamo al governo un uomo non scelto, dalla personalità fortemente egocentrata (perché mai avrebbe tolto ad Alfano il ruolo di vicepremier?), parecchio vanitoso e fa tutt’altro da quello che dice, un uomo di cui perfino la parodia di Maurizio Crozza riesce ad essere più attendibile e che è un bravo manipolatore della comunicazione (e non un bravo comunicatore, che è diverso). Il suo governo nasce già in pericolo, mutilato dai veti di Napolitano e con una maggioranza parlamentare precaria e continuamente sotto minaccia; inoltre non introduce novità, limitandosi solo a cambiare le facce, o meglio, la facciata. Un uomo che prepotentemente se ne infischia dei suoi stessi elettori e che ora pretende di fare un’intera legislatura, con il paese che ancora una volta si è visto negare la possibilità di scegliere il proprio rappresentante.

     Teniamolo d’occhio questo governo e vediamo cosa saprà fare. Ah, a proposito… ecco l’elenco dei ministri.

Matteo Renzi, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Graziano Delrio, SOTTOSEGRETARIATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Ministri con portafoglio

Pier Carlo Padoan, MINISTERO DELL’ECONOMIA
Angelino Alfano, MINISTERO DELL’INTERNO
Andrea Orlando, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Federica Guidi, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Giuliano Poletti, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Stefania Giannini, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
Dario Franceschini, MINISTERO DELLA CULTURA
Beatrice Lorenzin, MINISTERO DELLA SALUTE
Federica Mogherini, MINISTERO DEGLI ESTERI
Roberta Pinotti, MINISTERO DELLA DIFESA
Maurizio Martina, MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
Gianluca Galletti, MINISTERO DELL’AMBIENTE
Maurizio Lupi, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Ministri senza portafoglio

Maria Elena Boschi, MINISTERO DEI RAPPORTI COL PARLAMENTO
Marianna Madia, MINISTERO DELL SEMPLIFICAZIONE
Maria Carmela Lanzetta, MINISTERO DEGLI AFFARI REGIONALI




venerdì 7 febbraio 2014

Il M5S chiede il politometro, il redditometro per politici e dirigenti. Ma tutti i partiti lo bocciano

     Ricordate il redditometro? Quell’invenzione tanto osannata a partire dal governo Monti che avrebbe dovuto servire, secondo le “nobilissime” intenzioni dei politici italiani, a combattere l’evasione fiscale. Certo, certo, per “evasione” si intendeva (ma non ce lo dissero) quella delle persone come i piccoli commercianti o i piccoli imprenditori: infatti le maxi-evasioni miliardarie dei potenti, dei politici e dei grandi gruppi delle lobby sono continuate e non esiste memoria che siano stati presi provvedimenti per quelli.

     Ad ogni modo, il MoVimento5Stelle, attualmente sotto attacco della macchina del fango da parte dei media italiani, ha proposto di istituire uno strumento molto simile, riservato però proprio ai politici e ai grandi dirigenti, proposto già in passato in forma simile da Antonio Di Pietro nel 1996 e dai radicali nel 2007. L’hanno chiamato politometro e avrebbe dovuto servire a controllare, rendere pubblici e a punire tutti i tipi di arricchimenti illeciti che i “pezzi grossi” hanno realizzato per sé stessi negli ultimi vent’anni, confrontando il patrimonio della persona con i suoi redditi percepiti e quelli dichiarati. Con il politometro sarebbe stato possibile individuare tutte le entrate illegali di queste persone e si sarebbe potuto chiederne la restituzione con il 60% degli interessi. Tutti soldi rubati ai cittadini, sottratti ai fondi destinati ai servizi per la comunità. Tutti soldi che ora, assieme ad altri, mancano.


Laura Bocciti (M5S)
     Poche ore fa il Senato della Repubblica ha respinto questa proposta del MoVimento5Stelle. L’emendamento ha come prima firmataria Laura Bottici (M5S) e faceva parte di un decreto sulla delega fiscale. Al Senato solo i “grillini” hanno votato a favore (44 voti). Le seguenti forze politiche, invece, hanno bocciato l’emendamento, ammettendo così di non voler essere controllati e di negare la trasparenza fiscale nei confronti dei cittadini: Forza Italia, Partito Democratico, Nuovo Centro-Destra, Scelta Civica, Gal (157 voti contro). Astenuti Lega Nord e Sel (gli astenuti contano come voto contrario).
     La Bottici parla di una bocciatura vergognosa e commenta: «La casta si arrocca su se stessa e dice no al Politometro che avrebbe permesso di controllare gli arricchimenti illeciti ai danni dell’Erari di politici e dirigenti pubblici».



 

     Se mai qualcuno avesse ancora dubbi, ecco cosa siamo tutti autorizzati a pensare ora: che i partiti storici, nelle loro attuali gestioni, sono guidati da criminali che impongono ai cittadini i controlli a cui essi stessi si sottraggono, che rubano ed evadono e con un’insopportabile prepotenza non vogliono nemmeno essere controllati, prima ancora che puniti.
     Ci sarebbe inoltre anche il fatto che questa è una delle tante notizie taciute da quei media che attualmente stanno lavorando con precisione chirurgica per sporcare l’immagine della sola forza politica che si comporta in modo ragionevole, con tutti i limiti che le si vuol riconoscere a seconda dei gusti personali. Telegiornali e cosiddetti “talk show” che suggeriscono alla gente l’idea di parlamentari-bestie, violenti come ultras sugli spalti degli stadi e che vogliono sovvertire le istituzioni. Mentre invece sono la sola forza a combattere per il rispetto dei principi democratici.