mercoledì 31 luglio 2013

Italiani al mare, il governo attacca la Costituzione. Firma la petizione del Fatto

     Ci sono molti modi con cui un governo può far passare provvedimenti impopolari: di solito, nel periodo lavorativo, si usano i grandi “distrattori” di massa (il Grande Fratello, le Veline, i telegiornali che nascondono certe notizie…), ma quando la gente è in vacanza, allontanatasi spontaneamente dalle questioni di interesse pubblico, non occorre scomodarsi. La gente è altrove, via sia dalla propria città che dall’attenzione ai media, vuole svagarsi, pensa ad altro. E i governi furbacchioni e criminali possono allora approfittare del periodo estivo per mettere in moto le riforme più importanti e pericolose con il rischio minimo di suscitare sdegno e ribellione.
     È quello che ha fatto questo non votato governo Letta, con la “viva e vibRRRante” collaborazione di Giorgio Napolitano. Un vero e proprio attacco alla Costituzione proprio mentre siete al mare a bagnarvi il popò o a sudare dietro i balletti degli animatori, un attacco che mira a cambiare la Costituzione, stravolgendo perfino la forma di governo, gli equilibri tra i poteri e le istituzioni, togliendo al Parlamento il potere di fare leggi e dandolo al Governo. Un colpo di mano a tutti gli effetti, una violenza non consentita da quella stessa legge che vogliono cambiare, una forzatura, come l’ha definita Salvatore Settis.
     Contro tutto questo, un appello online lanciato da Il Fatto quotidiano, che qualunque cittadino può firmare. In pochi giorni sono stati già 150 000 i cittadini ad aver aderito, tra cui nomi illustri come lo stesso Settis, Alessandro Pace, Gianni Ferrara, Alberto Lucarelli, Don Luigi Ciotti, Michela Manetti, Raniero La Valle, Claudio De Fiores, Paolo Maddalena, Cesare Salvi, Massimo Siclari, Massimo Villone, Silvio Gambino, Domenico Gallo, Antonio Ingroia, Beppe Giulietti, Antonello Falomi, Raffaele D’Agata, Mario Serio, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Aldo Busi, Gian Carlo Caselli, Salvatore Borsellino, Roberta De Monticelli, Paolo Flores D’Arcais, Maurizio Viroli, Maurizio Crozza, Gustavo Zagrebelsky.



     Ora, per chi sa la storia e volesse rimediare con la propria firma, un link a fondo pagina indirizzerà alla petizione per manifestare la propria volontà di non far passare questo emendamento. Con lo stesso meccanismo, ricordo, fu portata in aula la discussione della riforma della legge sullo scambio elettorale politico-mafioso. Se i cittadini non avessero fatto pressioni firmando quella petizione, la legge non sarebbe stata emendata.

     Per coloro che invece non sanno cosa sia successo, ecco il fattaccio…

I retroscena
     Cinque mesi fa abbiamo votato il nuovo governo, ma una legge elettorale detta gergalmente porcellum non ha consentito di avere un partito vincitore, quindi, con la consultazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che allora stava per terminare il suo mandato, si è deciso di accozzare un gruppo dai maggiori partiti vincitori (Pd e Pdl) per creare e imporre una squadra di governo che, nelle parole di allora, doveva essere un governo di breve durata con il compito di dedicarsi solo alle questioni più urgenti – ovvero fronteggiare la crisi e soprattutto cambiare la legge elettorale – cosicché poi gli italiani avrebbero potuto riandare a votare per scegliersi finalmente un governo normale.

     Il governo è stato fatto, Giorgio Napolitano ha terminato il settennato e poi, al momento di votare il nuovo Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che giurò che mai e poi mai si sarebbe ripresentato come candidato per un milione di motivi uno più valido dell’altro, viene richiamato da certe forze politiche per essere rieletto una seconda volta consecutiva (cosa mai accaduta nel nostro paese!), anche se tra i candidati c’erano personalità eccezionali come Stefano Rodotà.
     Ecco dunque che Napolitano, dopo il giuramento di non ricandidarsi, ritorna a fare il Capo dello Stato. Ricordiamoci questo particolare di Napolitano, che è stato così ossessivamente cercato e voluto da queste forze politiche che ora sono al governo: ci servirà per capire il cuore del meccanismo.

     Passano i mesi ma intanto, tra un finto decreto del fare (pena) e le polemiche, anch’esse di distrazione di massa, sugli scontri tra la Kyenge e la Lega, la riforma della legge elettorale, tanto attesa e tanto voluta, non arriva. Eppure a ottobre era previsto il ritorno alle urne! Ci pensa Giorgio Napolitano a chiudere questa porta: «Il governo Letta deve durare fino al 2015». “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”: alla faccia della breve durata.

Il progetto di questo governaccio
     Ed eccoci al finale. Le maggioranze di Pd e Pdl, sapendo di voler cambiare l’assetto istituzionale del nostro paese, sotto spinta del Quirinale, invece di perdere tempo a mettersi a cambiare una legge alla volta, decidono di andare alla radice del “problema”. L’articolo 138 della Costituzione. Questo articolo importantissimo riguarda proprio la riforma della Costituzione e delle leggi costituzionali e spiega cosa è lecito fare e cosa no per cambiare la Costituzione (perché la Costituzione, sia ben chiaro, si può cambiare, ma per migliorarla).

     Ma cosa vuole fare questa deroga del governo? A cosa mira la riforma della Costituzione? I punti più salienti del progetto di questo governo sono questi:
  • Riformare 69 articoli della Carta: sono un numero enorme, e il Comitato dei 40 saggi previsto per effettuare queste modifiche si ritroverebbe di fatto a svolgere il ruolo di una vera e propria assemblea costituente che riscrive da capo la Costituzione! Infatti chiunque comprende che gli articoli sono collegati gli uni agli altri, per cui, cambiandone uno, se ne cambiano per forza altri, con i quali entrerebbero in contrasto! Un’assemblea costituente l’abbiamo già avuta, nel 1947 e, come ci ricorda Salvatore Settis, i costituenti di allora studiavano: leggevano le costituzioni di tutto il mondo per prendere esempio sui vari temi e c’era un ministero apposta dedicato all’informazione della scrittura della Carta, per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini in questa operazione.
  • Dare al Governo il potere di emendare la Costituzione, cosa che la legge consente solo al Parlamento, con i suoi membri che rappresentano il paese. Non si è mai visto che l’esecutivo rubi questa funzione alle Camere!
  • I parlamentari non possono presentare più emendamenti in ogni momento, ma hanno una sola possibilità: 72 ore prima dell’esame, uccidendo così di fatto la discussione legislativa, che è il cuore del meccanismo democratico del fare le leggi.
  • Pretendere di derogare all’articolo 138 (l’articolo che consente di modificare la Costituzione indicandone i limiti), il che a sua volta è una violazione dell’articolo 72 (comma 4) della Costituzione, che dice che per le leggi costituzionali le Camere adottano la procedura normale; quella proposta da questo governo è invece una deroga speciale, tra l’altro valevole una tantum e creata ad hoc per questa circostanza. Ovvero: si cambia la legge violando la legge.

Cosa dice l’articolo 138?
     E a proposito dell’articolo 138, se uno ne va a leggere il testo del primo comma, ecco cosa trova scritto:
     Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
     La legge dice cioè che se vuoi cambiare la Costituzione le Camere del Parlamento devono rispettare questo intervallo di almeno tre mesi. La ragione è semplice: la Costituzione è la legge fondamentale del nostro ordinamento e riguarda tutti i cittadini, quindi prima di cambiarla si deve poter consentire un adeguato dibattito pubblico, anche informativo, su una materia tanto delicata, che non può essere emendata da un giorno all’altro come se nulla fosse. L’intervallo di tre mesi serve ai parlamentari per orientarsi o eventualmente avere ripensamenti sulle modifiche, e ai cittadini per conoscere la portata di un cambiamento tanto importante. Ebbene, la proposta del governo Letta è quella di far approvare in aula un disegno di legge creato ad hoc, che valga “solo questa volta” e che consenta di ridurre l’intervallo di discussione da 90 a 45 giorni. Ora, ecco quali sono le conseguenze:
  1. Riducendo l’intervallo di tempo non si consente all’opinione pubblica di prendere parte a una decisione tanto importante e si blocca il dibattito pubblico. Cosa ancora più grave, inoltre, questo vuol essere fatto nel periodo estivo, quando l’attenzione della società civile è comprensibilmente più bassa a questioni istituzionali. La società civile, infatti, non è semplice spettatrice e passivo fruitore delle deliberazioni del Parlamento, ma è ciò per cui vengono fatte le leggi: se la società civile, dopo essersi adeguatamente informata, non fosse d’accordo, dovrebbe avere modo e tempo di far sentire la propria voce. Così funziona in democrazia. Il progetto del governo era quello di far passare il ddl entro il primo agosto, ma l’azione dei Cinque Stelle ha impedito tutto ciò (beccandosi l’accusa di ostruzionismo, che tra l’altro è cosa nobile quando si vuole ostacolare un processo antidemocratico), e la discussione è slittata a settembre.
  2. Non si è mai visto che il governo (sotto la spinta del Capo dello Stato) si faccia promotore di una riforma costituzionale, tra l’altro così incisiva: è il Parlamento ad avere autorità sulle riforme costituzionali, non il governo. Con questa deroga si esautora quindi il Parlamento di una delle sue funzioni, lasciandogli solo la funzione di approvazione, non di elaborare e discutere la norma. Questa è una violenza all’assetto del nostro regime repubblicano, che è parlamentare, non presidenziale.
  3. Se questa deroga che il governo propone passasse, dovrebbe passare con procedura ordinaria, e questo significa che arriveremmo all’assurdo secondo cui una legge ordinaria può derogare a un articolo della Costituzione! Inoltre chi ci dice che poi non si arrivi a farlo anche in futuro? Tanto la scusa dell’urgenza si trova sempre! Non si può cambiare la legge violando la legge: come ha sentenziato giustamente Alessandro Pace, «La Costituzione è modificabile, non derogabile!».

     I parlamentari grillini con il loro (c)ostruzionismo, hanno permesso quindi di guadagnare un mese, durante il quale si ha intenzione di informare i cittadini, sensibilizzare l’opinione pubblica a una tematica che tocca così da vicino la vita di tutti noi, per preparare la società civile ad affrontare questo tema e, eventualmente a intervenire. Infatti l’articolo 138, nella saggia lungimiranza dei padri costituenti, prevede anche questo (comma 2):
     Le leggi stesse [di revisione costituzionale] sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
     Tale referendum però non è sempre permesso; infatti il comma 3 precisa:
     Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
     E qui entrano in gioco le larghe intese: se Pd e Pdl votano compatti e riescono a coprire il numero necessario, la società non può ottenere il referendum. E lo faranno se non vengono fermati, perché dalla loro parte hanno la scusa di farlo per il bene del paese, che è sempre la cosa su cui fanno leva i cattivi governanti quando vogliono incutere timore (ricordate il governo Monti e i suoi “sacrifici per uscire dalla crisi”?).
     Su questo fatto del referendum il governo Letta ha promesso che nelle riforme future verrà comunque garantito il referendum confermativo, anche se la votazione avverrebbe a maggioranza dei due terzi delle Camere: peccato però che questa gentile concessione varrebbe solo per le riforme future, non per questa! Inoltre Alessandro Pace fa notare un’altra trappola: se in un referendum, a cui come sappiamo si può rispondere solo con SÌ o con NO, venissero introdotti più temi diversi in un solo quesito, il cittadino che vota dovrebbe dire sì a tutti oppure no a tutti, perché il quesito sarebbe unico, come la risposta consentita. Quindi, per esempio, ci ritroveremmo a votare sì per la diminuzione del numero dei parlamentari, ma anche per il presidenzialismo, se questi due temi venissero posti nello stesso quesito.

Incostituzionalità e stranezze: il ruolo di Napolitano
     Non dimentichiamoci infine che questo tema delle riforme sarebbe affidato a un comitato di 40 saggi che dovrebbero decidere tutto loro. Ancora una volta il Parlamento diventa il cuddy del governo. Nel progetto dei saggi, tra l’altro, andrebbe a ricadere la stessa riforma del porcellum, come se il porcellum fosse una parte della Costituzione che essi hanno avuto il compito di emendare! Le due cose, invece, sono e devono restare separate! Il porcellum non è parte della Costituzione.
     Veniamo ora alla cosa interessante: questo comitato avrebbe un tempo limite per portare a termine le riforme della Costituzione così come piace alle forze politiche che vivono le larghe intese. Sapete qual è il tempo massimo? 18 mesi, ovvero un anno e mezzo. E indovinate dove saremo tra 18 mesi? Nel 2015! Proprio come aveva detto Napolitano: il governo Letta deve durare fino al 2015. Ecco il ruolo di Napolitano in tutto questo. Le riforme della Costituzione devono essere portate a termine e Napolitano ci tiene fermamente! E non esiste che il Presidente della Repubblica, che rappresenta la legge e l’unità nazionale, si faccia primo promotore della rottamazione della Costituzione: egli ne deve garantire il rispetto! Ecco allora che la nostra intelligenza ci suggerisce che Pd e Pdl fossero d’accordo fin dall’inizio nel cambiare in un certo modo la Costituzione e, nel governo, uscito da febbraio e dal porcellum, occorreva che il Capo dello Stato desse man forte a questa revisione. Ecco perché Napolitano ha escluso il ritorno alle urne a ottobre: il processo di revisione costituzionale deve andare fino in fondo e delle nuove elezioni politiche interromperebbero questo processo. Napolitano c’è dentro fino al collo.

     Ci sono insomma elementi sufficienti per comprendere come il progetto di questo esecutivo sia un vero e proprio stupro alla legge, un colpo di stato bianco, un’aberrazione che non farebbe altro che togliere alla nostra democrazia le sue armi migliori. Le conseguenze sarebbero terribili, potrebbero fare della legge ciò che vogliono, si potrebbe consentire qualunque arbitrio e i cittadini perderebbero molti dei loro diritti.
     Ecco perché occorre far sentire il nostro peso, così com’è successo con la riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso. Dobbiamo tutti firmare l’appello lanciato da Il Fatto quotidiano e diffondere questo appello a tutti coloro che conosciamo. Il numero degli aderenti cresce ogni giorno. Democrazia significa governo del popolo: se il popolo è il primo a disertare il dovere di esercizio della sovranità, allora diventa il vero colpevole delle sciagure del proprio paese.




venerdì 19 luglio 2013

Strage di via D’Amelio: così Scarpinato ricordava Borsellino

     Ricorre oggi il ventunesimo anniversario della morte del giudice Paolo Borsellino, ucciso in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 assieme agli uomini della sua scorta.
     Già da cinque anni a Palermo si usa commemorare questo evento, invitando cittadini, magistrati e autorità. Anche oggi si è rinnovata questa tradizione, ma io voglio lasciare qui un paio di interventi del giudice Roberto Scarpinato dell’anno scorso, quando si espresse al riguardo in un modo a mio avviso molto illuminante.

     Il primo video che vi propongo è un breve intervento introduttivo fatto a Servizio pubblico: qui Scarpinato afferma quella che secondo lui è la funzione educatrice di una commemorazione del genere e sottolinea l’importanza della versione da trasmettere ai giovani sulla mafia, che non è quella di un gruppo di zotici che sono andati contro lo Stato, ma quella di un potere, parallelo a quello dello Stato, costituito anche e soprattutto, fin dalle sue origini, da uomini delle istituzioni, che hanno collaborato assieme ai mafiosi latitanti, i boss, i padrini comunemente intesi.
     Segue la lettera, bellissima e piena di valori culturali da osannare, che il giudice Scarpinato ha letto l’anno scorso a Paolo Borsellino e nella quale lancia un’accusa esplicita alle autorità che siedono a pochi metri da lui in quel momento. Un atto di dovere e integrità morale senza eguali che merita di risuonare nella nostra memoria.


L’intervento a Servizio pubblico




La lettera a Borsellino (19 luglio 2012)




Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

Paolo Borsellino

sabato 13 luglio 2013

Il Pd cambia la legge: Berlusconi non più ineleggibile

     Il Pd è venuto di nuovo in soccorso a Berlusconi, ma stavolta la cosa è spudorata forte. Per salvare il Cavaliere dall’imminente condanna in Cassazione per il processo Mediaset stanno infatti facendo di tutto e stanno abbattendo gli ultimi barlumi di pudore che si potrebbe provare nel fare una cosa del genere. Prima la mira a farsi fare senatore a vita, laddove, dice la Costituzione, una persona può essere fatta senatore a vita solo se ha «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario» (art. 59, comma 2); poi giù a ossessionare Napolitano per farsi dare la grazia (in nome di quale criterio, poi?), anche se fonti del Quirinale dicono che «Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del Capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale»; infine addirittura costringere il Parlamento a sospendere i lavori per un giorno intero per indire una riunione straordinaria con tutte le forze politiche (incontro votato mercoledì scorso).
     Tutto, tutto per impedire lo svolgimento di un processo regolare, tutto per impedire l’emanazione regolare di una sentenza, tutto pur di convincere i poteri a entrare in conflitto con la magistratura, la quale, se anche avesse delle prove a sostegno, chi se ne frega!, deve tacere e non disturbare. Ma non è facile mobilitare sempre tutti gli organi istituzionali per fare del garantismo alle vicende turpi di un solo individuo, e questo Berlusconi lo sa. Ecco perché da vent’anni si fa aiutare dalla sinistra, e non solo comprando i suoi senatori. Il Pd infatti lo ha aiutato, con atti o con omissioni, molte volte e ora il suo aiuto occorre più che mai. Ed ecco che quegli stessi signori che appena qualche mese fa gridavano “Mai un governo con Berlusconi!”, accorrono in salvezza del Caimano. Vi spiego il fattaccio.

     In Italia esiste una legge, la legge n. 361 del 1957, la quale impedisce a certe categorie di persone di essere elette in quanto possono avere dei conflitti di interesse economici che non si concilierebbero con il ruolo istituzionale che ricoprirebbero. In particolare, all’articolo 10 si legge:

Non sono eleggibili inoltre:

1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta;
2) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;
3) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l'opera loro alle persone, società e imprese di cui ai nn. 1 e 2, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.
Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura.

     Questo articolo impedirebbe a gente come Berlusconi di essere eletto, lo renderebbe quindi ineleggibile. Tuttavia, ogni volta che si trattava di decidere in Parlamento sull’ineleggibilità, grazie all’aiuto della sinistra che ha sempre votato a favore dell’eleggibilità, Berlusconi ha sempre avuto semaforo verde. A quanto pare stavolta si sono rotti le scatole di fare questo giochino ed ecco cosa si sono inventati: 25 esponenti del Pd, primi firmatari Massimo Mucchetti (presidente della Commissione Industria) e Luigi Zanda (capogruppo del Pd al Senato), hanno presentato lo scorso 20 giugno un disegno di legge nel cui testo si vuole sostituire il principio di ineleggibilità con quello di incompatibilità.
     Il parlamentare che rientri nelle condizioni dell’articolo 10 della legge del ’57, cioè, non sarà dichiarato direttamente ineleggibile, ma solo incompatibile con la sua carica e potrà scegliere, entro 30 giorni, un soggetto, che non sia con lui in alcun rapporto professionale o di parentela a cui vendere le sue società, cosa che dovrà avvenire entro 365 giorni. Ecco precisamente cosa contiene il testo:

L’azionista di controllo eletto parlamentare deve conferire entro trenta giorni ad un soggetto non controllato né collegato il mandato irrevocabile a vendere entro trecentosessantacinque giorni le partecipazioni azionarie di cui sopra a soggetti terzi, ossia a soggetti senza rapporti azionari né professionali con il venditore e comunque a soggetti diversi dal coniuge, dal convivente more uxorio e dai parenti fino al quarto grado e affini fino al secondo grado, nonché a soggetti diversi dagli amministratori delle società. I due termini di 30 e di 365 giorni devono intendersi come perentori.

Massimo Mucchetti e Luigi Zanda.
     Perché mai il Pd si sarebbe scomodato per cambiare una legge tanto chiara e ben funzionante? La legge del ’57 dice una cosa giusta: se sei proprietario o hai controllo su aziende non puoi essere eletto perché altrimenti potresti usare i poteri politici per favorirti (che è quello che Berlusconi ha fatto per anni: il processo Mediaset, tanto per citarne una, parla proprio di questo). Perché cambiare, dunque? Ce lo spiega Anna Finocchiaro, presidente della Commissione Affari Costituzionali: la legge va cambiata «perché non è adeguata a fotografare in maniera compiuta le ipotesi di ineleggibilità […] Non è adeguata alla modernità del paese, non è una legge moderna».

     Be’, ma in tempi di crisi economica, dove le urgenze sono il lavoro, l’economia a terra, l’evasione fiscale, dedicare la propria attenzione alla modernizzazione di una legge del genere è davvero nobile! Ovviamente non siamo tonti e si capisce benissimo che il Pd ha offerto a Berlusconi la possibilità di sanare il vizio che lo rende inadatto alla gestione dello Stato, consentendogli di rimanere in politica per poter continuare le riforme (soprattutto quella della giustizia) di cui ha un disperato bisogno per non finire in galera.

     Ma, a parte considerazioni di questo tipo, merita particolare menzione il commento di uno stesso democratico, Pippo Civati, che sottolinea come il Pd si sia ancora una volta dato la zappa sui piedi da solo con una proposta del genere. Ha infatti dichiarato: «Non si sono resi conto che questa è la prima dichiarazione del Pd in cui si dice chiaro e tondo che Berlusconi è ineleggibile». Invece di mandar via un uomo ineleggibile da vent’anni, gli danno l’occasione per restare in scena e conservare gli equilibri politici che si sono formati, ora che Berlusconi non ha più la completa egemonia di un tempo.

     Ennesimo tradimento del Pd, quindi, che si riconferma al Pdl «più fedele del cane più affezionato» (Beppe Grillo).



domenica 7 luglio 2013

Rispetto Marchioni, ma non sono d’accordo con lui. Apologia della resistenza

     Qualche giorno fa sul blog Italians di Beppe Severgnini è stata pubblicata una breve lettera firmata Aldo Marchioni, 55 anni, programmatore di computer. La sua storia è quella di molti: un italiano che lavora onestamente ma che, pur pagando regolarmente tutte le tasse, viene letteralmente schiacciato dalla pressione fiscale iniqua che i nostri politici ci impongono.
     La lettera, intitolata L’Italia è morta, andatevene finché siete in tempo, ha spopolato in rete e sui social network viene continuamente proposta e citata, con migliaia di condivisioni. Il messaggio della lettera, come s’intende dal titolo, invita le persone a lasciare un paese ormai cadavere, senza speranza e senza prospettiva.
     Prima di dire ciò che ho pensato, vorrei farvi leggere le parole di quest’uomo.

Caro Bsev, ho un problema. Lavoro per conto mio: ho la partita IVA. Nel 2012, è arrivato, finalmente, lavoro in abbondanza. Io lavoro esclusivamente per aziende: tutto viene fatturato. Alle correnti tariffe di mercato ho prodotto un reddito lordo di circa 50.000 euro. Per me, abituato come ero abituato, non è male. Il commercialista mi ha appena comunicato quanto dovrò versare da qui a novembre, tra saldo e anticipo: 22.900 euro tra imposte e contributi previdenziali. Questo dopo che, sul fatturato, è già stato versato il 20% di ritenuta d’acconto: che fanno altri 12.000: 34.900. In percentuale sul lordo, fa 69,8%. Per mettere insieme 50.000 euro ho lavorato sabati, domeniche, alcune notti, ho fatto trasferte paurose. Lo stato, per mantenere vizi e stravizi dei vari Trota, Batman, Formigoni e Minetti, se ne porta via più di due terzi. Per inciso: non potrò pagare, ovviamente. Sto ancora arrancando dietro imposte e contributi dell’anno scorso, poi ho una rata da 250 euro mensili con Equitalia; ed ho una rata da oltre 300 euro con una finanziaria, per un finanziamento chiesto ed ottenuto per pagare le tasse di 5 o 6 anni fa, non ricordo. Sono professionista (faccio il programmatore di computer): non posso fallire, non posso delocalizzare. L’unica cosa che potrei fare, e che probabilmente farò, sarà vendere l’appartamento di città dove vivono due figli venticinquenni e la ex moglie (io vivo in affitto), vendere la casetta di montagna ereditata da mio padre due anni fa, e sparire in uno di quei paesi dove si vive con pochissimo. Severgnini, lei dice, ai bravi ragazzi volenterosi che vogliono emigrare, di non farlo, e, se lo fanno, di tornare presto; io dico loro: “Andate fino a che siete in tempo. Quando avrete 50 anni (io ne ho 55), vi morderete le mani per non averlo fatto. L’Italia è un paese perduto. Lasciate i Trota, i Batman, i Formigoni e le Minetti al loro destino, e costruitevi una vita dignitosa altrove. L’Italia è morta”. Cordiali saluti,


Aldo Marchioni, aldo@aldomarchioni.it


     Vorrei dire innanzitutto che rispetto infinitamente le persone come il sig. Marchioni e i sentimenti di rabbia e sfiducia che egli prova, anche perché, non essendo io stesso ricco, posso dire di conoscere gran parte dei problemi economici che sempre più persone fronteggiano a causa della malapolitica di questo paese. Problemi che vedo nella gente attorno a me, non solo in famiglia ma anche presso amici o finanche estranei. Lo vedo nel mio quartiere, lo vedo nei carrelli sempre più vuoti al supermercato quando la gente fa la spesa, lo vedo sui cartelli dei locali commerciali con su scritto VENDESI o AFFITTASI o CEDESI ATTIVITÀ e nei negozi che da un giorno all’altro chiudono definitivamente. Io stesso sono poi uno studente ma devo lavorare per mantenermi gli studi, per non gravare sulle spese familiari, e spesso sono stato sul punto di pensarla come questo signore. Dunque comprendo e rispetto profondamente il suo messaggio … ma non lo condivido.

     Non posso condividere un invito a lasciare il problema lì dov’è, quando so che il cambiamento è invece possibilissimo e che non costerebbe nemmeno tanto. Certo, a pensarci frettolosamente la reazione più ovvia è pensare di mandare a quel paese tutto, di lasciare ai questi delinquenti questa carogna marcescente di penisola e dirgli «Tenete e spolpatevi il resto: quando sarà finito tutto non avrete altro da rubare». Viene da pensare che abbiamo il diritto di essere felici, perché la legge ci garantisce delle cose che invece ci stanno togliendo. È molto invitante un pensiero del genere: andarsene altrove e trovare finalmente i riconoscimenti che la nostra fatica reclama, la giusta ricompensa ai nostri sforzi e al nostro impegno. È un’idea suadente.
     E in effetti è anche un diritto sacrosanto di ciascun individuo. Tuttavia, così facciamo il loro gioco. Così li aiutiamo a eliminare dal loro cammino gli ultimi ostacoli a questa imperdonabile opera di distruzione democratica che hanno messo in atto. Senza la volontà di lavorare per cambiare le cose non avremmo avuto fulgidi esempi come la resistenza dei partigiani! Non avremmo avuto il referendum che ci ha fatto cacciare via il re e diventare una Repubblica! Andarsene, voltare le spalle non conviene mai! Noi dovremmo restare! E, restando, dovremmo cambiare le cose!

     “Eh, sì: parla facile lui!” vi starete dicendo: “Fa l’idealista, lui!”. E invece no. Vi porto un esempio: per anni abbiamo dato il voto a certe persone che, per quanto faccia male ad alcuni di voi, ci hanno portato dove siamo, hanno reso il nostro paese legislativamente più fragile, più vulnerabile ad attacchi e minacce economiche. Bene, basterebbe smetterle di votarli! Immaginate per un attimo, abbiate il coraggio di immaginare solo per un secondo: milioni di persone che lasciano letteralmente a piedi quei Batman, quelle Minetti e quei Trota! Senza voto! Sarebbero morti! E lo sforzo che avremmo fatto sarebbe stato minimo. Stanno nascendo delle alternative anche in politica, di cui il Movimento 5 Stelle è solo il più conosciuto. Potremmo non dare a quei tiranni il consenso che loro usano per violentare il nostro paese, e invece alle scorse elezioni di febbraio ci siamo comportati male, perché abbiamo ridato fiducia alle persone sbagliate, come una donna picchiata dal marito che ritorna da lui perché anche nel male lui funge da punto di riferimento. Non votarli! Già questo atto, da solo, metterebbe seriamente in crisi gli intenti e il potere di queste persone, che non potrebbero più imporci le loro folli deliberazioni. Magari scapperebbero loro all’estero, con la coda fra le gambe, come fece Craxi! Sarebbero loro a liberare questa terra magnifica dalla loro pestilenziale presenza.

     Volete un altro esempio? Uno su piccola scala: qualche mese fa dalle mie parti un intero quartiere venne sommerso letteralmente da un alluvione: un fiume (inquinato tra l’altro), a causa della scarsa manutenzione degli argini di contenimento e di decenni di incuria, straripò e molte famiglie persero la casa. Porte abbattute, allagamenti, raccolti rovinati. Non c’era nemmeno un letto dove dormire, un tavolo su cui mangiare. La colpa era della politica che per decenni non si era occupata di quel problema. Ora, quelle persone potevano perdersi d’animo, cambiare città, lasciare le rovine della loro vita lì nel fango. Invece no: si sono rimboccati le maniche, hanno spalato il fango, hanno lanciato appelli, raccolto donazioni di abiti, mobili, cibo, hanno chiamato la stampa e hanno anche inviato una petizione alle autorità. Ora l’amministrazione dovrà rimettere a posto il letto del fiume e quando i lavori saranno stati completati questo problema non si ripresenterà più.

     E poi, se neanche vi bastasse, ci sono gli esempi più “forti”, come il popolo egiziano che costringe un presidente a dimettersi facendo un vero e proprio colpo di stato dal basso. Ora in Egitto l’odiato presidente Morsi è stato destituito e gli egiziani hanno avuto ciò che volevano. Magari vorranno cambiare anche quello che verrà dopo, ma intanto hanno ottenuto, di comune accordo, ciò che volevano.

     Cari signori, non sta scritto da nessuna parte che il mondo sarà come lo vorremmo o come ci aspettiamo che fosse. Non sta scritto da nessuna parte che i diritti, per il fatto di essere scritti su un pezzo di carta, esercitino automaticamente il loro potere. Perché vi stupisce così tanto l’idea di dover compiere una qualche forma di “attività” per far andare bene le cose? Perché vi sembra così strano che una situazione possa essere migliorata con l’impegno di tutti? Se tutti fanno qualcosa, ognuno ci rimetterà molto poco! È come portare sulle spalle un peso gigante: se lo portiamo tutti, ciascuno farà poca fatica.
     La colpa prima, quella più autentica, viene da noi! Dalla nostra concezione corrotta di “essere cittadini”. Noi vogliamo delegare agli altri e lavarcene le mani, pur sapendo che la disonestà sia un fatto che esiste da sempre. Noi vogliamo il cane da guardia e non vogliamo essere rotti la scatole, vogliamo “farli mangiare purché essi facciano mangiare anche noi”. Mi dispiace, ma finché si è in democrazia (dove la sovranità appartiene al popolo), le dittature nascono col consenso della gente comune. Un esempio: Hitler venne eletto democraticamente.
     Al sig. Marchioni è concesso essere pessimista: lui ha lavorato una vita, ne ha viste tante, magari è stanco e non ha nemmeno le forze fisiche per sopportare ogni giorno certi pensieri. Ma chi non ha ancora passato una vita a fare la sua parte per questa nostra magnifica terra non ha il diritto di pensare che andarsene sia la cosa migliore. O almeno, se proprio vuole andarsene, non può pensare che un cambiamento sia impossibile per un fatto di costituzione. I più giovani hanno il dovere di sapere come stanno le cose in realtà, hanno il dovere di non essere ignoranti, di non farsi ingannare, di non farsi convincere che ogni intervento non servirebbe a niente. Questa è una bugia. Guardate la stessa crisi economica: i più rinomati economisti della Terra l’hanno sbugiardata come l’inganno di massa più grande di tutti i tempi, eppure continuano a parlarne come se si fosse trattato di una cosa imprevedibile, di cui nessuno ha colpa.

     Ci sono mille modi per cui potremmo interagire con poco sforzo per cambiare questo paese. Anche semplicemente condividendo informazioni scomode, quelle che nessun telegiornale direbbe mai, diffondere idee e promuovere iniziative. Anche quello sarebbe un modo! Sono cose che si possono fare. Ma “loro” ci hanno divisi, ci hanno portati a pensare che ciascuno di noi è il solo onesto e che tutti gli altri siano criminali, ci hanno educato a sputare sulla fratellanza e a non collaborare insieme. Del resto, un popolo diviso è un popolo fragile: «Divide et impera», “Dividi e comanda” si diceva fin dall’antichità. Perché l’unione fa la forza. E i dittatori lo sanno.


     Se non volete fare il ragionevole sforzo (anche minimo) per cambiare le cose perché non siete disposti, allora va bene. Ne avete il diritto, come ho detto. Avete il diritto di non rischiare. Ma non si dica che andarsene è la sola soluzione, non si osi dire che “cambiare non è possibile”. Diciamo piuttosto che cambiare costa e che quasi nessuno vuole pagare quel prezzo, anche se quel prezzo sarebbe molto piccolo se lo pagassimo in tanti (idea che non sovviene alla mente delle persone, perché è psicologicamente più conveniente cadere nella trappola del “meglio andarsene”).
     Se volete, andate, ma dovete saperlo che è sempre possibile fare qualcosa e che andando via, in un certo senso, siete complici degli stessi meccanismi che criticate. Del resto, pensatela su scala più egoistica: se una forte tempesta vi rompesse le finestre di casa, voi la lascereste senza finestre? La lascereste aperta ai ladri o addirittura la abbandonereste? O non fareste qualche ragionevole sacrificio di tempo e denaro per ripararla? Ecco: col vostro paese è la stessa logica. Ma forse è proprio qui che “loro” hanno vinto: vi hanno convinto che il vostro paese non vi appartenga; vi hanno persuaso che siete ospiti in casa vostra, vi hanno messo in testa che ciò che era già vostro di diritto sia una loro concessione, così non vi ci affezionate, non la sentite una vostra proprietà e dunque non vi viene da difenderla.

Non piangere per me
sappi che muoio
non puoi aiutarmi
Ma guarda quel fiore
quello che appassisce, ti dico
Annaffialo

Alèxandros Panagùlis, Vi scrivo da un carcere in Grecia



giovedì 4 luglio 2013

De Gregorio: «Ecco come Berlusconi mi comprò». L’intervista a “Il Fatto quotidiano”

     Ricordate Sergio De Gregorio, il deputato Idv che Berlusconi comprò per far cadere il governo Prodi nel 2008? In attesa che la magistratura si occupi del processo sulla vicenda (da cui potrebbero emergere anche altri capi di imputazione), De Gregorio, reo confesso, rilascia un’intervista e preannuncia l’uscita di un libro dove racconta come Berlusconi lo ingaggiò per corromperlo.


De Gregorio, lei è un mezzo condannato: ha appena chiesto il patteggiamento per corruzione.
Un anno e otto mesi, con il parere favorevole dei pm, ma so che il mio percorso di espiazione è appena cominciato. E sarà lungo.

Il peccato di far cadere Prodi nel 2008, al Senato: lei, Berlusconi e Lavitola. L’Operazione Libertà. Il gup di Napoli deciderà se ci sarà o no un processo.
A Palazzo Madama c’era una task force guidata dal povero Romano Comincioli (parlamentare di B. morto, ndr), poi Lavitola. Io ero un senatore novizio.

Un novizio che ora si pente.
Ero lì per la prima volta, non conoscevo tutti. Avvicinai solo Caforio dell’Italia dei Valori.

Berlusconi le diede tre milioni per lasciare Di Pietro.
Un milione, ufficiale, al mio movimento e due in nero. Mi stupivo di questi pagamenti in nero e perciò dissi a tavola quella battuta riportata oggi [cioè il 27 giugno] sui quotidiani.

“Berlusconi è l’uomo più ricattabile d’Italia”.
Quando un uomo si affida a intermediari come Lavitola che danno soldi in nero non c’è altra spiegazione per me.

Lavitola non era un volontario a costo zero.
Certamente. Questo era anche un modo, per Lavitola, di lucrarci sopra. Oltre ai due milioni, so di altri 500mila euro che però non mi ha mai consegnato. Ma questo fa parte del carattere di Lavitola.

Berlusconi conosce solo il colore dei soldi.
È il suo modo di gestire il potere. Faccia il conto di quante olgettine paga ancora, di quanto denaro passa ai testi del processo Ruby.

Un oceano che bagna tutta la vita di Berlusconi, pubblica e privata.
Lui compra le persone, le usa e le getta.

Il dolore dei soldi.
Ma io ho avuto un segno. Ho sognato mio padre. Mi diceva di andare dai magistrati e dire tutto su Berlusconi.

Tutta la verità.
Sì.

Non desiderare il parlamentare d’altri: altri peccati di shopping istituzionali?
Nel 2010 alla Camera.

L’anno dello strappo di Fini. Scilipoti e Razzi consegnati a un’eternità imbarazzante.
So di un altro deputato.

Il nome del comprato?
Non mi faccia andare oltre. Mi comprenda, i magistrati stanno approfondendo.

Era dell’Idv?
No.

Allora un finiano di ritorno, riacciuffato all’ultimo da Berlusconi.
Non posso dire nulla.

Un’altra Operazione Libertà.
Denis Verdini fu il bomber della trattativa.

Plurinquisito impresentabile.
Ho incontrato Verdini il 19 dicembre scorso. È stata l’ultima volta che ci siamo visti.

Voleva recuperarla?
Sì. Fu mandato da Berlusconi, che invece non volli vedere. Si stavano preparando le liste per le politiche.

Verdini le riempiva.
Mi disse: “Dai Sergio candidati. Andiamo tutti al Senato, io, te, Silvio, Nicola [Cosentino, ndr]. Ho visto i numeri, se ci facciamo eleggere lì non c’è la maggioranza per far passare le ordinanze di custodia cautelare”.

Un discorso nobile. Il vero volto del berlusconismo.
Ho detto no. Ho preferito il carcere, appena finito il mandato parlamentare.

Arresti domiciliari per i soldi pubblici all’Avanti. Truffa e bancarotta. Revocati l’altro giorno.
Anche in questa inchiesta sono stato collaborativo.

Il suo percorso di espiazione prevede un libro.
Uscirà a settembre. Non le dico l’editore per un solo motivo. Se qualcuno lo sa, si compra la casa editrice e lo blocca.

L’Espresso anticipa due capitoli: lei fermò una rogatoria su fondi neri di Mediaset in Cina.
Centinaia di milioni di euro. Conti intestati a Frank Agrama [socio di Berlusconi condannato insieme a lui per i diritti tv Mediaset, ndr]. Mi avvisò il console italiano a Hong Kong, mi mandò un fax con le intestazioni cancellate del ministero della Giustizia. Avvisai Berlusconi, che cenò a Palazzo Grazioli con l’ambasciatore cinese e il fido Valentino Valentini.

Niente rogatoria.
Sì, il risultato venne raggiunto. Io inventai anche l’associazione parlamentare Italia-Hong Kong, dicendo: “Qui si tratta di togliere dal fuoco le castagne di Berlusconi”.

Finiamo il conto: i cinque milioni teorici che lei offrì a Caforio, che disse no ma registrò tutto e diede la cassetta a Di Pietro.
Questo è l’episodio più singolare. Nessuno che si domandi perché quella cassetta Di Pietro non l’ha mai data ai magistrati.

De Gregorio, quando ha deciso di parlare?
Dopo l’arresto di Lavitola, nel 2012. Lo dissi a Ghedini.

L’avvocato di Berlusconi.
Gli dissi che avrei lasciato la politica per non finire nel tritacarne. Sarei stato inseguito per tutta la vita, come Al Capone.

Cosa rispose?
Che anche Berlusconi stava pensando alla stessa cosa.

Lasciare la politica?
Sì, ma poi non l’ha fatto. Ghedini è la radice di tutti i mali di Berlusconi, mi creda.


Tratto da: Il fatto quotidiano del 28 giugno 2013


 
Da sinistra: Sergio De Gregorio, Silvio Berlusconi, Valter Lavitola, Denis Verdini e Niccolò Ghedini.