venerdì 28 ottobre 2011

Le dieci piaghe della televisione italiana. Una rassegna.



     Concedetemi, stavolta, di togliermi un sassolino dalla scarpa. Anzi, non uno, ma una bella manciata! Oggi pensavo a quanto la televisione italiana sia cambiata in questi anni: tralasciandovi i retroscena eziologici di questo mio viaggio mentale, mi piace condividere uno sfogo che interessa il problema del degrado mediatico di cui il nostro paese è affetto ormai da più di una ventina d’anni.
     La televisione in Italia ha avuto un grande merito: ha fatto gli italiani! Me lo ripeteva sempre il mio prof. di storia al Liceo: «Le autostrade e le televisione hanno unito le regioni d’Italia!». Tuttavia, da quando è stata usata per fini diversi da quelli legati all’informazione o al puro e innocente intrattenimento, il suo volto si è trasfigurato un po’ alla volta fino a farla assumere una veste totalmente diversa e funzione totalmente diversa.
     Ebbene, non facciamo i delicati e diciamolo chiaramente: oggi la TV è uno strumento di controllo vero e proprio che ha l’esplicito compito di indirizzare i comportamenti del pubblico di consumatori e di elettori. E di volta in volta chi usa questo strumento sono le banche che devono acchiappare debitori, le multinazionali che vomitano fiumi di spot pubblicitari per farci comprare (altra perla del mio prof.: «Il consumismo non soddisfa i bisogni, ma crea nuovi bisogni di cui non c’è bisogno»), i partiti politici che vogliono portare gli elettori a votare chi si può permettere di farsi la pubblicità più bella in campagna elettorale… Ma questo macchinario immenso ha bisogno di rotelle e ingranaggi per funzionare: questi ingranaggi sono i volti che vediamo tutti i giorni, quelli a cui siamo abituati, che a volte ci sono perfino simpatici e che, in ogni caso, ci sono familiari. Sono i cosiddetti VIP che compaiono nelle trasmissioni di questa e quella rete e che prestano la loro immagine per trasmettere idee e concetti che sono proprio quelli che stanno corrompendo e avvelenando la mente e la dignità dei cittadini, che credono di assistere a qualcosa di innocuo e di innocente, mentre invece vengono indottrinati furtivamente e subdolamente da un sistema più grande di loro.
     Ma quali sono questi VIP? In questo piccolo “processo”, che poi è tutto il mio sfogo, dovrebbero comparirne decine e decine, ma ovviamente non si può parlare di tutti. E allora facciamo una cernita e stendiamo una classifica. Nasce così, signore e signori, la mia personalissima top ten di cretini che hanno contribuito ad abbassare il livello della televisione italiana. Vediamoli uno alla volta, in crescendo.

     Al decimo posto troviamo Platinette, nome buffo di Maurizio Coruzzi. Platinette può essere considerato un po’ come il pioniere di quella categoria umana che oggi prende il nome di opinionisti. Certo, all’inizio ha avuto esperienze di conduzione, ma si è negli anni affermato nel non fare una beneamata mazza nei programmi Mediaset. Questo strambo personaggio, che ogni tanto prende fattezze vagamente antropomorfe, fa la sua apparizione in TV munito (o armato?) di una inquietante serie di parrucche color zucchero filato che suscitano una forte (ma forte) invidia in Moira Orfei. Con una parvenza di letteratezza e cercando di sfoggiare, quando può, una certa cultura personale che comunque non va mai al di là di un certo punto, Platinette ha come cavallo di battaglia le sue frecciatine nei confronti dei partecipanti ai programmi in cui lavora e, soprattutto, le sue battutine piene di doppi sensi e allusioni volgarmente sessuali. Attualmente tende ad aggirarsi più o meno stabilmente negli studi di Amici di Maria De Filippi anche se, come le metastasi, invade anche format diversi, spargendo il suo veleno mortale qua e là dove capita.

     Tina Cipollari è una donna che tiene fede al suo cognome: fa proprio piangere! Di tristezza. Esordì come “corteggiatrice” e poi come “tronista” nel reality show Uomini e donne, ma, dopo un periodo passato sui giornali in cui si parlò della sua gravidanza (manco avesse partorito la Madonna), ha subito trovato la sua strada in quello stesso programma come opinionista. Si fa chiamare Tina la vamp (anche se non sa nemmeno come si scrive vamp), a causa del suo look fortemente (e pateticamente) ispirato al cliché della femme fatale: in realtà sembra la brutta copia della versione caricaturiale di Marylin Monroe (cui si illude di poter assomigliare con quella sua pettinatura bionda e cotonata che però pare il culo di una pecora) e quel culone enorme che nasconde inutilmente sotto quella ridicola gonna non l’aiuta certo ad essere credibile. Nonostante se la tiri neanche ce l’avesse di platino e si sforzi di apparire fine ed elegante, tradisce spesso e volentieri la sua volgarità e la sua cafonaggine con i suoi turpiloqui degni di una “vasciaiola” napoletana che sbatte i polpi sugli scogli durante i quali viene fuori tutto il suo accento romanaccio.

     Quando il giornalismo diventa voyeurismo; quando l’informazione diventa perversione; quando vuoi fare soldi sulla morte della gente uccisa… Ecco cos’è diventato Salvo Sottile, ex giornalista TG5, attualmente conduttore di Quarto grado, programma il cui titolo la dice lunga sull’umiltà della conduzione. Com’è che funziona questo Quarto grado? Be’, si prende un caso di cronaca nera, si affilano le lame della speculazione, e si comincia a fare su di esso un processo vero e proprio, parallelo a quello giudiziario, usando voci di corridoio e prove parziali o non del tutto attendibili e attestate; in studio questa follia viene fatta con l’aiuto di espertoni della Madonna, come criminologi, psichiatri o altri giornalisti, che devono collaborare con il conduttore nel suscitare sdegno negli spettatori (come dicevo: non è informazione, ma show). Salvo Sottile vive degli assassinii che si consumano nel nostro paese e nel suo programma non ci si accontenta di dire alla gente quello che è accaduto. No, si deve andare a cercare il particolare della vicenda, si scova il pelo, si sviscera il dettaglio dell’orrore per tenere la gente incollata al caso, interessandosi dell’impronta, della goccia di saliva, del capello lasciato sulla scena del crimine. Questo modo malato di parlare della cronaca nera ha ormai piena affermazione in Mediaset e non solo. E questo individuo dalla faccia da scimmia, brutto come un culo (una bruttezza che prova a celare con quella barba sgamatissima) e con le orecchie a sventola è il porta vessilli di questo genere di format.

     Diciamola tutta: Barbara D’Urso sarebbe stata molto più apprezzata nel cinema porno! Dai, lo vedete: se non è una faccia da troia la sua! Sarebbe stata molto più credibile. Ma questo è un giudizio mio personale. Il fatto più grave è che Barbara D’Urso non vuole capire che a una certa età si invecchia! Dovrebbe ben farsene una ragione, e invece, negli studi di Pomeriggio cinque e Domenica cinque si fa sparare in faccia quel faro da nave da 1000000 candele di potenza per appianare le varie rughette che alla sua età sarebbero dignitosissime! Quasi una Beatrice dei poveri illuminata dalla grazia divina che propina nella sua trasmissione le cose veramente più assurde: dalla testimonianza dell’avvistamento alieno, all’esperto bagnino di Riccione che viene in studio a fare lezioni di seduzione… Del resto una che vanta nel suo curriculum la conduzione di programmi come Grande fratello e La fattoria dovrebbe chiudere la sua carriera per aver raggiunto il picco massimo di bassezza. La specialità di Barbara D’Urso sono le faccine che fa quando ascolta le storie dei suoi protagonisti: sono veramente tante e una più antipatica dell’altra! Una faccia da schiaffi veramente! Ha rotto le palle, lei e le sue tette rifatte messe a tre quarti davanti l’inquardatura!

     Alfonso Signorini o, come lo chiama la Marcuzzi, Alfónso, con la O chiusa, è un caso difficile da descrivere… se non vuoi incazzarti. Si spaccia per giornalista, ma il massimo della cronaca che fa è parlare della cellulite delle chiappe di Sandra Milo (perché per lui il pettegolezzo è informazione e il gossip è giornalismo); ha voluto scrivere dei libri, ma si documenta di merda e scrive anche peggio (ha scritto una biografia di Marylin Monroe che sarebbe da denuncia); ha provato a fare il conduttore ma siamo al livelli di Barbara D’Urso per forma e contenuti… L’unica cosa che gli riesce meglio è anche la più dannosa e odiosa: l’opinionista. Di nuovo. E lo so, ma che possa farci? Qua fanno tutti gli opinionisti! Ve lo ricordate nello studio del Grande fratello con quel ventaglietto che so io dove glielo infilerei (anzi, no: non glielo infilerei lì, perché me ne sarebbe grato) a indirizzare l’opinione pubblica su questo o quel concorrente, a fare la portinaia che non si fa i cazzi suoi e a elargire grandi perle di saggezza dall’alto del suo scanno della minchia?! Quest’uomo, che alcuni definiscono la versione gay di Gigi D’Alessio, è più inutile del letame, perché almeno col letame si concima la terra. Davvero non riesco a trovare un lato positivo in lui che possa giustificare la sua esistenza a questo mondo. E non parliamo di come si veste, perché sennò mi sale davvero il nervoso.

     Alessia Marcuzzi mi fa pena. Anche lei, come Barbara D’Urso, avrebbe ottenuto risultati migliori nel cinema porno, ma a differenza di Barbara, lei sarebbe molto più zoccola. Oh, non che sia arrapante, per carità: sembra un cavallo bipede, è una stanghettona senza un minimo di armonia nel corpo e ha una faccia che sembra quella di un cavallo che fa la cacca. Provo grande compassione quando la vedo comparire in studio, perché per quanto sarti, truccatori, parrucchieri si sforzino di prepararla e renderla carina, risulta puntualmente un cesso: la sua bocca pare quella dell’attrice hard core che si prepara per il bukkake, gli occhi piccoli e idioti che non risaltano nemmeno con chili di trucco, la voce da gallina strozzata ne fanno veramente una barzelletta di donna. E poi non sa portare i tacchi! Ma queste sono parole di invidia, direte voi. E allora parliamo della conduzione (perché dicono che sia conduttrice): gaffes a non finire, si dimentica le cose, non sa leggere il gobbo, chiede in continuazione aiuto agli autori perché perde di continuo il filo… insomma, una vera e propria imbranata. Non ne azzecca una. È la classica (presunta) gnocca messa lì a far vedere un po’ di figa per tenere alzo l’audience. Se mi chiedeste dove metterla nel mondo, davvero non saprei rispondere. Forse donare il suo corpo (rigorosamente morto) alla scienza la potrebbe riscattare.

     Roberto Giacobbo, nei miei sogni più perversi, viene ucciso da Piero Angela tramite impiccagione sotto un rogo in fiamme, con arcieri che gli riempiono il petto di dardi infuocati e una vasca di piranha che ne sbranano le membra fatte a pezzi da un boia appositamente assoldato. Questo sfigatello con la faccia da chierichetto pestato dai bulli ha veramente rotto i coglioni a tutta Italia con i suoi alieni che hanno costruito le piramidi di Giza e la fine del mondo nel 2012!!! E che due palle, c’è un limite a tutto! Davvero non ha saputo parlare d’altro nei suoi programmi! E poi, almeno ne parlasse, dei problemi che solleva! L’avete mai visto a condurre Voyager? A me si gonfiavano le carotidi sul collo per la rabbia! Se quelli sono documentari, allora i miei scritti sono opere da Premio Nobel per la Letteratura! Parla, parla e parla e non dà mai una risposta! No, lui solleva domande… compiacendosi di lasciarle così, a cazzo, irrisolte. Fa ascolti con l’occulto, con gli extraterrestri e con i misteri. Per lo più ha un timbro di voce inascoltabile. Non ha nemmeno il physique du rôle come Alberto Angela. Io propongo di darlo in pasto ai figli dei mafiosi perché ci giochino a “sciogliamo nell’acido il malcapitato”. Grazie a lui il livello medio di cultura generale si è abbassato, perché la gente si abitua a questo nuovo sapere fatto di “forse”, “si ritiene che”, “si pensa che”, senza uno straccio di documentazione e di ricerche serie e fatte per bene: tutte cose che passano in secondo piano quando ti conquisti l’attenzione degli ignoranti facendo leva sulla loro emotività e non sulla loro voglia di conoscere. Un volgarissimo esempio di ciarlatano!

     Diciamo subito cosa NON è Emilio Fede. Egli non è un giornalista! E questo dev’essere chiaro! Questo pover’uomo pettinato come Seymour Skinner de I Simpson, che ha il maledetto vizio di addormentarsi sotto la lampada abbronzante, tuttora indagato dalla magistratura per gli scandali vergognosi legati alle turpi vicende del premier, è la classica pedina messa dal potere a fare propaganda politica al momento opportuno. Lo abbiamo visto per anni al TG4 (come direttore, eh, non come semplice anchorman) leccare letteralmente il culo a Silvio Berlusconi, a taroccare le notizie in modo da far apparire le decisioni del governo come sensate e giuste; per non parlare degli errori in diretta, delle gaffes, dei cazziatoni fatti ai collaboratori davanti al pubblico. Sì, la conduzione è proprio il suo tallone d’Achille! Non sa proprio stare davanti alla telecamera! E poi non un minimo di ufficialità, di professionalità quando legge le notizie! Sembra sempre che stia chiacchierando nel salotto di casa sua col suo amico. Per questo dico che Emilio Fede è la nemesi dei giornalisti e che la sola cosa che abbia dato di buono agli aspiranti giornalisti è quello di fungere da modello al negativo, ovvero da lui si può imparare solo come un giornalista NON debba essere!

     Bruno Vespa è un po’ come Emilio Fede, ma a differenza del porco, lui ha un’aggravante: che cioè lavora in RAI. E, se c’è da aspettarsi che un giornalista di Mediaset faccia propaganda al suo padrone, proprietario di Mediaset, appunto, la cosa non vale per un dipendente della TV pubblica, quale dovrebbe essere appunto la RAI. E invece no! Il simpatico signor Vespa, un uomo con la faccia da prete pedofilo i cui nei sulla faccia, se uniti, fanno apparire la scritta “Sono un coglione”, vanta nel suo programma Porta a porta fior fior di scandali: come quando, per esempo, invitò in studio il premier Berlusconi per fargli fare quella vergognosissima messa in scena della firma del patto con gli italiani (patto che Berlusconi si è scritto da solo e che non ha manco rispettato); o come quella volta che fece la puntata invitando i parenti di Mussolini, uscendosene con un revisionismo storico da galera! Attualmente la sua passione è buttare via migliaia e migliaia di euro per farsi i modellini nel suo studio.

     E veniamo al top dei top. Al mostro finale. Al male più grande. Maria De Filippi! La vicenda della De Filippi somiglia un po’ a quella di Adolf Hitler: come il gerarca nazista divenne dittatore dopo essere stato snobbato come pittore, così Maria De Filippi tentò la carriera di magistrato, ma non l’ha mai portata a termine. E adesso ce la ritroviamo a fare genocidi ideologici e culturali in quella che è la stragrande maggioranza del panorama di Canale 5. Questo spregevole individuo si è dato alla più cieca bulimia mediatica, occupando ogni angolo della televisione coi i suoi programmi da scempio! Primo fra tutti quella vergogna di Uomini e donne che dovrebbe essere chiuso per legge per l’immondo spettacolo pieno di turpiloqui, di liti e di vuoto che propina al pubblico. Altamente diseducativo e noiosamente sgradevole alla vista così come all’udito. Il peggio del peggio, non a caso, sta nei suoi programmi: Platinette, Tina la vamp, per esempio, sono sue creature. E in Amici di Maria De Filippi è riuscita a rovinare l’immagine perfino di gente che poteva passare per professionista come i ballerini Garrison Larochelle, Steve La Chance e Rossella Brescia, mettendoli a litigare in ogni puntata con quei mocciosetti ignoranti degli “allievi” della scuola o con il pubblico, ovviamente appositamente pagato.  Come se non bastasse non è capace di tenere addosso un microfono e si ostina a parlare con il microfono manuale, anche durante le televendite (ma cos’è? è allergica?); nelle scorse edizioni di C’è posta per te, poi, ha provato perfino a ballare, raggiungendo dei risultati che farebbero incazzare anche il più cane dei ballerini. Ricerche recenti devono ancora stabilire chiaramente il suo sesso biologico.



     Sono veramente sfiduciato! Davvero c’è rimasto ben poco da vedere in TV. Per fortuna, infatti, qualcosa di buono si conserva. Apprezzo molto il lavoro di Piero e Alberto Angela, per esempio, come ho già avuto modo di dire sul questo blog, per i loro programmi di vera cultura come Super Quark, Ulisse, Passaggio a nord-ovest; ma anche quello di Milena Gabanelli, nonché Riccardo Iacona che col suo Presa diretta fa veramente un buon lavoro nell’informare la gente del vero paese che un’altra TV si preoccupa di nascondere. Credo che occorra veramente stare attenti nell’usare questo strumento e che occorra affinare parecchio il proprio spirito critico, se non si vuole essere plagiati o comunque diseducati al bello e al buono.

domenica 23 ottobre 2011

Tagli alla scorta per i magistrati: la denuncia dei PM di Napoli


     Le ultime novità dal settore Magistratura sono di quelle che mettono paura per la troppo facile prevedibilità dei loro effetti. Dal 6 ottobre la Procura di Napoli si ritrova impossibilitata a pagare gli autisti che con le auto blindate fungevano da scorta per i magistrati che si occupano di camorra. Nell’attuale governo, dove la regola è il taglio ai finanziamenti, sentir dire che non ci sono fondi è diventata ormai routine, ma limitare la scorta alla magistratura che combatte per far processare la malavita organizzata è cosa che riesce a sorprendere lo stesso.
Nitto Francesco Palma, attuale ministro della Giustizia.
     La notizia viene dalle alte sfere: precisamente dal Ministero della Giustizia, attualmente guidato da Nitto Francesco Palma, PDL, che dallo scorso 27 luglio sostituisce Angelino Alfano nella gestione del dicastero. Palma ha dimostrato di adattarsi bene alle esigenze di tagli promossa dal governo e adesso, secondo il comunicato, 17 magistrati partenopei si ritrovano senza scorta tutte le domeniche e tutti gli altri giorni dalle ore 18 in poi. Come se la camorra avesse orari preferenziali per attentare alla vita dei magistrati; come se i camorristi avessero un orario di chiusura, oltre il quale non esercitano; tutti sanno che non ci vuole niente ad ammazzare qualcuno: Falcone e Borsellino saltarono in aria in una frazione di secondo e Dalla Chiesa si ritrovò trivellato di proiettili proprio nella sua auto prima che avesse il tempo di capirlo. E loro, che erano di grande rinomanza, avevano fior fior di agenti di scorta!
     La cosa è anzi tanto più grave proprio perché i periodi in cui i magistrati si ritrovano senza protezione sono proprio quelli fuori dall’orario di lavoro, cioè quelli in cui sono più a contatto con la loro famiglia e con i propri conoscenti. Quelli, insomma, in cui sono più vulnerabili. Nella circolare ministeriale viene detto che se una procura finisce i fondi annui, il Ministero non erogherà finanziamenti… e se la macchina della Giustizia si blocca poco importa. Ci sono i tagli da fare. Fino alla fine dell’anno, quindi, questi magistrati di Napoli dovranno pensarci due volte prima di scendere da casa, per esempio, per fare la spesa, o per andare dal medico, oltre le 18, perché sanno che saranno senza protezione e potranno essere uccisi molto più comodamente; se la domenica vorranno passare del tempo con la propria famiglia, sanno che rischieranno la vita assieme alle proprie mogli e ai propri figli, perché saranno completamente scoperti.
     È chiaro che chi rischia di più merita più protezione, tanto più se si tratta di funzionari dello stato che agiscono nell’interesse della collettività. E i magistrati antimafia e anticamorra non rischiano solo finché se ne stanno in ufficio, ma sempre, in ogni momento della giornata; e assieme a essi sono continuamente esposti a pericoli anche i loro cari. Nel caso presente, tra i magistrati colpiti da questa novità c’è anche chi è completamente assorbito nella lotta contro il clan dei Casalesi. È il caso di Catello Maresca, per esempio, PM della Dda, Direzione distrettuale antimafia, impegnato nelle indagini per scovare il latitante Michele Zagaria, e che il prossimo mercoledì presiederà in aula per cercare di far condannare il boss detto ’O Cecato, assieme ad altri 34 imputati con vari capi d’accusa.
     E proprio di Maresca è il caso di ascoltare questo stralcio di intervista pubblicato su L’Espresso, in cui il PM parla dell’effetto che la cosa sta avendo sulla sua vita e sulla Magistratura in generale.


     Eppure allo stesso Ministro Palma – che, ricordiamolo, 10 anni fa fu tra i più strenui sostenitori dell’immunità parlamentare – tutta questa preoccupazione sembra esagerata, al punto che non ha voluto perdere occasione di illuminare i magistrati brontoloni: «All’epoca mia le uniche manifestazioni di questo genere avvenivano in presenza di fatti molto gravi: penso al mese di protesta che venne fatto alla Procura di Roma dopo l’assassinio di Mario amato». Il che equivale a dire che un magistrato senza scorta non è un fatto grave; il che equivale a dire “Potrete lamentarvi quando cominceranno a uccidervi sul serio”. Intanto i magistrati si ritrovano limitati fin nella loro sfera più personale e quotidiana e questo si ripercuote anche sul lavoro, perché le indagini subiranno inevitabilmente un rallentamento; e, con uno spirito di iniziativa tipicamente partenopeo, hanno già cominciato a rimboccarsi le maniche… chiedendo il permesso di guidare da soli le auto blindate!

sabato 8 ottobre 2011

Da cellula epatica a cellula nervosa in un solo colpo: la ricerca dell’italiano Marro alla Stanford University sulla transdifferenziazione cellulare


     Una eccezionale scoperta per le neuroscienze e per la biologia cellulare viene dalla Facoltà di Medicina della Stanford University: uno studio condotto sul tessuto epatico di topi ha portato alla trasformazione di cellule del fegato in cellule del sistema nervoso senza passare per lo stadio di cellule staminali pluripotenti. Lo studio, guidato dall’italiano Samuele Marro, PhD, è di fondamentale importanza per le applicazioni terapeutiche e di ricerca in cui è necessario trovare nuove cellule nervose.
Samuele Marro, ricercatore alla
Stanford University.
     Le cellule nervose, dette neuroni, sono le cellule dei nostri nervi, del nostro midollo spinale e del nostro cervello e in molte ricerche è essenziale poterle studiare, poiché sono tra le più difficili da osservare; inoltre in molte malattie neurodegenerative i neuroni vengono compromessi fisicamente. Una ricerca che quindi permetta di procurarsi questo tipo di cellule è di importanza vitale per curare disturbi come il morbo di Parkinson, in cui risultano compromessi dei neuroni detti dopaminergici.
     La ricerca del dottor Marro è il prosieguo di una precedente ricerca guidata da Marius Wernig, PhD e MD, in cui si scoprì che dei fibroblasti tegumentari di topo, cellule che producono proteine della pelle, potevano diventare neuroni. La ricerca è proseguita con lo studio di Marro, che presenta però delle differenze importantissime.
     Ma andiamo con ordine. All’inizio dello sviluppo le cellule sono tutte uguali e tutte hanno la stessa possibilità di trasformarsi in un qualunque altro tipo cellulare del corpo: queste cellule indifferenziate sono le cellule staminali pluripotenti. Una staminale pluripotente, per esempio, può diventare un cardiocita (cellula del cuore) o un osteocita (cellula ossea) o un epatocita (cellula del fegato) e questa trasformazione avviene grazie a delle proteine e fattori di crescita con cui le cellule vengono a contatto: l’effetto di questa interazione tra molecole e cellule indifferenziate fa sì che solo una parte del DNA (i geni) di queste cellule cominci a funzionare e che quindi quella cellula produca le proteine adatte a diventare solo un particolare tipo cellulare.
     È infatti il DNA a contenere le informazioni per produrre tutto ciò che a una cellula serve per trasformarsi in ciò che deve diventare. Cosa importante: ogni cellula del nostro corpo dotata di DNA contiene tutte le informazioni per potersi trasformare in ogni altro tipo cellulare. Ad esempio, una cellula di un rene, anche se si è già differenziata in una cellula ben precisa, ha dentro di sé le informazioni per poter diventare anche cellula intestinale o cellula dell’occhio o ancora cellula di un polmone, che ovviamente sono cellule che hanno caratteristiche diverse. Il fatto che in una cellula si attivino le informazioni genetiche per diventare una cellula di tipo X non significa che essa abbia solo informazioni X, ma che usi solo quelle informazioni, senza usare tutte le altre, che comunque possiede. Quindi tutte le cellule hanno lo stesso genoma, ma ogni tipo cellulare ne usa una parte diversa. Queste informazioni genomiche sono appunto i geni, che non sono altro che pezzi di DNA.

Confronto tra una cellula del fegato (a sinistra) e una cellula nervosa (a destra):
si noti la grande diversità strutturale tra i due tipi cellulari, che si riflette in una
diversità funzionale abissale.

     Esiste quindi una scala nell’evoluzione cellulare: il punto di partenza è quello di staminali e poi, attraverso passaggi e stadi successivi, una cellula matura sempre di più fino a diventare cellula differenziata, ad esempio, del pancreas. Normalmente è possibile trasformare una cellula differenziata (diciamo di tipo A) in una cellula differenziata di tipo diverso (diciamo di tipo B), ma per farlo la si deve riportare al punto di partenza di staminale e farle ricominciare il percorso da capo: ovvero il percorso sarebbe “tipo A-staminale-tipo B. Invece nella ricerca di Marro delle cellule epatiche (del fegato) sono state portate direttamente a diventare neuroni, senza passaggi intermedi. Questo ha fatto risparmiare tempo, risorse e rischi legati alle mutazioni genetiche. Precisamente, le cellule epatiche hanno cominciato a diminuire la produzione delle loro proteine (e questo processo è conosciuto come down regulation, sottoregolazione) e a produrne altre, perché i geni che li rendevano cellule epatiche sono stati resi “silenti”, ovvero non sono stati più usati.
     Marro ha fatto iniettare tramite virus innocui (i virus sono spesso usati come vettori, cioè come trasportatori, nell’ingegneria genetica) in cellule epatiche di topo tre proteine, dette Drn2, Ascl1 e Myt1l: queste proteine si sono legate al DNA delle cellule epatiche, hanno attivato quei geni che funzionano nei neuroni (e che non funzionano nelle cellule epatiche) e hanno cominciato a far produrre alle cellule epatiche le proteine che invece i neuroni producono. Il risultato è stato che in tre settimane le cellule epatiche hanno cominciato a diventare cellule nervose, funzionando proprio come fanno i neuroni.
Schema che mostra due dei tre tessuti embrionali: in blu
l'ectoderma, da cui si sviluppano la pelle e il sistema nervoso;
in giallo l'endoderma, da cui discendono gli organi viscerali,
come il fegato.
     I neuroni così prodotti, chiamati neuroni indotti, si sono “integrati” con altri neuroni dimostrando di poter essere impiantati in un tessuto nervoso. Si tratta del primo caso nella storia della biologia in cui una trasformazione da un tipo cellulare all’altro avviene senza passare per lo stato primordiale di staminale. Ma questo non è il solo motivo per cui questa ricerca è degna di nota: non è un caso, infatti, che le cellule usate in questa ricerca siano cellule del fegato, mentre quelle usate nella ricerca di Wernig erano fibroblasti della pelle. La pelle, infatti, deriva dallo stesso tessuto embrionale da cui deriva anche il sistema nervoso, l’ectoderma, e cellule di uno stesso tessuto hanno più cose in comune tra loro; mentre le cellule del fegato derivano da un tessuto embrionale diverso, detto endoderma: quindi cellule del fegato e cellule nervose sono ancora più diverse tra loro rispetto a quanto lo siano cellule della pelle e cellule nervose.
     In parole povere, le cellule della ricerca di Marro sono ancora più dissimili tra loro delle cellule della ricerca di Wernig: il fatto che cellule provenienti addirittura da tessuti embrionali diversi si siano trasformate le une nelle altre (studio di Marro) è una maggiore riprova del fatto che la trasformazione è vera, proprio perché è una trasformazione più difficile da realizzare.
     Inoltre le cellule epatiche hanno caratteristiche e proprietà molto meglio definite dei fibroblasti e si trovano in un solo organo del corpo; invece, i fibroblasti sono presenti anche altrove e sono definite meno dettagliatamente. Questo rende il confronto più misurabile e più gestibile.
     La frontiera aperta da questa transdifferenziazione – questo il termine tecnico per indicare questo passaggio cellulare – è senza pari e, se portata avanti nella maniera giusta, può aprire la strada a numerosi metodi di studio e terapeutici per quelle malattia neurologiche e neuropsicologiche in cui i neuroni sono colpiti in prima persona.

venerdì 7 ottobre 2011

Latine loquimur, n. 3

     Sono lieto di propinarvi la mia dose di latinità anche questo mese.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.

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Ante litteram
[pronuncia scolastica: ante lìtteram]
[pronuncia restituita: ante lìtteram]

     L’ambito in cui è nata questa espressione è quello editoriale: ante litteram vuol dire letteralmente “prima della lettera”, dove il “prima” è inteso in senso cronologico e la “lettera” sta per “didascalia”; il riferimento è infatti alle prove di stampa che, proprio in quanto tali, non hanno ancora la didascalia. Una stampa fatta senza quella didascalia è quindi detta ante litteram. Tuttavia l’espressione è passata ad indicare, in senso figurato, quei personaggi (filosofi, artisti, poeti, scienziati) che per l’originalità del loro pensiero rispetto ai tempi anticipano i principi e le caratteristiche di movimenti culturali, storici, artistici di periodi successivi a essi. Per esempio, il poeta Petrarca innovò moltissimo il contenuto della poesia che era in voga ai suoi tempi, anticipando temi che sarebbero stati tipici di un movimento culturale successivo, l’umanesimo: possiamo dire quindi che Petrarca è stato un umanista ante litteram.


Pro captu lectoris habent sua fata libelli
[pronuncia scolastica: pro captu lectòris abent sua fata libèlli]
[pronuncia restituita: pro captu lectòris habent sua fata libèlli]

     La frase risale a Terenziano Mauro, grammatico romano del II secolo d.C.: si tratta del verso 1286 del suo trattato De litteris, De syllabis, De metris (Sulla letteratura, Sulle sillabe, Sui metri), in quattro libri, di cui solo tre si sono conservati, e significa “A seconda dell’intelligenza del lettore i libri hanno il loro destino”. Il termine captu deriva da captus, a sua volta discendente dal verbo capio, che vuol dire “io prendo”, “io afferro” ed è quindi l’afferrare, il saper cogliere, ovvero il comprendonio, l’intelligenza appunto: intuizione felicissima di Terenziano che assume validità del tutto universale. Come si fa a dire che un libro è bello o brutto se non c’è un pubblico che lo giudichi? Ogni scrittore vive il dramma dell’impatto con il lettore: è questo a determinare la fama della sua opera. La Divina Commedia di Dante Alighieri non sarebbe valsa un soldo bucato se non ci fosse mai stato un pubblico capace di apprezzarla! Numerosi sono gli aneddoti nel mondo della letteratura di libri divenuti famosi in maniera tardiva o addirittura dopo la morte dei loro autori, poiché all’epoca delle pubblicazioni nessuno era in grado di accoglierli. Quando Italo Svevo cominciò a pubblicare, critica e pubblico italiani lo snobbarono alla grande; così come famoso è il caso della Recherche di Marcel Proust, che André Gide si rifiutò di pubblicare ma che procurò allo scrittore grande fama (errore che Gide non si perdonò mai); anche il Petrarca credeva e sperava di diventar famoso grazie al suo poema in latino Africa, che oggi i più neanche conoscono, e passò alla storia piuttosto grazie al suo Canzoniere.


Si parva licet componere magnis
[pronuncia scolastica: si parva licet compònere magnis]
[pronuncia restituita: si parva lichet compònere maghnis]

     Celeberrimo verso del poeta Virgilio (Andes, 15 ottobre 70 a.C. – Brindisi, 21 settembre 19 a.C.). Siamo nelle Georgiche, libro IV, verso 176: Virgilio mette a confronto il meticoloso lavoro delle api con quello dei Ciclopi e, rendendosi conto della sproporzione del confronto, quasi si scusa col lettore per l’esagerazione e dice “se è lecito paragonare le cose piccole a quelle grandi”. Il verbo licet ha il preciso significato di “essere concesso”, “essere permesso”, “essere lecito”. Il verso viene usato ogni volta che si vuole giustificare una messa a confronto tra due cose che tra loro sono molti (se non troppo) dissimili, come quando ci rendiamo conto di avere in comune qualcosa con un grande personaggio e, nel dirlo agli altri, aggiungiamo si parva licet componere magnis, come a dire «se mi concedete di fare questo paragone azzardato». In termini più tecnici questo è un espediente retorico chiamato excusatio, “scusa”, e serve a far accettare all’interlocutore, col pretesto dell’umiltà, un paragone che normalmente non sarebbe stato accettato.

martedì 4 ottobre 2011

Wikipedia sciopera. Protesta contro la legge bavaglio.


     Se credevate che la censura di Nonciclopedia a causa della denuncia di Vasco Rossi fosse un fatto ridicolo e vergognoso, chissà cosa penserete ora che il decreto sulle intercettazioni mette in pericolo l’affidabilità di un sito rispettabilissimo come Wikipedia. La versione italiana dell’Enciclopedia libera più famosa e completa del mondo ha deciso di sospendere il proprio servizio e ha pubblicato un comunicato di protesta (a mio avviso lodevole) sulla propria home page per informare i cittadini italiani del rischio di censura e di compromissione ingiustificata delle informazioni che sarà possibile effettuare se il Parlamento approverà nei prossimi giorni il disegno di legge che regolamenta le intercettazioni, conosciuto anche col nome di legge bavaglio.
     Si tratta di una manovra che impedisce la libertà di informazione e che, nel caso specifico, consente a qualunque persona di costringere siti, blog, giornali online a eliminare contenuti che sono ritenuti diffamatori (anche se non lo sono) o addirittura a sostituire quei contenuti con altri (anche se sono falsi) senza la possibilità del sito in questione di spiegare il motivo della rettifica.
     È il classico scandalo che si commenta da solo. È, anche, il classico schema di depistaggio di questo governo che, con la scusa di inserire una nuova norma a tutela di un aspetto della vita del cittadino, se ne esce con norme che in realtà proteggono gli interessi di quei pochi che hanno motivo di temere che si scoprano notizie scomode sul loro conto. La spacciano per tutela della privacy, ma la privacy è già tutelata dalla legge italiana. Dicono di voler proteggere dai rischi di diffamazione, ma anche questo reato è già regolamentato dalla legge.
     Personalmente approvo in pieno la protesta di Wikipedia, che con la sospensione del suo servizio, oltre a tenere fede agli obiettivi che si è proposta, sensibilizza anche l’opinione pubblica su una questione di importanza basilare per la democrazia italiana.
     Ma andiamo con ordine. Prima di tutto leggetevi il comunicato in questione. Poi a fondo pagina, troverete dei link che possono dare una mano a comprendere la portata di questo fenomeno.
     Ecco cosa si può leggere sulla home page della versione italiana di Wikipedia a partire da oggi 4 ottobre 2011.


Cara lettrice, caro lettore, 
in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero. 
Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue, che può essere consultata in qualunque momento senza spendere nulla.
Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto – neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti – rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni. 
Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine. 
Purtroppo, la valutazione della “lesività” di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato. 
Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto – indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute lesive – di chiederne non solo la rimozione, ma anche la sostituzione con una sua “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti. 
In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l’intera pagina è stata rimossa. 
L’obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell’Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. 
Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione. 
Con questo comunicato vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all’arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per “non avere problemi”. 
Vogliamo continuare a mantenere un’enciclopedia libera e aperta a tutti. La nostra voce è anche la tua voce: Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla? 

Gli utenti di Wikipedia



    Ora, poiché non voglio semplicemente sfogarmi (per quello mi sbatto già con la testa nel muro), ma anche fare un minimo di informazione (per quel po’ che i tempi ancora permettono), ecco cosa dovreste a mio avviso assolutamente visionare per capire la portata di questa questione.
     Anzitutto, per chi fosse interessato alla lettura del testo di legge provvisorio, la stessa home page di Wikipedia mette a disposizione questo link (pagina 24).
     Poi, come ho già suggerito un anno fa in un mio precedente blog, è utilissimo anche questo video in cui Marco Travaglio, su cui si può dire tutto, tranne che non dica cosa chiare e attendibili, parla dettagliatamente della legge bavaglio, in particolare dell’aspetto relativo alle intercettazioni e alla pubblicazione di notizie giornalistiche in senso stretto.

     Se vi capita di trovare altre informazioni che possano essere chiare e pubblicabili, fatemelo sapere.


gdfabech

La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.
Costituzione italiana, art. 15

Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 (lire due milioni). Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065 (lire quattro milioni). Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 (lire un milione). Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
Codice penale, art. 595 (Diffamazione)

Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.
Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 11

Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici.
Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 27

lunedì 3 ottobre 2011

Vasco Rossi denuncia Nonciclopedia: «Mi sentivo diffamato»


    Chiariamo subito una cosa: non ho mai avuto simpatia per lui, anzi: mi è sempre stato sulle palle fin da quando ho capito che dalla sua bocca tutto usciva tranne che musica. Perché se la sua è una bella voce, allora lo sono anche i miei peti! Adesso lo disprezzo ancora di più per la sua ultima uscita.
     Sto parlando del signor Vasco Rossi, il “cantante” emiliano che, non pago di aver vomitato per anni “canzoncine” infarcite di onomatopee prive di significato, dall’alto della sua esperienza di galeotto e di tossico, ha denunciato il sito di Nonciclopedia perché secondo lui la pagina che lo riguardava era diffamatoria.
Il logo di Nonciclopedia.
     Ma andiamo con ordine: per chi non lo sapesse, Nonciclopedia è la versione comico-satirica di Wikipedia. Si tratta di un’enciclopedia online le cui voci (oltre 12000) non mirano a informare sull’oggetto di cui parlano, ma a descriverlo in chiave umoristica, facendone la caricatura o parlandone in maniera demenziale al solo fine di farsi due risate. Gli articoli di Nonciclopedia riguardavano molti personaggi famosi: degni di nota, per esempio, erano quelli sul Papa, sul Dr. House o su Luca Giurato (che illo tempore ha provocato al sottoscritto una crisi di ridarella di diversi minuti durante la quale è stato sorpreso dalla propria madre per terra piegato in due in preda a dolori all’addome e col volto bagnato di lacrime per le risate); tra questi articoli, c’era anche quello dedicato a Vasco Rossi.
     Da febbraio 2010 Vasco fa pressioni perché la pagina a lui dedicata venga cancellata e oggi 3 ottobre 2011 il sito sospende il servizio. Cosa curiosa: non solo la voce su Vasco, ma tutte le voci del sito non sono più consultabili! E questa ancora non l’ho capita. Cliccando sulla pagina principale, un breve avviso informa gli utenti della vicenda. Così gli amministratori del sito si sono divertiti (fino all’ultimo) a ironizzare e sdrammatizzare una vicenda che pure ha la sua gravità:

Care lettrici, cari lettori, cari creditori, 
Nonciclopedia chiude a causa di una denuncia che Vasco Rossi ha sporto contro il sito.
Vasco Rossi si è sentito diffamato dalla pagina che lo riguardava.
Probabilmente si terrà un processo, al termine del quale quel brufoloso ragazzino quindicenne che ha scritto la pagina dopo essere stato picchiato dai suoi compagni di classe, adesso dovrà anche pagare gli alimenti al nullatenente Vasco Rossi.
Un uomo che ha vissuto l’esperienza della droga, l’esperienza del carcere, l’esperienza di stadi e folle che lo acclamavano, non poteva proprio sopportare l’idea di essere oggetto di satira su Nonciclopedia.

     La rete è ovviamente già sommersa da commenti di protesta, sia per la chiusura di un sito che rappresentava davvero per tanti una fonte di svago e divertimento, sia per la condotta alquanto stramba del cantante. Forse Vasco ha preso una decisione così forte perché non era in sé (ci sarebbe da aspettarselo da uno come lui); magari non è ancora uscito dalla depressione che lo avrebbe attanagliato di cui si è parlato poco tempo fa. Chissà se Mister Valium era giù di morale quando ha deciso da fare questa emerita stronzata. O forse è la crisi di astinenza dagli stupefacenti che ha assunto per anni (ammesso che sia in astinenza). Se è così, mi piaceva di più quando tirava!
     Quello che è certo è che non gli farà pubblicità positiva. Inoltre, se è vero che sei un mito che da tanti anni sa come funziona la celebrità, lo stare in TV e l’essere famoso, dovresti anche sapere che l’essere un personaggio pubblico significa esporsi e prestarsi anche a questo tipo di presa in girp. Perfino Silvio Berlusconi è contento delle caricature che gli fanno nel nostro paese: sa che lo rendono simpatico e famoso!
     Io tra l’altro odio le persone prive di senso dell’umorismo, quelli che non amano l’ironia e che non sanno prendersi in giro. Perché se l’ironia è indice di saggezza, l’autoironia è indice di maturità. Inoltre cosa te la stai a prendere per una voce (a tuo dire) “diffamatoria” che però – e qui sta la vaccata – è pubblicata su un sito che si dichiara esplicitamente comico? È chiaro che non puoi prenderla così sul serio! È come quando Susanna Tamaro denunciò Daniele Luttazzi per plagio perché l’attore-scrittore aveva scritto la parodia del suo Va’ dove ti porta il cuore! È chiaro che non puoi denunciare una parodia di plagio! La parodia DEVE per definizione assomigliare all’opera di cui fa la caricatura! Ma al mondo ci sono anche costoro. Bisogna abituarcisi, come ci si abitua a una puzza fatta in un ascensore in movimento: non puoi scappare, quindi è inutile agitarsi.
     Non bastava la censura, già pesantissima e inaccettabile in una democrazia come la nostra, alla stampa e all’informazione. Non bastavano i presidenti del Consiglio che fanno di tutto per mettere a tacere i giornali che informano e che cacciano dalla televisione la gente che dice le verità scomode: ci mancava solo questo idiota che ora vuole zittire anche la comicità fine a se stessa e il diritto a dire minchiate. Ti sei messo contro Internet, caro Vasco, e se avessi una minima idea del potere che ha questo mezzo, ti saresti cagato addosso al solo pensiero di sporgere quella denuncia. Adesso sono ca**i! E se anche vincessi la causa, dovrai fare i conti col quarto potere! Staremo a vedere come va a finire questa ridicola vicenda; e intanto la rete ha già ribattezzato degnamente l’emilianotto permaloso con un epiteto appropriato: “Mito di cartapesta”.


L’ironia è una cosa seria!