sabato 27 ottobre 2012

Processo Mediaset: Berlusconi condannato a 4 anni. Epilogo di una parabola antidemocratica?


     Quattro anni di reclusione. Cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. 10 milioni di euro a titolo di provvisionale da risarcire all’Agenzia delle Entrate. È la pena contenuta nella sentenza di primo grado che condanna, tra gli altri, Silvio Berlusconi, accusato di riciclaggio e frode fiscale al termine del processo Mediaset, sulla compravendita dei diritti televisivi.
     La sentenza, di qualche ora fa, arriva dopo dieci anni di indagine e sei anni di processo, anni in cui la Magistratura ha dovuto fare lo slalom tra i vari provvedimenti salva-premier (legittimo impedimento, lodo Alfano…) che Berlusconi si è fatto in questi anni. Ma, ed è quello che importa di più, arriva anche (guarda caso) pochissime ore dopo il videomessaggino stile “Scendo in campo 1994” che il Cavaliere si è fatto mandare in onda sulle sue reti, per annunciare la sua “libera” scelta di non ricandidarsi alle prossime politiche.

     La Magistratura ha scoperto un sofisticato sistema di evasione che serviva a creare fondi neri per Silvio Berlusconi attraverso un passaggio dei diritti dei film a una catena di intermediari e società schermo che aveva il solo scopo di far gonfiare i costi dei diritti televisivi dei film trasmessi in TV: Silvio Berlusconi non comprava dalle major americane da cui provenivano i film, ma da altre persone giuridiche (intermediari e società, di cui alcune di sua stessa proprietà!) a prezzi superiori; in questo modo, da una parte, riusciva ad avere agevolazioni fiscali aumentando il passivo dei suoi bilanci, dall’altra creava fondi neri perché si metteva da parte i soldi della “cresta” che provenivano dal pompaggio dei costi. Secondo i PM che hanno seguito la vicenda, in particolare Fabio De Pasquale, i fondi neri creati e andati tutti esclusivamente a carico di Berlusconi arriverebbero a 270 milioni di euro.

     Tra gli altri imputati figurano Frank Agramo (condannato a 3 anni), il «socio occulto» del Cavaliere in questa faccenda; Fedele Confalonieri (assolto), Daniele Lorenzano (3 anni e 8 mesi), Gabriella Galetto (1 anno e 6 mesi), Paolo Del Bue (prescritto) e altri dirigenti. Ma il «dominus indiscusso», come l’ha definito la Magistratura, è e resta sempre lui: Silvio Berlusconi, a cui i giudici hanno dovuto riconoscere una «naturale capacità a delinquere»; l’ex premier è rimasto «al vertice della gestione dei diritti […] anche dopo la discesa in campo».

     In seguito alla vicenda, Berlusconi ha provato a salvare il salvabile. Ovvero, quel po’ di faccia che crede essergli rimasta. E per farlo ha sfoggiato ancora una volta il suo solito repertorio di dichiarazioni “indignate”: finge di sentirsi sorpreso della condanna, parla di una «accusa totalmente fuori dalla realtà», accusa ancora la Magistratura di fare «accanimento giudiziario» nei suoi confronti ai fini di lotta politica, ma soprattutto non ci ha privati (no, neanche stavolta) dell’invidiabile corredo estate-autunno-inverno di processi giudiziari di cui sarebbe stato vittima in tutti questi anni, citando numeri di processi subiti, spese per avvocati, udienze tenute a suo carico, perquisizioni (ovviamente gonfiando e reinventando un po’ le cifre per rifinire bene la sua immagine di martire delle Toghe Rosse)… Insomma, le solite cose. Un repertorio che dovrebbe aggiornare.

     E dire che si era sforzato anche alcune ora prima, quando volle riandare in onda sul TG5 per farsi trasmettere il videoclip con cui si “congedava” (almeno formalmente) dalla scena politica. Un video un po’ fiacco (molto più passionale quello del 1994), dove si vede un vecchietto consapevole dell’imminente colpo che stanno per infliggergli, che ha parlato delle «follie» che ha fatto per amore dell’Italia (e ne ha fatte eccome, di follie!) e di quanto sia «fiero e consapevole dei limiti della sua opera» (fiero???), che sceglie “liberamente” di fare un passo indietro per fare largo ai giovani che devono continuare a “fare goal” al posto suo. Dà poi la colpa alla “sinistra accentratrice”: dice che in questi 19 anni ha portato l’Italia alla rovina e ha provocato il debito pubblico (anche se poco prima aveva detto, ed è vero, che per quegli stessi 19 anni c’è stato lui per quasi tutto il tempo…).

     Ma rivediamolo, questo videomessaggino, ultimo atto formale della sua discesa in campo. Anzi, rivediamoli entrambi: il primo e l’ultimo. Così chiudiamo il cerchio. Ecco dunque a voi, a mo’ di monito, l’inizio e la fine di questa sgradevole, corrotta, snaturata, manipolatrice, diseducativa e catastrofica avventura politica. L’alpha e l’omega di un politico coinvolto da scandali di mafia, di un presidente illegittimo che secondo la legge (l. n.361 del 1957, art.10) non è mai stato nemmeno eleggibile, di un imprenditore oggetto di indagini di frode fiscale, riciclaggio di denaro sporco e una lunga serie di incalcolabili reati. L’alba e il tramonto di un mito al negativo degno solo della fine che ha fatto.


Annuncio della discesa in campo
(26 gennaio 1994)




Annuncio di addio alla politica
(15 ottobre 2012)




     E, per chi non vuole rinunciare ai particolari della vicenda, ecco la lettura completa della sentenza, dove vengono spiegati tutti i reati e i meccanismi della frode:


giovedì 25 ottobre 2012

Scripta manent, n. 15 – Lingua come identità

     Una delle massime espressioni dell’identità di un popolo è indubbiamente la sua lingua. La lingua dice tanto di un popolo. I dialetti non fanno eccezioni: in particolare, in Italia possiamo vantare da sempre un’enorme varietà di idiomi dialettali, ognuno portatore di una straordinaria ricchezza culturale, che si esprime sotto forma di proverbi, modi di dire, maniere particolare di pronunciare parole, declinare i verbi sotto forma di neologismi che non trovano riscontro nemmeno nella lingua ufficiale.
     Nel dialetto il popolo trova la sua identità… e quando un dialetto si accompagna all’uso della lingua ufficiale le cose vanno bene. Ma se si prova a sopprimere il dilaletto, si mina l’identità stessa di un popolo, lo si rende “orfano” della propria madre… Questo è ciò di cui vuole parlare il poeta siciliano Ignazio Buttitta (1899-1997) in una delle sue poesie più famose, intitolata Lingua e dialettu. Le belle immagini intrise di maternità, tenere ma decise, permettono al poeta di dipingere il suo rammarico per la sorte che sta subendo il dialetto ai suoi tempi.
     Segue al testo parafrasato in italiano il testo originale e un video.


Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca,
è ancora libero.

Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.

Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ricevuta dai padri:
è perso per sempre.

Diventa povero e servo
quando le parole non figliano parole
e si mangiano tra di loro.

Me ne accorgo ora,
mentre accordo la chitarra del dialetto
che perde una corda al giorno.

Mentre rappezzo
la tela tarmata
che tesserono i nostri avi
con lana di pecore siciliane.

E sono povero:
ho i danari
e non li posso spendere;
i gioielli
e non li posso regalare;
il canto
nella gabbia
con le ali tagliate.

Un povero
che allatta dalle mammelle aride
della madre putativa,
che lo chiama figlio
per scherno.

Noialtri l’avevamo, la madre,
ce la rubarono;
aveva le mammelle a fontana di latte
e ci bevvero tutti,
ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,
la cadenza,
la nota bassa
del suono e del lamento:
queste non ce le possono rubare.

Ci restò la somiglianza,
l’andatura,
i gesti,
i lampi negli occhi:
questi non ce li possono rubare.

Non ce le possono rubare,
ma restiamo poveri
e orfani lo stesso.

Ignazio Buttitta, Lingua e dialettu


     La versione in dialetto siciliano:



Un populu
mittitulu a catina
spugghiatulu
attuppatici a vucca,
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavola unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.

Un populu
diventa poviru e servu,
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.

Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si manciunu tra d'iddi.

Mi nn'addugnu ora,
mentri accordu a chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.

Mentri arripezzu
a tila camuluta
chi tesseru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.

E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuielli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l'ali tagghiati.

Un poviru,
c'addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.

Nuàtri l'avevamu a matri,
nni l'arrubbaru;
aveva i minni a funtani di latti
e ci vippiru tutti,
ora ci sputanu.

Nni ristò a vuci d'idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.

Nni ristò a sumigghianza,
l'annatura,
i gesti,
i lampi nta l'occhi:
chissi non ni ponnu rubari.

Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.

martedì 23 ottobre 2012

Lettera aperta ad Elsa Fornero






Signora Fornero,

     ho deciso di scriverle questa lettera senza rivolgerle il titolo di “ministro”, un po’ perché è nelle mie intenzioni rivolgermi alla donna e non al politico, un po’ perché nella mia opinione lei finora non ha mai ancora adempito al suo ruolo di ministro, e non è dunque degna di questo titolo ai miei occhi: niente di personale, giuro, sono solo una persona molto meritocratica.

     Molti se la stanno prendendo con lei perché giusto qualche ora fa se n’è uscita con la sua ennesima esternazione da quattro soldi, vile e greve come la filosofia che anima l’operato dei governi di tutta Europa di questi tempi. Ha detto, Signora Fornero, che i giovani non devono essere troppo choosy, che poi vorrebbe dire “schizzinosi”, nella scelta del lavoro, soprattutto del primo impiego. La stanno attaccando su tutti i fronti e la stanno accusando di tutto: l’accusano di andare contro ogni forma di buon senso, l’accusano di calpestare la dignità dei cittadini che stanno di fatto stentando a vivere per dar da mangiare a lei e alle banche, l’accusano di adottare una condotta indecorosa per il ruolo che ricopre, l’accusano anche di violare l’articolo 4 della nostra Costituzione laddove esso dice che «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività» (lo so, lo so, sono parole che fanno ridere con i tempi che corrono, ma la prego, resti seria)…

     L’hanno accusata di queste cose, signora Fornero, perché hanno bonariamente pensato che lei credesse davvero a quello che ha detto! Si sono persuasi, nella loro ingenuità e nella loro buona fede, e magari spinti anche dalla loro frustrazione e indignazione generale, che lei fosse davvero convinta di pensare quelle parole!
     Ho sorriso, sa? Io ho sorriso quando lei ha pronunciato quelle parole. Quelle ennesime, offensive, parole che sapevano di altezzosità e di paternalismo spicciolo, che volevano elevarsi a monito dall’alto e che pretendevano di erudire noi, poveri uomini persi in terra senza una guida morale. Ho sorriso, cara signora Fornero, perché sapevo benissimo di assistere all’ennesima dichiarazione di facciata, appositamente studiata a tavolino per abituare la gente a uno standard di aspettative sempre più basso. L’ho capito subito e come me l’avranno capito molti altri!

     Lei non crede davvero che i giovani siano o siano stati schizzinosi, cara Fornero! Lei non crede neanche che nel cercare lavoro si possa parlare di essere schizzinosi, giacché il sistema è fatto in modo tale da non lasciarti mai la possibilità di scegliere agevolmente il lavoro che vuoi e quindi ci si dovrà sempre inevitabilmente “accontentare”, volenti o nolenti.

     Me ne accorgo dalla forma che lei usa: ha detto choosy, e non “schizzinosi”, come a vergognarsi di essere troppo esplicita, di dirlo chiaramente, in italiano, perché sapeva benissimo che essere così sfacciata sarebbe stata cosa disdicevole (l’ha deciso lei o colui che le ha scritto il suo discorso); me ne accorgo dal contenuto: un ministro che parla di schizzinosi non sta lanciando accuse, né può lanciare critiche! Suvvia, è chiaro: lei sta contribuendo semplicemente a rieducare la sensibilità delle persone in modo che in futuro non si ribellino troppo alle decisioni di smantellare pezzo per pezzo la democrazia in questo paese. Me ne accorgo anche perché se chiedessi a lei se fosse disposta a mettersi nella stessa situazione di precarietà dei giovani di oggi, non accetterebbe manco morta.

     Io non mi stupisco: non le è nuovo questo modus operandi. Già in passato lei ha detto che «Il lavoro non è un diritto, ma una cosa che va guadagnata». Se lo ricorda? Lo ha detto a un giornale straniero e anche lì stava ancora una volta indottrinando la gente a rinunciare alle aspettative a cui hanno diritto. Ma mica è la sola! Lungi da me trattarla a mo’ di capro espiatorio! Il suo collega, il signor Monti, del resto, l’aveva anche preceduta: «I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita». Così disse, e lo disse in televisione, davanti a milioni di persone, perché quanto prima lo capiscono, queste capre ignoranti, tanto prima potrete calcare la mano sempre di più, sapendo che resteranno mansueti e obbedienti.

     Lei, signora Fornero, non è in fin dei conti neanche il problema principale. Ormai si sa benissimo che le proposte di legge che voi fate non sono neanche vostre, che vi vengono imposte da gente che sta più in alto di voi, voi che in fin dei conti non siete nessuno, voi che siete solo pedine nelle mani dei grandi potenti d’Europa che da qualche decina di anni stanno portando avanti il loro premeditato piano di sottomissione delle democrazie occidentali.
     So bene che quando andate in televisione o in pubblico a parlare dovete pensare sempre alle solite due cose: da una parte dovete cercare gli eufemismi più convincenti per far accettare alla gente provvedimenti sempre più assurdi (gli eufemismi contro cui, spero, ci stiamo immunizzando un po’ dopo il ventennio berlusconiano); dall’altra dovete provare a risultare voi stessi meno antipatici possibile, per non avere cali di popolarità. Non è il suo caso, signora Fornero: lei non ha intenzione di continuare la carriera politica, lo ha detto lei, quindi si può permettere il lusso di essere ancora più sfacciata e “antipatica” nelle sue dichiarazioni, poiché tanto chi se ne frega se poi nessuno la vota? Non è contenta di non avere questo vincolo?
     So bene che mentite sapendo di mentire. So bene che quando dite «Occorre una svolta», ci state solo dando il contentino per farci tacere come una madre infastidita dai piagnistei di suo figlio che fa i capricci gli promette il lecca-lecca per non farlo più frignare. So bene che lei è cosciente che non esiste più un mercato del lavoro e che quindi dice sciocchezze quando parla di «sforzarsi di trovare il primo impiego».

     Quello su cui mi interrogo e che vorrei tanto sapere da lei, signora Fornero, è questo: nel profondo della sua dignità, in quel luogo di sé dove si resta soli con se stessi, lei si vergogna mai di quello che fa? È la domanda che vorrei rivolgere a molte altre persone che fanno il suo lavoro.
     Mi incuriosisce molto questo aspetto del potere: mi chiedo se davvero esso in quanto tale sia sufficiente a far perdere ai politici quella certa capacità empatica nei confronti della gente che devono servire, mi chiedo se l’“ebbrezza del potere” possa davvero da sola col tempo farvi diventare freddi, cinici, spregiudicati e spudorati; vorrei tanto sapere se col tempo finiate davvero per credere che voi siete nel giusto e che la gente non deve rompervi le scatole… o se invece tornando a casa vi capita mai di abbassare inconsapevolmente la testa perché dentro di voi si accende una qualche forma di pudore e di pentimento per quello che fate. Mi piacerebbe saperlo, signora Fornero, se ogni tanto vi capita di non riuscire a dormire, se dentro di voi siete rimasti umani abbastanza da vergognarvi, mi chiedo se avete ancora questa capacità.

     Non lo saprò mai. Vano pensiero il mio! Non mi resta allora che presumere: e scelgo di presumere che voi siate perfettamente consci dell’inaccettabilità del vostro operato, che ogni tanto vi venga quella fitta nel petto che vi punge al punto da farvi sentire un po’ in colpa, sia anche solo per un secondo; voglio credere, signora Fornero, che i soldi e il potere non vi hanno ancora spersonalizzato delle doti umane con cui sarete stati certamente educati e che prima di salire su un palco per fare una dichiarazione abbiate bisogno di darvi una spinta ad agire in un modo che, nel profondo di voi stessi, vi suscita imbarazzo.

Stia bene.

domenica 21 ottobre 2012

Emendamento anti-Gabanelli: il senatore Caliendo rinnova l’attacco Pdl alla libertà di stampa


     Questo signore che vedete in foto è Giacomo Caliendo. È un politico italiano targato Pdl, ex sottosegretario alla Giustizia sotto l’impero Berlusconi, e che dal 2008 è senatore al nostro Parlamento. Quindi è uno di quelli che fa le leggi. In questi giorni è diventato “famoso” per essere stato l’autore di un emendamento che si propone come esplicito obiettivo quello di introdurre una nuova limitazione alla libertà di stampa.
     Gli esponenti del centro-destra si sono distinti in questi anni con molti tentativi di mettere la mordacchia all’informazione. Il bavaglio, come è stato nominato, è una tendenza che in Italia ha preso forma di molti decreti legge e proposte legislative, segno che a questi signori proprio non sta bene che i giornalisti dicano la verità. Ebbene, in tempi in cui un partito come il Pdl (ma non solo quello, eh) si è ritrovato sfasciato dal suo stesso leader, colpito da scandali di corruzione e di sputtanamenti che mettono in chiaro i legami dei suoi esponenti con la mafia e la camorra, si ritorna (tristemente e senza un pizzico di originalità) a coprire dalla vergogna l’immagine di questi delinquenti costringendo i giornalisti a non scrivere e a non diffondere le notizie scomode. Vediamo cosa si sono “inventati” stavolta…

     Diciamo come stanno le cose ora che l’emendamento di Caliendo non è ancora passato. Attualmente la legge prevede che quando un giornalista scrive un articolo lo venda al suo editore o comunque a colui che lo vuole pubblicare. È poi quest’ultimo che decide se pubblicarlo oppure no, quindi è lui che si assume la “responsabilità civile” di quello che c’è scritto, giacché ha di fatto comprato quel prodotto e ne ha autorizzato la divulgazione a suo nome. Ora, in un caso del genere, può capitare che l’articolo sia accusato di “reato a mezzo stampa”, ovvero di aver danneggiato qualcuno o essere andato contro l’ordine pubblico attraverso ciò che viene pubblicato. In quel caso è giusto che qualcuno paghi: difatti il normale contratto tra editore e giornalista prevede delle clausole con cui è l’editore ad accollarsi eventuali spese di sanzioni economiche per ciò che egli stesso ha voluto pubblicare.
     In questo modo il giornalista è tutelato dal danno economico che graverebbe su di lui e questo, a sua volta, gli garantisce di continuare a scrivere senza condizionamenti e senza ricatti. È una forma di tutela della libertà di informazione.

     Se invece l’emendamento passa, ecco cosa accade: l’editore non è più tenuto a pagare la multa, nonostante si sia assunto la responsabilità di pubblicare l’articolo del giornalista. Con la proposta di Caliendo, è il giornalista stesso che deve pagare la multa. Vengono, cioè, rese nulle tutte quelle clausole del contratto tra editore e giornalista che prevedono che sia l’editore a pagare la multa. In questo modo il giornalista sa dall’inizio che non può azzardarsi a scrivere di temi troppo piccanti perché se va a disturbare la figura di un potente citandolo in un’inchiesta rischia di doverci rimettere di tasca sua! Assistiamo qui a una trovata a dir poco diabolica: laddove non possono impedire che non si scriva degli scandali dei politici (perché sarebbe troppo spudorato) trovano il modo di dissuadere il giornalista stesso a scrivere, lo bombardano di deterrenti e con la scusa della diffamazione a mezzo stampa, lo mettono sotto ricatto economico e lo costringono a chiudersi in una autocensura. Siamo a livelli veramente inarrivabili di vigliaccheria e vergogna!

     Chi colpisce questo emendamento? Tutti i giornalisti, indipendentemente dalla loro “categoria”: dai grandi giornalisti di inchiesta che vediamo in televisione, come Milena Gabanelli, Carlo Lucarelli, Michele Santoro, a quelli non protetti, come i giornalisti free lance o indipendenti, quelli che non hanno un “padrone” che si assume la responsabilità di tutelarli dalle querele paraculo dei corrotti impuniti che mentono sapendo di mentire.

     Cosa lede questo emendamento? L’emendamento viola in generale la libertà di stampa e impedisce, di fatto, la divulgazione dell’informazione relativa a uno dei temi più urgenti di questi tempi, ovvero l’inchiesta. Siamo un paese pieno zeppo di ladri, mafiosi, corrotti e il minimo che possiamo fare per costruire una base alla nostra salvezza è quella di poter denunciare apertamente queste cose, facendole conoscere alla gente e dandogli la massima divulgazione possibile. Del resto, alla stessa gente dovrebbe dar fastidio di non poter essere informati di ciò che viene fatto ai loro danni, giacché, come dice una vecchio foglio tristemente calpestato e dimenticato, «la sovranità appartiene al popolo» (che non sempre ne è degno).
     In particolare, l’emendamento viola l’articolo 21 della Costituzione, che dice (commi 1 e 2):

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

     La norma mira quindi a colpire esplicitamente un certo tipo di giornalismo, che offre un importantissimo servizio alle persone. Non è il primo atto di abbattimento della libertà di stampa e ritengo che non sarà nemmeno l’ultimo. Ora però mantenere la stampa libera è molto più importante che in passato proprio perché abbiamo un estremo bisogno di capire cosa succede. Del resto, il fatto stesso che certi politici si impegnino tanto nel promuovere queste proposte di legge è un chiaro segno della loro colpevolezza. «Non so voi, ma io non ho mai visto un innocente darsi tanto da fare per farla franca», diceva Luttazzi in un suo monologo.
     L’emendamento è stato ribattezzato norma anti-Gabanelli o ammazza Gabanelli, proprio perché la celebre conduttrice ha rischiato di vedersi negata proprio la clausola che la tutela: tutti sanno che con il suo programma Report lei si occupa di informare i cittadini delle questioni che riguardano le truffe, le logge, la malavita e la malapolitica. Ma la Gabanelli è solo la punta di diamante di questo esercito di ricattati. La giornalista ha dichiarato: «Ti dicono di andare in guerra, ma non ti danno l’elmetto né altri strumenti per difenderti».

     Le votazioni per l’emendamento sono previste per martedì 23 ottobre 2012, in sede di Commissione di Giustizia.


giovedì 18 ottobre 2012

L’insegnamento dell’ignoranza


«Era un solitario fantasma che proclamava una verità che nessuno avrebbe mai udita. Ma per tutto il tempo impiegato a proclamarla, in un qualche misterioso modo la continuità non sarebbe stata interrotta. Non era col farsi udire, ma col resistere alla stupidità che si sarebbe potuto portare innanzi la propria eredità d’uomo.»
(George Orwell, 1984)


     I sistemi scolastici odierni sono allo sbando e alla completa mercé del potere e dei potenti. Oggi è palese l’esistenza di un movimento che da oltre trent’anni orienta il mondo dell’istruzione. Con la scusa della democratizzazione e della modernizzazione dell’insegnamento, è stata instaurata la scuola del capitalismo totale, ovvero la base dal quale organizzazioni multinazionali possono condurre la guerra socio-economica mondiale di questo sventurato XXI secolo.


     I padroni del pianeta tengono al guinzaglio le armate “culturali”, fatte di legali, uomini di lettere e scienziati. Essi sono le sentinelle del sistema e vegliano quotidianamente che nessuno metta in pericolo la governabilità del mondo.
     Esiste quindi uno stretto rapporto tra il mondo dell’istruzione e quello politico-economico. Sono svariati i circoli elitari e i think tank dove questi due mondi si rapportano. A pochi eletti è concesso di parteciparvi. La grande massa è esclusa. Il grande pubblico rimane all’oscuro di quanto viene discusso e deciso. Solo pochi ricercatori della verità riescono a fare breccia nel muro di gomma che protegge queste congreghe cospirative.

     Ad esempio, nel Settembre 1995 – sotto l’egida della Fondazione Gorbaciov – «cinquecento tra uomini politici, leader dell’economia e scienziati di primo piano», l’élite del mondo, si riunirono all’Hotel Fairmont di San Francisco per confrontare le proprie opinioni sul destino della nostra civiltà.

     In questa assemblea venne riconosciuta come evidenza che «nel secolo a venire, i due decimi della popolazione attiva sarebbero stati sufficienti per costruire l’attività dell’economia mondiale.»

     Su tali basi, l’unico problema “politico” che l’ordine capitalista avrebbe dovuto affrontare sarebbe stato quello della governabilità dei restanti otto decimi di popolazione mondiale, messa al bando e dichiarata inutile dalla logica neoliberista.

     Fu accolta come soluzione a tale dibattito la proposta di Zbigniew Brzezinski, ex consigliere di Jimmy Carter e co-fondatore della Commissione Trilaterale. L’idea era semplice: intrattenimento e sesso. La parola contenitore creata ad hoc, che descrive al meglio l’utilizzo delle così dette armi di distrazione di massa, è tittytainiment (“entertainiment and tits”, ovvero “divertimento e tette”).

     Lo scopo è quello di intrattenere la grande massa, di tenere alta la soglia del “buon umore”, con diversivi divertenti, feticci tecnologici, distruzione dei valori, delle identità e cibo a sufficienza per tenere in standby la popolazione in eccesso.

     In questa cinica analisi è chiaro il ruolo che dovrebbe avere la scuola del XXI secolo, secondo le élites mondiali. L’apparato educativo è così stato sottoposto ad una serie di riforme dettate dagli interessi politici e finanziari della dittatura del capitale.

     È stato conservato un settore di eccellenza, destinato a formare le élites intellettuali, scientifiche, manageriali e tecniche che prenderanno i posti di potere per condurre la guerra socio-economica, sempre più dura e spietata. Questi poli di eccellenza, dalle condizioni d’ingresso altamente selettive, trasmettono in modo classico il sapere. Non una cultura nozionistica, ma un sapere sofisticato e creativo, una coscienza critica altamente sviluppata e una padronanza nel mettere in azione idee e conoscenze.
     A noi, rimangono competenze “specialistiche” di basso livello e saperi usa e getta.

     È proprio quello che afferma un rapporto della Commissione Europea e dell‘OCSE del 24 Maggio 1991. Secondo tale resoconto, le nostre “competenze medie” hanno una vita di dieci anni, poiché il capitale intellettuale perde di valore il 7% annuo. Si tratta di competenze provvisorie, a tempo determinato, adatte ad un contesto tecnologico, ma non solo, ben preciso. Ogniqualvolta un dato contesto viene superato, chi ha limitato il suo campo di conoscenze all’ambito scolastico, diviene obsoleto.

     Quindi diveniamo dipendenti, ergo controllabili e ricattabili. Insomma, mano d’opera a basso costo. Tale processo, in una società come la nostra in continuo progresso (ma non in continua evoluzione, sia chiaro), mina pesantemente l’autonomia e l’autodeterminazione dell’individuo.

     Noi veniamo riempiti di saperi utilitari privi di qualsiasi creatività e con un limite ben preciso. Roba che può venire inculcata restando “comodamente” seduti nella proprie case (prigioni?), tramite computer e programmi didattici interattivi.

     Del resto le riforme scolastiche vanno in questa direzione e sono già nate le prime università multimediali. Saranno migliaia le insegnanti che rimarranno senza lavoro, sostituite da “prodotti dell’insegnamento virtuale”. Altra mano d’opera a basso costo da impiegare (piegare?) nella produzione multinazionale.

     Un taglio delle spese non indifferente per tutti gli stati e/o per i futuri Stati federali centralizzati e totalitari che presto sorgeranno.

    L’edificio scolastico verrà superato in un modo o nell’altro. Magari rendendolo un luogo insicuro, lasciando la struttura in preda della calamità naturali, senza le necessarie opera di ristrutturazione e messa in sicurezza, o tramite la paura, piazzando metal detector agli ingressi per contrastare questa “inspiegabile” violenza giovanile.

     Vanno distrutti i rapporti umani. Essi devono diminuire progressivamente per farci sentire sempre più soli e sempre più bisognosi di protezione, quindi disposti a privarci della nostra libertà per sentirci più sicuri.

     Secondo il Rapporto della Tavola Rotonda di Philadelphia del Febbraio 1996, tramite l’OCSE, veniamo a sapere che saranno sempre di più coloro i quali resteranno senza lavoro (o saranno assunti in modo precario e flessibile) e “non costituiranno mai un mercato redditizio” e la “loro esclusione dalla società si accentuerà man mano che altri continueranno a progredire”.

     Qui entra in ballo il tittytaiment. Ed oggi lo possiamo vedere con i nostri occhi.

     Al sistema non interessa e soprattutto non conviene trasmettere i saperi reali, creare una coscienza critica, stimolare l’apprendimento dei comportamenti civili elementari, incoraggiare alla rettitudine e all’onestà. Che guadagno avrebbe in ciò? Sarebbe come scavarsi la tomba da soli, sarebbe una minaccia per il loro piano di dominio globale.

     La scuola di massa dovrà insegnare l’ignoranza in tutti i modi possibili. Per questo nelle scuole italiane è stato messo al bando l’insegnamento dell’educazione civica, ridotta al minimo la storia delle religioni, la geografia, la storia dell’arte e di tutte quelle materie atte a raffinare l’essere umano per renderlo cosciente del proprio sé e di quello che lo circonda, per insegnargli la vita, quindi a vivere in comunità e con serenità, per differenziare il necessario dal superfluo, l’essere dell’avere.

     È tutto studiato per sorreggere il turbocapitalismo. “Educare” la nuove generazioni al consumo, alla spettacolarizzazione, all’ego e all’edonismo.

     Gli insegnanti vengono prodotti in serie, tranne in rare eccezioni, dalla scuole del sistema. I programmi sono imposti dall’alto in modo da distruggere la logica naturale di cui siamo dotati.

     Guy Debord, ne La società dello spettacolo, la chiama “dissoluzione della logica”:

[…] la perdita della possibilità di riconoscere istantaneamente, ciò che è importante, ciò che lo è meno o ciò che non centra nulla; ciò che è compatibile o, inversamente, potrebbe essere complementare; tutto ciò che una tale conseguenza implica e ciò che, allo stesso tempo, essa vieta.

     Debord ci dice che un alunno educato in questo modo si troverà da subito al servizio dell’ordine prestabilito.

     Dalle scuole usciranno soggetti già deviati e incanalati dentro stereotipi imposti dal sistema: consumatori incivili e a tratti violenti e compulsivi, intolleranti ma politicamente corretti. Proprio per questo saranno facilmente manipolabili. Inculcheranno un sapere sprovvisto di supporti affettivi e culturali, dunque privato del suo significato umano e delle sue potenzialità critiche. Sarà, il linea di massima, come la scuola di “addestramento” per animali. Insegneranno ad obbedire.

     Jean-Claude Michéa ne Il Vicolo cieco dell’economia descrive in modo disincantato ma oggettivo l’abisso intellettuale in cui siamo precipitati:

Uno dei segni più nitidi del declino dell’intelligenza critica è l’incapacità di un numero crescente di nostri contemporanei di immaginare una figura dell’avvenire che noi sia una semplice amplificazione del presente.

     Ne parlò anche Aldous Huxley, uomo appartenente alla cerchia elitaria, in un discorso tenuto nel 1961 alla California Medical School di San Francisco:

Ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici.

     E ne scrisse nella sua raccolta di saggi Ritorno al Mondo Nuovo:

Nella loro propaganda antirazionale i nemici della libertà inquinano sistematicamente le fonti del linguaggio per forzare le loro vittime a pensare, a sentire, ad agire nel modo in cui vogliono farli pensare, sentire, agire essi, i manipolatori dei cervelli. Gli antichi dittatori caddero perché non sapevano dare ai loro soggetti sufficiente “pane”, miracoli e misteri. Non possedevano un sistema efficiente per la manipolazione dei cervelli. In passato liberi pensatori e rivoluzionari furono spesso prodotti della educazione più ortodossa e più osservante. Un fatto che non ci deve sorprendere perché i metodi usati da quell’educazione erano e sono quanto mai inefficaci. Ma sotto un dittatore scientifico l’educazione funzionerà davvero e di conseguenza la maggior parte degli uomini e delle donne cresceranno nell’amore della servitù e mai sogneranno la rivoluzione. Non si vede per quale motivo dovrebbe crollare una dittatura integralmente scientifica.

     Nei rapporti sopra citati, le élites esprimono senza censura il loro pensiero, ben coscienti che essi non saranno letti dal popolo, troppo impegnato a chiacchierare litigiosamente del nulla e a contendersi posti subalterni di finto potere, nel mito della scalata sociale e nella vanagloria di raggiungere una posizione di una certa rilevanza nella scala gerarchica sociale imposta dal sistema.

     Come ci ricorda George Orwell in 1984:

L’ortodossia consiste nel non pensare — nel non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è inconsapevolezza.

     Hanno creato eserciti di persone schiave e fiere di esserlo. Dipendenti e succubi di un sistema che adorano fideisticamente. Essi lo ritengono il migliore dei mondi possibili e sono pronti a tutto pur di difenderlo.

     Oggi siamo superbamente convinti di sapere, mentre in realtà siamo solo docili agnellini pronti al macello. Navighiamo a vista tra la nebbia, senza prospettiva e senza una rotta, trascinati dalle correnti e in balia delle onde.

Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero è libero, quando gli uomini sono differenti l’uno dall’altro e non vivono soli… a un tempo in cui esiste la verità e quel che è fatto non può essere disfatto.

Dall’età del livellamento, dall’età della solitudine, dall’età del Grande Fratello, dall’età del Bispensiero… tanti saluti!
(George Orwell, 1984)


di Italo Romano




Bibliografia:
L’insegnamento dell’ignoranza, Jean-Claude Michéa, Metauro Edizioni
1984, George Orwell, Mondadori
Il Mondo Nuovo – Ritorno al Mondo Nuovo, Aldous Huxley, Mondadori
La trappola della globalizzazione: l’attacco alla democrazia e al benessere, Hans Peter Martin e Harald Schumann, Edizioni Raetia
La società dello spettacolo, Guy Debord, Baldini Castoldi Dalai
La ribellione delle élite, Christopher Lasch, Feltrinelli
Il vicolo cieco dell’economia, Jean-Claude Michéa, Eletheura