venerdì 19 agosto 2016

Tiny Scanner: ottima app che scannerizza foto di testi in file PDF (per Android e iOS)

     Quante volte abbiamo avuto bisogno di un testo che non potevamo portare con noi in formato cartaceo, o perché il prestito in biblioteca non era consentito, o perché non potevamo fare delle fotocopie, o perché non avevamo spazio in borsa?
     Per documenti di cui abbiamo bisogno di copie e possiamo tenere solo sullo smartphone può risultare assai utile un’applicazione che funga da scanner. Sugli store abbondano app di questo tipo: sono essenzialmente programmi che permettono di fotografare il testo che ci interessa (anche più pagine, senza particolari limiti) e poi raccogliere gli scatti in un unico documento, tipicamente in formato .pdf.
     L’app di oggi fa proprio questo: è unapp per piattaforma Android e iOS, si chiama Tiny Scanner ed è facilissima da usare, molto efficiente e una comodità in particolare che altre app simili non danno.
     Vediamola in dettaglio su uno smartphone Android.

     La schermata principale di Tiny Scanner è semplice e con un bel tema rilassante. Da essa si può accedere ad alcune voci e comandi. Ci sono le impostazioni (in cui si possono scegliere alcune impostazioni di default, come il formato della pagina, o il colore, oppure la guida all'uso, le FAQ o l'invio di feedback...), poi c'è la funzione cerca (nel caso abbiate tanti documenti salvati e voleste trovarne uno subito) e la possibilità di creare cartelle in cui posizionare i file che avete creato.


     L’uso è molto intuitivo: per creare un documento nuovo basta scattare la foto della sua prima pagina. Usando la fotocamera si scatta la foto al testo e subito dopo lo scatto la app elabora limmagine.


     A questo punto si possono rifinire i bordi dell’inquadratura, molto utile nel caso vogliamo un taglio preciso alla pagina (Tiny Scanner ne effettua comunque un riconoscimento intelligente in via automatica). Toccando i vertici dei bordi, questi possono essere mossi e un mirino mostra in tempo reale la posizione del dito rispetto al bordo del foglio cartaceo, ingrandendo limmagine, in modo da poter lavorare con precisione. Cliccando il tasto centrale da questa schermata è anche possibile impostare il formato preferito.


     È anche possibile modificare i colori, il contrasto e l’orientamento della pagina: in basso ci sono le impostazioni generali per queste operazioni e cliccando su ognuna di esse vediamo una serie di opzioni particolari. È possibile ruotare la pagina di 90 gradi per volta, impostare il colore naturale, il bianco e nero, è anche possibile aumentare il contrasto, sia a colori che in bianco e nero (per dare un effetto fotocopia o per far risaltare di più il testo rispetto allo sfondo).


     A questo punto il documento è già stato creato in formato .pdf sullo smartphone, in una apposita cartella (che mostrerò a breve).
     Ora l’utente ha diverse possibilità. Se si vuole continuare ad aggiungere pagine successive basta cliccare sullicona della fotocamera (qualora le foto debbano ancora essere acquisite), oppure su quella della galleria (se le foto sono già state fatte: questo è particolarmente utile qualora si voglia rifinire le singole pagine con calma in un secondo momento dopo aver fatto delle foto veloci).
     Oppure è possibile condividere (ora o in seguito, con l’aggiunta di nuove pagine) il file via cloud, o tramite e-mail. Per molte app di questo tipo la condivisione del documento su cloud o via e-mail rappresenta il solo modo di poter salvare il file, mentre qui si tratta di un passaggio facoltativo: Tiny Scanner crea a prescindere una copia del file realizzato direttamente sulla memoria del dispositivo e sarà lutente a decidere se vorrà anche condividere il file creato.


     Quando avremo terminato il nostro file potremo assegnargli un nome, con il quale sarà visibile sia all’interno della app stessa, sia nelle cartelle del dispositivo.


     Nella schermata principale della app appare un’anteprima del file creato, contrassegnato dal titolo che gli abbiamo dato, dalla data di creazione e dal numero di pagine. È possibile compiere operazioni sul file da questa schermata, come condividere il file, spostarlo in una cartella o eliminarlo (basta tenere premuto sulla sua icona).


     Qualora si volesse accedere al file tramite il file manager del dispositivo, esso è presente in un’apposita cartella che porta il nome della app: troveremo sia il file in formato .pdf, sia le immagini delle singole pagine, così come sono state modificate allinterno dell'applicazione.


     Come si vede, Tiny Scanner è dotata di tutte le funzioni che possono servire a rendere la creazione di file .pdf tramite immagini semplice e comodo, senza bisogno di registrarsi ad alcun sito e senza obbligo di caricare i file su cloud o via e-mail.
     La app ha dimensioni contenute e la si trova per dispositivi Android, gratuitamente installabile dal Play Store o dallApple Store.

giovedì 18 agosto 2016

Latine loquimur, n. 12

     Dopo una lunga pausa dall’ultimo numero, ritorna la rubrica sulle espressioni, frasi, proverbi e modi di dire latini che usiamo ancora oggi.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.


More uxorio
[pronuncia scolastica: mòre ucsòrio]
[pronuncia restituita: mòre ucsòrio]

     Espressione usata soprattutto nel gergo giuridico, ma ben diffusa anche nel vocabolario comune. More vuol dire “come, secondo l’usanza, a mo’ di” e uxorio è un aggettivo che viene da uxor, che è la moglie e, in generale, il coniuge di una coppia di sposi. Possiamo tradurlo con “secondo l’uso matrimoniale” o “come marito e moglie”.
     L’espressione viene infatti riferita a tutti quei comportamenti dei membri di una coppia che, pur non essendo uniti in matrimonio ufficialmente, si comportano come se fossero sposati. Questo vale in particolare nei casi di convivenza: la convivenza more uxorio è la convivenza sotto uno stesso tetto, in cui due soggetti si amano e si prestano assistenza reciproca, proprio come marito e moglie, anche se non sono sposati tra loro.
     Fino a qualche anno fa questa locuzione si usava solo per i casi di concubinato, in cui un coniuge avesse una relazione segreta con un’altra persona, ma oggi, con l’affermazione della famiglia di fatto, è riferita con accezione non dispregiativa a tutte le coppie che convivono pur non essendo sposate, comprese le coppie omosessuali.


De gustibus non disputandum est
[pronuncia scolastica: de gùstibus non disputàndum est]
[pronuncia restituita: de gùstibus non disputàndum est]

     Spesso abbreviato con de gustibus..., l’abbiamo sentita tutti almeno una volta. Significa “sui gusti non si deve discutere”. Inutile polemizzare quando si tratta di preferenze personali: il relativismo dei gusti non può essere motivo di contesa e non si può dire che uno abbia torto o ragione a preferire questo o quello.
     La frase stronca sul nascere ogni inutile polemica e preserva le differenze individuali. Come si dice? Il mondo è bello perché è vario.


Et monere et moneri proprium est verae amicitiae
[pronuncia scolastica: et monère et monèri pròprium est vère amicìzie]
[pronuncia restituita: et monère et monèri pròprium est vèrae amichìtiae]

     Bellissima massima, che significa “Sia rimproverare (et monere) che lasciarsi rimproverare (et moneri) è tipico (proprium est) di una vera amicizia (verae amicitiae)”.
     Il vero amico, che davvero tenga a noi, ci fa notare i nostri sbagli e lo fa per il nostro bene. Allo stesso modo, se davvero siamo amici, non dobbiamo offenderci e sentirci criticati se qualcuno ci fa notare un nostro errore.
     Si tratta di una frase di Cicerone, che troviamo nel suo Laelius de amicitia, un dialogo incentrato appunto sul concetto di amicizia. Al paragrafo 91 si legge: «Quindi, così come è tipico di un’amicizia vera sia il rimproverare che il farsi rimproverare e così come ne è tipico fare la prima cosa con franchezza, senza aggressività, e accettare la seconda con pazienza, senza prenderla a male, allo stesso modo dobbiamo ammettere che la peste peggiore per l’amicizia siano l’adulazione, le lusinghe, la falsa accondiscendenza».

domenica 14 agosto 2016

Alex Schwazer innocente? Un complotto di Iaaf e mafia avrebbe punito il marciatore

     L’ha detto fin dal principio: "So che un atleta che era già stato trovato positivo ha poca credibilità, ma stavolta non è vero". Si difende con le unghie e con i denti Alex Schwazer, 31 anni, oro olimpico a Pechino 2008 nella 50 Km di marcia, podista altoatesino finito sui giornali prima per la sua vittoria in Cina, poi per la scoperta del doping nel 2012 che lo ha portato alla squalifica per un bel po’. Ora però l’ombra della squalifica è tornata su di lui in occasione dei giochi olimpici di Rio de Janeiro. 

     Si è davvero dopato di nuovo Alex Schwazer? La vicenda, a seguirla, appare in verità molto sospetta e fa sorgere qualche dubbio sulla veridicità dell'accusa. Troppe stranezze, troppe irregolarità sospette. Ma andiamo con ordine...

     Alex sapeva che dal momento in cui fu trovato positivo all’eritropoietina lo avrebbero tenuto d’occhio in continuazione e infatti ha fatto montagne di esami, per mesi e mesi, tutti negativi. Nel frattempo ha continuato ad allenarsi duramente, guidato da Sandro Donati, paladino dell’antidoping, che in passato ha denunciato casi di irregolarità e che forse, così facendo, ha dato fastidio a qualcuno.

     Il 1° gennaio 2016 arriva a Racines (dove Alex vive) quel controllo antidoping a sorpresa da parte della Federazione Internazionale. Controllo eseguito con dubbia regolarità, come vedremo. La provetta viene analizzata a Colonia e Alex risulta ancora una volta pulito. Poi la stessa provetta viene ricontrollata in Canada tre mesi dopo e, stranamente, salta fuori il positivo. Di pochissimo, il valore del testosterone è appena sopra la media, talmente poco che non avrebbe alcun effetto dopante, ma è un positivo.

Sandro Donati e Alex Schwazer
     “Ma come?”, viene da pensare, “ti beccano dopato e tu lo rifai, tra l’altro pochi mesi prima delle olimpiadi e sapendo di essere controllatissimo, dopo aver buttato gli ultimi anni ad allenarti e riprenderti dal trauma di una carriera appesa a un filo?”. Il rischio è troppo grande, soprattutto dopo un percorso di ricostruzione atletica e personale difficilissimo che l’atleta ha dovuto affrontare per rimettersi in pista. Dovrebbe essere davvero un cretino il nostro Alex, e il suo allenatore più cretino di lui per correre un rischio del genere, sapendo che lo avrebbero beccato al 100%. C’era troppo da perdere per credere che sia vero.

     Ad ogni modo, strano che sia, arriva la sospensione in via cautelare in attesa della sentenza definitiva e l’atleta annuncia fin da subito la sua innocenza, con la stessa convinzione con cui annunciò la sua colpevolezza quattro anni fa. Anzi, lo fa con ancora più convinzione. Qualcuno potrebbe non credergli, certo, potrebbe dire che è normale che si dica innocente, però nel 2012 non esitò a confessare senza batter ciglio, chiudendosi il viso tra le mani, a testa bassa e la voce rotta dal pianto per tutta la durata della conferenza stampa, sputtanandosi da solo davanti al mondo intero. Perché ora dovrebbe mentire? Perché avrebbe dovuto fare il furbetto proprio ora che sapeva di essere ancora più sorvegliato? È davvero così stupido Alex Schwazer?
     
Giuseppe Fischetto
     Se non è così allora qualcuno lo vuole fuori dalle olimpiadi. Un complotto, per colpire e punire il suo allenatore che ha fatto l’“infame” denunciando in passato le irregolarità in un mondo dove lo sport non esiste più ed esistono solo gli interessi personali di gruppi di potere, mafie dello sport e dirigenti corrotti della Iaaf (la federazione internazionale di atletica leggera), un mondo in cui se fai la spia te la fanno pagare, al punto che ora Donati ha già ricevuto molte minacce e telefonate intimidatorie e teme per la sua famiglia e per la sua vita, cosa che lo ha costretto a rivolgersi ai magistrati romani (il fatto che la commissione antimafia, allertata appositamente, si sia mossa subito è segno che cè davvero qualcosa di strano sotto). Donati e Schwazer hanno infatti collaborato con la Procura della Repubblica di Bolzano e col Ros dei carabinieri per scovare il database di un medico italiano, Giuseppe Fischetto (di cui ci sono intercettazioni telefoniche nel video in chiusura) in cui furono trovati valori ematici di molti atleti (tra cui parecchi russi) particolarmente elevati. La cosa fu portata all’attenzione anche della Wada (un'agenzia che si occupa di doping a livello mondiale). È come se la Iaaf volesse occuparsi in via esclusiva di doping, come se nessun altro a parte loro dovessero parlarne e, all’occorrenza, dovessero poter insabbiare comodamente i casi più scottanti (quelli dei russi), senza occhi esterni che ficchino il naso. E, sarà un caso, ma il dottor Fischetto non solo lavora ancora per la Iaaf nonostante lo scandalo, ma è stato responsabile antidoping per la Coppa del Mondo di Marcia a Roma e quindi ha fatto gli esami a Schwazer, lo stesso atleta che lo aveva denunciato nell’inchiesta di Bolzano.

     Un complotto perché Alex si era redento in tutto e per tutto e aveva rotto il muro dell’omertà con le sue denunce; e si era permesso pure di vincere la marcia a Roma la scorsa primavera, marcia che il commissario Maggio (intercettato a telefono) gli avrebbe intimato di perdere per far vincere qualcun altro; perché se Alex fosse tornato a gareggiare pulito e agli alti livelli a cui era giunto avrebbe dimostrato che è possibile fare bene senza imbrogliare. Eugenio Capodacqua, giornalista sportivo, intervistato da Attilio Bolzoni (La Repubblica), ha dichiarato: «Se Schwazer con il suo modello rappresenta una rivoluzione, Sandro Donati rappresenta una spina nel fianco dello sport corrotto da trent’anni in qua». Un messaggio che non doveva passare e qualcuno da punire: sarebbero questi i moventi a cui normalmente non daremmo credito, ma che in una vicenda del genere hanno un certo fascino di credibilità.

     Ma i sospetti di complotto aumentano ancora di più se si considerano le clamorose stranezze e irregolarità riguardanti la stessa provetta che conteneva le urine analizzate.
     Ad esempio, tutta la documentazione della custodia della provetta nel suo viaggio verso il laboratorio è stranamente lacunosa e incompleta, come se non si fosse voluto far sapere dove la provetta fosse stata.
     Oppure il fatto (grave) che la provetta sia stata consegnata con su scritto il nome del luogo di provenienza (Racines), rompendo quindi l’anonimato previsto in questi casi che è garanzia di imparzialità dei risultati e serve appunto a impedire che qualcuno sappia quale provetta colpire nel caso di frode; luogo di provenienza che è infatti identificativo dell’atleta stesso, giacché a Racines abita solo un atleta, Alex Schwazer.
     Oppure la comunicazione dei risultati del secondo test comunicati con ben un mese di ritardo, come per accorciare al massimo il tempo a disposizione per una difesa (e infatti Alex è stato costretto a difendersi a Olimpiadi già iniziate).
     O anche la stessa natura della sostanza, il testosterone: esso, come si sa, ha effetti sulla forza e sull’aggressività, tutte cose di cui un maratoneta non ha bisogno. Se un marciatore vuole doparsi deve potenziare la resistenza (sono pur sempre 42 chilometri!) e usare il testosterone sarebbe inutile.
     I legali di Alex denunciano poi una serie di altre irregolarità, come la mancata firma di ricezione del campione o la non chiara identificazione di chi abbia fatto la consegna... Per non parlare del fatto che i responsabili abbiano consegnato il campione non al laboratorio, ma a un portiere!

     Troppi dubbi, quindi, troppi vuoti, troppe irregolarità, troppe manovre sospette e troppa poca chiarezza in questa vicenda che sè fatta torbida più che chiarire come avrebbe dovuto fare. E intanto però, nonostante tutte queste stranezze, la difesa non ha potuto spiegare come abbia fatto quella minima quantità di testosterone esogeno (cioè non prodotto dal corpo dell’atleta) a finire nel sangue di Alex. E tanto basta per la condanna: 8 anni di squalifica. Traduzione: carriera finita.
     Ecco come si mette fuori gioco un atleta sfruttando un suo errore compiuto in passato, un atleta talentuoso, che aveva sbagliato ma che si era redento ed era pronto a dimostrarlo in una gara pulita, lanciando un bellissimo messaggio; un atleta che però aveva pestato i piedi alle persone sbagliate, a poteri più grandi di lui. E lo stesso vale per il suo allenatore, che probabilmente era il vero bersaglio da colpire.

     «Non marcerò mai più, nemmeno per un metro», ha detto Alex. E mentre milioni di fan (e anche una certa intelligenza) gli fanno sentire la loro vicinanza e gli dicono di credere in lui e nella sua buona fede, la sua vicenda ci ricorda che il mondo dello sport non è solo quello che si vede dagli spalti di uno stadio, ma, come spesso accade, è il terreno dove tenta di germogliare l’erbaccia degli interessi economici di pochi prepotenti corrotti.

     Di seguito potrete vedere una ricostruzione in stile docufilm delle trame ordite contro Alex Schwazer dai signori del doping. Il video è stato realizzato da Attilio Bolzoni (La Repubblica), giornalista che si occupa di mafia, e Massimo Cappello (La Repubblica) con la regia di Alberto Mascia e presenta molte delle intercettazioni telefoniche sopra richiamate, aiutando a farsi un’idea più completa di quello che è accaduto.

martedì 9 agosto 2016

I talent show stanno distruggendo la musica italiana, ma possiamo fermarli

     I giovani nati negli ultimi anni e che non sono stati aiutati a formarsi una qualche memoria storica almeno del secolo scorso, considerano normali molte forme di degenerazione per il semplice fatto che ci sono nati dentro e che non possono fare confronti con i tempi in cui esse non esistevano.
     Una di queste forme di degenerazioni riguarda lindustria della musica italiana che è stata pesantemente sporcata e violentata dalla filosofia dei talent show. Questi format sono così potenti che riescono a incantare anche i più attempati (con poco senso critico) che magari un confronto potrebbero farlo e che tuttavia si lasciano affascinare da questi fuochi di paglia. La verità è che i talent show odierni stanno sfornando intere generazioni di falsi artisti, rovinando la sensibilità che il pubblico dovrebbe avere nei confronti di questa nobilissima arte.
     A tal proposito si è pronunciato Fabrizio Basciano con un apposito articolo uscito oggi sul Fatto quotidiano e che mi piace lasciare sul blog perché ritengo faccia unanalisi molto chiara e diretta di questo problema, fornendo anche la più intelligente delle soluzioni.



     Quando iniziai a interessarmi, da un punto di vista analitico, dei talent show compresi subito, quasi folgorato sulla via di Amici, gli obiettivi che quella industria di fenomeni stagionali, di cantanti usa e getta, sarebbe andata perseguendo: 1) fare in modo che il mercato discografico non sfornasse più artisti in grado di durare nel tempo; 2) far sì che nessun cantante fosse mai più autore della propria musica, limitandosi a essere interprete di musica altrui; 3) far sì che gli autori venissero relegati dietro le quinte, mandando avanti solo ed esclusivamente interpreti il più delle volte mediocri.

     Perché tutto questo? Principalmente per una serie di motivi che definirli agghiaccianti è dir poco: 1) giungere al più totale controllo della vita e della carriera degli artisti “sfornati”; 2) silenziare le ingombranti personalità dei grandi autori e l’eventuale dissenso; 3) non consentire più alla musica di veicolare messaggi indesiderati, di formare, promuovere e sviluppare un pensiero critico. Un disegno preciso insomma che inizia oggi a ricevere più di qualche pubblica denuncia da parte di chi nel settore naviga da tempo immemore: “I talent distruggono la musica, i talent creano il karaoke, creano dei prodotti televisivi ma distruggono la musica” recitava poco tempo fa Red Ronnie ospite su Rai1, ribadendo e approfondendo poi il concetto in luogo di un’intervista concessa a Fanpage: “Lo stesso Mogol mi ha detto che Mogol e Battisti oggi non sarebbero usciti (…) succede che i veri artisti li fanno sloggiare e prendono chi ha una bella voce. Ma dove va una che ha – e, aggiungo io, solo – una bella voce?”.

     Esatto, i veri artisti, coloro i quali scrivono la propria musica, esprimono il proprio pensiero, veicolano dei messaggi non vengono minimamente presi in considerazione, ragion per cui tutto il nuovo cantautorato italiano, tutti i giovani cantautori nostrani restano praticamente relegati nella sfera della musica indipendente, tagliati fuori dal mainstream. Gli odierni Battiato, Guccini, De André, De Gregori, Dalla e compagnia bella non ricevono spazio, scalzati da una nuova industria che, sfruttando giovani e ingenue leve, promuove e porta avanti solo ed esclusivamente se stessa: “Perché si tira a fare l’artista usa e getta? Perché – prosegue Red Ronnie – non gli devi dare l’opportunità di crescere, perché se cresce rompe i coglioni. Perché Jimi Hendrix che fa l’inno americano con le bombe sul palco di Woodstock, o Bono degli U2 che va a chiedere di cancellare il debito rompono le palle. E allora cosa hanno fatto? Hanno sostituito gli idoli. Oggi gli idoli che creano sono idoli vuoti, lo dico sempre”.

     Vuotezza di contenuti, vacuità allo stato puro, assenza di messaggi sono i fini che persegue la diabolica industria del talent, fagocitando sogni (quelli dei giovani usa e getta) e orizzonti mentali (quelli del pubblico che inconsapevolmente si nutre di vuoto versato nel nulla). A far propria la denuncia contro i talent è anche Raf, che in una recente intervista concessa al Messaggero.it dichiara: “Nei talent è il criterio ad essere sbagliato: si premia solo il bravo interprete, il talento di chi ha una bella voce, ma questo è solo un aspetto dell’essere un bravo artista. C’è anche altro”, molto altro, diremmo noi. A mancare completamente è infatti il concetto di autorialità, concetto che porta con sé e sposa in pieno l’esercizio del pensiero critico: non esiste autore al mondo incapace di esercitare coscientemente il proprio pensiero, ma questo, evidentemente, non va più bene.

     Non esisteranno più i Piero Pelù che dal palco di San Giovanni lanciano le proprie invettive contro il governo, i Celentano che denunciano la speculazione edilizia a Milano, i Battiato che dalla poltrona di Bruxelles definiscono “troie” i parlamentari italiani (uomini e donne, NdA) che per intascare una mazzetta venderebbero anche i propri familiari: quando personaggi di questo calibro si saranno definitivamente estinti non vi sarà più nessuno con lo stesso peso mediatico, coadiuvato da una più o meno ampia capacità critica, in grado di svegliare le coscienze, animare i dibattiti, opporsi al potere.

     Dove sono finiti, giusto per citarne alcuni, i Matteo Becucci, I Moderni, Antonio Maggio, Ruggero Pasquarelli, Marco Carta, Tony Maiello e tutti gli altri ragazzi le cui carriere, lanciate dai talent, possono essere paragonate a un magnifico fuoco d’artificio, sorprendente ma completamente effimero? L’unica vera soluzione è quella di fermare l’ingranaggio, di mandare a casa i talent. Come? Non guardateli più.