Risale a poche ore fa quella che non si
esagera a definire una delle notizie più significative per l’Italia negli
ultimi vent’anni, notizia che è di dominio pubblico non solo nel nostro paese,
ma proprio in tutto il mondo: il 12
novembre 2011 Silvio Berlusconi,
dominatore della scena politica italiana dal 1994, ha dato le sue dimissioni.
Anche senza cercare volutamente, in rete,
in TV e dovunque in ogni angolo del paese si può essere informati sui dettagli
della serata: dell’arrivo di Berlusconi a Palazzo Grazioli per un colloquio col
Capo dello Stato Giorgio Napolitano; delle grida a suon di «Buffone!» e «In
galera!» dei cittadini che si sono riversati in strada, tenuti a bada dalle
forze dell’ordine; dei festeggiamenti di quegli stessi cittadini che hanno
esultato fino alle 3 del mattino neanche l’Italia avesse vinto i mondiali; dell’approvazione
della legge di stabilità che questo governo è stato costretto a varare e che
deve contenere, secondo le richieste dell’Unione Europea, il maxi-emendamento
con i punti necessari per risollevare il paese dalla crisi economica in cui
versa da tempo. Si può sentir parlare dovunque anche di questo nuovo governo tecnico, nominato in via
provvisoria dal Presidente della Repubblica e guidato da Mario Monti, economista
bocconiano nominato ad hoc senatore a vita il 9 novembre scorso, in attesa
della stabilizzazione del quadro politico.
La situazione è così delicata che nei
prossimi giorni l’attenzione dei cittadini potrebbe addirittura mettere da
parte Grandi Fratelli, Barbare D’Urso e Marie De Filippi! Dovunque si sente
dire che l’Italia sta attraversando una vera e propria fase di transizione, che
l’egemonia berlusconiana è finita e che il “premierato assoluto” non è più un
pericolo verosimile. I più tenaci si sono perfino divertiti a stendere
statistiche: il numero dei giorni che Berlusconi ha passato alla guida del
paese che rendono il suo un periodo di governo paragonabile solo a quelli di
Giolitti e Mussolini; il numero di processi giudiziari accumulati in questi
anni e mai risoltisi con un’assoluzione come Dio comanda; i miliardi che il
Cavaliere ha guadagnato, evaso, pagato per corrompere e comprare giudici,
avvocati, parlamentari e per i suoi divertimenti personali (e illegali) sotto forma
di (troppo) giovani escort… In effetti ce ne sarebbe da dire per fare il
riepilogo della situazione. Ma niente fretta: per queste cose c’è tempo!
Di sicuro oggi è una data storica per il
nostro paese, questo sì, ma lasciamo un attimino da parte i sogni idilliaci che
tutti vorremmo fare ora che apparentemente “Annibale non è più alle porte”, e
dimentichiamoci per adesso anche di tutti i retroscena del reality show di Casa
Berlusconi, per concentrarci un secondo sui veri protagonisti di questa vicenda
quasi ventennale: noi! Perché
chiariamo una cosa: qui non stiamo assistendo al solito servizio di cronaca
politica riferito allo sperduto paesino dell’altra parte del mondo, cui magari
guardiamo con quel misto di curioso voyeurismo e ingenua indifferenza. Qui si
parla di noi: del panettiere sotto casa, del figlio del professore, dello
studente universitario, della donna delle pulizie, del maresciallo dei
Carabinieri… quella gente lì. È su di loro che va puntato l’occhio di bue,
perché sono loro ad essere in gioco.
Se c’è un momento buono per farsi un
esamino di coscienza in qualità di cittadini, è questo. E lo dico perché la
tentazione più forte che viene in questo momento è quella di pensare che
finalmente ci siamo liberati dai cattivi che sono usciti di scena e dai quali
non potevamo difenderci perché, poverini, come potevamo sapere certe cose? Lo
dico anche perché c’è la tentazione di rimettere nelle mani dei
neogovernanti la situazione del futuro sempre perché noi, poverini, cosa ne
possiamo sapere di politica? Se la vedessero loro! Ebbene, è proprio in questo
che sbagliamo! È questa la crisi vera del nostro paese, quella che viene prima
di quella economica: la crisi culturale!
Abbiamo avuto pessimi governi anche perché siamo stati pessimi cittadini. Vuoi
per mancanza di un’adeguata educazione o istruzione; vuoi perché forse ci
portiamo ancora dietro quella parcellizzazione multiculturale in cui siamo
andati avanti storicamente, dai tempi dei Comuni, e quindi un popolo vero,
ancora dobbiamo imparare ad esserlo; vuoi perché per pura coincidenza in questi
anni la maggior parte della gente è nata menefreghista e non voleva sentirsi
addosso quel fastidioso peso che si chiama “dovere civico” e allora ha
preferito lavarsene le mani e smettere di interessarsi agli affari del paese.
La colpa è anche nostra, quindi siamo anche noi a dover cambiare! Troppo facile
aspettare che l’Unione Europea ci bacchetti la squadra di governo, come si
farebbe con un bambino cattivo che ha fatto la marachella, e subito ubbidire
per paura che ci mettano in punizione! In tutti questi anni ci siamo rifiutati
letteralmente di fare attenzione a ciò che accadeva sotto i nostri occhi, ci
siamo fatti crescere a pane e televisione, ci siamo fatti rintontire dalle
veline e dal gioco dei pacchi! E quelle poche volte che ci si è azzardati a
parlare di politica, lo si è fatto solo per prendere a parolacce l’avversario.
E intanto la verità ci scivolava tra le mani, una verità la cui urgenza è oggi
più forte che mai: che cioè non abbiamo un cavolo da festeggiare, e per tanti
motivi.
In primis perché il fatto che Berlusconi
non si ricandidi alle prossime elezioni non vuol dire che sia uscito di scena,
né che abbia smesso di esercitare la sua influenza sugli aspetti più importanti
del paese: nelle sue mani ci sono ancora la quasi totalità dei mezzi di
comunicazione di massa, giornali, editoria, cinema, solo per citare quelli più
rilevanti, perché è noto a tutti che il suo impero economico è immenso. E una
delle prove più concrete che un uomo possa manovrare le redini di uno stato
anche se non è direttamente al potere ce l’abbiamo, nostro malgrado, ancora
sotto i nostri occhi; una prova ingobbita dalla vecchiaia e imbruttita dalle
scelleratezze che puzzano di mafia: Giulio Andreotti! Inoltre Berlusconi è
ancora indagato per molti processi e non credo che si sia arreso e abbia
rinunciato a cercare quella protezione che finora l’ha tenuto dall’altra parte
delle sbarre. Infine non credo nemmeno che ora che non è più premier abbia
intenzione di andarsi a mangiare tutti i soldi accumulati in questi decenni su
una spiaggia delle Seychelles. Quindi in campana, perché il Cavaliere non è
sceso dal palco, ma aspetta solo dietro le quinte.
Altro motivo per cui non c’è nulla da
festeggiare è che, abituati come siamo a basare i nostri giudizi sulle “antipatie
o simpatie a pelle”, noi non sappiamo votare. Non siamo proprio capaci di usare
lo strumento del voto. Questa cosa fu secondo me ben spiegata da Daniele
Luttazzi nel suo monologo Decameron,
quando diceva che l’elettorato (non solo italiano) di oggi vota in base a
suggestioni emotive e che il politico che viene eletto è quello che sa
raccontare meglio la sua storia personale (ancora puzza di reality show, come
vedete: il meccanismo è quello, non c’è niente da fare). Quindi anche riavendo
la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti non potremmo basarci su
altro che sulla fortuna, giacché i più di noi o non sono informati sui
candidati, preferendo votare per sentito dire e voci di corridoio, o sono
proprio disinteressati nei confronti dell’esperienza della scelta in sé, con la
scusa – pericolosissima a livello ideologico – che “tanto son tutti uguali”. Abbiamo
bisogno di essere formati a fare i cittadini: i bambini di adesso ne hanno
bisogno e a scuola dovrebbero studiare anche questo.
Ancora, la politica italiana, così come in
altri paesi, è un sistema quasi in stallo bloccato sulla gerontocrazia e su
sistemi clientelari troppo radicati perché siano messi in crisi dalle
dimissioni di un solo premier. Senza contare il fatto che, con la sfiducia
verso le istituzioni in generale, in politica si candida sempre meno gente per
bene e solo quelli che hanno qualcosa da arraffare hanno il coraggio di
proporsi.
La ripresa economica auspicata dalla legge
di stabilità, poi, non può ripristinare lo status quo nel giro di poco tempo:
per riportare un paese in una condizione decente occorre del tempo perché le
forze in gioco sono molte e molto diverse, con esigenze diverse e capacità
diverse, e questo significa che ci aspettano tempi duri. Se pensiamo che oggi
la Germania, paese dove la burocrazia è molto più veloce, ancora sta lavorando
per la ricostruzione delle aree venute fuori dalla guerra, cosa vuoi sperare
che in Italia si sistemi tutto in quattro e quattr’otto?
Ci sarebbero molti altri motivi, ma credo
di aver espresso il mio punto di vista. L’esperienza berlusconiana degli ultimi
17 anni non è il primo caso di un paese che si mette in ginocchio da solo e,
stando alle statistiche storiche, non sarà nemmeno l’ultimo. Tuttavia ci ha
lasciato una lezione da imparare: ci ha mostrato quanto siamo volubili,
vulnerabili, ci ha fatto vedere quanto è facile convincere la gente a fare
scelte sbagliate facendole addirittura credere di aver fatto la cosa giusta; ci
ha dato la dimostrazione di quanto lontani dalla legalità e dalla giustizia si
possa arrivare a causa degli interessi personali di una sola persona (non dico di
un’oligarchia, ma di un singolo uomo!); ci ha dato la prova che alla gente si
può nascondere la verità in modo da non tenerla informata su ciò che è bene
fare in futuro usando uno strumento semplice e diffusissimo come la televisione.
È un’esperienza fresca questo berlusconismo, ce l’abbiamo davanti a noi.
Dobbiamo imparare da questa esperienza, dobbiamo cambiare come popolo. Dobbiamo
far funzionare la storia. Solo chi è attento ai fatti è in grado di giudicarli
bene e regolarsi nel migliore dei modi per non farsi danneggiare. Non è un
caso, per esempio, che da quando Berlusconi è asceso al potere una delle
categorie più ostacolate sia stata quella dei comici: la satira, infatti, con
la scusa delle risate, esamina i fatti storici e ne fornisce un punto di vista:
Luttazzi, Guzzanti, Rossi sono tutti nomi che non hanno lavorato più sulle reti
nazionali (o ci hanno lavorato con una certa censura) proprio perché nei loro
monologhi illustravano cose che si aveva l’interesse a tener nascoste. Perché
mai un Paolo Rossi, per esempio, sarebbe stato così profetico già nei primi
anni novanta, quando il fenomeno Berlusconi non aveva raggiunto le dimensioni
titaniche degli ultimi tempi?
Mi
sovviene un passo di Primo Levi che diceva:
Ogni
tempo ha il suo fascismo. […] E a questo si arriva in molti modi, non
necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o
distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola,
diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano
l’ordine.
Gli entusiasmi, teniamoli a freno. È presto
per cantar vittoria o per festeggiare, siamo ancora appesi a un filo. Non è
ancora tempo di aggiornare i libri di storia: è tempo di rileggerli.