mercoledì 30 novembre 2011

Latine loquimur, n. 4

     Latine loquimur, parte quarta! Buona scorpacciata di massime.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.

gdfabech

A cruce salus
[pronuncia scolastica: a cruce salus]
[pronuncia restituita: a cruche salus]

     Frase di stampo cristiano, sita nel De imitatione Christi attribuita Tommaso da Kempis, traducibile con “la salvezza [viene] dalla croce”: il riferimento è ovviamente alla morte del Cristo che, secondo la dottrina cristiana, si sarebbe immolato sulla croce al fine di redimere l’umanità. Attualmente la frase viene usata in senso più lato per ribadire che molti effetti positivi si fanno sentire solo se si vive un periodo di fatica: che cioè il cammino più semplice non sempre (meglio: quasi mai) è quello più efficace. Così, Umberto Eco, ne Il pendolo di Foucault, scrive che “per ogni problema complesso esiste una soluzione semplice, ed è quella sbagliata”; così gli stessi latini, anche prima del cristianesimo, affermavano che per aspera ad astra (“attraverso le difficoltà [si giunge] alle stelle”); così il Dante Alighieri protagonista della Commedia comprese che per giungere alla salvezza non si può salire direttamente sul colle illuminato dal sole, ma occorre farsi il giro dei tre regni ultraterreni.


Etiam capillus unus habet umbram suam
[pronuncia scolastica: èziam capìllus unus abet umbram suam]
[pronuncia restituita: ètiam capìllus unus habet umbram suam]

     Publilio Sirio, nelle sue Sententiae, scriveva che “anche un solo capello ha una sua ombra”, per ribadire che non bisogna trascurare i dettagli che sembrano più insignificanti. Spesso la soluzione a un problema, o la chiave di lettura giusta per affrontare un discorso sta nell’osservazione di quei particolari che possono apparire insignificanti. È quello che disse Freud quando comprese che per interpretare la pulsione che muove il contenuto di un sogno, non si deve badare solo alla scena primaria, cioè a ciò che sta al centro della rappresentazione onirica, ma a quegli elementi decentrati, messi in secondo piano, poiché l’inconscio tenta di censurare il suo vero messaggio. E anche i fisici, quando vogliono spiegare fenomeni enormi e onnicomprensivi come il big bang, non possono fare a meno di ricorrere a quelle minuscole particelle subatomiche che neanche si vedono ad occhio nudo ma che stanno alla base di tutto.


O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti
[pronuncia scolastica: o Tite tute Tazi tibi tanta tirànne tulìsti]
[pronuncia restituita: o Tite tute Tati tibi tanta türànne tulìsti]

     “O tiranno Tito Tazio tu stesso ti sei attirato cose tanto tremende”. Si legge questa frase negli Annales di Ennio, dove si parla di Tito Tazio, uno dei re di Roma che però non vengono citati nel famoso elenco dei sette re (che è un elenco leggendario): Tito Tazio fu re assieme a Romolo per un breve periodo e di lui si hanno testimonianze tra gli storici della latinità. Questa frase non ha una particolare importanza didascalica, non volendo insegnare alcun principio, ma è diventata famosa a causa dell’enorme numero di allitterazioni a base di T presenti praticamente in ogni parola. Questo espediente retorico l’ha resa molto famosa per due motivi: da una parte infatti è conosciuta come uno scioglilingua molto simpatico (assieme ad altri di cui il mondo letterario latino è pieno); dall’altra è stata atrocemente condannata nel più antico trattato di retorica in lingua latina a noi mai pervenuto Rhetorica ad Herennium come pessimo esempio di retorica.

giovedì 17 novembre 2011

Governo Monti: il premier presenta la lista dei ministri

     Risale a ieri 16 novembre 2011 la presentazione, da parte del neopremier Mario Monti, della nuova squadra di governo che dovrebbe governare fino al 2013 con l’esplicito obiettivo di risanare la crescita economica dell’Italia. Dopo aver accettato definitivamente l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri, Monti ha dato lettura dei ministri del nuovo governo in conferenza stampa, sottolineando quella che lui stesso ha definito «la logica di questo governo», ovvero «mettere al centro le iniziative coordinate per la crescita e lo sviluppo».
     La lista comprende 17 tecnici, tra avvocati, militari, ambasciatori, ingegneri, medici… Dei 17 ministri, di cui 5 sono senza portafoglio, si può leggere una breve biografia, tra l’altro, nei due articoli pubblicati rispettivamente da la Repubblica e da Il fatto quotidiano. Elenco di seguito la lista di questi ministri con il rispettivo dicastero:

Ministri con portafoglio
Mario Monti: Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Economia e delle Finanze
Anna Maria Cancellieri: Ministero dell’Interno
Giulio Terzi di Sant’Agata: Ministero degli Affari esteri
Paola Severino: Ministero della Giustizia
Francesco Profumo: Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca
Renato Balduzzi: Ministero della Salute
Giampaolo Di Paola: Ministero della Difesa
Corrado Passera: Ministero dello Sviluppo economico e Ministero delle infrastrutture e trasporti
Corrado Clini: Ministero dell’Ambiente
Marco Catania: Ministero della Politiche agricole e forestali
Elsa Fornero: Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
Lorenzo Ornaghi: Ministero per i Beni e le attività culturali

Ministri senza portafoglio
Piero Giarda: Rapporti con il Parlamento
Fabrizio Barca: Coesione territoriale
Andrea Riccardi: Cooperazione internazionale
Enzo Moavero Milanesi: Affari europei
Piero Gnudi: Turismo e sport

     Nella prima riunione il premier Monti proporrà la nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio di Antonio Catricalà. Comincia così questa nuova parentesi della storia del nostro paese, che si propone, più che all’insegna dell’apoliticità, come pure si conviene a ogni governo tecnico, alla collaborazione dei “tecnici” con le forze politiche, senza il clima di inasprimento che ha caratterizzato gli scontri di fazione degli ultimi tempi. Intanto i più scettici gridano già al governo in mano alle banche. Staremo a vedere…

domenica 13 novembre 2011

Berlusconi si dimette, ma l’Italia resta appesa a un filo


     Risale a poche ore fa quella che non si esagera a definire una delle notizie più significative per l’Italia negli ultimi vent’anni, notizia che è di dominio pubblico non solo nel nostro paese, ma proprio in tutto il mondo: il 12 novembre 2011 Silvio Berlusconi, dominatore della scena politica italiana dal 1994, ha dato le sue dimissioni.
     Anche senza cercare volutamente, in rete, in TV e dovunque in ogni angolo del paese si può essere informati sui dettagli della serata: dell’arrivo di Berlusconi a Palazzo Grazioli per un colloquio col Capo dello Stato Giorgio Napolitano; delle grida a suon di «Buffone!» e «In galera!» dei cittadini che si sono riversati in strada, tenuti a bada dalle forze dell’ordine; dei festeggiamenti di quegli stessi cittadini che hanno esultato fino alle 3 del mattino neanche l’Italia avesse vinto i mondiali; dell’approvazione della legge di stabilità che questo governo è stato costretto a varare e che deve contenere, secondo le richieste dell’Unione Europea, il maxi-emendamento con i punti necessari per risollevare il paese dalla crisi economica in cui versa da tempo. Si può sentir parlare dovunque anche di questo nuovo governo tecnico, nominato in via provvisoria dal Presidente della Repubblica e guidato da Mario Monti, economista bocconiano nominato ad hoc senatore a vita il 9 novembre scorso, in attesa della stabilizzazione del quadro politico.
     La situazione è così delicata che nei prossimi giorni l’attenzione dei cittadini potrebbe addirittura mettere da parte Grandi Fratelli, Barbare D’Urso e Marie De Filippi! Dovunque si sente dire che l’Italia sta attraversando una vera e propria fase di transizione, che l’egemonia berlusconiana è finita e che il “premierato assoluto” non è più un pericolo verosimile. I più tenaci si sono perfino divertiti a stendere statistiche: il numero dei giorni che Berlusconi ha passato alla guida del paese che rendono il suo un periodo di governo paragonabile solo a quelli di Giolitti e Mussolini; il numero di processi giudiziari accumulati in questi anni e mai risoltisi con un’assoluzione come Dio comanda; i miliardi che il Cavaliere ha guadagnato, evaso, pagato per corrompere e comprare giudici, avvocati, parlamentari e per i suoi divertimenti personali (e illegali) sotto forma di (troppo) giovani escort… In effetti ce ne sarebbe da dire per fare il riepilogo della situazione. Ma niente fretta: per queste cose c’è tempo!


     Di sicuro oggi è una data storica per il nostro paese, questo sì, ma lasciamo un attimino da parte i sogni idilliaci che tutti vorremmo fare ora che apparentemente “Annibale non è più alle porte”, e dimentichiamoci per adesso anche di tutti i retroscena del reality show di Casa Berlusconi, per concentrarci un secondo sui veri protagonisti di questa vicenda quasi ventennale: noi! Perché chiariamo una cosa: qui non stiamo assistendo al solito servizio di cronaca politica riferito allo sperduto paesino dell’altra parte del mondo, cui magari guardiamo con quel misto di curioso voyeurismo e ingenua indifferenza. Qui si parla di noi: del panettiere sotto casa, del figlio del professore, dello studente universitario, della donna delle pulizie, del maresciallo dei Carabinieri… quella gente lì. È su di loro che va puntato l’occhio di bue, perché sono loro ad essere in gioco.
     Se c’è un momento buono per farsi un esamino di coscienza in qualità di cittadini, è questo. E lo dico perché la tentazione più forte che viene in questo momento è quella di pensare che finalmente ci siamo liberati dai cattivi che sono usciti di scena e dai quali non potevamo difenderci perché, poverini, come potevamo sapere certe cose? Lo dico anche perché c’è la tentazione di rimettere nelle mani dei neogovernanti la situazione del futuro sempre perché noi, poverini, cosa ne possiamo sapere di politica? Se la vedessero loro! Ebbene, è proprio in questo che sbagliamo! È questa la crisi vera del nostro paese, quella che viene prima di quella economica: la crisi culturale! Abbiamo avuto pessimi governi anche perché siamo stati pessimi cittadini. Vuoi per mancanza di un’adeguata educazione o istruzione; vuoi perché forse ci portiamo ancora dietro quella parcellizzazione multiculturale in cui siamo andati avanti storicamente, dai tempi dei Comuni, e quindi un popolo vero, ancora dobbiamo imparare ad esserlo; vuoi perché per pura coincidenza in questi anni la maggior parte della gente è nata menefreghista e non voleva sentirsi addosso quel fastidioso peso che si chiama “dovere civico” e allora ha preferito lavarsene le mani e smettere di interessarsi agli affari del paese. La colpa è anche nostra, quindi siamo anche noi a dover cambiare! Troppo facile aspettare che l’Unione Europea ci bacchetti la squadra di governo, come si farebbe con un bambino cattivo che ha fatto la marachella, e subito ubbidire per paura che ci mettano in punizione! In tutti questi anni ci siamo rifiutati letteralmente di fare attenzione a ciò che accadeva sotto i nostri occhi, ci siamo fatti crescere a pane e televisione, ci siamo fatti rintontire dalle veline e dal gioco dei pacchi! E quelle poche volte che ci si è azzardati a parlare di politica, lo si è fatto solo per prendere a parolacce l’avversario. E intanto la verità ci scivolava tra le mani, una verità la cui urgenza è oggi più forte che mai: che cioè non abbiamo un cavolo da festeggiare, e per tanti motivi.
     In primis perché il fatto che Berlusconi non si ricandidi alle prossime elezioni non vuol dire che sia uscito di scena, né che abbia smesso di esercitare la sua influenza sugli aspetti più importanti del paese: nelle sue mani ci sono ancora la quasi totalità dei mezzi di comunicazione di massa, giornali, editoria, cinema, solo per citare quelli più rilevanti, perché è noto a tutti che il suo impero economico è immenso. E una delle prove più concrete che un uomo possa manovrare le redini di uno stato anche se non è direttamente al potere ce l’abbiamo, nostro malgrado, ancora sotto i nostri occhi; una prova ingobbita dalla vecchiaia e imbruttita dalle scelleratezze che puzzano di mafia: Giulio Andreotti! Inoltre Berlusconi è ancora indagato per molti processi e non credo che si sia arreso e abbia rinunciato a cercare quella protezione che finora l’ha tenuto dall’altra parte delle sbarre. Infine non credo nemmeno che ora che non è più premier abbia intenzione di andarsi a mangiare tutti i soldi accumulati in questi decenni su una spiaggia delle Seychelles. Quindi in campana, perché il Cavaliere non è sceso dal palco, ma aspetta solo dietro le quinte.
     Altro motivo per cui non c’è nulla da festeggiare è che, abituati come siamo a basare i nostri giudizi sulle “antipatie o simpatie a pelle”, noi non sappiamo votare. Non siamo proprio capaci di usare lo strumento del voto. Questa cosa fu secondo me ben spiegata da Daniele Luttazzi nel suo monologo Decameron, quando diceva che l’elettorato (non solo italiano) di oggi vota in base a suggestioni emotive e che il politico che viene eletto è quello che sa raccontare meglio la sua storia personale (ancora puzza di reality show, come vedete: il meccanismo è quello, non c’è niente da fare). Quindi anche riavendo la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti non potremmo basarci su altro che sulla fortuna, giacché i più di noi o non sono informati sui candidati, preferendo votare per sentito dire e voci di corridoio, o sono proprio disinteressati nei confronti dell’esperienza della scelta in sé, con la scusa – pericolosissima a livello ideologico – che “tanto son tutti uguali”. Abbiamo bisogno di essere formati a fare i cittadini: i bambini di adesso ne hanno bisogno e a scuola dovrebbero studiare anche questo.
     Ancora, la politica italiana, così come in altri paesi, è un sistema quasi in stallo bloccato sulla gerontocrazia e su sistemi clientelari troppo radicati perché siano messi in crisi dalle dimissioni di un solo premier. Senza contare il fatto che, con la sfiducia verso le istituzioni in generale, in politica si candida sempre meno gente per bene e solo quelli che hanno qualcosa da arraffare hanno il coraggio di proporsi.
     La ripresa economica auspicata dalla legge di stabilità, poi, non può ripristinare lo status quo nel giro di poco tempo: per riportare un paese in una condizione decente occorre del tempo perché le forze in gioco sono molte e molto diverse, con esigenze diverse e capacità diverse, e questo significa che ci aspettano tempi duri. Se pensiamo che oggi la Germania, paese dove la burocrazia è molto più veloce, ancora sta lavorando per la ricostruzione delle aree venute fuori dalla guerra, cosa vuoi sperare che in Italia si sistemi tutto in quattro e quattr’otto?

     Ci sarebbero molti altri motivi, ma credo di aver espresso il mio punto di vista. L’esperienza berlusconiana degli ultimi 17 anni non è il primo caso di un paese che si mette in ginocchio da solo e, stando alle statistiche storiche, non sarà nemmeno l’ultimo. Tuttavia ci ha lasciato una lezione da imparare: ci ha mostrato quanto siamo volubili, vulnerabili, ci ha fatto vedere quanto è facile convincere la gente a fare scelte sbagliate facendole addirittura credere di aver fatto la cosa giusta; ci ha dato la dimostrazione di quanto lontani dalla legalità e dalla giustizia si possa arrivare a causa degli interessi personali di una sola persona (non dico di un’oligarchia, ma di un singolo uomo!); ci ha dato la prova che alla gente si può nascondere la verità in modo da non tenerla informata su ciò che è bene fare in futuro usando uno strumento semplice e diffusissimo come la televisione. È un’esperienza fresca questo berlusconismo, ce l’abbiamo davanti a noi. Dobbiamo imparare da questa esperienza, dobbiamo cambiare come popolo. Dobbiamo far funzionare la storia. Solo chi è attento ai fatti è in grado di giudicarli bene e regolarsi nel migliore dei modi per non farsi danneggiare. Non è un caso, per esempio, che da quando Berlusconi è asceso al potere una delle categorie più ostacolate sia stata quella dei comici: la satira, infatti, con la scusa delle risate, esamina i fatti storici e ne fornisce un punto di vista: Luttazzi, Guzzanti, Rossi sono tutti nomi che non hanno lavorato più sulle reti nazionali (o ci hanno lavorato con una certa censura) proprio perché nei loro monologhi illustravano cose che si aveva l’interesse a tener nascoste. Perché mai un Paolo Rossi, per esempio, sarebbe stato così profetico già nei primi anni novanta, quando il fenomeno Berlusconi non aveva raggiunto le dimensioni titaniche degli ultimi tempi?


Mi sovviene un passo di Primo Levi che diceva:
Ogni tempo ha il suo fascismo. […] E a questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine.

     Gli entusiasmi, teniamoli a freno. È presto per cantar vittoria o per festeggiare, siamo ancora appesi a un filo. Non è ancora tempo di aggiornare i libri di storia: è tempo di rileggerli.


mercoledì 9 novembre 2011

Scripta manent, n. 11 - L’exul immeritus


     Nel 1302 il Sommo Poeta Dante Alighieri, da tempo entrato in politica e sostenitore di tesi scomode per l’attuale governo fiorentino, veniva condannato in contumacia all’esilio con ben due sentenze grazie a una lurida trappola politica organizzata dal papa Bonifacio VIII e dall’allora podestà di Firenze Cante Gabrielli. Con la condanna, piovuta addosso all’improvviso e senza che potesse fare nulla, Dante non potette mai più ritornare in patria, quella patria che gli aveva fatto tanto male e che gli aveva procurato tante ingiustizie, ma che egli, nonostante tutto, amava pur nel suo disprezzo. Nel giorno 19 maggio1315, dopo 12 anni di peregrinazioni passati a elemosinare ospitalità e riparo in giro per l’Italia, il Comune di Firenze approva un’amnistia per coloro che erano stati esiliati o carcerati negli anni addietro, nessuno escluso. Il Poeta viene prontamente informato e riceve diverse lettere, di cui una da uno sconosciuto “amico fiorentino” che egli chiama pater (padre), forse poiché si tratta di un religioso avente legami con la famiglia di Dante (alcuni pensano al nipote Niccolò di Fusino di Manetto Donati, figlio di un fratello di Gemma Donati, moglie del Poeta); nelle lettere Dante è avvisato che i condannati negli anni precedenti sarebbero potuti ritornare a Firenze, ma alle seguenti condizioni: i “colpevoli” avrebbero dovuto pagare una multa e, il giorno 24 giugno, in occasione della festa del patrono di Firenze, avrebbero compiuto un tragitto in processione dal carcere fino al Battistero di San Giovanni, a piedi scalzi, vestiti con un sacco e con in testa una mitra fatta di carta su cui sarebbe stato scritto il reato che avevano compiuto; in una mano avrebbero portato un cero acceso, nell’altra una borsa piena di denaro; se al momento dell’emanazione del provvedimento i rei non erano in carcere (come Dante), avrebbero dovuto simbolicamente toccare col piede la soglia del carcere e presentarsi al tempio, senza la mitra in testa.
     Dante sa bene di essere innocente e che il suo esilio è frutto di una macchinazione fatta per allontanarlo da Firenze al fine di evitare che persone come lui potessero ostacolare il programma dei guelfi neri. Egli è un exul immeritus, un esule che non meritava l’esilio… Tuttavia, vuole anche ritornare a casa: è stanco di girovagare per la penisola, nella disonorevole condizione di apolide, lontano dalla famiglia, senza una casa sua e privato dei suoi affetti. La sola strada che gli viene proposta è affrontare la vergogna e chiedere scusa davanti a tutti per una colpa mai commessa. Il Poeta deve decidere e non ci pensa due volte: rifiuta! Mai un uomo come lui si sarebbe sporcato la dignità a scendere a patti così vili: non avrebbe fatto come Ciolo degli Abati, condannato nel 1291 contumace proprio come Dante, ma che a differenza del Poeta fu assolto proprio grazie a un’amnistia simile a questa.
     Decide di rispondere a questo amico comunicandogli la sua decisione in una lettera. Si tratta della prima lettera che lessi di Dante al Liceo e fu quella che mi fece innamorare del Dante uomo. L’incredibile dedizione ai propri valori, difesi così strenuamente, esercitarono su di me un enorme fascino! La lettera, conosciuta come Epistula XII, scritta in latino, è nota solo grazie a Giovanni Boccaccio che la riportò nel più antico codice epistolario di Dante, noto come Zibaldone Laurenziano (perché conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze) in cui sono scritte anche le Egloghe del Sommo Poeta. Ecco come Dante Alighieri rispondeva alla proposta dei suoi avversari…

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[All’amico fiorentino]

     Nelle vostre lettere ricevute con la debita riverenza e affetto, ho con animo riconoscente e con diligente attenzione appreso quanto vi stia a cuore il mio ritorno in patria; e quindi tanto più strettamente mi avete obbligato, quanto più raramente agli esuli accade di trovare amici. In particolare richiedo affettuosamente che la mia risposta al comunicato di quelli sia vagliata sotto il vostro parere, prima che sia giudicata, anche se forse non sarà quale la pusillanimità di qualcuno vorrebbe.
     Ecco dunque ciò che per mezzo delle lettere vostre e di mio nipote e di parecchi altri amici mi fu comunicato per mezzo del decreto da poco emanato in Firenze riguardo l’assoluzione dei banditi: che se volessi pagare una certa quantità di denaro e volessi sopportare la vergogna dell’offerta, potrei essere assolto e rientrare con effetto immediato. In verità nella comunicazione ci sono, o padre, due cose degne di derisione e mal consigliate; dico mal consigliate a causa di coloro che hanno esposto tali cose, infatti le vostre lettere redatte con più discrezione e con più meditazione non contenevano nulla di tutto ciò.
     È dunque questa l’assoluzione concessa con la quale è richiamato in patria Dante Alighieri, che per quasi tre lustri ha patito l’esilio? Questo ha meritato un’innocenza nota a tutti? Questo ha meritato il sudore e la fatica ininterrotta nello studio? Sia lontana da un uomo imparentato alla filosofia una bassezza d’animo tanto sconsiderata da sopportare di consegnarsi quasi fosse un galeotto, a mo’ di un Ciolo qualunque e di altri infami! Sia lontano da un uomo che predica la giustizia che, dopo aver patito fior fior di offese, paghi il suo denaro a quelli stessi che l’hanno offeso, come se lo meritassero!
     Non è questa la via del ritorno in patria, padre mio; ma se prima o poi per mezzo di voi o di altri ne verrà trovata un’altra che non deroghi alla fama e all’onore di Dante, quella accetterò a passi svelti; di conseguenza se per nessuna tale via s’entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai. E perché no? Non ammirerò forse dovunque l’immagine del sole e delle stelle? Non potrò forse indagare le dolcissime verità dovunque sotto il cielo, a meno che prima non mi restituisca disonorato e ignominioso all’infimo popolo e alla città di Firenze? Né di certo mi mancherà il pane.

Dante Alighieri, Epistulae, XII



     La versione originale della lettera, così come fu scritta da Dante.

[Amico Florentino]

     In litteris vestris et reverentia debita et affectione receptis, quam repatriatio mea cure sit vobis et animo, grata mente ac diligenti animadversione concepi; et inde tanto me districtuis obligastis, quantum rarium exules invenire amicos contingit. Ad illarum vero significata responsio, etsi non erit qualem forsan pusillanimitas appeteret aliquorum, ut sub examine vestri consilii ante iudicium ventiletur, affectuose deposco.
     Ecce igitur quod per litteras vestras meique nepotis nec non aliorum quamplurium amicorum, significatum est michi per ordinamentum nuper factum Florentie super absolutione bannitorum quod si solvere vellem certam pecunie quantitatem vellemque pati notam oblationis, et absolvi possem et redire ad presens. In qua quidem duo ridenda et male preconsiliata sunt, pater; dico male preconsiliata per illos qui talia expresserunt, nam vestre littere discretius et consultius clausulate nichil de talibus continebant.
     Estne ista revocatio gratiosa qua Dantes Alagherii revocatur ad patriam, per trilustrium fere perpessus exilium? Hocne meruit innocentia manifesta quibuslibet? hoc sudor et labor continuatus in studio? Absit a viro phylosophie domestico temeraria tantum cordis humilitas, ut more cuiusdam Cioli et aliorum infamium quasi vinctus ipse se patiatur offerri! Absit a viro predicante iustitiam ut perpessus iniurias, iniuriam inferentibus, velut benemerentibus, pecuniam suam solvat!
     Non est hec via redeundi ad patriam, pater mi; sed si alia per vos ante aut deinde per alios invenitur que fame Dantisque honori non deroget, illam non lentis passibus acceptabo; quod si per nullam talem Florentia introitur, numquam Florentia introibo. Quidni? nonne solis astrorumque specula ubique conspiciam? nonne dulcissimas veritates potero speculari ubique sub celo, ni prius inglorium ymo ignominiosium populo florentineque civitati me reddam? Quippe nec panis deficiet.