domenica 30 giugno 2013

Abbonarsi ad “Altreconomia” a soli € 38 l’anno: ecco perché conviene

     Se c’è una cosa che abbiamo imparato dall’attuale crisi finanziaria è che l’economia è piena di paradossi. Può esistere (ed esiste) un modo sbagliato di fare economia, si possono compiere scelte sbagliate riguardo la gestione del denaro e anche delle risorse ambientali. Più che mai questi temi – la gestione del denaro in casa e nei governi e l’uso delle risorse del territorio – sono urgentissimi, perché viviamo in una società in cui ancora non ci si vuole mettere in testa che domani potremmo non avere più ciò che abbiamo oggi.
     Passo passo, le politiche mondiali e le mafie stanno togliendo ai popoli la possibilità di accedere alle risorse. Un esempio: la gestione dell’acqua. Un referendum recentissimo in Italia ha stabilito che questa risorsa dev’essere gestita pubblicamente e invece nella quasi totalità dei comuni della nostra penisola questa è ancora un’utopia e sono i privati ad avere le redini di questo mercato, coi prezzi che vogliono loro. Altro esempio, su scala quotidiana questa volta: molti di noi non sono capaci di gestire le risorse di casa propria e spendono un sacco di soldi in bollette perché non hanno un culto, un’educazione “economica”, nella sua accezione più pura. La parola economia viene infatti dalle parole greche òikos, che è la casa, e nòmos, che è la legge, l’amministrazione. Quindi economia significa “gestione delle cose domestiche”.

     Ebbene, esiste in Italia una rivista molto competente che si occupa dei paradossi, dei problemi e anche delle iniziative dell’economia, nella sua accezione più ampia e completa. Questa rivista si pone contro l’economia dominante, fatta di speculazioni finanziarie e di sprechi casalinghi e si propone di fornire al lettore un modello diverso e più pulito di gestione delle risorse, che permetta di risparmiare sulle bollette, ma anche di avere un territorio più pulito o semplicemente di informare i cittadini sulle decisioni prese dalla grande politica (nazionale e mondiale) riguardo questioni economiche rilevanti. Il suo nome è, ovviamente, Altreconomia.


     Come specificato nel suo manifesto, gli obiettivi che Altreconomia si propone sono molti: essa vuole fornire ai lettori informazioni riguardanti le imprese che producono beni che possono potenzialmente danneggiare il mercato (le grandi industrie, le aziende, le multinazionali…), per sapere se e quanto convenga comprarne i prodotti; vuole anche far conoscere ai lettori quegli eventi e quelle campagne di “resistenza” fatte per difendere i diritti dei consumatori, affinché si possa essere tutelati quando si compra; ma soprattutto vuole educarci a consumare in modo sostenibile per far rispettare le nostre persone e la terra in cui viviamo. Altreconomia è portatrice di un modello di economia sano e pulito che è importantissimo conoscere e applicare nella vita di tutti i giorni e da cui abbiamo solo da guadagnare.

     La rivista fornisce inoltre anche delle mini guide, dei manualetti tascabili a costo molto basso (3 euro, 4 euro...) dedicati a problemi e tematiche ricorrenti, come per esempio Guida alla spesa responsabile, oppure L’energia che ho in mente, o ancora Zero rifiuti… Esse sono acquistabili dal sito e per i soci esiste anche uno sconto.

     I nobili intenti di Altreconomia non sono la sola cosa che la contraddistingue nel panorama del giornalismo e dell’informazione impegnata. Questa rivista infatti non riceve alcun sovvenzionamento statale né da parte di privati, nemmeno da quegli sponsor che darebbero molti soldi ma hanno politiche contrarie al manifesto che Altreconomia si pone. Ecco perché Altreconomia vive esclusivamente grazie ai suoi lettori. È quindi molto vantaggioso abbonarsi e farsi arrivare direttamente a casa a casa i numeri di questa agevole e utilissima raccolta di articoli ogni mese.

     Abbonarsi ad Altreconomia è una cosa facilissima e costa veramente poco. Pensate: un abbonamento annuale costa solo 38 euro (comprese le spese di spedizione!). Basta cliccare su questa pagina per sapere come fare. Per chi vuole o può pagare solo in contanti, esiste la possibilità di pagare con conto corrente bancario o comodamente in posta tramite conto corrente postale intestato a 

Altra Economia Soc. Coop.
IBAN: IT18 Y050 1801 6000 0000 0100 814 su Banca Etica
Conto corrente postale numero: 14008247

... e il gioco è fatto!

     Se avete domande o dubbi e volete informazioni di qualunque tipo, ecco l’elenco degli indirizzi e-mail a cui potete scrivere, dei recapiti telefonici e del fax. Vi risponderanno subito, ho provato io stesso.

     Se questa rivista dovesse scomparire andrebbe persa una grande risorsa per i cittadini. Leggendola, invece, permetteremmo a un importante servizio di continuare a svolgere la sua funzione educatrice e informatrice.

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sabato 29 giugno 2013

Saluto a Margherita Hack, astrofisica e donna impegnata

     L’Italia perde un’altra perla del suo panorama scientifico. Dopo la scomparsa della Montalcini, muore poche ore fa (alle 4:30 di oggi 29 giugno) l’astrofisica di fama mondiale Margherita Hack. I problemi cardiaci di cui soffriva da tempo l’avrebbero costretta al ricovero, tenuto segreto, in ospedale, ma non è bastato: a 91 anni compiuti lo scorso 12 giugno, la scienziata delle stelle si addormentata un’ultima volta.
      Margherita Hack, classe 1922, fiorentina, si è distinta per una miriade di attività e pubblicazioni. La sua attività di studiosa degli astri l’ha consacrata alla fama in tutto il mondo: si occupava principalmente di spettroscopia stellare e per anni ha catalogato le stelle del cosmo, contribuendo inestimabilmente ad ampliare le conoscenze dell’astronomia, al punto che in suo onore è stato dato all’asteroide 1995 PC, scoperto dagli italiani Boattini e Tesi, il nome di 8558 Hack. Margherita era membro della Royal Astronomic Society, dell’Unione internazionale astronomi e dell’Accademia dei Lincei e nel suo curriculum figurano perfino collaborazioni con la NASA! Si è fregiata del merito di essere stata la prima donna italiana ad aver condotto un osservatorio astronomico: nel 1980 all’Università di Trieste fonda un istituto (poi dipartimento) di astronomia, che dirige per 10 anni, fino al 1990.
     Questa indomabile donna, che per decenni ha continuato imperterrita nel suo lavoro di ricerca, ha avuto un ruolo di prim’ordine nell’attività di divulgazione scientifica, attraverso le sue numerosissime opere in cui non ha mai disgiunto l’astrofisica vera e propria dall’uso culturale e spirituale che l’umano ne ha fatto nel tempo. Molti i titoli esemplificativo a questo proposito, come Il lungo racconto dell'origine. I grandi miti e le teorie con cui l'umanità ha spiegato l'universo, o La stella più lontana. Riflessioni su vita, etica e scienza.


     Ma Margherita è ricordata anche per il suo convinto ateismo. Non ha mai voluto credere in alcuna entità soprannaturale, non ha mai portato alcuna avversità ai credenti, di cui rispettava la fede, ma si è sempre schierata contro l’abuso del concetto di Dio per spiegare cose che sono invece oggetto dell’indagine scientifica umana e, ancora, ha sempre voluto sottolineare come il comune e spontaneo sentimento di fratellanza nella specie umana porta e deve portare al rispetto verso il prossimo senza che un’etica religiosa come quella cristiana possa imporcelo come una propria invenzione esclusiva. Per lei il messaggio del Cristianesimo è già perfettamente insito nella natura umana, dunque l’etica non è una concessione della religione, bensì una dotazione innata e un prodotto di una cultura laica, che non ha bisogno di inventarsi un dio per poterla giustificare.


     Le sue battaglie però non erano solo all’insegna dei numeri e dello studio. Ben altro è stato l’impegno di Margherita Hack: la scienziata si è infatti occupata di temi bioetici e di diritti. Era infatti favorevole al riconoscimento dei diritti per le coppie omosessuali e si è sempre detta un’accanita animalista (casa sua era popolata da un cane e ben otto gatti!) e, ovviamente, una fervente vegetariana. Parimenti si è schierata a favore dell’eutanasia, che riconosce come un diritto dell’individuo ed ha ovviamente sottoscritto il proprio testamento biologico.


     Politicamente la Hack è sempre stata vicina alla sinistra antifascista ed è nota a tutti la sua ferrea e dura avversione a Silvio Berlusconi e al berlusconismo. Margherita non è mai stata tenera nei confronti dei governi Berlusconi, di cui ha sempre denunciato l’incompetenza e la degenerazione morale e la corruzione dei costumi istituzionali.


     Non si contano i riconoscimenti che questa scienziata eccelsa e donna straordinaria ha avuto nella sua vita: cinque cittadinanze onorarie, medaglia d’oro ai benemeriti della scienza e della cultura, dama di gran croce all’Ordine al merito della Repubblica italiana, premio Accademia dei Lincei, premio cultura della Presidenza del Consiglio, personaggio gay dell’anno, presidente onorario dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti…


     Aveva conosciuto suo marito 80 anni fa ed è rimasta sposata con lui per ben 7 decadi. Ora si parla del suo ricongiungimento con le stelle, che tanto ha osservato in vita e qualcuno la immagina giocosamente davanti a Dio cercando di convincerlo a diventare ateo. Dovunque lei sia, grazie per ciò che ha fatto.






martedì 25 giugno 2013

JP Morgan contro la democrazia antifascista: «Le costituzioni europee tutelano troppo»

     È da choc quanto riportato su un rapporto diffuso dalla JP Morgan Chase & Co., una società finanziaria di New York, in cui si analizzano vari aspetti della crisi economica nell’area europea. In un paragrafo, in particolare, gli analisti di questa banca accusano le Costituzioni dell’Europa meridionale di essere eccessivamente democratiche per le politiche economiche di austerità che si vogliono imporre, perché nate come opposizione ai regimi dittatoriali e, in quanto tali, danno troppe tutele ai lavoratori e ai cittadini. Ma andiamo con ordine…
     La crisi economica mondiale che tutti conosciamo è cominciata, come qualcuno saprà, negli Stati Uniti, a causa di alcuni “errori” e mosse azzardate da parte di certi colossi finanziari. Tra questi c’è appunto la JP Morgan Chase & Co., riconosciuta pesantemente responsabile della crisi dei mutui subprime, ovvero la crisi finanziaria di fine 2006 che negli USA diede vita alla crisi economica mondiale odierna (i mutui subprime, giusto per capirci, sono mutui che negli USA vengono concessi a debitori che hanno una cattiva storia creditizia, fatta di insolvenze, pignoramenti, fallimenti e che quindi godono di condizioni sfavorevoli – come tassi di interesse molto alti – a causa della loro “inaffidabilità” di pagatori).
     Dopo che la crisi dei subprime prese piede, si produssero nel mercato finanziario mondiale tutte le conseguenze che in buona parte conosciamo anche noi e che hanno portato alla disumana moda delle politiche di austerità, ovvero quelle politiche basate sui tagli e sulle negazioni di diritti precedentemente garantiti dalla legge dei paesi democratici. Non a caso nel 2012 la Procura di New York ha denunciato per frode Bear Sterns e Emc Mortgage, che appartengono proprio al gruppo JP Morgan, a causa della crisi dei subprime.
     Il 28 maggio scorso viene rilasciato il succitato rapporto degli analisti di questa banca sulla crisi in Europa (rapporto che troverete linkato alla fine di questo articolo e intitolato The Euro Area Adjustment: About Halfway There). Ebbene, ecco cosa si legge nel paragrafo intitolato Il percorso delle riforme politiche nazionali (The Journey of National political reforms, pag. 12):
     Al cominciare della crisi, si riteneva generalmente che i problemi di eredità nazionale fossero di natura economica. Ma, non appena la crisi si è sviluppata, è divenuto chiaro che ci sono profondi e radicati problemi politici nella periferia [allude alla periferia della zona europea], che, nella nostra visione, ha bisogno di cambiare se l’UEM [Unione economica e monetaria] funzionerà correttamente nel lungo termine.


     I sistemi politici nella periferia [dell’Europa] sono stati instaurati all’indomani della dittatura, e sono rimasti segnati da quell’esperienza. Le costituzioni [dei paesi della periferia] tendono a mostrare una forte influenza socialista, riflettendo la forza politica che i partiti di sinistra acquisirono dopo la sconfitta del fascismo. I sistemi politici della periferia presentano tipicamente molte delle seguenti caratteristiche: esecutivi deboli [intende deboli nei confronti dei parlamenti]; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutela dei diritti dei lavoratori garantita dalle costituzioni; sistemi di costruzione del consenso che promuovono il clientelismo; e il diritto di protestare se cambiamenti non voluti vengono apportati allo status quo della politica. Le mancanze di questa eredità politica sono state messe in evidenza dalla crisi. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel perseguire riforme fiscali ed economiche, con governi limitati dalle loro stesse costituzioni (Portogallo), dal potere delle regioni (Spagna), e dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia).

     C’è una stima di crescita dell’estensione di questo problema, sia nel centro che nella periferia. Il cambiamento sta cominciando a prendere piede. La Spagna ha fatto dei passi per indirizzare alcune delle contraddizioni del risvolto postfranchista con la legislazione dell’ultimo anno attivando un controllo fiscale più forte delle regioni. Ma fuori dalla Spagna ben poco di simile si è verificato. La prova chiave nell’anno a venire si verificherà in Italia, dove il governo ha chiaramente un’opportunità di ingranare riforme politiche piene di significato. Ma, nei termini dell’idea di un percorso, il processo di riforma politica è cominciato a stento.

(Grassetti e note in parentesi quadra sono mie)


          Dunque, diversamente dalle farse e dai teatrini che i governi mondiali inscenano per imboccarci a suon di storielle i veri obiettivi delle politiche finanziarie che hanno in mente, JP Morgan parla chiaro: in Europa c’è troppa democrazia nelle leggi. E lo dice così, esplicitamente, senza vergogna: le leggi che questo colosso della finanza definisce “socialiste” e che in realtà sono semplicemente democratiche sarebbero un ostacolo, secondo questi analisti finanziari, all’uscita dalla crisi del debito. Le costituzioni antifasciste non vanno bene per questi signori del signoraggio… Leggi che scaturiscono da decenni di lotte e conquiste fatte col sangue. Sono quelle conquiste che mirano a tutelare i soggetti più deboli della società e i loro diritti, quei diritti che stiamo perdendo proprio a causa degli errori di questi “esperti”: pensiamo alla riforma Fornero, che ha cancellato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un articolo che difendeva il lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato; o pensiamo ai tagli fatti alla sanità e alla scuola, che sono appunto diritti delle persone, e che adesso stanno diventando sempre più inaccessibili, pensiamo a Cipro, dove la finanza ha imposto il prelievo forzoso di denaro dai conti correnti dei risparmiatori per pagare i debiti contratti dallo stato; pensiamo alla Grecia, dove la Troika ordina il licenziamento di migliaia di persone alla volta o costringe la gente a lavorare (senza adeguamento di stipendio) più ore di quante ne stabilisca la legge…
     In questo paragrafo è elencato senza pudore il vero pensiero della finanza mondiale: fare a pezzi le conquiste democratiche per far comandare pochi, impoverendo molti. JP Morgan (e con essa tutti i mostri della finanza mondiale) vorrebbe che i governi potessero introdurre nei paesi tutte quelle riforme che abbassino il costo del lavoro favorendo il licenziamento, riforme di liberalizzazioni, riforme che mirano a togliere allo stato la gestione dei servizi che invece dovrebbero essere secondo loro privatizzati, messi in mani a soggetti non imparziali e che possono gestirne i costi senza riguardo per coloro che non possono permetterseli (e sono la maggior parte). Lo smantellamento della democrazia non è mai stato dichiarato con tanta chiarezza fino ad oggi come in questo documento.

Potete leggere il documento (in inglese) a questi link:


lunedì 24 giugno 2013

Processo Ruby: Berlusconi condannato a 7 anni

     Troneggiava ancora lo striscione commemorativo con Falcone e Borsellino del 9 maggio scorso all’ingresso del Tribunale di Milano stamattina. Quello stesso ingresso presieduto qualche settimana fa dagli esponenti del Pdl (capitanati dal professionalissimo Alfano, nonostante rivestisse il ruolo di Ministro dell’Interno) in segno di protesta contro quella che secondo loro (ovvero secondo il loro leader) è l’accanimento giudiziario più ingiustificato degli ultimi vent’anni.
Una sostenitrice del Cavaliere davanti
al Tribunale di Milano.
    Nel mattino sul corso di Porta Vittoria molti cronisti, sia italiani che stranieri, attendevano la decisione dei giudici, che dovevano emettere la sentenza di primo grado del processo Ruby, che vede imputato Silvio Berlusconi dei reati di prostituzione minorile (nelle vesti di utilizzatore finale) e concussione aggravata. Man mano, anche alcuni “manifestanti” hanno cominciato a popolare la strada: i più sono fautori dell’ex premier, intervistati dai giornalisti e interrogati sul motivo per cui si trovavano lì. Qualcuno si è munito addirittura di bandiera “Forza Italia” e altri gadget per il proprio idolo (compresa una statua della Madonna!). 
     In aula non sarebbe stato presente l’imputato: Berlusconi avrebbe ricevuto la notizia dai suoi avvocati Ghedini e Longo, che lo avrebbero raggiunto in villa dopo la sentenza, per accordarsi, a seconda della decisione, sul da farsi in parlamento, per decidere quale pressione fare al Ministero della Giustizia, se occuparsi solo del processo Mediaset (già finito in Cassazione) e prepararsi per risarcire 560 milioni alla Cir di Carlo De Nenedetti per il lodo Mondadori (su questo i giudici si pronunceranno il 27).
     Poi finalmente arriva la notizia: il collegio dei giudici della IV sezione penale, presieduti da Giulia Turri, hanno deciso: Silvio Berlusconi è colpevole dei reati a lui ascritti. Per lui 7 anni di carcere (un anno di pena in più rispetto a quanto chiesto dall’accusa), più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E, ovviamente, il pagamento delle spese processuali.

Ruby durante una sua esibizione.

     Berlusconi si è sempre difeso, anche laddove era imbarazzante la sua versione. Molte le contraddizioni della sua versione: per esempio, diceva di non sapere che Ruby fosse minorenne, ma al Pdl volevano abbassare il limite della maggiore età a 16 anni con effetto retroattivo per rendere il reato di prostituzione “minorile” non più tale; diceva che ha pagato Ruby solo per aiutarla economicamente ma poi ha giustificato il reato di concussione dicendo che la ragazza fosse la nipote del presidente dell’Egitto Hosni Mubarak, e non si capisce per quale strano motivo la nipote di un capo di stato debba aver bisogno di essere aiutata economicamente… e poi ci sono le intercettazioni. Fiumi e fiumi di intercettazioni. Ne riproponiamo qui alcune delle più “esplicite”, fermo restando che gli atti giudiziari sono liberamente consultabili da tutti.


Ruby dà a un’amica la notizia di essere finita su tutti i giornali.



Ruby confessa di aver ricevuto da Berlusconi la richiesta di “fingersi tonta” in cambio di denaro per non mettere nei guai il Cavaliere. E, aggiunge: «Non ho paura di niente, sto per beccare un sacco di soldi!».



Ruby confessa che Berlusconi conosceva la sua minore età all’epoca dei fatti.



Nicole Minetti si accorda con Lisa Barizonte sull’acquisto della biancheria sexy da usare a quell ache Berlusconi definiva “cene eleganti”.



Finché si ha la possibilità di mentire, si potranno commettere tutti i reati che si vuole.



Qui l’emanazione della sentenza.

sabato 22 giugno 2013

Scavi di Pompei: riapre la Casa degli Amorini Dorati

     Una buona notizia per gli amanti dell’arte e dell’archeologia viene dagli scavi di Pompei, il sito archeologico dell’età romana più famoso al mondo. Risale a ieri, 21 giugno 2013, la riapertura della cosiddetta Casa degli Amorini Dorati, un’abitazione risalente al III secolo a.C., così chiamata a causa del ritrovamento al suo interno di un’incisione raffigurante un amorino su una foglia d’oro, facente parte di alcuni dischi di vetro che decoravano la camera da letto matrimoniale di quello che fu il proprietario, tale Cneus Poppaeus Habitus.
Casa degli Amorini Dorati: il peristilio col giardino.

Scena di triade egiziana con Arpocrate, Iside, Serapide e il dio Anubi.
     La casa, un'abitazione patrizia di un quartiere “in” della Pompei antica, è divenuta famosa per il gran numero di affreschi parietali in “terzo stile” raffiguranti scene per lo più tratte dalla mitologia greca e piene di influssi esotici, per i mosaici pavimentali raffinati e il bel peristilio con giardino; essa è in realtà il frutto di una composizione edilizia, una fusione di due piccole case appartenenti al III e II secolo a.C., riunite, appunto, nel I secolo in un’unica, grande domus, ed è situata nella regione VI (lato nord-ovest degli scavi), nell’insula XVI (le insulae erano gli equivalenti dei nostri condomini). Nel 62 d.C. un terremoto danneggiò alcuni affreschi, ma il proprietario li fece prontamente restaurare “in stile”. L’intero lavoro di ripulitura e restituzione all’antico splendore ha richiesto più di un anno di tempo, ma finalmente ora la casa è visibile ed è già un bagno di folla per i turisti che si sono immediatamente precipitati ad ammirare i tesori artistici che questa costruzione conserva.
     I lavori sono stati eseguiti con fondi della Soprintendenza speciale ai Beni archeologici di Napoli e di Pompei e facevano parte di ordinaria manutenzione: questo significa che il restauro di questa bellissima domus non rientra nel progetto Grande Pompei. La riapertura è stata presentata dalla direttrice degli scavi, Greta Stafani, e dalla direttrice tecnica dei lavori, Carmela Mazza, che, in fase di presentazione, ha annunciato altri due lavori di restauro, riguardanti rispettivamente la Casa dell'Ancora e la Casa dell'Efebo, entrambi parimenti condotti con i fondi della Soprintendenza di Napoli e Pompei.
Scena di Achille tra Patroclo e Briseide.
     Finalmente, dopo le polemiche relative ai crolli e allo stato di semiabbandono di alcune strutture (famoso il caso della Domus dei gladiatori), Pompei si riappropria di un pezzo importante del suo sito: i lavori sono consistiti prima di tutto nel recupero delle pitture murarie che rischiavano di staccarsi e nella loro pulitura dagli agenti corrosivi (in particolare l’umidità); sono inoltre state rifatte le coperture e consolidate le cornici in stucco; non di meno, il restauro ha interessato anche il giardino al centro del peristilio più un secondo giardino minore all’interno della domus.
     È questa una grande occasione per questo straordinario sito archeologico di rilanciarsi e farsi un po’ di pubblicità, dopo un lungo periodo di incuria manutentiva. I turisti che affluiscono quotidianamente agli scavi di Pompei vengono dalle più svariate parti della Terra, a testimonianza dell’imparagonabile valore culturale e artistico di questo posto, che tutto il mondo invidia.
     Per chi volesse dare uno sguardo ad alcuni scatti della Casa degli amorini (prima del restauro), segnalo questa pagina web che raccoglie scatti di architettura e archeologia. Coloro che invece volessero approfittare per fare una capatina da vicino al sito (dove c’è molto altro da vedere), ecco il link del sito degli scavi con gli orari di ingresso e le tariffe dei biglietti.



giovedì 20 giugno 2013

Processo Mediaset: la Consulta nega il legittimo impedimento. Berlusconi finisce in Cassazione

     Quella che la Consulta ha emanato ieri è una decisione che brucia parecchio a Silvio Berlusconi, che stavolta accusa davvero il colpo. Molti sono stati i tentativi di rallentare il processo Mediaset (che attualmente vede il Cavaliere condannato per un’enorme evasione fiscale a 4 anni di carcere, 5 di interdizione dai pubblici uffici, più una maxi multa da saldare al fisco), ma stavolta l’ultimo ostacolo che il “piazzista di Arcore” ha voluto mettere sulla ricerca della verità della magistratura è stato finalmente rimosso: la parola passa ora alla Cassazione, ultimo grado di giudizio, che deciderà se “convalidare” o no la pena inflitta all’ex premier, messosi a capo di una meticolosa organizzazione per non pagare milioni di euro allo stato e crearsi fondi neri all’estero, come emerge dalle numerose «prove orali e documentali» esaminate dai giudici di Milano.
    La decisione della Consulta di rifiutare a Berlusconi l’istanza di legittimo impedimento arriva in un clima e in un momento delicatissimo per molti motivi. In primis perché è la prima volta che Berlusconi si trova a essere condannato anche in secondo grado e costretto ad affrontare la Cassazione con il rischio di essere condannato per davvero; poi perché in questo mese di giugno si attendono altre date importanti dal punto di vista giudiziario per il Cavaliere (per il 24 è prevista la sentenza di primo grado per il processo Ruby, in cui Berlusconi è accusato di concussione e prostituzione minorile; il 26 invece si deciderà per la sua ineleggibilità sulla base di quella tanto vituperata legge del 1957 con cui un titolare di concessioni statali non può candidarsi; il 27 invece Berlusconi potrebbe ritrovarsi a pagare ben 560 milioni alla Cir di Carlo De Nenedetti per il lodo Mondadori); infine, perché dall’eventuale condanna di Berlusconi dipende la stabilità di questo governaccio delle larghe intese, suggellato dal tanto discusso e sorprendentemente rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

     Vediamo la cosa più nel dettaglio: esiste la possibilità per un imputato di sollevare istanza di legittimo impedimento, ovvero di impedire “legittimamente” (cioè con motivazioni giustificabili) che la magistratura lo impegni per le udienze che lo vedono imputato; un politico può fare questo al fine di tutelare gli impegni che egli ha come uomo di stato. Più volte Berlusconi ha chiesto il legittimo impedimento e quando lo si fa normalmente il tribunale che si occupa delle udienze stila un calendario in modo che la persona possa fare il suo lavoro nei giorni in cui deve, e presentarsi in tribunale quando occorre, conciliando le due cose. Più volte «il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento», ma un bel giorno Berlusconi, ancora nei panni di premier e che si trovava proprio a dover presiedere a un’udienza per il processo Mediaset, sposta deliberatamente e senza alcun preavviso e alcuna urgenza reale una riunione del Consiglio dei Ministri proprio nel giorno in cui era stata fissata l’udienza in tribunale. È un modo per viziare il dibattimento e invalidare il processo: infatti, subito, fingendosi gnorri, Berlusconi invoca il legittimo impedimento per non presenziare in aula, bloccando la prosecuzione dell’iter giudiziario.
     La Consulta ha dovuto appunto decidere se quell’impedimento fosse effettivamente “legittimo”. E ovviamente non lo era. Berlusconi ha spostato apposta la riunione nella data già decisa per l’udienza e non si è preoccupato nemmeno di fornire una data alternativa né di giustificare il motivo per cui quella riunione potesse impedirgli di presenziare in tribunale (non esisteva alcuna questione grave o urgente all’ordine del giorno). Una decisione prevedibile e assolutamente inevitabile, che ora costringe Berlusconi a trincerarsi in Cassazione, dove i suoi legali hanno sollevato ricorso, senza nemmeno attendere che la Corte costituzionale si pronunciasse.

     Così, mentre la giustizia annaspa e tenta di arrivare fino in fondo trascinandosi a stento in questa sterpaglia fitta di zavorre cavillose, Berlusconi fa impostare ai suoi la solita strategia: da una parte, infatti, il Cavaliere deve organizzarsi nei confronti della magistratura; dall’altra agli occhi dell’opinione pubblica. Ed ecco subito i suoi fedeli pidiellini mobilitarsi nei soliti stantii moti di indignazione e dichiarazioni che inneggiano all’odio verso i magistrati. Gasparri (quello del «Voto le leggi ma non è che le capisco») se n’è uscito addirittura con un ricatto a dir poco ridicolo: «Se Silvio verrà interdetto tutti i parlamentari del Pdl potrebbero dimettersi da deputati e senatori e lasciare il Parlamento». E subito Galan, Gelmini e Carfagna lo smentiscono… Era troppo bello.
     Come se non bastasse, nasce la ridicola buffonata dell’Esercito di Silvio, fondato da Simone Furlan, un gruppo di fautori del Cavaliere che si propongono di difendere il leader Pdl dagli attacchi delle toghe rosse, portando la “verità” sul Cavaliere in giro per l’Italia attraverso l’“arruolamento” di appositi “comandanti” posti a capo di “reggimenti territoriali” (sì, si esprimono proprio così): qualora la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici fosse confermata dalla Cassazione, l’Esercito di Silvio è deciso a scomodare nientemeno che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, al fine di «sanzionare lo Stato Italiano per avere, mediante una sentenza penale, escluso, limitato, compresso il diritto di circa la metà dell’elettorato del popolo italiano a poter votare e far eleggere il candidato premier del Centrodestra, Silvio Berlusconi».

     Ora, Berlusconi ha bisogno di protezione: in autunno la Cassazione dovrà pronunciarsi in via definitiva sul processo Mediaset e, se confermasse la condanna di secondo grado, per Berlusconi sarebbe finita. Si chiede aiuto a Napolitano, che “deve” difendere l’imputato. I patti erano questi, del resto, quando si è fatto questo governo. Come ricorda quella cima d’un galeotto di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il Capo dello Stato «deve dare assicurazioni e non più tramite ambasciatori: bisogna che i due si incontrino di persona». E poco importa se il Capo dello Stato dovrebbe essere figura super partes; poco importa anche che i poteri non debbano entrare in conflitto e che quindi la magistratura dovrebbe fare il suo lavoro senza che un’altra carica istituzionale le aliti sul collo. Per Sallusti, e altri “professionisti” come lui, è normale che ora quel discolaccio di Silvio vada a piangere da Mamma Napolitano.
     Oppure, com’è più probabile, si cercherà il segreto e malcelato aiuto del Pd: Berlusconi, trovandosi di fronte alla conferma della sentenza da parte della Cassazione e non potendo quindi più rivestire alcuna carica istituzionale per 5 anni, potrebbe cioè sollevare un conflitto in Senato contro la decisione della magistratura e potrebbe chiedere al Pd di appoggiarlo per non farlo condannare, in cambio di qualcosa naturalmente… e se il Pd accettasse perderebbe anche gli ultimi sostenitori rimasti, dopo il tradimento della campagna elettorale dello scorso febbraio, con cui si promise mai e poi mai di allearsi con Berlusconi.

     Nel frattempo il leader Pdl tenta di tenere in vita il governo Letta, provando a mantenerlo fuori dalle polemiche e dagli strali che lancia verso i magistrati e finge che la sua stabilità non dipenda dalle sue vicende giudiziarie: «Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura oramai da vent’anni e che non è riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un’Italia più giusta e più libera». Perché Berlusconi crede che il fatto di essere eletto lo autorizzi a sbandierare, senza prove tra l’altro, la sua innocenza e anche la sua onnipotenza: argomento debole perché, come ricorda il comico Luttazzi, «anche Hitler venne eletto democraticamente».



martedì 18 giugno 2013

Ingroia lascia la magistratura: il “partigiano della Costituzione” riparte con Azione civile

     Quando decise di impegnarsi in politica, tra le varie critiche che miravano a screditarlo c’era l’obiezione che non avrebbe dovuto candidarsi perché tecnicamente era ancora magistrato e quindi si trovava a concorrere contro i suoi stessi imputati. Bene, ora questa obiezione non vale più: Antonio Ingroia, 54 anni, magistrato palermitano allievo di Paolo Borsellino e istitutore del processo sulla trattativa Stato-mafia (processo in cui straordinariamente uno stato processa se stesso), decide di lasciare la magistratura per dedicarsi esclusivamente alla politica.
     Aveva iniziato a dicembre 2012 col suo movimento Rivoluzione civile, nato però troppo a ridosso alle elezioni politiche di febbraio (appena una quarantina di giorni prima) per potersi far conoscere in modo adeguato: nella mente degli italiani erano ancora troppo forti i maxipartiti della seconda repubblica come uniche alternative valide.
     Ora Antonio Ingroia rinnova il suo impegno e annuncia la nascita di Azione civile, il movimento con cui continuerà la sua opera e il suo progetto politico di difesa dei diritti garantiti dalla Carta costituzionale. Ingroia, che è conosciuto come “partigiano della Costituzione”, lancia il suo “allarme democratico” e mette in guardia la società civile contro le modifiche che questo governo vuole effettuare alla nostra legge fondamentale (la Costituzione, appunto), modifiche che cambieranno i nostri diritti sulla carta e che renderanno il nostro paese più vulnerabili ad attacchi legislativi.
     Contemporaneamente, l’ex pm sottolinea l’urgenza di creare una politica “amica della magistratura” poiché solo se il governo collabora con la giustizia si riescono a punire coloro che hanno tradito lo stato, come quei politici che vent’anni fa scesero a patti con i mafiosi che uccisero Falcone e Borsellino. Oggi la politica bacchetta i magistrati quando essi non si occupano solo di mafiosi con il berretto ma anche di quelli che siedono in Parlamento: questa la tesi di Ingroia. E aggiunge che la dimostrazione più eclatante è il suo stesso caso: il Consiglio Superiore della Magistratura ha tentato di tenerlo lontano il più possibile dalle indagini “scomode”, provando a confinarlo ad Aosta (una sorta di gulag dove confinare chi si vuol sapere troppo), laddove la sua esperienza decennale di magistrato antimafia poteva essere un preziosissimo tesoro da usare in modo molto più fruttuosi.
     Di seguito l’intervista rilasciata a Liana Milella (La Repubblica) a cui seguirà il video integrale della conferenza stampa in cui il magistrato annuncia le sue dimissioni e presenta il nuovo movimento Azione civile.


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Si avvicina il 22 giugno, quando prenderà forma Azione civile, il suo movimento. Come prevede di presiedere quell’assemblea, con o senza toga?
«No, ho deciso a malincuore di abbandonarla. Non ci sono più le condizioni perché la tenga ancora indosso e ci sono invece delle gravi ragioni per le quali è venuto il momento di dedicarsi a tempo pieno all’attività politica. Lo dico perché in queste ore si comincia a giocare una partita decisiva per il futuro della democrazia nel nostro Paese e dello Stato di diritto come delineato dai padri costituenti. Mi sono sempre dichiarato partigiano della Costituzione, l’ho difesa strenuamente da magistrato, ma mi sembra chiaro che stiamo andando verso la soluzione finale perché si sta per mettere mano ai suoi capisaldi. Quindi non basta più un magistrato ”partigiano della Costituzione”, ma occorrono tanti cittadini organizzati in un movimento politico per difendere con la loro azione la nostra magnifica Carta».

Davvero si chiude per sempre la porta alle spalle? Non pensa che tutti diranno “lo fa ora perché non ha più un futuro”?
«Accetto il rischio perché la posta in gioco è molto più importante di quello che si dirà sul mio conto. Sono abituato a maldicenze e travisamenti. Certo, sono così affezionato a questa toga che sarei rimasto in magistratura se mi fosse stata data la possibilità di mettere a frutto la mia esperienza ventennale di pm antimafia in Sicilia. Ma c’è chi non vuole, il Csm in testa».

Giudizio pesante. In questi mesi ha visto lì dentro dei nemici contro di lei e contro le indagini che ha condotto? 
«Non mi piace ragionare con la logica militare dell’amico-nemico. Però è sotto gli occhi di tutti che appena l`inchiesta sulla trattativa è partita e si è capito che non sarebbe stata archiviata, ho avvertito forte prima un senso di allarme e preoccupazione rivolta contro di noi, poi un’ostilità strisciante, che alla fine è diventata avversione evidente, isolamento, ostacoli a ripetizione, fino ai ripetuti tentativi di neutralizzare le indagini, bloccando quei pm troppo ostinati nella ricerca della verità».

La sua sarebbe una scelta obbligata perché non le hanno lasciato lo spazio pieno per indagare sui misteri d’Italia?
«È proprio così, me n’ero reso conto già un anno fa quando, mentre lavoravo alla richiesta di rinvio a giudizio, presi atto che si erano richiuse le porte della stanza della verità che quasi miracolosamente si erano aperte qualche anno prima senza che si riuscisse a scoprire tutta la verità su quella stagione oscura di patti e sangue».

Non sarà, detto più terra terra, che stanno pesando le iniziative disciplinari contro di lei?
«Quelle non m`impressionano più di tanto, anche perché nessuna è fondata e tutte sono indirizzate a reprimere la libera manifestazione del pensiero e il legittimo esercizio del diritto di critica anche nei confronti delle sentenze».

Dica la verità, si è sentito isolato dai suoi colleghi per le scelte investigative e politiche che ha fatto. Non le pesa il voto unanime del Csm, insieme destra e sinistra della magistratura, contro Messineo, che in realtà è contro di lei?
«Avevo deciso ben prima di questa delibera. Ma ora lo posso dire. Negli ultimi anni è cresciuto dentro di me il senso di estraneità rispetto alle logiche “politiche” del Csm e alle timidezze e all’ingenerosità dell’Anm nel difendere i magistrati più esposti della procura di Palermo».

Aosta: come ha vissuto la decisione di mandarla lì?
«Certamente una scelta punitiva con motivazioni politiche. Bisognava dare una lezione alla magistratura che non si omologa, che quando indaga non ha riguardi per nessuno, a prescindere dalla collocazione politica. Il Csm poteva, anzi doveva, destinarmi alla procura nazionale antimafia, ma ha voluto tenermi alla larga da fascicoli connessi alle stragi e alla trattativa».

Poteva lasciare a dicembre, quando si è candidato per Rivoluzione civile. Perché ci ha pensato tutti questi mesi?
«Perché non ho mai creduto ai professionisti della politica e ricordavo l’esempio di un giudice antimafia prestato alla politica come Cesare Terranova, che poi era tornato a fare il giudice a Palermo, ma prima che potesse farlo fu ucciso dalla mafia».

Che si lascia dietro? Rimpianti? Non le mancheranno indagini e processi?
«Non è stato facile. È una scelta molto travagliata. Ho dedicato gran parte dei miei anni da pm a cercare di ricostruire la verità sulla stagione in cui ha perso la vita il mio maestro Paolo Borsellino. Ma adesso sono convinto che la magistratura, nelle condizioni in cui si trova, non possa fare grossi passi avanti se non cambia la politica. Solo quando avremo una politica alleata della magistratura e della ricerca della verità a ogni costo il nostro Paese potrà crescere, perché senza verità non c’è democrazia. Ecco allora che metto tutte le mie forze e il mio impegno per cambiare la politica e aiutare la magistratura a trovare la verità».

Cosa l’ha convinta nonostante la pesante sconfitta elettorale di febbraio?
«Innanzitutto non è stata una disfatta perché quegli 800mila voti sono un capitale umano di partenza da non disperdere. Girando per l’Italia in queste settimane ho sentito una gran voglia di partecipazione che è stata prima indirizzata verso il Movimento 5 Stelle e che ora deve diventare la molla per costruire un nuovo fronte popolare e democratico per difendere la Costituzione e i diritti dei cittadini senza potere, a cominciare dal diritto al lavoro. Questo è l’obiettivo politico al quale voglio dedicarmi».

Liana Milella

Annuncio delle dimissioni: video integrale della conferenza stampa


lunedì 17 giugno 2013

Vi spiego perché la Grecia ha spento la tv pubblica

     Che la Grecia sia diventata una sorta di laboratorio umano su cui sperimentare le varie strategie di dittatura finanziaria dell’Unione europea lo sapevamo già. Tuttavia la fantasia e la spudoratezza dei “big” a capo di questi meccanismi sembra non avere alcuna forma di limite. Risale a qualche giorno fa una decisione aberrante: chiudere la tv pubblica e licenziare in un colpo solo 2700 persone. È seguita poi anche la sospensione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, conclusasi con un ultimo concerto in lacrime. Smembrata pezzo per pezzo, la Grecia sta subendo inerme i colpi della Troika. Ma i veri motivi per cui si è deciso di sfogare sulla tv gli ordini provenienti dall’“alto” ci vengono spiegati da Pavlos Nerantzis, in questo articolo tratto da Europa quotidiano.

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Lo stesso governo che ha riempito la Ert di raccomandati adesso invoca gli sprechi. Ma il bilancio dell'emittente era in attivo. Hanno pesato di più i servizi "scomodi" sulla crisi.

     I nomi del premier greco, Antonis Samaras, del ministro dell’economia, Jannis Stournaras, e del portavoce governativo, Simos Kedikoglou, rimarranno nella storia ellenica perché sono riusciti a fare l’impensabile: hanno staccato la spina alla radio-televisione pubblica. Nemmeno la giunta dei colonnelli negli anni Settanta – con i suoi interventi di censura sull’emittente pubblica – aveva tentato una cosa simile.
     La notizia della chiusura dell’Ert (Radio televisione ellenica), paragonabile a un ordigno esplosivo nel campo della libertà di stampa, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Martedì scorso – mentre i giornalisti stavano preparando il notiziario delle ore ventuno, quello più seguito – in redazione è piovuto il comunicato del governo: «In un momento in cui chiediamo grandi sacrifici alla popolazione ellenica non possono esistere realtà intoccabili ed Ert è una situazione dove esistono grandi sacche di opacità e di spreco di denaro pubblico». Negli studi di Agia Paraskevi ad Atene, a Salonicco e nelle venti sedi periferiche, dopo la sorpresa, la reazione è stata rabbiosa.
     Non solo perché da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso, questi 2700 lavoratori della radiotelevisione pubblica venivano licenziati in una maniera brutale. Ma anche perché Simos Kedikoglou, ex giornalista, assunto negli anni Novanta proprio all’Ert grazie alle conoscenze di suo padre, allora parlamentare socialista, aveva garantito fino al giorno prima che era «stufo di smentire le notizie false della chiusura dell’Ert e di eventuali licenziamenti». Oltretutto da qualche anno il bilancio di Ert era passato in attivo, grazie ai tagli degli stipendi e a una riduzione degli sprechi.
     Ma il secondo choc doveva ancora arrivare, alle 23.15 di martedì sera. Negli studi non c’erano solo i giornalisti, ma intellettuali, uomini dello spettacolo e della cultura, gente comune, tutti contrari alla decisione del governo. È allora che hanno staccato la spina, per di più grazie a un decreto firmato soltanto dal ministro dell’economia: mancano cioè le firme degli altri ministri competenti, esponenti del partito socialista Pasok e della Sinistra democratica (Dimar), partner minori del governo di coalizione. «Si tratta di un colpo di stato costituzionale», hanno commentato noti professori universitari e sindacalisti.
     Nonostante la serrata, tutti i giornalisti e i tecnici hanno espresso la volontà di continuare a trasmettere. Ma si sono trovati di fronte poliziotti in tenuta antisommossa pronti a impedire l’accesso alle antenne dell’Ert. Tre giorni dopo, le proteste continuano massicce. Ieri [13 giugno 2013] le Confederazioni generali dei lavoratori nel settore pubblico e quello privato, Adedy e Gsee, hanno scioperato per 24 ore. Lo stesso anche le Associazioni dei giornalisti, mentre migliaia di persone si radunano pacificamente ogni giorno di fronte alle sedi dell’Ert. I programmi ormai autogestiti dell’emittente pubblica continuano ad andare in onda via internet oppure attraverso emittenti comunali e private che hanno offerto le loro lunghezze d’onda ai giornalisti licenziati. Una solidarietà senza precedenti: l’arroganza del potere di Samaras ha mosso la coscienza della maggioranza dei greci, colpiti già dalla crisi, dalla recessione prolungata e da una quantità di promesse non mantenute.
     Certo l’Ert, come del resto tutti gli organismi del settore pubblico, ha subìto le conseguenze di anni di clientelismo. L’emittente pubblica greca è stata da sempre la riserva di caccia dei due partiti che guidano il paese da decenni, la Nea Dimokratia e il Pasok. I maggiori scandali sui maxi-stipendi riguardavano proprio quegli “esperti” iscritti ai partiti di governo e assunti direttamente dai ministri per “modernizzare” l’emittente pubblica. La direttrice generale dell’Ert3, per esempio – una giornalista in pensione assunta dai conservatori e rimasta al suo posto anche durante il governo di Georgios Papandreou – ancora dopo l’inizio della crisi guadagnava più di 17mila euro al mese. Altri colleghi, dirigenti e golden boy legati ai partiti, arrivavano a guadagnarne 35mila. Il tutto mentre la stragrande maggioranza dei dipendenti dell’Ert, anche quelli assunti grazie a logiche clientelari, si vedeva ridurre lo stipendio a meno di mille euro per via del memorandum sull’austerità.
     Lo stesso Simos Kedikoglou, portavoce del governo e responsabile “politico” della tv pubblica, nell’arco degli ultimi dodici mesi ha fatto assumere diciassette nuovi dirigenti. In altri termini, come fanno notare le associazioni dei giornalisti e il sindacato, «se ci sono stati sprechi e clientelismo l’attuale governo è responsabile almeno quanto i suoi predecessori».
     Il dato straordinario è che, nonostante le pressioni e le lamentele dei ministri, la gran parte dei giornalisti dell’Ert aveva continuato a svolgere il proprio lavoro con una professionalità pari o superiore a quella degli altri mezzi di informazione ellenici. Anzi dopo la crisi l’Ert è stata un esempio di pluralismo e un megafono importante sulle conseguenze sociali della crisi, spesso “dimenticate” dai canali privati. Molti dei quali sono di proprietà di interessi economici strettamente legati ai partiti del potere. Non a caso, come fanno notare in questi giorni molti analisti, «chi ha deciso la chiusura dell’Ert fa il gioco dei canali privati».
     Per il premier Samaras l’Ert era una spina nel fianco. La sua chiusura, inoltre, è servita a soddisfare la richiesta della troika di licenziare duemila dipendenti pubblici entro l’anno. Dopo il fallimento, pochi giorni fa, della vendita del colosso del gas Depa (Gazprom ha ritirato la sua offerta) e gli ostacoli alle privatizzazioni di altri enti pubblici, Samaras aveva bisogno di presentarsi ai suoi interlocutori europei e i suoi partner del governo come uomo dal pugno di ferro.
     Il portavoce del governo ha precisato che l’emittente riaprirà più avanti con una struttura diversa, più moderna, ma non sarà più di proprietà dello stato e avrà meno lavoratori. Agli attuali 2.700 dipendenti verrà concessa la possibilità di presentare richiesta di assunzione nella nuova organizzazione. Le proteste però non si fermano. Alexis Tsipras, il leader della Coalizione della Sinistra, Syriza, ha parlato di «colpo di stato» di Samaras. Accuse simili dal Pasok e dalla Sinistra democratica. In questo clima non è da escludere neppure una crisi di governo, che porterebbe a elezioni anticipate. E dalla protesta di piazza per la chiusura della tv pubblica si potrebbe passare a una rivolta più generalizzata contro le politiche del governo. Proprio come è successo a piazza Taksim, nella vicinissima Turchia.

Pavlos Nerantzis, 14 giugno 2013

(Nota in parentesi e grassetti sono miei)