giovedì 20 giugno 2013

Processo Mediaset: la Consulta nega il legittimo impedimento. Berlusconi finisce in Cassazione

     Quella che la Consulta ha emanato ieri è una decisione che brucia parecchio a Silvio Berlusconi, che stavolta accusa davvero il colpo. Molti sono stati i tentativi di rallentare il processo Mediaset (che attualmente vede il Cavaliere condannato per un’enorme evasione fiscale a 4 anni di carcere, 5 di interdizione dai pubblici uffici, più una maxi multa da saldare al fisco), ma stavolta l’ultimo ostacolo che il “piazzista di Arcore” ha voluto mettere sulla ricerca della verità della magistratura è stato finalmente rimosso: la parola passa ora alla Cassazione, ultimo grado di giudizio, che deciderà se “convalidare” o no la pena inflitta all’ex premier, messosi a capo di una meticolosa organizzazione per non pagare milioni di euro allo stato e crearsi fondi neri all’estero, come emerge dalle numerose «prove orali e documentali» esaminate dai giudici di Milano.
    La decisione della Consulta di rifiutare a Berlusconi l’istanza di legittimo impedimento arriva in un clima e in un momento delicatissimo per molti motivi. In primis perché è la prima volta che Berlusconi si trova a essere condannato anche in secondo grado e costretto ad affrontare la Cassazione con il rischio di essere condannato per davvero; poi perché in questo mese di giugno si attendono altre date importanti dal punto di vista giudiziario per il Cavaliere (per il 24 è prevista la sentenza di primo grado per il processo Ruby, in cui Berlusconi è accusato di concussione e prostituzione minorile; il 26 invece si deciderà per la sua ineleggibilità sulla base di quella tanto vituperata legge del 1957 con cui un titolare di concessioni statali non può candidarsi; il 27 invece Berlusconi potrebbe ritrovarsi a pagare ben 560 milioni alla Cir di Carlo De Nenedetti per il lodo Mondadori); infine, perché dall’eventuale condanna di Berlusconi dipende la stabilità di questo governaccio delle larghe intese, suggellato dal tanto discusso e sorprendentemente rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

     Vediamo la cosa più nel dettaglio: esiste la possibilità per un imputato di sollevare istanza di legittimo impedimento, ovvero di impedire “legittimamente” (cioè con motivazioni giustificabili) che la magistratura lo impegni per le udienze che lo vedono imputato; un politico può fare questo al fine di tutelare gli impegni che egli ha come uomo di stato. Più volte Berlusconi ha chiesto il legittimo impedimento e quando lo si fa normalmente il tribunale che si occupa delle udienze stila un calendario in modo che la persona possa fare il suo lavoro nei giorni in cui deve, e presentarsi in tribunale quando occorre, conciliando le due cose. Più volte «il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento», ma un bel giorno Berlusconi, ancora nei panni di premier e che si trovava proprio a dover presiedere a un’udienza per il processo Mediaset, sposta deliberatamente e senza alcun preavviso e alcuna urgenza reale una riunione del Consiglio dei Ministri proprio nel giorno in cui era stata fissata l’udienza in tribunale. È un modo per viziare il dibattimento e invalidare il processo: infatti, subito, fingendosi gnorri, Berlusconi invoca il legittimo impedimento per non presenziare in aula, bloccando la prosecuzione dell’iter giudiziario.
     La Consulta ha dovuto appunto decidere se quell’impedimento fosse effettivamente “legittimo”. E ovviamente non lo era. Berlusconi ha spostato apposta la riunione nella data già decisa per l’udienza e non si è preoccupato nemmeno di fornire una data alternativa né di giustificare il motivo per cui quella riunione potesse impedirgli di presenziare in tribunale (non esisteva alcuna questione grave o urgente all’ordine del giorno). Una decisione prevedibile e assolutamente inevitabile, che ora costringe Berlusconi a trincerarsi in Cassazione, dove i suoi legali hanno sollevato ricorso, senza nemmeno attendere che la Corte costituzionale si pronunciasse.

     Così, mentre la giustizia annaspa e tenta di arrivare fino in fondo trascinandosi a stento in questa sterpaglia fitta di zavorre cavillose, Berlusconi fa impostare ai suoi la solita strategia: da una parte, infatti, il Cavaliere deve organizzarsi nei confronti della magistratura; dall’altra agli occhi dell’opinione pubblica. Ed ecco subito i suoi fedeli pidiellini mobilitarsi nei soliti stantii moti di indignazione e dichiarazioni che inneggiano all’odio verso i magistrati. Gasparri (quello del «Voto le leggi ma non è che le capisco») se n’è uscito addirittura con un ricatto a dir poco ridicolo: «Se Silvio verrà interdetto tutti i parlamentari del Pdl potrebbero dimettersi da deputati e senatori e lasciare il Parlamento». E subito Galan, Gelmini e Carfagna lo smentiscono… Era troppo bello.
     Come se non bastasse, nasce la ridicola buffonata dell’Esercito di Silvio, fondato da Simone Furlan, un gruppo di fautori del Cavaliere che si propongono di difendere il leader Pdl dagli attacchi delle toghe rosse, portando la “verità” sul Cavaliere in giro per l’Italia attraverso l’“arruolamento” di appositi “comandanti” posti a capo di “reggimenti territoriali” (sì, si esprimono proprio così): qualora la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici fosse confermata dalla Cassazione, l’Esercito di Silvio è deciso a scomodare nientemeno che la Corte europea dei Diritti dell’Uomo, al fine di «sanzionare lo Stato Italiano per avere, mediante una sentenza penale, escluso, limitato, compresso il diritto di circa la metà dell’elettorato del popolo italiano a poter votare e far eleggere il candidato premier del Centrodestra, Silvio Berlusconi».

     Ora, Berlusconi ha bisogno di protezione: in autunno la Cassazione dovrà pronunciarsi in via definitiva sul processo Mediaset e, se confermasse la condanna di secondo grado, per Berlusconi sarebbe finita. Si chiede aiuto a Napolitano, che “deve” difendere l’imputato. I patti erano questi, del resto, quando si è fatto questo governo. Come ricorda quella cima d’un galeotto di Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, il Capo dello Stato «deve dare assicurazioni e non più tramite ambasciatori: bisogna che i due si incontrino di persona». E poco importa se il Capo dello Stato dovrebbe essere figura super partes; poco importa anche che i poteri non debbano entrare in conflitto e che quindi la magistratura dovrebbe fare il suo lavoro senza che un’altra carica istituzionale le aliti sul collo. Per Sallusti, e altri “professionisti” come lui, è normale che ora quel discolaccio di Silvio vada a piangere da Mamma Napolitano.
     Oppure, com’è più probabile, si cercherà il segreto e malcelato aiuto del Pd: Berlusconi, trovandosi di fronte alla conferma della sentenza da parte della Cassazione e non potendo quindi più rivestire alcuna carica istituzionale per 5 anni, potrebbe cioè sollevare un conflitto in Senato contro la decisione della magistratura e potrebbe chiedere al Pd di appoggiarlo per non farlo condannare, in cambio di qualcosa naturalmente… e se il Pd accettasse perderebbe anche gli ultimi sostenitori rimasti, dopo il tradimento della campagna elettorale dello scorso febbraio, con cui si promise mai e poi mai di allearsi con Berlusconi.

     Nel frattempo il leader Pdl tenta di tenere in vita il governo Letta, provando a mantenerlo fuori dalle polemiche e dagli strali che lancia verso i magistrati e finge che la sua stabilità non dipenda dalle sue vicende giudiziarie: «Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura oramai da vent’anni e che non è riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un’Italia più giusta e più libera». Perché Berlusconi crede che il fatto di essere eletto lo autorizzi a sbandierare, senza prove tra l’altro, la sua innocenza e anche la sua onnipotenza: argomento debole perché, come ricorda il comico Luttazzi, «anche Hitler venne eletto democraticamente».



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