Visualizzazione post con etichetta Etica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Etica. Mostra tutti i post

domenica 25 settembre 2022

Cari astenuti, causate voi lo schifo che vi fa astenere

Mentre queste elezioni politiche 2022 si concludono, in attesa degli spogli possiamo già prevedere che il cosiddetto partito degli astensionisti, in costante aumento negli anni, si riconfermerà certamente presente anche stavolta.

Ebbene, esso viene troppo sovente trattato unicamente come conseguenza della regressione morale e istituzionale della nostra classe dirigente, ma in verità mi pare il caso di notare l’altra faccia della medaglia, ovvero che l’astensione è anche causa della regressione che vediamo nei nostri politici e che quindi, in ultima analisi, chi si astiene produce le condizioni che portano all’astensione stessa.

Vediamo perché.
In primis non tutti gli astensionisti sono uguali. Ci sono quelli che disertano il seggio elettorale perché non si sentono rappresentati da nessuno, anche sforzandosi, e coloro che si astengono per pigrizia civica, ovvero quelli che si sono autoconvinti che «tanto non cambierà nulla, quindi cosa votiamo a fare?».
Le parole che seguono sono dedicate soprattutto a questi ultimi.

Inutile appellarsi ad argomenti idealistici come gli sforzi, il sangue, le battaglie che storicamente sono state fatte per arrivare oggi a godere di questa forma di libertà, di questo diritto che è anche un dovere ecc. Inutile, perché a costoro non importa nulla di quanto sia costato conquistare questo diritto, non gliene frega niente dei morti che sono stati necessari. Se costoro fossero stati sensibili a questo tipo di ragioni, molto probabilmente all’astensionismo non sarebbero mai approdati.

Andiamo dunque su motivi più concreti.

1. Non votare crea rischi

E andiamoci con una premessa: noi siamo in democrazia e la democrazia è il governo di una maggioranza di elettori, che però tutela e non deve calpestare i diritti delle minoranze.
Nella nostra democrazia, che è parlamentare, noi non eleggiamo chi governa (cioè il Presidente del Consiglio e i suoi ministri), bensì eleggiamo coloro che decideranno chi governa (cioè eleggiamo i membri del Parlamento, deputati e senatori) e che eleggeranno anche il Presidente della Repubblica.

Questa precisazione serve a sottolineare che il legame tra il nostro voto e l’effetto che esso produce (cioè la scelta di chi governa) non è diretto, ma indiretto perché è delegato al Parlamento e quindi già solo per questa ragione occorre nella nostra democrazia una prudenza superiore a quella che si usa nelle democrazie più dirette, dove gli elettori scelgono chi governa senza intermediari.

Basterebbe già solo questo argomento quindi per considerare l’astensionismo (soprattutto quello da pigrizia civica) come un fattore di rischio, perché se i miei interessi (la scelta del Governo) sono delegati a un tramite (il Parlamento), il minimo che io possa fare è sorvegliare molto da vicino quel tramite, anche solo per verificare che effettivamente mi rappresenti nel modo corretto.

Immaginate la stessa situazione in un contesto economico e non politico. Ho un’azienda grande che fa molte cose, io non posso occuparmi di tutto, perciò delego alcune decisioni a un amministratore. Se ora questo amministratore sa di non essere mai sorvegliato quanto è probabile che approfitti della delega che ha per lucrare ai miei danni e a suo vantaggio? Ovvio che lo farà quasi certamente! Tanto nessuno lo scoprirebbe mai. E se io non sono stupido e non voglio rischiare di farmi derubare, devo almeno ogni tanto sorvegliare il suo operato e reagire adeguatamente se scopro che non lavora bene. E il primo momento in cui posso stare attento a ciò è proprio quando scelgo l’amministratore!

Ecco dunque il primo errore dell’astensionista: egli non si rappresenta l’effetto del suo voto come una cosa che lo riguardi. Non riesce a sentire (ho detto “sentire”, non “sapere”) che il suo voto contribuisce ai meccanismi con cui andrà la sua stessa vita. Quindi non sente emotivamente il bisogno di tutelarsi attraverso un rigido controllo da elettore, anzi, si vanta di non occuparsene affatto, come se avesse fiutato una rottura di scatole che poteva dargli fastidio.

Qui molti si difenderebbero così: «Ma cosa vuoi che faccia la mia singola astensione? Siamo 60 milioni in Italia, adesso sta’ a vedere che se non vado a votare scompare la democrazia».
A parte il fatto che, se un comportamento è sbagliato, non c’è ragione di farlo già solo per questo, ma il guaio è che questo ragionamento non lo fa uno solo, bensì molti, tutti ugualmente convinti di essere i soli a farlo. Quindi l’effetto cumulativo di tutti questi ottimisti è che poi gran parte dell’elettorato, anche più della metà, non esegue questo controllo sulla delega. E gran parte pesa più di uno solo.

2. Non votare incoraggia il degrado

Tutto questo è ben noto ai politici che, al contrario degli elettori, sono molto ben informati sulla gente attraverso studi, sondaggi e controlli. Ora, se ammettiamo che un politico sia un potenziale pericolo (come di fatto è) e se quel politico sa che quasi nessuno si interesserà di ciò che vuole fare, è ovvio che si sentirà più libero di commettere atti illeciti contro gli interessi degli elettori.
E non vale il pericolo che poi possa essere punito adeguatamente dopo, cioè attraverso una non rielezione, perché, per poterlo punire, l’elettore dovrebbe conoscere quello che è successo nel frattempo e votare altri la volta successiva. Ma l’astensionista non fa alcuna di queste cose.
Perciò la condanna elettorale, se arriverà, sarà piccola, cioè quel politico perderà pochi voti pur avendola fatta molto grossa.

Non ne siete convinti? Com’è possibile allora che per così tanti anni siano rimasti a capo dei partiti sempre gli stessi candidati? Ricordate il ricambio della classe dirigente, la gerontocrazia, la rottamazione, «fare largo ai giovani» ecc? Ecco, non accade perché l’opinione pubblica è tendenzialmente disinteressata a ciò che nella politica accade e, quindi, tendenzialmente non agisce per lanciare ai politici i messaggi adeguati. E quelli continuano indisturbati.

E questo ci fa arrivare a una seconda conclusione: ovvero che in democrazia non basta che esistano delle regole (anche quelle non scritte), in quanto le regole possono essere violate. Si sa, è la natura umana; occorre anche un controllo morale sul rispetto di quelle regole, di quei patti, di quelle promesse, ovvero occorre che esista un’opinione pubblica attenta, vigile e interessata alla politica. Serve che gli elettori stiano col fiato sul collo ai politici, che facciano loro capire che li sorvegliano, che votino facendo loro le pulci! Deve arrivare il messaggio che se sgarri io ti faccio morire politicamente e quindi devi portare a casa dei risultati come rappresentante.
Invece ai politici arriva addirittura il segnale opposto, che cioè la gente non bada più di tanto alla loro coerenza ed efficienza, quindi per loro ciò è semaforo verde per agire contro di noi.

Ecco quindi che l’astensionista, col suo comportamento, favorisce il degrado morale e l’inefficienza istituzionale dei rappresentanti politici, incoraggiandoli ad agire senza alcun timore.
E questo degrado poi è quello che lo disgusta al punto da scegliere di astenersi!

3. Non votare aiuta le mafie

Un’ultima riflessione sull’astensionismo riguarda la facilitazione che esso fa alle mafie sui pacchetti di voti.
Qualunque magistrato, soprattutto quelli antimafia, potrà testimoniare che nel nostro paese la malavita organizzata (cosa nostra, ’ndrangheta, camorra...) è molto radicata nei vari settori del potere politico, non solo nel senso che i mafiosi mettono al potere gente che faccia i propri interessi, ma anche nel senso che molti politici si rivolgono spontaneamente ai mafiosi per comprare da essi interi pacchetti di voti (in cambio di favori, s’intende).

Ora, per le mafie assicurarsi dei voti costa. Quindi le mafie possono comprare fino a un massimo di voti, non infiniti; esiste un limite anche per quello.
Ebbene, ragionando con numeri piccoli per capirci facilmente.
Poniamo che la mafia abbia il potere di comprare 200 voti e che gli elettori totali siano 1200.
Escludiamo il caso che vadano a votare davvero tutti e accontentiamoci di una percentuale alta di votanti, diciamo 1000 persone.
Se si esprimono 1000 voti e di essi 200 sono comprati dalle mafie, allora vuol dire che in quella situazione la mafia avrà comprato il 20% dei voti, cioè avrà condizionato un quinto delle preferenze, sottraendole alla libera scelta dei cittadini. Ma 4/5 delle preferenze sono “libere” e rappresentano ancora abbastanza bene la volontà reale del paese.
Se però l’astensionismo è alto e va a votare meno della metà, diciamo 400 persone, la mafia potrà permettersi di comprare gli stessi 200 voti di prima. Solo che 200 voti su 400 totali non sono il 20%, bensì il 50%, cioè la metà!

Ovvero: i voti della mafia pesano di più, pur essendo sempre gli stessi! E quindi influenzano in modo più forte le scelte immediatamente successive alle elezioni, perché poi il candidato che ha comprato i voti mafiosi dovrà restituire il favore, magari concedendo appalti alle aziende della mafia per opere pubbliche non davvero necessarie, pagate con soldi pubblici (cioè nostri) che saranno quindi sottratti ai servizi per il cittadino (scuola, sanità, assistenza…) e creeranno buchi di bilancio nelle casse degli enti.

Ecco che l’astensionista finisce addirittura per favorire le mafie che il loro operato riducono il paese e la classe politica proprio in quelle condizioni di degrado materiale e morale che tanto ribrezzo hanno suscitato in lui e lo hanno spinto ad astenersi.


Al di là di tutti questi motivi però, confesso che per me la cosa più deludente di tutte è che in condizioni di alto astensionismo viene meno la possibilità di dire che il paese abbia scelto, indipendentemente da chi vince le elezioni.

Quando si dice “il paese” si intende una percentuale che rappresenti bene il paese, quindi una percentuale alta. Se invece chi ha fatto la scelta è solo una sparuta minoranza, allora la scelta non l’ha fatta il paese “nel suo complesso”.

In tali condizioni sarebbe ancora giusto che la decisione finale sia autorizzata a riguardare poi tutto il paese? Perché magari il paese nel suo complesso avrebbe scelto altro e invece si ritrova qualcosa che non avrebbe preferito.
Secondo me così non è nemmeno più democrazia.

Almeno avessimo l’onestà di non lamentarci dopo...!

******

Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
né s’importa degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.
L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.
Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali. 

(Bertold Brecht)

domenica 1 agosto 2021

Covid e mascherine lo confermano: facciamo proprio schifo!

      C’era una cosa sola che dovevamo fare, mentre le politica riorganizzava (male) la vita pubblica e la scienza cercava una cura per il covid. Una cosa piccola, insignificante, per nulla faticosa, semplice e veloce, che non richiedeva sforzi, sacrifici o dispendi di tempo ed energia: tenere la mascherina nelle interazioni con gli altri. Stop.

     Tenere la mascherina (correttamente indossata, ovvero coprendo la bocca e anche il naso, altrimenti non serve a nulla!) avrebbe consentito di bloccare quasi del tutto la circolazione del virus tra le persone.
     Il concetto era semplice: il virus si trasmette per via aerea, ovvero con ciò che esce dalla bocca e dal naso; la mascherina sta a ridosso di bocca e naso e si becca ciò che emettiamo con bocca e naso.

     La mascherina avrebbe quindi diminuito la quantità di virus liberi, quindi la quantità di persone infette e di focolai; quindi avrebbe anche diminuito il tasso di contagi, avrebbe pesato meno sulla sanità, per cui sarebbero morte meno persone e si sarebbe abbassata la probabilità e la durata dei lockdown che, lo abbiamo visto, con tanta facilità sono invocati dai governanti (spesso anche per spararsi le pose); ma soprattutto avremmo dato meno modo al virus di mutare.


     E su questo soffermiamoci giusto un minuto.

     Le nuove varianti di cui sentiamo sempre così vagamente parlare sono virus modificati, che possono essere più aggressivi e più forti contro i vaccini. Ma perché esistono le nuove varianti? Come si formano?
     Il virus muta (cioè acquisisce caratteristiche e capacità nuove) quando è nell’organismo ospite (cioè in noi) e può farlo solo mentre si replica in più copie dentro le nostre cellule.
     Mentre il virus si copia, infatti, in realtà copia il suo materiale genetico: durante il processo di copia, però, possono avvenire degli errori casuali, che in parte vengono corretti subito, in parte invece sfuggono. Quando un errore di copia sfugge, il genoma copiato “male” rimane diverso da quello di partenza: in quel momento è nata una mutazione e i virus che trasporteranno quel genoma mutato sono le cosiddette varianti.
     A seconda della mutazione avvenuta – che è casuale! – il nuovo genoma può rendere il virus anche più aggressivo, può dargli nuove armi per infettare o potenziare quelle che già possiede.
     Per cui: per abbassare la formazione di varianti i virus devono replicarsi di meno, perciò devono circolare meno nelle cellule, quindi devono essere trasmessi di meno tra gli individui e questo avviene se indossiamo la mascherina.

     Ora, di fronte a questa banale verità e a fronte di molte persone che si comportano responsabilmente, dappertutto e da molti mesi osserviamo l’ottimismo da mascherina, ovvero individui che non vogliono fare nemmeno questa piccola parte.

     Casalinghe a fare la spesa, amici che si incontrano, ragazzi fuori scuola ammassati prima di entrare (salvo poi fingere di indossarla una volta entrati in classe!)… Chi la mascherina la abbassa sotto il naso, chi la tiene ma sotto il mento, chi la tiene su finché sta zitto ma prontamente poi la abbassa nel momento in cui deve avvicinarsi alla tua faccia per parlare, come se non si sentisse bene (tutta questa empatia!)… e il sottoscritto ha perfino visto gente non portarsela appresso per niente.

     Come giustificare a se stessi questo comportamento? Le frasette paraculo sono variegate e si possono anche dividere in categorie.
  • Allarmiste: «E non respiro!», «E mi fa senso!», «E sono claustrofobico!» (che cavolo c’entra?!)...
  • Prudenziali: «Vabbe’, respiro solo con la bocca», «Ma tanto rimango a distanza» (allora che la indosseresti a fare?)...
  • Scettiche: «Non è vero che blocca l’aria, infatti riesco ancora a respirare» (certo che respiri, idiota, sennò morivi!), «Se davvero servissero non farebbero i vaccini» (no comment)...
  • Complottiste: «Ma è tutto finto, per vendere più mascherine», «No, io al covid non ci credo» (e poi magari crede in Dio!), «Io non mi faccio limitare nella mia libertà» (però limiti quella degli altri)…

     Senza contare alcune vere e proprie regole campate totalmente in aria che ci siamo creati per giustificare la nostra negligenza, come i ragazzini che si ammassano in branchi agli angoli della strada senza mascherina solo perché «sono i miei amici, li conosco», come se l’infezione si trasmettesse solo agli estranei.
     O come quelli che ti dicono «l’ho già incontrato più volte senza mascherina, che la metto a fare?», così se c’era un minimo di possibilità di evitare il contagio le prima volte, adesso niente proprio.


     La cosa assurda è che tutta questa follia ce la siamo cucita addosso subito dopo aver vissuto sulla nostra pelle tremendi lockdown, coprifuoco, limitazioni, divieti e diverse compressioni di libertà personale che hanno alterato tutti i rapporti sociali, penalizzato i più fragili, fatto chiudere negozi, stroncato l’economia, creato disoccupazione, fallimenti, incrementato episodi depressivi, violenze familiari…
     Come a dire: non siamo capaci di imparare un minimo di responsabilità nemmeno quando nuotiamo nel letame fino ai capelli.

     Ma in generale quello che allarma di più è l’incapacità generale di immaginare tutti gli altri: la percezione dell’altro risulta in certi contesti totalmente azzerata. Attenzione, non sto dicendo che molti ancora non capiscono che dipendiamo gli uni dagli altri! No, dico proprio che nella rappresentazione mentale di questi soggetti l’altro non esiste affatto! Non è un elemento dei suoi pensieri, non è presente nei ragionamenti che fa!
     Alla faccia dell’uomo animale sociale!
     Se con tanta facilità posso fregarmene del fatto che senza la mascherina sto esponendo gli altri a un rischio che potrebbe dipendere da me (senza che io nemmeno lo sappia, tra l
altro!), allora non ho un minimo di intelligenza sociale, ovvero che non ho il mezzo più elementare per vivere con gli altri.
     Cosa potrebbero mai insegnare ai propri figli persone con una forma mentis del genere? Come potranno prepararli a vivere in società, se essi stessi per primi non hanno una corretta rappresentazione della società?

     Qui siamo ben oltre l’egoismo. L’egoismo prevede comunque un principio positivo: tutelo me stesso a tutti i costi, anche sacrificando gli altri. Ma qui mettiamo a rischio anche noi stessi!
     Non è egoismo, allora. È ottusità, è stupidità, è autolesionismo.

     È davvero come se la gente volesse fare di tutto per evitare la fatica mentale di pensare, di collegare le cose, anche le più semplici. Non ci vuole infatti una laurea per capire che, se faccio l’ottimista con la mascherina, lo possono fare anche gli altri; e se lo fanno gli altri, lo facciamo tutti; ma se lo facciamo tutti come fanno poi a non nascere focolai nuovi e quindi nuovi lockdown ecc?
     No! Troppo faticoso da pensare: mi concentro solo su me stesso, su quello che sento qui e ora. Se qui e ora non ho voglia della mascherina, non la metto. Punto.
     Questa è la stessa logica con cui un neonato si sente libero di fare pipì in qualsiasi momento anche in pubblico senza porsi il problema della situazione, degli altri presenti ecc. Solo che un neonato non ha educazione e maturità sociale, un adulto non è altrettanto giustificabile.

     La pigrizia. Probabilmente è questo il nucleo principale di questi comportamenti.
     Non dico la pigrizia buona o “simpatica”, quella che mira ad ottimizzare gli sforzi, come quella di Trinità che si faceva trainare sulla slitta di legno per non andare a cavallo, parlo di una deformazione comportamentale vera e propria, come una malattia mentale: parlo della convinzione, radicata anche nell’inconscio, secondo cui fare quella fatica di capire per poi sapere come comportarsi sia in qualche modo “sbagliato”. Come se fosse diventato un valore etico introiettato: “fare fatica per un bene superiore è sbagliato: devo avere il bene senza fatica”.

     E allora la mascherina non la tengo su, se non mi va.
     Bene. E allora io dico che ci meritiamo gli ospedali intasati, le terapie intensive che scoppiano, gli esami medici rinviati, i divieti di spostamenti, l’allontanamento sociale, le zone rosse, i coprifuoco, ci meritiamo anche i negozi che chiudono e falliscono, ci meritiamo di perdere il lavoro, l’economia che crolla, i poveri che aumentano, ci meritiamo anche i parenti che stanno male per colpa di tutto ciò.
     Ce lo meritiamo perché potevamo evitarlo facilmente con una cosa facile che non costava niente e abbiamo scelto di non evitarlo. Ci sta bene!

     Del resto, a ben pensarci, i conti tornano: una società iperassistita (e quindi iperviziata) in cui devi avere la comodità di non scendere nemmeno sotto casa per comprare qualcosa perché tanto può portartelo Amazon o in cui non devi fare la fatica (nel senso di “è giusto che tu non faccia la fatica”) di vivere l’attesa di un qualsiasi desiderio perché puoi istantaneamente esaudirlo tramite la tecnologia, allora non si riesce poi ad elaborare il “lutto” di dover fare il sacrificio di aspettare, di faticare, di pensare.


     Un essere umano che funziona così male, modello mediamente rappresentativo del tipico uomo occidentale, andrebbe secondo me in primis giudicato – e condannato – sul piano morale.
     Questo perché puntare il dito su qualcosa, dire che fa schifo, che è sbagliata e inaccettabile, che è insopportabile e odiosa è il primo passo per aggiustare le cose. Altrimenti ci si abitua e tutto diventa “normale”. E nessuno si ribella al normale.

     Ebbene, se davvero vogliamo che il nostro quotidiano sia meno odioso e frustrante, indipendentemente dal covid, cominciamo col dirci questo: che facciamo schifo!
Come specie biologica; come massa sociale; spesso anche come singoli individui.
     Facciamo schifo! Siamo capaci di grandi cose, ma anche di cose assurde, quindi facciamo schifo.
     Siamo ipocriti, capaci di cose ingiuste, sbagliate, odiose, di comportarci secondo criteri sbagliati, siamo incapaci di imparare da quello che ci succede, siamo ignoranti, disattenti, pigri, egoisti, inconsapevoli di noi stessi e degli altri. Siamo perfino pericolosi!

     Forse dirci questo ci aiuterebbe a richiamare l’attenzione sulle nostre contraddizioni, ce le farebbe sembrare più urgenti e forse aumenterebbe la probabilità che ci autocensuriamo per limitarle. Perché è così che si vive in società: censurando certi istinti, possibilmente con un’educazione alle spalle che te lo fa fare facilmente, sennò con uno sforzo personale sorretto da una motivazione abbastanza forte (la paura di perderci qualcosa o il desiderio di qualcos’altro).
     Altrimenti non c’è società, non ci sono leggi, non ci sono diritti, non ci sono tutele: ci sono solo bestie in perenne guerra tra loro in cui solo il più forte prevarrà calpestando tutti gli altri. Cioè danni e ingiustizie per tutti.

     Naturalmente l
’uso (corretto) della mascherina non è il solo elemento da cui dipende la trasmissione dell’infezione; anche il distanziamento conta parecchio, o perfino altri parametri, come l’umidità dell’aria o la temperatura.
     Tuttavia le persone comuni, nel proprio quotidiano, hanno il massimo controllo solo sulla mascherina e proprio su quello si osserva la maggiore negligenza. E se moltiplichiamo questa negligenza per il numero di individui che fanno gli ottimisti in tutto il mondo, si capisce bene come mai non debba sorprendere tanta difficoltà nel combattere la pandemia.
     Ed è questo a risultare così odioso!

     E giusto per avere argomentazioni a sufficienza per chi vorrà fare questo gioco di autoumiliazione terapeutica, ecco un breve elenco delle più vistose contraddizioni di cui siamo stati protagonisti, almeno nel nostro paese, dopo un anno e mezzo di pandemia.

Annuncio della pandemia: «viene dalla Cina».
Prima reazione: bullismo e discriminazione contro le minoranze cinesi. «Brutti bastardi, ci avete portato il morbo, statevene a casa vostra!»

Chiusura di tutto: Italia zona rossa.
Reazione: «Speriamo arrivi presto la cura, così finisce tutto»
Intanto si sta come coglioni cantando sui balconi.

Regime di distanziamento: “state a casa”
Reazione: gente beccata fuori casa lo stesso con la scuse più balorde

Prime riaperture a ridosso dell’estate: il governo raccomanda cautela
Reazione: assembramenti e ottimismo.
Grazie, eh!

Estate 2020: «fa caldo, il virus si trasmette di meno»
Così molti si abituano a prenderla sotto gamba e in autunno faranno lo stesso.

Giugno, il governo propone tracciamento smart: via all’app Immuni
Reazione: «Non ci penso nemmeno! E dove la mettiamo la tutela della mia privacy?»
La privacy??? Ma come? Teniamo sullo smartphone app invasive che spiano di tutto sul telefono, a cominciare da Instagram, Facebook e TikTok richiedendo praticamente ogni permesso possibile e ci facciamo il problema dell’app Immuni che non richiedeva quasi nessun permesso e che avrebbe poi cancellato i pochi dati raccolti per il monitoraggio?
Sveglia! La vostra privacy è terminata il giorno in cui vi siete creati un account Google o Apple!

Settembre, è quasi tempo di scuola (che inizierà in ritardo, perché i ministeri, poverini, avevano avuto solo otto mesi per organizzarsi).
Inizia un martirio dantesco: apri, chiudi, sanifica, sospendi, didattica in presenza, no, a distanza, in presenza solo in parte, 50%, 75%, a giorni alterni, con scappellamento a destra, fai la riverenza, fai la penitenza…
Adolescenti sacrificati ancora di più sull’altare della disorganizzazione + didattica a distanza fallimentare nel 99% dei casi: insegnanti che non sanno accendere il pc, altri che non sanno inquadrare la lezione (succede quando ti laurei negli anni ’70 e non ti aggiorni), lezioni che non si sentono, il wifi che non va bene, imbrogli durante le interrogazioni, verifiche senza alcun valore, programmi scolastici che saltano, competenze non acquisite. E mi fermo qui, ma ci sarebbe dell’altro...

Autunno, il governo: «Chiudiamo ora per non chiudere a Natale, intanto rispetto delle regole»
Reazione: si fa come d’estate (perché ci si è abituati male), quindi contagi che non scendono e a Natale chiusi lo stesso.
E fu ottobre e fu dicembre: seconda ondata.

Intanto i negozianti in difficoltà. Nasce un nuovo complesso.
Se richiamano il cliente sull’uso della mascherina, questo si offende e se ne va. “Il cliente ha sempre ragione… come gli stupidi”.
Se non lo richiamano rischiano contagi; i contagi costringono a fare i tamponi; i tamponi ti fanno chiudere. Chiusura, perdita economica. Danno assicurato, comunque ti muovi.

Dicembre: arrivano i primi vaccini.
Reazione: «No, ma io non me lo faccio, non mi fido»
Strano: quando la Pfizer fece il Viagra nessuno disse niente, ora tutti No-vax cartesiani.

Intanto in TV: niente più spot sul covid, niente promemoria sull’uso della mascherina e sul lavaggio delle mani.
In compenso nei TG conta dei morti tutti i santi giorni, così il terrorismo psicologico preparerà la gente ad accettare qualunque cosa la malapolitica vorrà fare.
Ripartono anzi le armi di distrazione di massa: reality show, Barbara D’Urso, Santa Maria e soprattutto non un solo talk show in cui qualcuno abbia spiegato alla gente quello che serve davvero, cioè come funziona il contagio, come funziona la mascherina, come funzionano i vaccini… Niente, solo stronzate e conta dei morti. «Ma sì, non ci pensiamo, sennò ci scoppia la testa»
Grazie, servizio pubblico.

Primo trimestre 2021: «Allenteremo le misure, ma spirito di responsabilità»
Reazione: i contagi risalgono. «Eh, non ce la facevamo più, era una prigione»
E fu gennaio e fu aprile: terza ondata.

Intanto tutti tranquilli: «tanto fra poco arriva l’estate, i contagi scendono».
BAM! Variante delta.
Vaccini non altrettanto efficaci (vedi sopra).

Governo: «faremo mezzo milione di vaccinazioni al giorno»
Su 60 milioni di popolazione doveva quindi finire tutto in 4 mesi: il sottoscritto ne ha attesi 2 solo per essere convocato per la prima dose… e non è stato comunque convocato, perché mancavano le dosi, quindi ha ripiegato su dosi che avanzavano all’ASL, sennò stavo fresco.
Reazione: cresce il fronte No-vax. «Non mi vaccino!»
Quindi: la mascherina no, perché non vuoi fare lo sforzo, il vaccino no, perché non ti fidi, i divieti no, perché la libertà è sacra. Ci vai da solo a quel paese o ti ci mando io con la rincorsa?

Epilogo (per il momento) del governo: «Green pass obbligatorio»
Se si sono rotti le scatole perfino loro di gestire questa situazione…!
Reazione: «Il Green pass è dittatura».
Certo che lo è, così impariamo… anzi, no: non impariamo un bel niente.
Per farci fare qualcosa dobbiamo essere costretti, perché la fatica di farla da soli, di capire, di scegliere per noi è troppo.

Morale della favola dopo un anno e mezzo di pandemia: facciamo schifo!
Non è tanto il covid che merita di vincere, siamo noi che meritiamo di perdere.



venerdì 15 marzo 2019

In marcia per il clima: la rivoluzione di Greta Thunberg

     Nell’agosto 2018 in Svezia una bambina di appena 15 anni, che coltivava una passione per le tematiche di ecologia fin dall’età di 8 anni, rimanendo allarmata dalle eccezionali ondate di calore nel suo paese e dai numerosi incendi boschivi provocati dal surriscaldamento globale, decise di scioperare per un intero mese tutti i venerdì di fronte al parlamento svedese con un cartello su cui era scritto SKOLSTREJK FÖR KLIMATET (Sciopero scolastico per il clima).

     Quella bambina si chiama Greta Thunberg.


     Chiaro e trasparente, quel cartello dichiarava chiare intenzioni: che senso ha andare a scuola e prepararsi per un futuro che rischia addirittura di non esserci? Perché affannarsi tanto a imparare cose che dovranno servire per domani, se l’esistenza di quello stesso domani è minacciata?

     Greta sa bene che il surriscaldamento globale non è, come molti erroneamente pensano, solo una questione di temperatura: aumentare di un solo grado la temperatura del pianeta non significa che farebbe solo più caldo.
     Sbilanciare la temperatura in questo modo produce squilibri ecologici spaventosi: significa modificare il clima di regioni del mondo che ora ospitano specie animali e vegetali e renderle inospitali alla vita, significa annientare la possibilità di poter coltivare cibo su vastissime aree del pianeta, che a sua volta vuol dire far morire di fame miliardi di persone; significa anche portare temporali, uragani, tsunami, tornado in luoghi dove il clima è ora mite e abitabile e creare interi flussi di migranti climatici, che cercheranno rifugio in molte zone del mondo, creando emergenze sociali, sanitarie, problemi di accoglienza, come già accade oggi con i migranti africani e asiatici che scappano dalla guerra rifugiandosi in Europa. Significa condannare all’estinzione centinaia di specie animali, alterando paurosamente la catena alimentare. Significa, in una parola, mettere l’umanità e la vita in generale del pianeta sull’orlo dell’estinzione.

     Sono in pochi ad essere veramente consci di quanto grave sia il problema del surriscaldamento globale e, di conseguenza, non esiste, secondo Greta, un sufficiente “panico” da parte delle persone.
     Strano a dirsi, in frangenti come questo proprio il panico è una reazione appropriata perché spingerebbe le persone a cambiare e a pretendere dai propri politici di adottare misure legislative per modificare il sistema economico che abbiamo in modo da ridurre il suo impatto sull’ambiente. E invece l’addormentamento generale delle coscienze ha fatto sì che il problema continuasse ad aggravarsi nell’arco dei decenni e ora è diventato improrogabile.

     Eppure lo sforzo necessario non è così grande come potrebbe sembrare. Anzi! Greta sa anche questo: «La crisi climatica è già stata risolta: abbiamo già tutti i fatti e le soluzioni». Manca solo l’azione, quell’ingrediente che dà senso a tutte le riflessioni, i dibattiti, gli scontri che si fanno in nome di un’idea.

     E invece lo stesso sistema che ha creato il problema fa di tutto per nascondere la gravità del problema: i politici ignorano volutamente la questione, nessuna legge viene fatta per regolarizzare le strategie di consumo e di produzione; gli stessi mass media, spesso pilotati da ristretti gruppi di potere, omettono di citare le conseguenze di questa crisi impedendo alle persone di farsi un’idea chiara sull’argomento.
     Greta sa bene che pregare i politici per l’ennesima volta non servirebbe: «ci hanno già ignorato in passato e ci ignoreranno ancora». Quindi non c’è spazio per la diplomazia, rimane solo l’azione, immediata e decisa.


     Grazie agli scioperi di Greta è nato un movimento, Friday for Future (venerdì per il futuro), che ha l’intento di mobilitare, partendo dai più giovani, le coscienze di tutto il mondo per passare all’azione.
     Oggi, venerdì 15 marzo, studenti da tutto il mondo manifesteranno e marceranno nelle principali città dei rispettivi paesi per gridare al mondo che il mondo non ha intenzione di aspettare ancora.

     Su Greta non sono mancati attacchi e si è messa in moto la consueta macchina del fango: qualcuno l’ha accusata di istigare i giovani a saltare le lezioni scolastiche, di manovrarli. In realtà una ragazzina che si prende il disturbo di rinunciare alla scuola per dare una svegliata a coloro che, profumatamente pagati, non svolgono il lavoro di tutela della collettività, non solo ha già dimostrato di avere già cultura (più cultura di quegli stessi politici!), ma getta anche un’ombra di vergogna su coloro che – politici e non – hanno avuto bisogno di una ragazzina per capire il rischio che tutti stiamo correndo.

     C’è stato anche chi non ha mancato di cadere ancora più in basso, ingiuriando Greta per la sua presunta boria ed arroganza da prima della classe (bacchettare dei politici sarebbe troppo per una ragazzina secondo questi presunti giornalisti). Dimenticando poi che l’aria arrogante (ammesso che la si noti) di Greta deriva dal fatto che ella è affetta da sindrome di Asperger, un disturbo comunicativo che non compromette le capacità cognitive, linguistiche ed emotive del soggetto, ma che lo rende poco capace di rendere manifeste le proprie emozioni e talvolta lo fa apparire erroneamente come freddo o insensibile a chi lo vede dall’esterno: gli Asperger sono in realtà perfettamente in grado di provare emozioni, di sentire quelle altrui ed hanno interessi personali (che anzi spesso risultano molto selettivi e limitati). Spesso, come nel caso di Greta, soffrono anche di mutismo selettivo, il che vuol dire che parlano di rado, solo quando lo ritengono importante.

     Altri ancora hanno sottolineato che dietro Greta potrebbe nascondersi in realtà un gruppo di attivisti che userebbe Greta per promuovere le proprie azioni (una cosa che, se anche fosse vera, non sarebbe neanche tanto criminosa, a condizione che la stessa Greta abbia a sua volta a cuore in modo sincero la questione: in tal caso sarebbe al massimo una portavoce).

     Dall’altra parte c’è chi ha chiesto a Greta di continuare a studiare per diventare una scienziata del clima e risolvere la crisi. Ma anche questo è quasi un’offesa: sia perché la risoluzione della questione climatica è un problema unicamente politico (i rimedi sono già stati proposti dalla scienza, spetta alla politica renderli obbligatori), sia perché non ha senso chiedere ai governanti di oggi di delegare la risoluzione del problema alle generazioni future, in quanto per allora il problema si sarà già aggravato in modo irrimediabile. I governanti di oggi devono agire oggi. Altrimenti vorrà dire che saranno solo un branco di «bambini viziati che non sanno assumersi le proprie responsabilità».

     La risonanza di Greta è stata tale che essa è stata invitata a parlare in molte riunioni e dibattiti pubblici con esponenti della grande politica: lo scorso dicembre, ad esempio, Greta, ha parlato alla COP24, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi in Polonia. Ha partecipato anche all'incontro di Bruxelles a febbraio 2019 o a quello di Amburgo del 1° marzo.


     Un gruppo di deputati socialisti norvegesi ha segnalato Greta come candidata all’assegnazione del prossimo premio Nobel per la pace. Questa ragazzina è riuscita (da sola? con l’aiuto di qualcuno? che importa, se il fine è così nobile?) a scuotere le coscienze dell’intero pianeta con la sua lineare ragionevolezza, con il suo stile diretto e cristallino e con una pacatezza e una sobrietà che ne fanno un’attivista davvero singolare.

     Ma noi, persone comuni, vero motore della nostra specie, riusciremo stavolta ad essere all’altezza di questo efficace appello? O riveleremo ancora una volta la nostra parte peggiore, sprecando anche questa irripetibile occasione?




LINK UTILI

martedì 21 giugno 2016

Fuggire all’estero: una soluzione sostenibile?

     Il fenomeno della fuga di cervelli non è un fatto nuovo oggi e ancor meno stupisce in tempo di crisi. Del resto le fughe dal proprio paese per cercare condizioni migliori in cui vivere sono roba vecchia quanto luomo: si va dalle migrazioni che i primi ominidi preistorici fecero partendo dallAfrica colonizzando il resto del mondo, alla fuga degli ebrei dallEgitto in cerca della “terra promessa”, fino alle migrazioni negli Stati Uniti allinizio del '900, i tempi di “Mamma mia, dammi 100 lire”.
     La fuga allestero si è tristemente riproposta negli ultimi anni, accentuata dalla crisi economica, ed ha colpito soprattutto i giovani, la generazione che non è riuscita affatto ad entrare nel mercato del lavoro e che rischia di essere danneggiata seriamente anche a livello pensionistico. Il nord Europa, il Giappone, gli Stati Uniti sono le mete più ambite dove migliaia di ragazzi sono costretti ad andare per costruirsi un futuro.
     È proprio di questo che vorrei parlare in questo post, ponendo una domanda: fino a che punto è sostenibile fuggire all'estero? Fino a che punto si può considerare attuabile questa soluzione? A lungo andare farà bene o male? E quindi, in fin dei conti: è giusto o no incoraggiare questa soluzione?
     Non intendo criticare chi parte, a cominciare da chi ama viaggiare e magari è andato via dallItalia perché ama il resto del mondo e, quindi, ha scelto liberamente di cambiare aria; mi soffermerei piuttosto su coloro che sono dovuti andare via per forza, coloro che hanno subito questo ricatto silenzioso e che in un certo senso non potevano fare a meno di partire perché si sentivano mancare il terreno da sotto i piedi, su coloro che magari avrebbero voluto costruire la loro vita nella loro terra, attorno alle persone che amano.
     La domanda è circoscritta solo al caso italiano, ovviamente, perché ogni paese fa discorso a sé. Per rispondere alla domanda occorre ammettere la prima e più banale delle cose, ovvero che chi è costretto a lasciare lItalia lo fa perché la politica non ha saputo dare risposte efficaci ai problemi economici di cui siamo vittima. Se infatti in Italia avessimo leggi diverse, che detassano il lavoro, che tutelano il lavoratore, che non ne favoriscano il licenziamento, che non interrompano il circolo economico permettendo alla domanda del mercato di continuare ad esistere, allora avremmo uneconomia che gira e produce ricchezza, e la ricchezza richiama lavoro. E con più lavoro tutti qui giovani costretti a fuggire sarebbero rimasti, facendo scelte più concordi coi loro veri desideri.
     Questa è la causa principale del fenomeno: una reazione di sopravvivenza. Per rispondere alla domanda posta dobbiamo pensare a cosa succederebbe se tutti i giovani presenti nel nostro paese adottassero indiscriminatamente la soluzione di fuggire via. Una soluzione infatti è adottata dal maggior numero di persone se è giusta, mentre se è sbagliata devessere scoraggiata e si devono incentivare altre strade. E allora facciamo questa simulazione, supponiamo che questa sia la soluzione migliore e che tutti i giovani la adottino e vediamo cosa accade:
  • Sottrazione di capitale umano – I giovani rappresentano sempre la risorsa umana più pronta per lo sviluppo di un paese e quando uno stato costringe i giovani a partire perde queste risorse: si tratta non solo di professionisti che potrebbero far funzionare le piccole e medie imprese (vera anima pulsante dell’economia italiana), ma anche ricercatori, specialisti, persone che potrebbero essere preziose a livello manageriale. Ogni giovane che va via è un’azienda che non si sviluppa o non nasce affatto, una proposta per il mercato che viene soffocata. È uno smembramento, che si ripercuote sulla vita del paese, peggiorando le sue condizioni perché di fatto lo stato italiano paga per istruire persone che poi vanno a fare il bene di altri paesi.
  • Invecchiamento medio della popolazione – L’Italia è un paese gerontocratico: da Andreotti a La Malfa a Berlusconi l’età media dei nostri governanti è paurosamente alta; ma non solo: anche l’età media della popolazione lo è. Siamo pieni di anziani. Un po’ è perché la vita media si è allungata, ma molta parte di questo fenomeno consiste nell’assenza di giovani che controbilancino questo trend. E sappiamo bene, senza fare sciocche discriminazioni, che i giovani hanno un potere produttivo molto maggiore degli anziani, che tra l’altro, proprio perché anziani, dovrebbero godersi gli ultimi anni della loro vita lontani dal lavoro e lasciare che siano le generazioni successive a portare avanti la vita del paese. Beninteso, ci sono mestieri che sono favoriti dall’anzianità perché sono legati all’accumulo di esperienza, come il medico o l’avvocato. Ma si tratta di casi minoritari. In generale siamo tutti d’accordo che è più giusto che siano i giovani a lavorare piuttosto che gli anziani.
  • Crisi pensionistica – Se in un paese un’intera generazione viene costretta a fuggire, significa che lavorerà all’estero. Se lavora all’estero significa che vive anche all’estero. E se vive all’estero pagherà anche le tasse all’estero. Tasse che l’Italia perde, sottraendole alla spesa sociale che normalmente lo stato dovrebbe fare a favore delle categorie più deboli. In particolare gli anziani: le pensioni vengono proprio pagate coi contributi versati dai lavoratori. Se un’intera generazione scompare, non solo non si produce ricchezza, non solo di interrompe il circolo economico distruggendo la domanda, ma si sottraggono soldi alla spesa pubblica e non si hanno soldi per le pensioni, che quindi si abbassano, aumentando quindi il tasso di povertà o i casi di suicidi che si sono riproposti con violenza dopo lo scoppio della crisi.
  • Sovraffollamento ed emergenze sociali – Mettiamo infine che tutti i giovani emigrino: dovranno pur andare da qualche parte. Se ammettiamo che sia la soluzione giusta e che quindi vada perseguita dal maggior numero di persone, allora un numero enorme di esseri umani dovrà trovare luogo per vivere altrove. Nasce un ovvio problema di ospitalità e integrazione, del tutto simile a quello che attualmente proprio l’Italia sta vivendo con i migranti provenienti dal continente africano, migranti economici ma anche di guerra. E tutti sappiamo cosa significhino queste “invasioni”: qualcuno – i più ignoranti – usano questo fenomeno come pretesto per fare bieche campagne elettorali; altri sviluppano veri e propri fenomeni di razzismo e discriminazioni. Ma in generale c'è un problema di risorse: nessuno stato è abbastanza ricco da poter ospitare e integrare tutta questa gente. Ovvero nascerebbero problemi anche nel paese ospitante. Crisi ed emergenze sociali sono cose da aspettarsi in un caso del genere. Gli italiani, poi, hanno in ciò una bella faccia di bronzo, perché vogliono emigrare e si aspettano ospitalità dall’estero, ma non sopportano che gente fugga dalla guerra che noi occidentali abbiamo provocato e alimentato, ma questa è un’altra storia.


     Se dunque tutti fuggissero via si aggraverebbero i problemi del paese lasciato e ne nascerebbero di nuovi nel paese ospitante. È un effetto domino, una reazione a catena. A chi giova alimentare questo fenomeno? Badate bene, il punto non è se sia giusto o meno che qualcuno scelga di andar via: il punto è se molti sono costretti ad andar via.
     Allora dobbiamo scegliere, i giovani, nella formazione della loro identità, devono scegliere se quello di andar via, salvo casi estremi, è un modello da considerare buono oppure no. Devono scegliere, quando si affacciano al mondo, quando si fanno una certa idea della vita, se mettere questa soluzione nel cassetto delle cose “buone da incoraggiare” o in quelle “cattive da evitare il più possibile”. Perché se passa lidea che lasciare il proprio paese sia giusto a prescindere, allora siamo già morti, in quanto la vita in generale richiede che le cose vengano aggiustate e non abbandonate a se stesse, che nuove alternative vengano create e incoraggiate. È proprio la mentalità dellusa-e-getta che non va bene, non possiamo permettercela.
     Vanno valorizzate le risorse che abbiamo, anziché cercarne di nuove, che tra l'altro finiranno prestissimo. È un discorso, lo si capisce, che va anche oltre il discorso che abbiamo fatto relativo al lavoro.

Molti sollevano polemiche a riguardo. Le riassumo di seguito, confutandole:
  • «Fissarsi a stare nella propria terra è sbagliato: la casa è dove ti trovi bene, non dove sei nato». In effetti la questione fa nascere il tema della “casa”. La fuga dei cervelli non può diventare un modello da incoraggiare non per una questione sentimentale, non perché altrimenti si avrebbe troppa nostalgia del luogo natio, ma perché non è sostenibile in termini di risorse, perché non è materialmente possibile, perché aggrava ancora di più il problema. Il concetto di casa non è in discussione.
  • «Ma allora nessuno dovrebbe mai migrare, dov'è il cosmopolitismo?». Ancora una volta mi piace sottolinearlo: il problema non nasce quando qualcuno migra, ma quando si crea nella mentalità dei giovani la convinzione che sia giusto andar via a prescindere, sempre e comunque. Abituarli al fatto che sia giusto andar via senza mostrare loro le alternative non li educa a risolvere il problema, non li educa a sforzarsi di creare soluzioni, una cosa che nella vita bisogna assolutamente saper fare. Le migrazioni contenute, come dicevo allinizio, sono fisiologiche, assolutamente normali e anzi auspicabili, perché favoriscono lo scambio di idee; ma quando prendono la forma di emergenze sociali di massa è diverso, stiamo parlando di unaltra cosa.
  • «Chi si ostina a restare è solo un pigro o un mammone».
    È vero che molti, già fortemente diseducati ad affrontare la vita, preferiscono restare sotto lala protettiva di mamma e papà ed è inutile discutere sul pericolo di un simile modello educativo, tipicamente italiano. Ma imparare a non dare per scontato che si debba andar via è da incoraggiare per un motivo molto più semplice: perché cambiare le cose è possibilissimo. Anche se il potere ci educa a rinunciare a questa idea, anche se i media ci mandano questo tipo di messaggi, anche se nella nostra stessa cultura locale si è diffuso il virus dellarrendevolezza, del lasciarsi andare, non è vero che non si possono cambiare le cose e che quindi si può solo fuggire. Un esempio? Abbiamo detto che la causa per cui si è costretti a fuggire è il cattivo operato della nostra classe dirigente che non ha proposto soluzioni adatte per rispondere alla crisi. Ebbene, cosa ci impedisce di scegliere i rappresentanti in maniera più accorta? In Italia abbiamo votato e sostenuto il berlusconismo per vent’anni ed è proprio in quegli anni che le cose sono peggiorate. Noi italiani, ammettiamolo, ci facciamo corrompere davanti ai seggi, vendiamo il nostro voto per 50 euro (anche per 1 euro solo), permettiamo alle mafie di comprare i voti, facciamo salire al potere la malavita organizzata, non ci interessiamo della politica, anzi ci vantiamo di disprezzarla, non sorvegliamo quindi la nostra classe dirigente, le permettiamo di fare le cose peggiori perché non vogliamo problemi, però poi pretendiamo che tutto fili liscio. 
    Non funziona così in democrazia, una volta delegato il potere ai rappresentanti il compito di un cittadino non è finito: bisogna continuare ad esercitare un’azione di sorveglianza e, se necessario, intervenire facendo sentire il peso dell’opinione pubblica. Se non ci correggiamo, continuiamo a votare persone inadatte che ovviamente approfitteranno del nostro disinteresse per fare i loro comodi. Se fossimo meno “ignoranti” in questo senso, non avremmo bisogno di fuggire, perché non permetteremmo così facilmente a certi politici di prendere certe decisioni, come labolizione dell'articolo 18, ad esempio, che facilita i licenziamenti, o linnalzamento delle tasse sul lavoro; i nostri politici avrebbero un po più “paura” di osare perché saprebbero che perderebbero il nostro voto se si spingono oltre. E invece da noi si sa fin troppo bene che sopportiamo benissimo questo e altro. E allora ecco che la cosa più intelligente che ci viene da pensare è cercare altrove le condizioni migliori per vivere, anziché crearle qui. A ben vedere, è questa la vera pigrizia.

     Si vada pure via, quindi, si cerchi la propria strada laddove ci sembra più opportuno, ma stiamo attenti a non formulare dentro di noi lidea che questo vada fatto per primo. Teniamoci questa alternativa come ultima spiaggia, scoraggiamola il più possibile, soprattutto educhiamo i giovani a inventare e proporre soluzioni nuove invece che cercarle altrove già belle e pronte. E facciamo i cittadini in modo più serio, così magari tutto questo non accadrebbe affatto e non ci sarebbe bisogno di risolverlo, questo problema.


sabato 8 agosto 2015

Treedom: guarire il pianeta con pochi euro adottando alberi

     In Svezia, terra di foreste e leader mondiale nella produzione di legname, da più di cento anni esiste una legge: ogni albero abbattuto dev’essere sostituito da un nuovo albero piantato. Con questa semplice norma il territorio forestale svedese nei decenni è aumentato in un pianeta in cui il territorio boschivo e forestale è invece addirittura in drastica diminuzione a causa del cinismo e del pericoloso menefreghismo della cultura capitalistica che pur di far guadagnare miliardi alle multinazionali non guarda in faccia a nessuno ed è disposta perfino a creare le condizioni per l’estinzione di interi habitat e, a tempo debito, della vita in generale.

     Ebbene, sei siete ecologisti o semplicemente avete a cuore questo puntino dell’universo che è il pianeta Terra che ci dà da mangiare da milioni di anni, sarete contenti di sapere che è possibile con una manciata di euro adottare degli alberi nel sud del mondo, ripiantando così intere foreste, restituendo fertilità ai terreni, dando lavoro ai contadini locali, producendo frutti che sfameranno intere comunità di persone, nonché riducendo il dannoso impatto dell’anidride carbonica (CO2) che è la causa principale del surriscaldamento globale del pianeta, per il quale l’innalzamento delle temperature sta stravolgendo il clima, portando catastrofici cambiamenti ai territori, alla loro produttività e mettendo a rischio le colture con cui il pianeta intero si sfama e le specie animali che fanno parte della delicatissima catena alimentare.

     Ma chi vi permette di fare tutto questo a un costo ridicolo e con una spesa una tantum? Sono i ragazzi di Treedom, una startup fondata da Federico Garcea a Firenze nel 2010 con un’équipe di giovani che hanno in comune la voglia di tutelare l’ambiente e che credono nello sviluppo sostenibile, occupandosi di progetti legati alla riforestazione del pianeta.
Il motto di Treedom è Let’s green the planet, Rinverdiamo il pianeta e il proposito principale è tanto semplice quanto meraviglioso: piantare nuovi alberi nel pianeta.


     Tramite il suo sito web Treedom permette infatti a tutti (sia privati che aziende che enti nazionali e internazionali) di acquistare degli alberi che verranno piantati, cresciuti, fatti maturare, fotografati e mappati su Google; potete acquistare uno o anche più alberi nel tempo, diventando "genitori" di un'intera foresta. Gli alberi acquistati possono essere “adottati” in questo modo a distanza ed è perfino possibile dedicare questi alberi a una persona a noi cara, adottandoli per lei.

     L’utente che voglia adottare un albero può scegliere tra molte varietà di specie: baobab, mangrovie, karité, alberi di arancio, mango, avogado… C’è davvero l’imbarazzo della scelta. Ognuno si trova in una località specifica dell’Africa e ognuno di essi è capace di assorbire una diversa quantità di anidride carbonica. Sul sito esiste anche una sezione che calcola il vostro impatto ecologico in termini di CO2 prodotta, per farvi avere un’idea di quanto emettiamo con il nostro stile di vita.


     La registrazione al sito è ovviamente gratuita ed offre dei simpatici servizi, come un blog frequentemente arricchito che vi tiene aggiornati su argomenti inerenti all’ambiente e alla natura e la possibilità di diventare membro di una community di iscritti come voi. I prezzi sono ragionevolissimi: al momento della pubblicazione di questo post vanno da un minimo di € 5.90 a un massimo di € 39.90, a seconda della specie che vi interessa. Praticamente è come fare un investimento ecologico comprando un libro. Il pagamento, si legge sulla pagina dei termini e delle condizioni del servizio, può essere effettuato in più forme: PayPal, carta di credito, bonifico bancario, pagamento tramite UP Mobile e pagamento con MasterPass.

     Come detto, Treedom è impegnata a sostenere numerosi progetti di riforestazione del territorio ed ha collaborato perfino con Libera, l’associazione antimafia più importante d’Italia. L’utente può scegliere quale progetto supportare (alcuni sono stati già completati), valutando tramite apposite “schede di identità” gli alberi a cui è interessato. Quando l’utente adotta un albero riceve delle foto dello stesso e ha la possibilità di seguirlo durante la sua crescita.

     Il consiglio, se siete curiosi, è di sbirciare il sito, molto chiaro ed esaustivo, o selezionando le apposite voci elencate nella parte bassa (vedi immagine) di ogni pagina o cliccando sui link che portano alle pagine che per comodità verranno lasciati di seguito, poiché sembra una bellissima occasione per fare qualcosa per questo nostro bellissimo e sfortunato pianeta.







Il blog di Treedom (consultabile anche da parte dei non iscritti al sito)



Termini e condizioni (non temete, non è nulla di noioso o lungo)


La natura si domina obbedendole.
- Francis Bacon


lunedì 10 novembre 2014

Scripta manent, n. 21 – I figli secondo “Il Profeta”

     Il profeta è un bellissimo testo di Kahlil Gibran del 1923, in cui un saggio dispensa delle “piccole” grandi verità a una folla che lo ascolta sui temi più diversi della vita. Le sue riflessioni, lunghe appena una paginetta, spaziano dall’amore al dolore, dalle leggi alla libertà, dal cibo agli abiti. Il passo che segue riguarda i figli: in esso viene descritta una visione molto bella di cosa i figli dovrebbero essere. Chiunque sia genitore o voglia un giorno diventarlo farebbe bene a leggere queste poche righe.



E una donna che reggeva un bambino al seno disse: Parlaci dei Figli.
Ed egli disse:
I vostri figli non sono i vostri figli.
Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per se stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,
e benché vivano con voi non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,
poiché essi hanno i loro propri pensieri.
Potete dar ricetto ai loro corpi ma non alle loro anime,
poiché le loro anime dimorano nella casa del domani, che neppure in sogno vi è concesso di visitare.
Potete sforzarvi di essere simili a loro, ma non cercate di rendere essi simili a voi.
Poiché la vita non va mai indietro né indugia con l’ieri.
Voi siete gli archi da cui i vostri figli come frecce vive sono scoccate.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e piega e vi flette con la sua forza perché le sue frecce vadano veloci e lontane.
Fate che sia gioioso e lieto questo vostro esser piegati dalla mano dell’Arciere:
poiché come ama la freccia che scaglia, così Egli ama anche l’arco che è saldo.

Kahlil Gibran, Il Profeta