lunedì 4 luglio 2011

Il presente impossibile

     Se vi dicessi di pensare al tempo presente, pensereste a quello che avviene ora, a ciò che accade adesso, in questo momento, ovvero nello stesso tempo in cui ci pensate. Questo modo di concepire il presente è uno schema di pensiero che abbiamo ereditato dai tempi più antichi: Aristotele stesso, nel IV libro della Fisica, parlava del tempo presente come del nyn, dell’adesso.
     Secondo questa definizione gli eventi presenti si possono percepire solo nello stesso presente in cui accadono: non sarebbe infatti possibile percepire un evento “come presente” se esso si è già verificato, poiché, se si fosse già verificato, allora non sarebbe più presente, ma passato.
     Eppure io vi dico che questo paradosso non è un paradosso. Ovviamente non sono io a dirlo, ma la Scienza: è possibile percepire nel tempo presente un evento passato. E non parlo di sognare, né di fantasticare ad occhi aperti, né di usare le sfere di cristallo delle fattucchiere. È un’esperienza realmente fattibile. Se siete curiosi di sapere come sia possibile una cosa del genere, lasciate che vi racconti di un aneddoto di qualche anno fa…

     Era il 12 maggio del 2009 e io me ne stavo all’aperto a godermi la frescura primaverile e ad osservare una luna che quella notte era veramente ipnotica; attorno a quella, una miriade di stelle, più di quante se ne vedessero nel nostro cielo inquinato e povero. Mentre osservavo la volta celeste fui preso da quella stessa sensazione che mi prendeva da piccolo quando, dal terrazzo ampio e vasto della mia prima casa, mi rendevo conto che quelle lucine erano lontane un numero di chilometri che non potevo nemmeno pensare, ma erano lì tuttavia, davanti a me, ferme e immobili, a disposizione del mio sguardo, quindi “vicine”.
     Questa sensazione mi stregava: non avrei mai neanche potuto avvicinarmi a esse, e ciononostante potevo godermele, potevo guardarle: erano lontanissime, ma anche vicinissime. La mia mente era letteralmente rapita da questo contrasto.
     Poi crebbi, studiai la Fisica e le sue leggi e, quando mi ricapitò di osservare il cielo in quella notte di maggio, quella sensazione a cui ero abituato da piccolo si risvegliò, ma questa volta fu accompagnata da una riflessione che aumentò enormemente il mio legame con quell’esperienza. Guardavo una stella in particolare, era vicina alla luna: brillava pulsando più delle altre e la sua luce era molto viva; mi ricordai delle lezioni sulla propagazione della luce studiate mesi prima e lì mi colse la consapevolezza del paradosso che vi dicevo prima.
     Quando io guardo la stella, in realtà sto ricevendo la luce che quella stella emana: la luce parte dalla stella sotto forma di raggio luminoso, compie il suo cammino nello spazio e arriva anche sulla terra, colpendo i miei occhi; i miei occhi ricevono la luce, il mio cervello elabora lo stimolo luminoso e io mi rendo conto di vedere la stella adesso. Ma nel frattempo che succede?
     Quando il raggio di luce arriva sulla terra ha percorso uno spazio enorme. Quanto spazio? Fingiamo per comodità che la nostra stella sia Alpha Centauri, la stella più vicina al nostro sistema solare, chiamata per questo anche Proxima Centauri (proxima in latino significa “la più vicina”): Proxima si trova a una distanza dal sole di circa 4 anni luce (arrotondiamo per difetto), dove un anno luce è la distanza che la luce percorre nel vuoto in un anno e corrisponde a circa 9 460 800 000 000 000 metri: un numero impronunciabile!  Quindi ogni raggio di luce che parte da Proxima Centauri percorre circa quattro volte 9 460 800 000 000 000 metri!
     Ora questo enorme numero di metri viene percorso dal raggio di luce in quattro anni: infatti la luce, per quanto sia velocissima (nel vuoto viaggia a circa 300 milioni di metri al secondo!), tuttavia impiega comunque un certo tempo per percorrere lo spazio. E un raggio di luce che parta da Proxima arriva sulla Terra quattro anni dopo essere partito, quattro anni durante i quali percorre quella distanza impronunciabile. Pensate a quest’ultima cosa: se la luce arriva sulla Terra dopo quattro anni, allora significa che noi stiamo vedendo la stella di quattro anni prima! Il “ritardo” della luce fa sì che noi percepiamo la stella com’essa era quattro anni prima, non com’essa è nel momento in cui il raggio arriva ai nostri occhi!
     Chiariamo ancora meglio questo concetto con un esempio ipotetico. Fingiamo che all’improvviso Proxima Centauri scompaia dallo spazio: un attimo prima di scomparire, emanerebbe l’ultimo raggio di luce, che partirebbe da essa e compirebbe il suo viaggio verso la Terra, impiegando quattro anni circa. Fingiamo che il raggio parta da Proxima nel 2007 e che arrivi quindi sulla terra nel 2011. Dopo quattro anni noi osserveremmo la stella e mentre la vedremmo brillare, improvvisamente essa scomparirebbe ai nostri occhi! Allora ci renderemmo conto che essa è sparita! Ma sbaglieremmo a pensare che essa sia sparita nello stesso momento in cui l’abbiamo vista scomparire! La stella non sarebbe scomparsa nel 2011, cioè nel tempo in cui l’abbiamo vista scomparire, bensì quattro anni prima, nel 2007, ovvero nel momento in cui l’ultimo raggio partì. Tutto questo noi non avremmo potuto saperlo in tempo reale, poiché avremmo dovuto attendere che l’ultimo raggio di luce fosse arrivato ai nostri occhi e questa attesa avrebbe dovuto durare per forza circa quattro anni! Quindi noi percepiremmo nel tempo presente (il presente in cui osserviamo) un evento passato (la morte della stella avvenuto circa quattro anni prima). Come vedete il paradosso ha una sua spiegazione che non lo rende più un paradosso.
     Abbiamo fatto un esempio con una stella, ma questo meccanismo avviene in realtà con ogni oggetto che vediamo, vicinissimo o lontanissimo. Sì, perché, tranne i buchi neri, ogni oggetto emana luce e ogni raggio di luce impiega un certo ritardo ad arrivare ai nostri occhi: certo, a volte gli oggetti sono talmente vicini che la luce impiega un tempo davvero infimo, troppo breve per poter essere anche solo considerato e quindi diciamo, per esempio, che noi vediamo la persona a due metri da noi muoversi nello stesso momento in cui la vediamo. Infatti due metri sono percorsi dalla luce in circa 0,000000007 secondi, un tempo quasi inesistente. Tuttavia quel tempo esiste e non è pari a zero, quindi ci sarà sempre un certo ritardo, un certo sfasamento temporale tra il momento in cui un evento avviene e il momento in cui possiamo percepirlo.
     Teniamo inoltre presente che lo stesso modo con cui i nostri nervi trasportano gli stimoli sensoriali al cervello impiega un suo tempo, sebbene molto breve: solo quando uno stimolo sensoriale arriva alla corteccia del cervello noi ci rendiamo conto di percepire qualcosa. Esiste quindi un ritardo intrinsecamente connaturato al nostro corpo e ai suoi limiti fisiologici. Perciò questo meccanismo del ritardo avviene anche quando udiamo suoni, o quando elaboriamo informazioni tattili, quando sentiamo odori… ovvero, detto in altre parole: la propagazione degli stimoli esterni e il modo di funzionare dei nostri sensi fanno sì che tutto ciò che percepiamo sia sempre già avvenuto e che, quindi, ci sia sempre quel ritardo. Perciò, a conti fatti, la condizione di tempo presente, ammesso che abbia senso parlarne, non è sperimentabile per noi, non possiamo mai vivere il presente: il presente non ci riguarda.