lunedì 27 dicembre 2010

Scripta manent, n. 2 - Essere o non essere

Vi faccio un bel regalo stavolta: vi porto nientemeno che Shakespeare! Vi porto il suo Amleto, il malinconico ma palpitante principe di Danimarca dell’omonima tragedia, scritta quattro secoli fa, ma che ha messo sul palco emozioni e sentimenti universali e onnipresenti presso tutti gli uomini. Vi porto l’apoteosi del dramma di questo principe, di quest’uomo deluso e tradito, il cui animo fu sporcato da un delitto di sangue che proprio non meritava, un delitto che è un’offesa a quella «nobile mente», come lo chiama Ofelia, che ella amava così tanto; quel principe che, dopo quel dramma, imparò a odiare con la stessa forza con cui amava.
Il passo è il celeberrimo monologo dell’Essere o non essere, uno dei brani più famosi di tutta la letteratura mondiale, recitato dallo stesso Amleto nel terzo atto. Tecnicamente, più che di un monologo, si tratta di un soliloquio, in cui Amleto si interroga se sia il caso di vivere (essere) o morire (non essere), se sia più «nobile» lottare contro le pene o abbandonarsi a esse; un soliloquio dove si parla della morte come di un sonno, un sonno che molte volte si desidera per sfuggire a dolori eccessivi; una morte che tuttavia non abbiamo il coraggio di dare a noi stessi, magari con un «nudo» pugnale, così, semplicemente, perché abbiamo paura di quello che potremmo trovare dopo, delle pene che potrebbero essere addirittura maggiori di quelle di cui ci lamentiamo in vita, una morte di cui temiamo le conseguenze, che fanno tanto più paura quanto più sono ignote. E a causa di questo tipo di timore, la volontà di farla finita si scolora, diventa pallida sotto il peso del pensiero e la nostra deliberazione resta tale senza concretizzarsi in azione.

gdfabech

Essere o non essere, questo è il dilemma:
è forse più nobile soffrire nella propria mente
le pietre e i dardi dell’avversa sorte,
o invece prendere le armi contro un mare di afflizioni
e metter loro fine a forza di combatterle? Morire, dormire.
Null’altro; e con un sonno dire che mettiamo fine
alle pene del cuore, e a mille offese naturali
di cui la carne è erede; questa sì che è una conclusione
da desiderare con devozione. Morire, dormire;
dormire, magari sognare. Ahimè, qui sta l’ostacolo;
poiché in quel sonno di morte i sogni che potrebbero venire,
quando ci saremo liberati dal viluppo di questa spira mortale,
devono darci motivo di esitare: in questo consiste lo scrupolo
che rende la sventura così durevole:
perché chi sopporterebbe le frustate e le derisioni del secolo,
i torti dell’oppressore, gli oltraggi dei superbi,
le sofferenze dell’amore non corrisposto, gli indugi della legge,
l’insolenza di chi ha il potere, e l’offesa
che il merito paziente riceve da chi è indegno,
quando egli stesso potrebbe darsi la pace
con un nudo pugnale? Chi sopporterebbe il peso,
a gemere e sudare sotto una vita fiacca,
se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte
– quella terra inesplorata dai cui confini
nessun viaggiatore ritorna – rende perplessa la volontà,
e ci fa sopportare quei malanni che già abbiamo,
invece che volare ad altri di cui non sappiamo nulla?
Così la coscienza rende vigliacchi tutti noi,
e così l’originario colore della decisione
è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero,
e imprese di grande altezza e grande portata
con questo scrupolo deviano via il loro corso
e perdono il nome di azione.

William Shakespeare, Hamlet, atto III, scena I



                Credo, però, che un testo del genere, sia doveroso proporlo anche nella sua versione originale, poiché, in poesia più che in prosa, vale il detto “Traduttore è traditore”. In inglese è tutta un’altra cosa! A chi fosse amante della lingua britannica o semplicemente del linguaggio shakespeariano consiglio di leggere anche il testo originale, e magari sbirciare la scena del soliloquio tratta dal film Hamlet del 1996 diretto da Kenneth Branagh, la versione cinematografica dell’Amleto più bella che abbia mai visto.


To be, or not to be, that is the question:
whether ’tis nobler in the mind to suffer
the slings and arrows of outrageous fortune,
or to take arms against a sea of troubles
and, by opposing, end them? To die, to sleep.
No more; and by a sleep to say we end
the heart-ache, and the thousand natural shocks
that flesh is heir to; ’tis a consummation
devoutly to be wish’d. To die, to sleep;
to sleep, perchance to dream. Ay, there’s the rub;
for in that sleep of death what dreams may come,
when we have shuffled off this mortal coil,
must give us pause: there’s the respect
that makes calamity of so long life:
for who would bear the whips and scorns of time,
the oppressor’s wrong, the proud man’s contumely,
the pangs of disprized love, the law’s delay,
the insolence of office, and the spurns
that patient merit of the unworthy takes,
when he himself might his quietus make
with a bare bodkin? Who would fardels bear,
to grunt and sweat under a weary life,
but that the dread of something after death
– the undiscovered country from whose bourn
no traveller returns – puzzles the will,
and make us rather bear those ills we have,
than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all,
and thus the native hue of resolution
is sicklied o’er with the pale cast of thought,
and enterprises of great pitch and moment
with this regard their currents turn awry
and lose the name of action.

sabato 25 dicembre 2010

Riforma Gelmini: un dibattito sui suoi effetti

     Nel mio precedente post ho fatto un rapido cenno alle proteste studentesche che recentemente si sono sollevate contro il disegno di legge del Ministro Gelmini sulla riforma universitaria. Questa volta mi preme tantissimo scrivere due righe sugli effetti del disegno una volta approvato. In principio il mio intento era quello di leggere il testo integrale e poi scriverci delle considerazioni, ma ho dovuto abbandonare questa deliberazione per almeno due motivi: 1) non è possibile reperire il testo definitivo del disegno di legge fin quando esso non sarà stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (cosa che avviene poco dopo l’approvazione di un disegno di legge); 2) se anche avessi trovato il testo definitivo e l’avessi letto e compreso tutto, il fatto stesso di averlo presentato io sarebbe stata una mancanza di obiettività.
     Ho ritenuto invece molto più costruttivo ed efficace (e anche più breve) riunire in un unico post dei video in cui si simuli un dialogo, un dibattito, un vero e proprio confronto tra le parti sul contenuto del disegno e sulle sue conseguenze, dei video dove a parlare siano proprio i diretti interessati, ovvero: da una parte il Ministro Gelmini in persona e dall’altra coloro che criticano la sua riforma. Si tratta di video molto fruibili e brevi che espongono a mio avviso in modo chiaro e inequivocabile il punto di vista delle due parti. Il mio obiettivo, nel fare ciò, è duplice: da una parte vorrei che si facesse informazione sul problema, perché quando si ascoltano entrambe le parti vengono fuori molte più cose: in questo modo la gente può farsi un’opinione molto più libera del problema. In secondo luogo, se si mettono a confronto le due fazioni, emergono in maniera molto più evidente le contraddizioni della parte che ha torto, cosa più difficile da fare quando si esamina una questione considerando solo un aspetto di essa.
     È chiaro che trovare una sola persona che parli di tutto il contenuto del decreto è impossibile: quindi ho linkato vari video, ognuno dei quali parla di un aspetto in modo diverso. Sotto ogni link troverete una breve didascalia che dovrebbe indirizzarvi sul contenuto. Ho scelto di pubblicare video che non fossero estratti da un qualche telegiornale o da uno di questi programmi di dibattito politico, proprio perché non si potesse dire che sono fonti di parte: il mio augurio è che li vediate tutti e che anzi me ne siano segnalati altri. Spero che aiutino a comprendere.
     Per cavalleria, farei cominciare a parlare il Ministro in persona, che dal suo canale di YouTube così si esprimeva riguardo la questione.



     Il ministro Gelmini cerca di preparare l’opinione pubblica e di tranquillizzare gli studenti, temendo che siano tutti stati plagiati e condizionati dai “baroni” che hanno l’interesse a mantenere lo status quo. Se da una parte è vero che presso molti giovani (studenti e non) non c’è coscienza di quello che accade loro intorno, e se quindi è vero che essi sono facilmente influenzabili, tuttavia trovo estremamente inverosimile e mi rifiuto di credere che l’intero corpus di coloro che protestano – che non sono solo, attenzione, studenti, ma anche professori, rettori, ricercatori precari e perfino studenti di paesi stranieri che con l’Italia non hanno nulla a che vedere! – abbia deciso di far andare in vacanza il cervello e si sia fatto abbindolare da questi baroni. Mi rifiuto di credere che nessuna di queste persone abbia saputo ragionare a mente lucida sul problema. Mi rifiuto di credere che centinaia di migliaia di persone si siano tutte rincretinite di colpo, che non abbiano capito nulla e che abbiano tutti frainteso mentre un singolo Ministro abbia veramente ragione.
     Dopo aver preparato il terreno, la Gelmini tenta di rendere conto dei punti più salienti della sua riforma, provando a rispondere alle critiche che sono state mosse al riguardo. Nel fare ciò ella chiama in causa dei principi di per sé giusti, fa appello a esigenze davvero esistenti nel nostro mondo universitario e dice di voler risolvere questioni annose che effettivamente sono presenti nell’ambiente della didattica (parlo per esempio della necessità di premiare i più meritevoli, dell’esigenza di razionalizzare le risorse, della lotta alle baronie, tutte cose condivisibilissime dette così): tuttavia è il come che non convince i “critici”.
     Mi pare opportuno far notare che il Ministro fa appello a un criterio particolare, per tutta la durata del video, per giustificare il suo intervento, ovvero quello secondo cui è necessario fare tagli e razionalizzare le risorse a causa della crisi economica del nostro Paese. Cioè, secondo il Ministro, poiché ce la passiamo male, qualcuno deve pagare. E secondo lei chi si deve sacrificare è proprio l’Istruzione: si prende questo settore e si usano i fondi a esso destinati per fare altro (e lasciamo stare per ora cosa sia questo altro).
     Il sottoscritto, in tutta la sua umiltà, ritiene invece che non abbia molto senso tagliare proprio in quel settore nelle cui mani c’è il futuro del Paese, bensì che sarebbe molto meglio se fossero i governi a tamponare (se non a risolvere) la crisi elaborando un’adeguata politica economica, di quelle che non siano sottoposte alle influenze delle multinazionali o alle esigenze personali di alcuni politici che non sono solo politici ma nello stesso tempo sono anche industriali-imprenditori, che quindi hanno tutto l’interesse a fare leggi che mettano loro in mano quanti più soldi possibili, anche se questo significa creare monopoli economici rallentando l’economia generale. Non è l’Istruzione a doversi sacrificare per venire incontro alla crisi: sono i governi che hanno l’obbligo di risolvere la crisi, investendo il più possibile sui giovani che dovranno lavorare, come si fa in qualunque altro luogo del pianeta. Usare la crisi come pretesto per giustificare i tagli è una scusa palesemente paracula, almeno nel caso presente in questione!
     E, sempre secondo il modestissimo parere del sottoscritto, sarebbe anche meno ipocrita ammettere che una buona parte della crisi di cui il nostro Paese soffre è opera proprio dell’evasione fiscale e degli altri reati finanziari (che riguardano cioè il denaro che manca in questa crisi!) a cui si sono dedicati da sempre molti di quei politici che abbiamo avuto al governo, senza distinzioni di bandiera. Quindi si passassero prima loro una mano sulla coscienza e riconoscessero la loro parte di responsabilità! Nel caso specifico vorrei citare, a riprova di quanto dico e anche per rispondere al Ministro, gli innumerevoli processi per evasione fiscale, falso in bilancio, frode fiscale, tangenti fiscali e perfino di riciclaggio di denaro sporco che hanno visto – e vedono ancora! – protagonista il nostro attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, quello stesso uomo cui il Ministro Gelmini, diligentemente addestrata, non ha dimenticato di far cenno nel suo video. Processi noti a tutti e su cui chiunque può informarsi in ogni momento. Processi che o non si sono ancora conclusi, o che sono caduti in prescrizione, ovvero processi che la giustizia ha rinunciato a portare a termine perché si sono protratti oltre il termine temporale ragionevolmente previsto e sui quali, quindi, non è mai stato permesso che si facesse luce.


     Detto questo, ascoltiamo ora le brevi risposte di una parte degli oppositori alla riforma.


     Questo video, realizzato dal Sindacato degli studenti in collaborazione con l’Assemblea studentesca Link è diviso in due parti, ognuna delle quali dura 2 minuti: nella prima si descrive con una rappresentazione schematica molto diretta e semplice il problema dell’organizzazione interna che l’università avrà dopo la riforma, ovvero quella che si chiama governance, si descrive il nuovo (e depauperato) ruolo che il Senato accademico assumerà e l’introduzione del nuovo organo che è il Consiglio di amministrazione e i rischi che si corrono nel dare il potere in mano a enti esterni che non hanno interesse a curare lo stato degli atenei; nella seconda parte invece viene focalizzata la figura del ricercatore e il peggioramento delle sue condizioni in seguito all’attuazione della riforma in legge.

La riforma spiegata dal Professor Picone

     In questo video il Prof. Giusto Picone, docente di Letteratura latina presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Palermo, esprime in una breve intervista di 7 minuti alcune contraddizioni insite nella riforma, ovvero il fatto che molti dei problemi che essa si propone di risolvere vengano di fatto aggravati da essa stessa in maniera tacita e taciuta: l’organizzazione della governance, il problema dei concorsi per i professori e dei baroni universitari, l’annosa questione dei ricercatori precari e la loro ricattabilità e i rischi che corrono gli studenti.

L'intervento di Franceschini: la lingua ferisce più della spada


     Chiudo con l’arringa pronunciata dall’On. Dario Franceschini (Partito Democratico) che, al di là dei toni di rimprovero, fornisce interessanti dati e prove sulle contraddizioni economiche della riforma e dei governi Berlusconi anche in altre questioni passate, affronta il tema dei tagli finanziari così come essi sono stati attuati da questo governo e cita, a mio avviso lodevolmente, il peso e la legittimità delle manifestazioni studentesche che invece sono state osteggiate dal Presidente del Consiglio Berlusconi quando disse che i veri studenti dovrebbero stare a casa a studiare invece che in piazza a manifestare.

     Il disegno di legge è stato approvato definitivamente il 23 dicembre 2010. Non appena sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, assumerà valore di legge a tutti gli effetti.
               
Oggi che è Natale ho riscritto una nuova lettera a Babbo Natale:

Caro Babbo Natale,
per quest’anno vorrei un nuovo Ministro dell’Istruzione.
Quello che avevo prima non funziona più.


«L’arte a la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.»
(Costituzione, articolo 33, comma 1)


 Buon Natale a tutti voi!

sabato 11 dicembre 2010

Scripta manent, n. 1 - Come nasce il poeta

In questo primo numero della rubrica Scripta manent, dedicata ai passi scelti dal mondo della letteratura, voglio proporre uno stralcio tratto dal brevissimo epistolario di Rainer Maria Rilke intitolato Lettere a un giovane poeta, in cui l’autore, con la scusa della corrispondenza epistolare con un suo ammiratore (il “giovane poeta” del titolo, appunto), dispensa consigli preziosissimi che, se all’inizio sono legati alla necessità di suggerire i criteri di una scrittura onesta, si dilatano fin da subito alla sfera della vita dell’uomo in generale e diventano veri e propri testamenti spirituali che toccano (e guidano!) la coscienza del lettore, insegnandogli ad apprezzare tutto quello che serve per vivere una vita consapevole, prima ancora che una scrittura consapevole. Il seguente passo è tratto proprio dalla prima lettera.

gdfabech

Non posso addentrarmi nella natura dei suoi versi, poiché ogni intenzione critica è troppo lungi da me. Nulla può toccare tanto poco un’opera d’arte quanto un commento critico: se ne ottengono sempre più o meno felici malintesi.
     […] Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. S’interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell’ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affermare con un semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde. Non scriva poesie d’amore; eviti dapprima quelle forme che sono troppo correnti e comuni: sono le più difficili, poiché serve una forza grande e già matura per dare un proprio contributo dove sono in abbondanza tradizioni buone e in parte ottime. Perciò rifugga dai motivi più diffusi verso quelli che le offre il suo stesso quotidiano; descriva le sue tristezze e aspirazioni, i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi, le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo. Se la sua giornata le sembra povera, non la accusi; accusi se stesso, si dica che non è abbastanza poeta da evocarne le ricchezze; poiché per chi crea non esiste povertà, né vi sono luoghi indifferenti o miseri. E se anche si trovasse in una prigione, le cui pareti non lasciassero trapelare ai suoi sensi i rumori del mondo, non le rimarrebbe forse la sua infanzia, quella ricchezza squisita, regale, quello scrigno di ricordi? Rivolga lì la sua attenzione. Cerchi di far emergere le sensazioni sommerse di quell’ampio passato; la sua personalità si rinsalderà, la sua solitudine si farà più ampia e diverrà una casa al crepuscolo, chiusa al lontano rumore degli altri. E se da questa introversione, da questo immergersi nel proprio mondo sorgono versi, allora non le verrà in mente di chiedere a qualcuno se siano buoni versi. Né tenterà di interessare le riviste a quei lavori: poiché in essi lei vedrà il suo caro e naturale possesso, una scheggia e un suono della sua vita. Un’opera d’arte è buona se nasce da necessità. È questa natura della sua origine a giudicarla: altro non v’è.

Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta