lunedì 30 dicembre 2013

Scripta manent, n. 18 – «Ciascuno cresce solo se è sognato»

     Mi piace chiudere il 2013 con un pensiero di Danilo Dolci, uno di quei pochi artisti che hanno unito alla loro contemplazione “teorica” anche l’azione concreta, impegnandosi in prima persona nelle attività da lui descritte. Famoso attivista e propagatore della non-violenza, sensibile ai temi della malavita organizzata, Dolci ha lasciato un bellissimo retaggio nella sua concezione dell’insegnamento e dell’educazione. Propongo qui dei versi in cui esemplifica questa concezione, poiché li annovero tra le cose di cui la nostra cultura ha più bisogno per depurarsi dalle contraddizioni e dalle resistenze interne al miglioramento che caratterizzano di più il modo di pensare “all’italiana”.


C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato. 

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all'altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.


Danilo Dolci, Ciascuno cresce solo se sognato




sabato 14 dicembre 2013

Governo, ora tutti i figli sono uguali: passa il decreto sulla filiazione. Ecco cosa cambia

     Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto che in sostanza riforma la filiazione, eliminando tutte le differenze di inquadramento e trattamento giuridico nei confronti dei figli, indipendentemente se essi siano legittimi (cioè nati nel matrimonio), naturali (nati fuori dal matrimonio) o adottati.

     Il tema ha avuto una considerevole evoluzione nel tempo. La legge in principio dava rilevanza solamente ai figli legittimi, poiché il solo tipo di famiglia riconosciuto era quella nata con il matrimonio (religioso o civile) e lo Stato riconosceva solo ai suoi membri la tutela dei diritti; anzi, fino a qualche decennio fa essere genitore di un figlio senza che uno o entrambi i coniugi non fossero sposati era considerato nel nostro paese un fattore di disonore e di onta: non a caso tali figli venivano chiamati “bastardi” o “illegittimi”.
     Col tempo invece, e grazie anche all’introduzione del divorzio nel nostro paese (1970), il vincolo della sacralità della famiglia ha cominciato a essere un po’ meno rilevante nei costumi: prima del divorzio chi si sposava sapeva di dover accettare il matrimonio tutta la vita, nel bene o nel male e ci pensava un bel po’ prima di fare il passo; oggi invece le coppie prendono la scelta di sposarsi con un po’ più di leggerezza e infatti il numero di separazioni e divorzi è enormemente aumentato, intasando gli studi dei matrimonialisti. In particolare, si è sviluppata la cosiddetta coppia di fatto, ovvero una coppia che condivide uno stesso tetto e che si comporta more uxorio, senza però aver suggellato la comunanza di vita con l’istituto matrimoniale: oggi non sorprende più che in un contesto del genere possano nascere anche dei figli e, naturalmente, la sensibilità attuale e una maggiore apertura dei valori culturali tipici del nostro tempo non potrebbero permettere che queste “categorie” di figli restino non tutelate solo perché sono state messe al mondo fuori dal matrimonio. Dicasi lo stesso per i figli adulterini, nati da tradimenti o anche accidentalmente da coppie che non abbiano poi ricorso a matrimoni riparatori. In tutti questi casi è comunque necessario che l’ordinamento offra garanzie e difenda i diritti di questi nuovi esseri umani: ecco perché da qualche anno molte correnti della dottrina giurisprudenziale hanno fatto pressioni per indirizzare l’operato del Parlamento affinché adattasse le norme giuridiche ai diversi costumi in vigore nella nostra società: il risultato è stato un progressivo riconoscimento dei diritti per quei soggetti che hanno una comunanza di vita e di affetti pur non essendo sposati e i figli rappresentano una parte importantissima di questa nuova categoria sociale.

     Fino a qualche mese fa nei codici permanevano gli ultimi strascichi dell’antico modo di guardare ai figli, tant’è che si leggevano distinzioni tra figli “legittimi” e figli “naturali”. Quest’estate il premier Letta aveva preannunciato la prossima approvazione di un decreto che modificasse questo modo di vedere la filiazione e la “aggiornasse”, eliminando ogni discriminazione tra le tipologie suddette, garantendo gli stessi identici diritti a tutti i figli, indipendentemente da come sia nato il loro rapporto di filiazionei. In particolare, il 12 luglio scorso era stato approvato lo schema del decreto che aspettava di essere confermato.

     Il decreto che riforma la filiazione è stato approvato ieri e reca alcune novità. Vediamo quali sono le principali, oltre quella già citata dell’equiparazione sul piano giuridico tra tutte le categorie di figli (principio dell’unicità dello status di figlio).
  • Introduzione del concetto di responsabilità genitoriale: è una nuova dicitura, con carattere più ampio, che sostituisce e completa la vecchia “potestà genitoriale”, ovvero il potere di esercitare i doveri nei confronti dei propri figli;
  • Equiparazione dell’adozione per i minorenni: se un figlio minorenne viene adottato pienamente, esso è riconosciuto dall’ordinamento italiano come facente parte della famiglia come se fosse nato all’interno del matrimonio. Questo riconoscimento non vale se il figlio adottato ha già acquisito la maggiore età al momento dell’adozione.
  • Ascolto del minore nei processi che lo riguardano: nell’interesse del minore, la giurisprudenza dovrà ora tenere conto anche dei pensieri e dei sentimenti dello stesso nei procedimenti giudiziari che lo riguardano, a patto però che il minore dimostri capacità di discernimento. L’ascolto del minore era già previsto dalla legge nel caso di giudizi di separazione o divorzio.
  • Nuova prescrizione per il disconoscimento della paternità: disconoscere la paternità significa rinunciare a riconoscere un figlio come proprio, liberandosi quindi da tutti i doveri genitoriali nei suoi confronti, se dovesse essere provato che non esiste tra il figlio e il padre alcun rapporto di parentela (per esempio se ad un uomo viene fatto credere di essere il padre di un figlio che la donna ha invece concepito in modo adulterino). Questo istituto tutela il coniuge raggirato: ora chi volesse disconoscere la paternità di un figlio deve farlo non oltre 5 anni dalla nascita di quest’ultimo.
  • Diritti di successione: i figli nati fuori dal matrimonio hanno un termine di prescrizione di 10 anni per accettare l’eredità che spetterebbe loro.
  • Legittimazione degli ascendenti: i nonni ora hanno il diritto di mantenere rapporti significativi con i figli, un diritto prima riservato esclusivamente ai genitori nei casi in cui la famiglia fosse stata divisa da sentenza di separazione o di divorzio.
  • Abbandono: con l’introduzione della nozione di abbandono, i Tribunali dei minori hanno il dovere di segnalare ai Comuni i casi di maggiore indigenza dei nuclei familiari più a rischio.

     
Il premier Enrico Letta in Consiglio dei Ministri annuncia
l'imminente approvazione del decreto sulla riforma della
filiazione.
La Commissione istituita dal CdM è stata presieduta da Cesare Massimo Bianca; la norma implica diverse novità per la vita delle persone. In particolare, la figura del minore riceverà una attenzione maggiore, essendo la parte più “debole” del nucleo familiare, specie di quello che si disfa per crisi coniugale. Si annovera quindi la riforma della filiazione nell’ambito della Riforma del diritto di famiglia operata nel 1975. Il decreto si iscrive anche nell’ambito più generale della riforma operata dalla legge n. 219 del 10 dicembre 2012 (Disposizioni in materia di riconoscimento di figli naturali), che all’articolo 2 delegava espressamente il Governo ad adottare per decreto dei provvedimenti entro un anno dalla sua entrata in vigore che rispettassero i principi di riforma della filiazione naturale.


mercoledì 4 dicembre 2013

Addio Porcellum: la Consulta dichiara incostituzionale la “porcata” di Calderoli

Roberto Calderoli (Lega), 
autore
del Porcellum.
     Più di un tentativo, più di un ricorso era stato fatto in passato, ma mai si era riusciti a mettere il timbro di “incostituzionale” sul Porcellum, nome con cui è nota la legge elettorale 270 del 2006 pensata da Roberto Calderoli (Lega Nord), allora Ministro delle Riforme sotto il governo Berlusconi III. Lo stesso Calderoli ha definito in un’intervista quella legge «una porcata»: questo obbrobrio legislativo fu infatti fortemente voluto da Silvio Berlusconi, che tutt’ora la difende strenuamente, nonostante sia ormai riconosciuta da tutti (anche dai suoi alleati ed ex alleati) la sua natura deplorevole. Oggi, però, la Corte costituzionale si è finalmente pronunciata al riguardo:
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza – sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica – alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.
Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici. Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali.
     Il ricorso di incostituzionalità, sollevato per la prima volta dall’avvocato Aldo Bozzi nel 2009, che reclamò in tribunale di essere stato leso nel suo diritto di voto nelle elezioni successive all’entrata in vigore, è finalmente approdato alla Consulta, che è l’organo che decide se una legge è conforme o meno alla legge fondamentale dello Stato, ovvero alla Costituzione. In particolare si “accusavano” le parti di quella legge che descrivono le modalità di fissazione del premio di maggioranza (ovvero un insieme di seggi parlamentari assegnati al partito che ottiene una certa percentuale di voti, che nel Porcellum è decisamente abnorme) e delle liste bloccate (ovvero dell’impossibilità degli elettori di eleggere i propri rappresentanti, lasciando questa decisione ai partiti).

     La Corte costituzionale renderà note le motivazioni della sentenza tra qualche settimana: da quel momento la sentenza sarà vigente. Fino ad allora, come precisato dal comunicato citato sopra, il Parlamento avrebbe la possibilità di correggere le parti dichiarate incostituzionali. Oppure di presentare un nuovo testo di legge. Il Parlamento è infatti il solo organo che può legiferare.

     Cosa accadrà fino al momento in cui l’attesa scadrà? La Consulta ha lasciato chiaramente intendere alle Camere di dover intervenire in maniera diretta, ma secondo altri, se non ci saranno interventi, si ritornerebbe immediatamente alla legge elettorale precedente al Porcellum, il cosiddetto Mattarellum. E proprio con il Mattarellum – meglio di niente! – Beppe Grillo spera di andare a votare ora che questi «figli illegittimi della Repubblica» non hanno più alibi. Infatti tutti i parlamentari eletti dal 2006, compreso il Presidente della Repubblica – eletto da quei parlamentari – sono illegittimi, abusivi, contro la legge. Non dovrebbero stare lì perché la legge con cui sono stati eletti non era valida. Anche questo è un altro bel paradosso tutto italiano.
     Una terza ipotesi è che si passi automaticamente al Mattarellum, ma solo per cominciare a lavorare su un testo di legge nuovo: infatti non può esistere un vuoto legislativo, una legge deve esserci, per quanto brutta sia.

     Vale la pena di ricordare che la riforma della legge elettorale era uno dei tanti provvedimenti urgentissimi e improrogabili che Napolitano aveva imposto come condicio sine qua non al governo Letta quando nacquero le larghe intese: era una cosa da farsi subito, magari in estate, ma non sono bastati otto anni di rinvii e mancanza di volontà e accordi tra le forze politiche. Anche Letta si è accodato a questa abitudine infarcita di volontaria strafottenza, senza che la questione Porcellum fosse mai nemmeno portata in aula.
     Ora però il premier sarà costretto ad affrontare la cosa: e in questo grande rilevanza avranno le primarie del Pd, perché Letta si troverà a dover collaborare con il futuro segretario dei democratici al fine di avere i numeri per far passare una riforma elettorale. E poiché il candidato che più piace agli italiani è Matteo Renzi (che già spinge per una legge elettorale che gli assicuri una solida posizione), è molto probabile che i due stiano già mettendosi d’accordo, anche se formalmente Letta smentisce perché dice di voler attendere l’elezione del segretario Pd. Il tema della legge elettorale è un bocconcino troppo gustoso per le campagne elettorali e Renzi non se lo lascerebbe mai scappare.

     Tutto è comunque ancora da definire: bisognerà vedere cosa deciderà il Parlamento, con chi si accorderà Letta e quando potremo andare a votare di nuovo. Per ora l’importante è che sia scritto nero su bianco che il Porcellum deve essere abolito. Un piccolo passo, che suona come gran cosa nel nostro povero e disgraziato paese.

Intervista di Calderoli dopo la pronuncia della Corte costituzionale



Intervento di Grillo sul suo blog in seguito alla pronuncia

sabato 30 novembre 2013

Consulta, soldi ai partiti dichiarati illeciti. Atteso verdetto anche sul Porcellum

     31 milioni. È il numero di italiani che nell’aprile del 1993 abrogava tramite un referendum il finanziamento pubblico ai partiti: all’epoca la memoria dei cittadini scottava ancora del recente scandalo Tangentopoli, quando vennero al pettine tutti i nodi degli intrighi e gli imbrogli che la Democrazia Cristiana, Craxi e gli altri partiti avevano nel loro armadio di scheletri.
     La maggioranza del paese decise quindi che mai e poi mai lo Stato (cioè noi) avrebbe finanziato i partiti. Ma poiché siamo un paese dalla memoria cortissima e poiché non abbiamo cambiato la nostra gerontocratica classe dirigente per decenni, i protagonisti del potere hanno ben presto trovato il modo nel corso degli anni di bypassare quella decisione chiara e limpida «attraverso la finzione del linguaggio», per dirla con Azzariti, docente di diritto costituzionale a “La Sapienza”: non volete il finanziamento pubblico? Non c’è problema: noi introduciamo il “rimborso elettorale”. Il nome è cambiato, la sostanza è rimasta. È una storia tristemente italiana, del resto: la vediamo anche in queste settimane, dove si finge di togliere la tassa sui rifiuti o l’Imu solo per introdurre nuovi oneri fiscali con nome diverso (Trise, Tasi, Tari, Tarsu…), tra l’altro ancora più onerosi dei precedenti.

Raffaele De Dominicis
     Nel corso di questi vent’anni e più, a piccole tappe, la politica italiana (e sappiamo chi sono stati i protagonisti: il centrodestra berlusconiano e per una monir parte anche la sinistra dell’Ulivo e del Pd) hanno cambiato o ripresentato leggi e leggine nuove che di fatto hanno ripristinato gli stessi privilegi di cui godevano i partiti prima di quel referendum. E fino ad oggi la cosa si è limitata a restare in quel cassonetto differenziato dell’opinione pubblica che si chiama “sfoghi fini a se stessi”. Fino a quando, ieri, il procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha sollevato esplicitamente ricorso di incostituzionalità contro queste norme.
     Secondo il magistrato «tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi». Gli italiani sono stati derubati con questo sistema per molti anni, per l’ammontare di 2,7 miliardi di euro, una cifra che in tempi come questi risolverebbe più che agevolmente un bel po’ di problemi che incombono sulle finanze della macchina statale, soprattutto se pensiamo che il furto-sopruso che i partiti hanno compiuto in questi anni comprendeva “rimborsi” ben oltre i 2 anni previsti dalla legge, ma estesi a tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, ovvero all’intero periodo di carica, una cosa che la legge non permette.

     In Commissione Affari Costituzionali al Senato c’era un ddl fermo che probabilmente non verrà nemmeno approvato perché sarebbe dichiarato incostituzionale appena sfornato dal Parlamento, che prevedeva che l’interruzione del finanziamento pubblico avrebbe dovuto concludersi nel 2017 e che nel frattempo i partiti avrebbero continuato a ricevere sovvenzionamenti pagati dai cittadini contro la loro volontà. Le cifre previste erano così distribuite:
     - 91 milioni di euro nel 2014;
     - 54,6 milioni di euro nel 2015;
     - 45,5 milioni di euro per il 2016;
     - 36,4 milioni di euro per il 2017.

     Cifre, come si vede, comunque molto alte, che aggirano il problema fingendo di risolverlo. Si tratterebbe di emendamenti inutili tra l’altro, soprattutto se nel corso di quegli anni l’economia italiana dovesse andare ancora più a picco: se abbassi un po’ un onere fiscale ma contemporaneamente impoverisci il paese, quell'onere continua lo stesso a pesare. Come se non bastasse, in quelle stesse norme che giacciono ferme in Commissione ci sono una serie di clausole davvero discriminatorie, come l’impossibilità di ricevere i rimborsi da parte di forze che non hanno lo statuto di partiti (come il MoVimento 5 Stelle), anche se svolgono di fatto la funzione di rappresentanza che ogni partito svolge: codicilli discriminatori che non trattano le forze politiche allo stesso modo.

     Anche sul fronte Porcellum i partiti hanno dato di che pensare. Questa vergognosa legge elettorale approvata dal governo Berlusconi nel 2005 presenta molte clausole inconcepibili. Il ricorso contro questa norma, come spiega Il Fatto quotidiano di oggi, in un articolo di Luca De Carolis, fu presentato nel 2009 dall’avvocato Aldo Bozzi e altri 27 firmatari, che impugnavano in particolare le due parti del blocco delle liste e del premio di maggioranza, i due aspetti più controversi e più in malafede del Porcellum. Dopo due rifiuti di accogliere il ricorso da parte di due gradi di giudizio, quest’anno (nel mese di maggio) la Corte di Cassazione ha deciso che il ricorso merita accoglimento e la prima udienza è stata fissata il 3 dicembre.

     Un collegio di 15 giudici dovrà valutare diversi aspetti. Prima di tutto dovranno decidere se colui che ha richiesto il ricorso è legittimato a chiederlo; poi dovranno decidere se l’oggetto della richiesta rientra nelle competenze della Consulta che essi rappresentano: non è detto che queste deliberazioni siano prese il 3 dicembre, ma i giudici possono riservarsi di rinviarle a una data diversa, a loro discrezione. Il motivo potrebbe essere anche quello di concedere al Parlamento la possibilità di darsi da fare per dimostrare di voler davvero attivarsi per modificare questa falla normativa. Un modo per spronarlo e dargli fiducia, insomma.
     Oltre a rinviare le decisioni a un altro momento, la Corte potrebbe anche pronunciarsi immediatamente sui punti oggetto del ricorso, ovvero dichiarare immediatamente incostituzionali delle parti della legge. In tal caso non verrebbe cancellata tutta la legge per il fatto che si creerebbe un enorme vuoto normativo (saremmo senza legge elettorale, né si potrebbe tornare a quella precedente, perché quest'ultima decisione spetterebbe solo al Parlamento). La Corte potrebbe allora dichiarare incostituzionali solo quelle parti ritenute contrarie alla legge ma senza annullarle, perché avere una legge mutilata delle sue parti equivale a non averla affatto: quindi lasciare in vita una legge incostituzionale, ma solo con la promessa di una modifica immediata. La sola soluzione ragionevole, ma anche la più difficile, è quindi che il Parlamento si decida a discutere un testo di legge per riformare il Porcellum: solo il Parlamento, infatti, può creare una legge, mentre alla Corte Costituzionale spetta la sola facoltà di annullarla.

     Vale la pena ancora una volta di ricordare come in questo paese il solo ordine che continui a fare bene il suo dovere, seppure a volte con lentezza data dall’intasamento dei tribunali e dai tagli alla giustizia, sia la Magistratura, tanto bistrattata da loschi individui che hanno solo da perdere dal lavoro onesto e pulito dei magistrati. Governo e Parlamento, invece si comportano da perfetti organi autocratici e autoreferenziali, ignorando sia la legge sia i bisogni dei cittadini.


domenica 24 novembre 2013

Un aiuto per la Sardegna: ecco come fare.

     Quando tutti aiutano, a ciascuno basta fare uno sforzo molto piccolo per ottenere un grande risultato. Quando aiutano in pochi, a ciascuno spetta uno sforzo immane e non è certo che il risultato sia ottenuto.

     Ecco due modi messi a disposizione per aiutare le popolazioni colpite dall’alluvione della Sardegna.

     Il primo è un’iniziativa fatta in collaborazione con il TGLa7 e il Corriere della Sera, il secondo da Mediafriends e i telegiornali Mediaset. Potete effettuare delle donazioni con una delle seguenti coordinate bancarie.


UN AIUTO SUBITO

Banca Intesa San Paolo

IBAN:
IT 86 R 03069 09400 000000111105

Intestato a:
"Un aiuto subito. Un contributo per la Sardegna"


oppure


UN AIUTO PER LA SARDEGNA

Beneficiario:
MEDIAFRIENDS

IBAN:
IT 03 S 03069 09400 000000006262

Causale:
Alluvione Sardegna









venerdì 22 novembre 2013

Processo Ruby: la sentenza con le prove che Berlusconi inquinò. Si va verso un Ruby-ter

     Sette anni di condanna, di cui 6 anni e 4 mesi per il reato di concussione, 8 mesi per la prostituzione minorile. Questa fu la pena attribuita a Silvio Berlusconi quando il 24 giugno scorso il collegio giudicante apriva una frattura profonda nel record di processi bloccati che Berlusconi aveva vantato fino a quel momento. Da allora la paura è cresciuta sempre più e sempre più si sono succedute complicazioni giudiziarie per uno dei maggiori pregiudicati della storia del nostro paese.
     I giudici di primo grado hanno reso note da poche ore le motivazioni della sentenza elencando le prove che fanno di Berlusconi un uomo che ha violato la legge.


Sproporzioni di condotta
     Innanzitutto sono da tenere a mente alcune sproporzioni comportamentali che non si riescono in alcun modo a giustificare se non con l’esistenza dei reati ascritti e che Berlusconi ha tenuto nel corso della vicenda. I giudici, in particolare, sottolineano l’eccessivo stato di allerta che quella famosa notte portò Berlusconi a fare la telefonata in Questura a Milano (reato di concussione) perché facesse rilasciare Ruby, una reazione che non si addice assolutamente a un Presidente del Consiglio dei Ministri (per lo più nell’esercizio delle sue funzioni) per una semplice ragazzina di 17 anni beccata a rubare; in secondo luogo, ancora più evidenti sono le troppo ingenti somme di denaro e regalie che Berlusconi versava e ha continuato a versare alla ragazze che partecipavano alle sue feste private ad Arcore: questi “doni” consistevano in denaro contante, gioielli, automobili, pagamento di canoni di locazione, appartamenti in via Olgettina dove le ragazze vivevano e perfino contratti di lavoro in Mediaset (per quelli che credessero a Berlusconi quando, a proposito della condanna per frode fiscale, dichiarò che non si occupava più di Mediaset da anni). Alla stessa Ruby furono corrisposti ben 57000 euro, per l’apertura di un centro estetico (mai aperto ovviamente).

Berlusconi ha effettuato un vero e proprio inquinamento probatorio
     Con queste considerazioni i magistrati hanno rilevato le prove di un consistente inquinamento delle prove che doveva servire a sviare le indagini e ad ostacolare l’emergere della verità. In quest’ottica si aprirebbe un nuovo capo di imputazione, quindi, che porta a una nuova inchiesta, la quale a sua volta potrebbe sfociare in un nuovo processo, il Ruby-ter. Rischiosa anche la posizione dei legali di Berlusconi, Niccolò Ghedini, «la radice di tutti i mali di Berlusconi», come l’ha definito l’ex senatore De Gregorio, e Pietro Longo, perché potrebbero aver consigliato a Berlusconi di pagare le ragazze perché mentissero ai processi.

Le prove: Berlusconi ha davvero fatto sesso con Ruby
     Ma veniamo alle motivazioni della sentenza. Dove i giudici hanno individuato prove che giustifichino la colpevolezza dei reati ascritti? Su questo blog sono state già elencate una piccolissima ma molto significativa parte delle telefonate che Ruby e altre ragazze, protagoniste del bunga-bunga gate, hanno tenuto e che testimoniano molto esplicitamente la natura di quegli incontri ad Arcore e che si possono riascoltare a questo link. Oltre alle telefonate dai contenuti fin troppo espliciti, molti SMS confermano che le ragazze venivano espressamente assunte per show a contenuto erotico, consistenti in balletti, spogliarelli, toccamenti reciproci tra le ragazze e tra esse e gli invitati, travestimenti; ancora, molte testimonianze (alcune provenienti dalla stessa Ruby nelle prime fasi di interrogatorio, prima che iniziasse a fingere di non ricordare niente) mettono in chiaro che tra le invitate il Presidente Berlusconi ne sceglieva alcune in conclusione di serata per terminare la festa con veri e propri rapporti sessuali e che Ruby avesse partecipato a tali incontri sessuali è accertato almeno per un paio di volte. Dalle stesse fonti si prova anche la correlazione tra le prestazioni stesse e le ricompense patrimoniali.

Berlusconi sapeva che Ruby fosse minorenne
     Questo per quanto riguarda il reato nei suoi caratteri generali. C’è poi la questione dell’età di Ruby. La ragazza era infatti minorenne all’epoca dei fatti (da cui il reato di prostituzione minorile) e Berlusconi ha sempre dichiarato di non essere mai stato a conoscenza di questo particolare. Purtroppo per lui anche qui le prove sono più di una e abbastanza chiare: in primo luogo, quando Berlusconi telefonò in Questura per chiedere il rilascio della ragazza, ne chiese l’affido, e l’affido è riservato esclusivamente ai soggetti minorenni; c’è inoltre la testimonianza della stessa Ruby che aveva fatto sapere a Berlusconi che non aveva la maggiore età per comparire sul contratto di locazione dell’appartamento che egli le mise a disposizione; infine figura il fatto che tutti, comprese le altre ragazze, Emilio Fede e Lele Mora, conoscevano l’età della ragazza e appare molto improbabile che in un clima così coeso e in un sistema di prostituzione così chiuso la notizia non fosse arrivata anche a Berlusconi.

     Nella sentenza i giudici hanno rilevato la grande «capacità a delinquere dell’imputato», una “dote” che anche i giudici del processo Mediaset avevano sottolineato nelle loro sentenza. Una propensione, un vizio, una pulsione che pare proprio irrefrenabile per quest’uomo, che commette reati per coprire altri reati. In questi giorni Berlusconi è davvero fuori di sé. Dopo la condanna definitiva uscita dal processo Mediaset, la votazione palese e l’imminente decadenza da senatore prevista per il 27 novembre, il suo umore è nerissimo. Accusa i magistrati di aver rese note le motivazioni della sentenza a meno di una settimana dal voto sulla decadenza apposta, con lo scopo di screditarne ulteriormente l’immagine. In verità, anche ammesso che i magistrati abbiano fatto questa “lettura politica” delle motivazioni della sentenza (ora nasce anche questa contestazione), i fatti non cambiano assolutamente. Tutti sanno quali sono i fatti accaduti, tutti conoscono i reati di cui Berlusconi si è macchiato e tutti sanno che la sentenza di primo grado l’ha dichiarato colpevole. L’opinione pubblica del Parlamento non ha bisogno che i giudici ribadiscano queste cose già note per decidere se votare per o contro la decadenza di Berlusconi da parlamentare. Il solito sbraitare fine a se stesso che da anni è il leitmotiv dei turpiloqui demagogici di quest’uomo.

     La paura di perdere tutto è forte: con l’imminenza del voto sulla decadenza, Berlusconi rischia di essere arrestato. Quando sarà decaduto perderà i benefici che il suo status di senatore gli garantisce e la cosa lo preoccupa enormemente. La possibilità della grazia (chiesta e richiesta più volte) è esclusa, né è possibile rinviare la seduta della settimana prossima. Il tempo stringe, il mito decade, la parabola antidemocratica compie il suo decorso. Forse una zavorra in meno sta per gravare sulle sorti di questo bellissimo e disgraziato paese.

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi e Alfano si separano: il Pdl diventa Forza Italia + Nuovo Centrodestra

     Un epilogo da soap opera: da una parte c’è il leader storico, che si finge agguerrito ancora più di prima, dall’altro il figlio “ingrato”, che avrebbe tradito alle spalle il suo mentore. Si beccano nelle dichiarazioni pubbliche, ma si promettono rispetto, si odiano, ma dicono di voler collaborare. Sono le due entità del centrodestra italiano che ci ritroviamo da poche ore, dopo la decisione di Angelino Alfano di costituire gruppi autonomi per non aderire agli “estremismi” della nuova Forza Italia, nome riciclato dalla pattumiera dell’umido della storia con cui Berlusconi vuole identificarsi ai suoi elettori.

     Angelino Alfano ha dichiarato di essere stato mosso in questa scelta da “amore” per l’Italia. Anche Berlusconi esordì nel ’94 con lo stesso tema («L’Italia è il paese che amo»): i discepoli si riconoscono dai loro maestri. Berlusconi dal canto suo si dice rammaricato per lo strappo voluto da Alfano – «Non me l’aspettavo da lui, per me era come un figlio» – e il figlio-allievo-collaboratore prova a smussare l’impatto del suo gesto sull’opinione pubblica pidiellina dichiarando di voler continuare a sostenere le istanze dell’ex Pdl e che anzi il prossimo 27 novembre Nuovo Centrodestra (così si chiama il suo partito) voterà contro la decadenza di Berlusconi da senatore. Sostegno a oltranza per il “presidente” Berlusconi, quindi, nonostante le divisioni. E Berlusconi? A quel Congresso Nazionale stranamente avverte tutti di non proiettare rabbia sugli scissionisti alfaniani, nemmeno lui insulta o offende, come spesso fa con chiunque non la pensi come lui. Niente attacchi. Verrebbe da chiedere perché si siano separati, se hanno tutto questo amore l’uno per l’altro. La risposta di Berlusconi è stata “divergenze personali”: per quelle non è stato possibile andare avanti insieme. Già, perché è così che deve funzionare la politica, per moventi personali, non tenendo presente i bisogni della collettività.

     Anche i contenuti non sono dissimili: non che i due gruppi concordino nel senso che hanno lo stesso contenuto, ma nel senso che entrambi ne hanno di molto vaghi. Per cosa si caratterizzano FI e Ncd? Che posizione occupano nel panorama europeo? Né Alfano né Berlusconi si sono ancora degnati di spiegarlo. Nessuno ha parlato di proposte che intendono portare avanti, nessuno che abbia in mente una soluzione chiara e trasparente da proporre al Parlamento, per quel poco che ancora vale nel panorama legislativo del nostro paese (oggi vanno di moda i “saggi”, piccole oligarchie che si sostituiscono alle Camere, sempre più fuori moda in tempi in cui si sente aria di presidenzialismo). Se poi per spiegare il contenuto si intende riprendere le proprie citazioni tratte dal primo monologo del 1994 (e si intende proprio leggere parola per parola!) allora si chiede scusa. Perché è questo che ha fatto Berlusconi: si è autocitato! Nulla di nuovo, assolutamente nulla. Anzi…

     C’era puzza di vecchio in quella sala. Vecchio e stantio, cose risentite e ripresentate trasformisticamente agli italiani, come un cibo prima vomitato e poi reingerito con l’illusione di variare la dieta. Non mancava proprio niente a quel congresso: c’era il battesimo di Forza Italia, il divorzio da Alfano, c’erano i soliti figuranti pagati per applaudire e per non lasciare i posti vuoti, c’era il piccolo malore ipoglicemico del leader che a un certo punto ha avuto bisogno del suo medico, i richiami nostalgici del ’94, i giornalisti indipendenti che tessono lodi apologetiche, ci sono gli arrivisti e i leccapiedi che scodinzolano all’attrattiva di un nuovo posto nella neonata FI, senza dimenticare l’Esercito di Silvio che aspettava il proprio idolo dopo il discorso ma che se l’è visto scappare via senza fermarsi.

     Peccato per Berlusconi, perché, guarda caso, proprio nei giorni in cui Alfano si è separato, aveva intenzione – questa volta sul serio, eh – di far cadere il governo. «Ma ora non abbiamo più i numeri», confessa rammaricato Berlusconi. Ha giocato per mesi a fare il bello e il cattivo tempo, ha ricattato decine di volte l’esecutivo e proprio quando stava per mantenersi coerente a se stesso ecco che gli vanno a rompere le uova nel paniere! Che guastafeste!

     Che grigiore emana ormai quest’uomo! Fino a dove si può trascinare certe cose! Assistiamo ai tentativi letteralmente patetici di un pazzo innamorato del suo stesso mito che, tutto infervorato dai finti applausi di sostenitori che perseguono solo i propri interessi personali e gli fingono fedeltà, continua ostinatamente a forzare gli eventi del suo destino ignorando completamente i fatti. Ignorando che il suo tempo è tramontato, che è ora di andarsene.
     Berlusconi continua a comportarsi come un paziente con problemi cognitivi perché pare ignorare tutto ciò che non gli piaccia. Lo elimina dalla memoria, lo cancella dalla propria attenzione e si comporta come se non fosse mai esistito: l’hanno condannato? E lui fonda di nuovo un partito. Vuole proporre una nuova offerta politica? E la chiama col nome vecchio. Gli hanno negato la grazia molte settimane fa? E lui continua a dire che Napolitano gliela deve. Aveva detto che avrebbe sostenuto il governo a tutti i costi? E ora dice di aver sempre voluto la crisi di governo. Ha votato una legge che esclude i condannati dal parlamento? E ora dice che quella legge non va bene.
     La forma più infima di decadenza, una schizofrenia del pensiero politico, un delirio che non si regge in piedi, che non si degna nemmeno più di indossare i panni nuovi restando vecchio, ma che resta vecchio con panni vecchi ma pretende che lo si riconosca come novità! Non ci sono davvero parole per qualificare una condotta così greve. Quando impareranno gli italiani a ignorare queste cose?

sabato 9 novembre 2013

Trattativa Stato-mafia, Onorato testimone choc: «Craxi e Andreotti uccisero Dalla Chiesa»

     Palermo, 7 novembre 2013. Le pareti dell’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si sta svolgendo il processo sulla trattativa Stato-mafia, hanno tremato quando ha cominciato a parlare Francesco Onorato, pentito e attualmente collaboratore di giustizia, ex pezzo grosso della squadra dei killer di Cosa Nostra, uno di quelli che faceva il lavoro sporco, uno che ammazzava e metteva bombe.
     Molte cose sono uscite dalla sua deposizione e meritano divulgazione, vediamone alcune.

Nessuna trattativa, solo convivenza
Francesco Onorato, pentito.
     Onorato ribadisce (anche lui, come molti magistrati negli anni addietro) che Cosa Nostra non è assolutamente un’organizzazione criminale composta esclusivamente da fuorilegge che latitano e fanno i boss, ma anche dai colletti bianchi: il coinvolgimento dei politici negli affari “gestiti” dalla mafia è sempre esistito e anzi, sono stati i politici a chiedere l’aiuto e l’assistenza della mafia! Così che Onorato preferisce non usare il termine “trattativa”: «Quando si parla di trattativa con lo Stato, io dico “La  trattativa? Ma che trattativa, se c’è sempre stata la convivenza?” Io ho sempre visto la convivenza tra i politici e Cosa Nostra».

Riina ha ragione
     Riina ha sempre accusato lo Stato di averlo “abbandonato” e per Onorato il Capo dei capi ha ragione: egli sa che lo Stato ha usato la mafia per eliminare avversari scomodi, ma poi a pagare sono stati solo i mafiosi: Riina è infatti tuttora detenuto, mentre le persone accusate di volta in volta da questo o quel pentito sono rimaste a piede libero, hanno fatto quadrato contro i loro stessi alleati, hanno voltato loro le spalle e lasciati al loro destino.
     Ricordiamo che Onorato è stato l’esecutore dell’omicidio di Salvo Lima, il primo politico a essere eliminato dalla mafia per vendetta, perché la politica non mantenne la promessa di evitare il carcere ai mafiosi condannati dal maxiprocesso dell’1986-87 dove furono imputati oltre 400 persone per reati di mafia.

Altri obiettivi
     Riina, secondo Onorato, aveva in mente di uccidere anche altre persone, tra cui Andreotti e suo figlio, sempre per motivi di vendetta. Il patto c’era stato, ma la politica non lo aveva rispettato: l’omicidio era stato commissionato ai fratelli Graviano, ma fu accantonato perché Andreotti rafforzò la scorta. Nella lista figurava anche Claudio Martelli, che nel 1991 diventa Ministro di Grazie e Giustizia, fatto diventare ministro proprio dai mafiosi, che gli finanziarono la campagna elettorale per 200 milioni di lire e che, proprio in virtù di quella carica, doveva scongiurare il pericolo del carcere ai condannati del maxiprocesso. Non ultimo, nel mirino c’era anche Calogero Mannino (tuttora senatore della Repubblica). 

Craxi e Andreotti vollero la morte di Dalla Chiesa
L'A112 con a bordo il prefetto Dalla Chiesa e sua moglie 
Emanuela Setti Carraro (alla guida) trivellata di colpi la 
sera
del 3 settembre 1982 in seguito a un attentato mafioso.
     La rivelazione forse più inaspettata di Onorato riguarda però l’omicidio Dalla Chiesa. Carlo Alberto Dalla Chiesa, ex generale dei carabinieri e poi prefetto di Palermo, ebbe un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo: lo chiamavano il prefetto di ferro e fu ucciso in un attentato mentre era a bordo della sua auto con sua moglie, seguito dalla scorta, nel 1982, nel tragitto per tornare a casa. Per quell’omicidio furono condannati solo i mafiosi: Riina, Provenzano, Greco e altri boss in qualità di ideatori, più altri uomini come esecutori. Ma Onorato rivela che i veri mandanti erano Craxi e Andreotti: «c’hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa il signor Craxi e il signor Andreotti che si sentivano il fiato addosso». Onorato rivela infatti che in quel momento Dalla Chiesa non rappresentava un pericolo grave per Cosa Nostra e che quindi la Cupola non sentiva l'esigenza di eliminarlo. Se non fosse stato per il volere di Craxi e Andreotti, il generale non sarebbe morto quella sera, e con lui non sarebbero morti nemmeno sua moglie, Emanuela Setti Carraro e la sua scorta Domenico Russo. Il giorno dopo l'attentato una scritta apparve nei pressi del luogo del delitto: Qui muore la speranza dei palermitani onesti.

La bomba-bluff all’Addaura
     Nell’estate del 1989 nella villa al mare di Giovanni Falcone scoppia una bomba. Un attentato, per fortuna fallito. Subito dopo strane voci cominciano a diffondersi secondo cui Falcone si sarebbe piazzato da solo quella bomba. «Ma quella bomba la piazzai io stesso» rivela Onorato, «furono i politici a mettere in giro la voce che Falcone si mise la bomba da solo […] per indebolirlo, per farlo passare per un bugiardo».

     È uno dei paradossi più assurdi di tutti i tempi il fatto che, in un processo incentrato sulla mafia, siano i mafiosi a collaborare con la giustizia e non i politici, che pure ebbero un ruolo di primo piano in quegli stessi eventi, se non addirittura maggiore.



giovedì 31 ottobre 2013

Decadenza Berlusconi: il voto sarà palese. Ora o cade il governo o si spacca il Pdl

     Avevano promesso che mai e poi mai le vicende personali di Berlusconi avrebbero intaccato la stabilità di questo governo: quindi si è verificato l’esatto contrario. Ieri si è espressa la Giunta per il regolamento del Senato che, presieduta da Pietro Grasso (che si è astenuto dal voto), ha deliberato con una maggioranza di 7 a 6 che il voto sull’incandidabilità di Berlusconi a seguito della condanna definitiva per frode fiscale e in base alla legge Severino non sarà un voto segreto. Ogni senatore, quindi, renderà conto all’elettorato della decisione che prenderà.


     Il Pdl insorge in un attimo col solito soliloquio che ormai si ripete in loop da mesi: «Affronto alla democrazia!», «Atto eversivo!», «Plotone di esecuzione!», «Persecuzione politica!» eccetera. In particolare la critica dei berlusconiani ruoterebbe attorno alla tesi (infondata, come stiamo per dimostrare) che il MoVimento 5 Stelle avrebbe peccato di parzialità quando ha proposto di votare palesemente sulla decadenza di Berlusconi invece che col voto segreto, com’era “prassi consolidata”. Quella dei grillini, quindi, sarebbe stata una legge contra personam, perché sul voto sulle persone si è sempre votato segretamente.
     Anzitutto, se mai fosse stato così, gli ultimi a potersene lamentare sarebbero proprio i berlusconiani, che hanno imbottito i nostri codici di leggi ad personam per anni e anni; quindi semmai prima si pareggia il conto e poi se ne parla di sollevare lamentele. Ma, anche ammettendo che abbiano ragione, c’è da dire che quella del voto segreto non è affatto una “prassi consolidata” per casi del genere. Quella su cui si dovrà esprimere la Giunta per le Immunità sulla decadenza è infatti un caso nuovo nel nostro paese: se Berlusconi non avesse passato metà della sua vita a commettere reati, infatti, non avrebbe registrato anche questo record personale di costringere una Camera a votare per i requisiti per poter fare il senatore, una cosa mai successa. A precisare ulteriormente ci pensa Linda Lanzillotta (Scelta Civica), da cui è dipeso l’ago della bilancia nella votazione di ieri: «Quello sulla decadenza non è un voto sulla persona, ma sulla composizione del Senato»; e le fa eco Zanda, capogruppo Pd al Senato: «Non si tratta di un voto sulla persona, ma dell’accertamento sulla legittimità della sua permanenza nella carica di senatore». Niente eccezione quindi (sebbene quello di Berlusconi sia effettivamente un caso “eccezionale”, nel senso che ha sollevato continue “eccezioni” alla legge).

     La giunta ha votato in 4 ore: i 7 a favore del voto palese sono stati, a parte la Lanzillotta, Maurizio Buccarella e Vincenzo Santangelo (M5S), Luigi Zanda, Francesco Russo e Anna Finocchiaro (Pd) e Loredana De Petris (Sel); quelli contro sono stati Anna Maria Bernini, Donato Bruno e Francesco Nitto Palma (Pdl), Roberto Calderoli (Lega), Mario Ferrara (Gal) e Karl Zeller. Alla Lanzillotta, per la sua presa di posizione e per aver determinato questo risultato, sono perfino arrivate delle minacce di morte in rete.
Dunque si va alla decadenza col voto palese. La domanda è “quando?”. La risposta è, ancora una volta, “non si sa”. Vediamo perché: i 5Stelle vorrebbero che la cosa si concludesse ai primi di novembre, anche perché la legge Severino dice (art. 3) che «le sentenze definitive di condanna di cui all'articolo 1, emesse nei confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate […] alla Camera di rispettiva appartenenza». E se pensiamo che la sentenza definitiva è arrivata il primo agosto scorso, si capisce come il testo della norma sia stato già abbondantemente violato. Inoltre sarebbe carino che la cosa si concludesse in fretta, anche perché il nostro paese ha ben altre urgenze che quella di decidere sulla vicende personali di un solo uomo, che non dovrebbe stare nemmeno dove sta in base a ben altra legge che la Severino.
     Gli alfaniani, però, che sempre di più si stanno separando dai “lealisti”, vorrebbero aspettare e chiedono a Letta e al Pd di calendarizzare la data della votazione finale a dopo l’approvazione della legge di stabilità, ovvero a fine novembre, per evitare ritorsioni del Pdl proprio nel momento in cui il governo deve affrontare una scelta così delicata. Letta in particolare, ha tuonato contro ogni forma di crisi proprio in questo momento e ha lanciato il suo diktat ad Alfano e soci: «Dopo la scelta del voto palese, lui romperà. E lo farà prima della decadenza. Dovete muovervi. Non riesco davvero a immaginare che ci siano ripercussioni sulla legge di stabilità. Abbiamo gli occhi del mondo addosso. Sarebbe un disastro». L’ordine per loro è quindi separarsi da Berlusconi prima che lui esca dalla maggioranza e impedisca al governo di procedere, con il fine di proteggere la stabilità di governo.
     Dall’altra parte i falchi lealisti spingono il loro leader a rompere subito, senza indugi, e minacciano di farlo da soli, di agire indipendentemente dalle decisioni di Berlusconi, col curioso fenomeno in cui sono i pidiellini a rimettere in riga Berlusconi e non viceversa. Lo incitano a rompere ora, sennò non votano la legge di stabilità.
 
     Un leader sempre meno sovrano, quindi, leader a metà, leader sotto ricatto dei suoi stessi uomini, chi da una parte, chi dall’altra. Un uomo in balia di se stesso e delle conseguenze delle sue malefatte, che ora si ritrova pieno di variabili e in mezzo a un mare di polemiche. Berlusconi non sa che pesci pigliare: vorrebbe la crisi subito, ma vorrebbe anche Alfano al suo fianco, che però non è disposto a cedere e rimane fedele al governo.
 
     Infine vale la pena di notare come ogni volta che sorga una questione su questa vicenda, il Pdl si dia la zappa sui piedi a confessare la sua mala fede: accusano il voto palese di essere contro la democrazia, ma non notano la contraddizione di condannare la trasparenza, che è un valore indubbiamente democratico perché permette agli elettori di sapere cosa fanno i loro rappresentanti; insistono inoltre sul nascondere la volontà dei senatori che dovranno votare facendo intendere che ci sia effettivamente qualcosa da nascondere. Ma sono bravi a non far notare queste conseguenze, perché trascinano il dibattito in turpiloqui fini a se stessi, gridano, sbraitano, fingono di indignarsi e non lasciano spazio al ragionamento e alla lucida riflessione, impedendo alla gente di rendersi conto di quanto sia inappropriato tutto ciò che dicono. Forse la cosa migliore è lasciarli sfogare senza ascoltarli, come si fa con un bimbo troppo capriccioso che vuole sempre averla vinta, anche quando è “palese” che abbia torto.
 

mercoledì 30 ottobre 2013

Latine loquimur, n. 11

     Undicesimo numero della rubrica che vi insegna ad usare la lingua più viva del mondo.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.


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Nemo propheta in patria
[pronuncia scolastica: nemo profèta in patria]
[pronuncia restituita: nemo prophèta in patria]

     “Nessuno [è] profeta in patria”. Per patria s’intende l’ambiente dove si è conosciuti, come casa propria, il proprio quartiere, il proprio ambiente di lavoro ecc…; profeta sta per “persona autorevole”, giacché in antichità i profeti erano stimati come persone altamente rispettabili.
     La frase vuole dire quindi che è molto difficile per una persona emergere là dove è conosciuto, dove la gente può intrattenere con lui rapporti personali, o conosce le sue caratteristiche intime, i suoi vizi, le sue abitudini, proprio in virtù dei rapporti estremamente confidenziali che si instaurano. È più facile trasmettere autorevolezza dove nessuno ci conosce: complice è il fascino del mistero, che si può sfruttare a proprio vantaggio per “suggerire” alla gente una certa immagine di sé. La distanza che esiste tra sconosciuti è un ingrediente essenziale per apparire dotati di una certa aura.
     Così, ad esempio, i “vip” suscitano molta attrattiva sui loro fans perché nessuno li vede mai quando si alzano al mattino; allo stesso modo, molti ciarlatani, come maghi, chiromanti, indovini ospitati nei programmi TV riescono a risultare attraenti anche grazie al fatto che vengono presentati a un pubblico che non li conosce.
     La frase ha una derivazione biblica: la troviamo in Matteo 13,57; Marco 6,4; Luca 4,24; Giovanni 4,4 ed è attribuita a Gesù, che l’avrebbe pronunciata nel momento in cui i nazareni si rifiutano di riconoscere in lui il destinatario della profezia di Isaia che parlava del messia depositario dello Spirito Santo: i nazareni erano infatti concittadini di Gesù!


Quid
[pronuncia scolastica: quid]
[pronuncia restituita: cuìd]

     Quando stiamo cercando di spiegare un concetto difficile da definire, che non sappiamo descrivere bene, possiamo usare la parola quid, che letteralmente significa “che cosa”. Quid è un pronome interrogativo e indefinito e si usa per indicare le cose neutre (non maschili né femminili) di cui non si conosce bene l’identità. Quando ad esempio diciamo che siamo quasi contenti del sapore di un buon piatto ma non sappiamo dire esattamente cosa gli manchi, possiamo dire che «Gli manca un quid», nel senso di “un certo non so che”; oppure quando siamo colpiti dal fascino di una bella donna ma non sappiamo cosa ci colpisce in particolare, diciamo che «C’è qualcosa in lei, in quid che la rende così attraente!».


Aut aut
[pronuncia scolastica: aut aut]
[pronuncia restituita: aut aut]

     Congiunzione coordinante, aut significa in latino “oppure”. Anche vel significa “oppure”, ma in un senso diverso: vel è una congiunzione inclusiva (esempio: «Vorrei tanto andare in Danimarca o in Belgio», ma si potrebbe andare in entrambi i posti, uno non esclude l’altro), mentre aut è una congiunzione esclusiva, perché esclude per forza una delle due alternative (esempio: «Le stelle o sono finite o sono infinite», non possono essere entrambe le cose, scegliendone una si esclude automaticamente l’altra).
     La locuzione aut aut, letteralmente “o… o…”, si usa per indicare una scelta drastica da proporre a qualcuno, una condizione rigida, un ultimatum. Quando litighiamo con un amico e gli diamo l’ultima possibilità, diciamo che gli abbiamo dato un aut aut, ovvero che l’abbiamo messo di fronte a una scelta fatta di possibilità che si escludono a vicenda, di cui solo una può essere scelta.


venerdì 25 ottobre 2013

Corruzione di senatori e finanziamento illecito: Berlusconi sarà processato

     Lui la chiamava “Operazione Libertà”: il lurido eufemismo serviva a sminuire agli occhi di quel po’ di pudore che forse gli restava tutto lo schifo che avrebbe suscitato a parlarne liberamente. Siamo nel 2008, il governo Prodi è agli sgoccioli e deve fare i conti con l’imminente perdita di fiducia. Per Berlusconi, re degli eufemismi, è l’occasione di rigiocare la carta del sabotaggio per spodestare il rivale e impossessarsi della Presidenza del Consiglio.
     Nasce così l’idea di corrompere quei pochi parlamentari che servono per assicurarsi i voti necessari a far cadere il governo. E Berlusconi lo fa: paga dei senatori e li corrompe per farli passare dalla sua parte. È questo il capo d’accusa che pende ora, con un nuovo processo che si terrà a Napoli, sull’uomo più delinquente che la politica italiana abbia avuto dalla nascita della Repubblica a oggi.

Valter Lavitola (a sinistra), faccendiere 
di Silvio Berlusconi:
pagò De Gregorio 
per conto di Berlusconi durante la cosid-
detta "Operazione Libertà".
     L’ex senatore Sergio De Gregorio, reo confesso, ha più volte raccontato tutto, l’intero meccanismo: di come Silvio Berlusconi lo avesse individuato nella cerchia degli “indecisi”, ovvero dei corruttibili, di quelli che sarebbero stati disposti a cambiare bandiera; di come si fosse pattuito il “compenso” per cotanto “aiuto” (3 milioni di euro, di cui 2 in nero) per abbandonare Idv e passare al centro-destra; di come Valter Lavitola, faccendiere di Berlusconi per anni, ex direttore del quotidiano l’Avanti!, finito in carcere con più di un’accusa, tra cui quella di tentata estorsione ai danni dello stesso Berlusconi (si direbbe: Dio li fa e poi li accoppia), gli avesse consegnato il pagamento… All'accusa di corruzione si aggiunge quindi anche quella di finanziamento illecito ai partiti, giacché Berlusconi ricompensò De Gregorio attraverso aiuti economici finalizzati a un reato e in modalità illegali (con rate non dichiarate al fisco).


     Il processo per compravendita di senatori è il primo processo in cui Berlusconi deve rendere conto di un illecito commesso direttamente ai danni dello Stato: fino ad ora ogni reato faceva capo a un suo interesse esclusivamente personale. Ora finalmente arriva dalle procure il coraggio di affrontare anche questa questione che costò la vita alla stabilità governativa del nostro paese… sappiamo tutti, infatti, quanto sia costato all’Italia il successivo governo Berlusconi, fino a quel novembre 2011 quando anche a lui mancò la maggioranza per continuare a governare (si direbbe: chi la fa l’aspetti).

Silvio Berlusconi con Sergio De Gregorio, ex senatore 
corrotto per passare nelle file del Pdl.
     Detto processo inizierà l’11 febbraio prossimo alla quarta sezione penale al Tribunale di Napoli: De Gregorio ha già patteggiato per un ritocchino alla pena (1 anno e 8 mesi); per Lavitola, anche lui rinviato a giudizio assieme a Berlusconi, sarebbe l’ennesima condanna che si aggiunge dopo il suo storico ruolo di “mediatore” del Cavaliere, mentre per quest’ultimo la cosa aggrava enormemente la sua posizione politica. Non sono pochi infatti, gli altri processi pendenti a suo carico: c’è già la condanna in primo grado per concussione e prostituzione minorile (processo Ruby), il caso Unipol, le tangenti a Tarantini perché tacesse sulle vicende escort, senza dimenticare l'imminente interdizione dai pubblici uffici...
     Non che nel governo Letta si sia capaci di inorridire e decidere di eliminare un soggetto simile, già condannato in via definitiva a 4 anni di carcere per frode fiscale (1 agosto scorso) e a 2 anni di interdizione. Il governo Letta, soprattutto il paradossale Pd, riesce perfettamente a tollerare una presenza così virale nella politica italiana. Il pudore è un sentimento antico, diceva qualche tempo fa la Littizzetto a Che tempo che fa, non va più di moda. Ma del resto le larghe intese significano questo in Italia: non una collaborazione di intenti normalmente differenti, ma un accordo in mala fede tra presunti avversari che, con la scusa dell’emergenza, possono presentare ai cittadini i piani più ignobili di interventi legislativi. Ed ecco infatti che ci ritroviamo la “riforma” della Costituzione, a partire dall’articolo 138, che è il meccanismo di sicurezza della nostra Carta: dobbiamo riformare la Costituzione? Deroghiamo al 138, è un caso di emergenza! Detto, fatto! Napolitano fa pressioni per la riforma della legge elettorale (altro regalo di Berlusconi)? E loro la trascurano volutamente, così non possiamo andare a votare… Non possono farla subito, ci sono emergenze più urgenti. Detto, fatto!

     Intanto la vicenda pesa in casa Pdl, dove la scissione delle due correnti che vi si sono formate appare ogni giorno sempre più marcata: gli “alfaniani” che vorrebbero creare un gruppo autonomo aspettano la fine del leader storico, anche se Alfano preferisce aspettare. Dall’altro i falchi fedeli preferirebbero far saltare il governo e credono di avere nobilissime motivazioni: prima era il mancato aiuto di Napolitano a Berlusconi (non gli ha dato la grazia, cosa, anche volendo, non possibile nel caso di Berlusconi), poi il Pd che non collabora dicendo di voler votare per la sua decadenza (in base a una legge votata dallo stesso Pdl), poi il mancato accordo sulla legge di stabilità… Anche questo sono le larghe intese: una masnada di delinquenti che si ricattano a vicenda. E, questo, Napolitano lo sapeva bene quando decise di permettere un simile connubio di forze politiche: un mostro di Frankenstein assemblato col peggio del peggio della politica italiana, perfino questo fu capace di fare pur di non ridare voce ai cittadini. E neanche ora, che la legge elettorale viene volutamente ignorata, si limita a fare la voce grossa da Firenze senza comunque sciogliere le Camere e mandare a casa persone che hanno violato palesemente gli impegni presi.
     Il berlusconismo ha davvero avuto successo in questo: rincretinire un popolo per vent'anni e più: fargli perdere ogni forma di memoria storica, anche di eventi recentissimi come la negazione delle libertà del fascismo, mutilargli la capacità di pensare e renderlo capace di sopportare le sfacciataggini più esplicite.