mercoledì 30 ottobre 2013

Latine loquimur, n. 11

     Undicesimo numero della rubrica che vi insegna ad usare la lingua più viva del mondo.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.


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Nemo propheta in patria
[pronuncia scolastica: nemo profèta in patria]
[pronuncia restituita: nemo prophèta in patria]

     “Nessuno [è] profeta in patria”. Per patria s’intende l’ambiente dove si è conosciuti, come casa propria, il proprio quartiere, il proprio ambiente di lavoro ecc…; profeta sta per “persona autorevole”, giacché in antichità i profeti erano stimati come persone altamente rispettabili.
     La frase vuole dire quindi che è molto difficile per una persona emergere là dove è conosciuto, dove la gente può intrattenere con lui rapporti personali, o conosce le sue caratteristiche intime, i suoi vizi, le sue abitudini, proprio in virtù dei rapporti estremamente confidenziali che si instaurano. È più facile trasmettere autorevolezza dove nessuno ci conosce: complice è il fascino del mistero, che si può sfruttare a proprio vantaggio per “suggerire” alla gente una certa immagine di sé. La distanza che esiste tra sconosciuti è un ingrediente essenziale per apparire dotati di una certa aura.
     Così, ad esempio, i “vip” suscitano molta attrattiva sui loro fans perché nessuno li vede mai quando si alzano al mattino; allo stesso modo, molti ciarlatani, come maghi, chiromanti, indovini ospitati nei programmi TV riescono a risultare attraenti anche grazie al fatto che vengono presentati a un pubblico che non li conosce.
     La frase ha una derivazione biblica: la troviamo in Matteo 13,57; Marco 6,4; Luca 4,24; Giovanni 4,4 ed è attribuita a Gesù, che l’avrebbe pronunciata nel momento in cui i nazareni si rifiutano di riconoscere in lui il destinatario della profezia di Isaia che parlava del messia depositario dello Spirito Santo: i nazareni erano infatti concittadini di Gesù!


Quid
[pronuncia scolastica: quid]
[pronuncia restituita: cuìd]

     Quando stiamo cercando di spiegare un concetto difficile da definire, che non sappiamo descrivere bene, possiamo usare la parola quid, che letteralmente significa “che cosa”. Quid è un pronome interrogativo e indefinito e si usa per indicare le cose neutre (non maschili né femminili) di cui non si conosce bene l’identità. Quando ad esempio diciamo che siamo quasi contenti del sapore di un buon piatto ma non sappiamo dire esattamente cosa gli manchi, possiamo dire che «Gli manca un quid», nel senso di “un certo non so che”; oppure quando siamo colpiti dal fascino di una bella donna ma non sappiamo cosa ci colpisce in particolare, diciamo che «C’è qualcosa in lei, in quid che la rende così attraente!».


Aut aut
[pronuncia scolastica: aut aut]
[pronuncia restituita: aut aut]

     Congiunzione coordinante, aut significa in latino “oppure”. Anche vel significa “oppure”, ma in un senso diverso: vel è una congiunzione inclusiva (esempio: «Vorrei tanto andare in Danimarca o in Belgio», ma si potrebbe andare in entrambi i posti, uno non esclude l’altro), mentre aut è una congiunzione esclusiva, perché esclude per forza una delle due alternative (esempio: «Le stelle o sono finite o sono infinite», non possono essere entrambe le cose, scegliendone una si esclude automaticamente l’altra).
     La locuzione aut aut, letteralmente “o… o…”, si usa per indicare una scelta drastica da proporre a qualcuno, una condizione rigida, un ultimatum. Quando litighiamo con un amico e gli diamo l’ultima possibilità, diciamo che gli abbiamo dato un aut aut, ovvero che l’abbiamo messo di fronte a una scelta fatta di possibilità che si escludono a vicenda, di cui solo una può essere scelta.


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