domenica 27 agosto 2017

Come far durare di più la batteria dello smartphone: TUTTI i trucchi e i consigli in un’unica guida

     Smartphone, computer e tablet sono tra gli strumenti più usati nel quotidiano, sia per svago che per lavoro. Tuttavia non sono ancora arrivati i tempi in cui, in confronto all’uso che mediamente se ne fa, le batterie di questi dispositivi possano assicurare una durata all’altezza dei nostri bisogni.
     Di fronte al rischio, più o meno sempre presente, di poter “non arrivare a fine giornata” l’utente medio di oggi è quindi costretto a ingegnarsi per trovare una soluzione, ma raramente conosce e adotta le strade migliori, perché ignora una buona parte del funzionamento dei dispositivi che usa. In questa piccola guida, quindi, non si vuole solo fornire i “trucchi” per estendere la durata della propria batteria, ma anche far capire all’utente il motivo per cui è necessario adottare certe strategie, al fine di renderlo più consapevole del suo strumento.
     La guida che segue contiene criteri di carattere generali applicabili su tutti gli smartphone di diversa marca e su tutti i sistemi operativi, anche se specifiche procedure sono illustrate espressamente per Android.

1. Risparmiare batteria con il display

1.1. Non usare la luminosità automatica, imposta la luminosità manualmente
     La luminosità dello smartphone è, assieme alla risoluzione, uno degli elementi che in assoluto consuma di più la batteria. La luminosità è la “potenza” della luce emessa dal pannello. La maggior parte degli smartphone oggi è dotata del sensore di luminosità automatica e, nel momento in cui un dispositivo viene acceso per la prima volta, la luminosità automatica è già impostata come attiva. Il sensore di luminosità automatica è un piccolo dispositivo che “studia” la luce dell’ambiente in cui ci si trova in un certo momento e, in base a quella luce, decide, grazie ad algoritmi propri, di impostare un certo grado di luminosità del display.

     Ora, al riguardo esistono due problemi: il primo è che non è assolutamente detto che i sensori siano calibrati secondo le nostre esigenze, perché il loro modo di impostare la luminosità potrebbe fornire display troppo o troppo poco luminosi; il secondo, più importante, è che questo sensore, per lavorare, consuma energia, quindi, giacché ormai modificare la luminosità del display è un’operazione che si fa da qualunque schermata e in meno di mezzo secondo, è molto più conveniente impostare manualmente la luminosità che si preferisce, disattivando il sensore di luminosità automatica. In questo modo si avrà la certezza di avere un valore davvero adatto alle proprie esigenze e si consuma meno energia.

1.2. Spegnimento automatico del display
     Più tempo il display rimane acceso, più la batteria si consuma. Semplice, sì, ma nessuno ci pensa mai. Se ora invece ci pensiamo, ecco un altro trucco: avete presente lo spegnimento automatico del display dopo alcuni secondi? È una funzione che spegne tutti i pixel del display quando questo non è in uso. Se siete il tipico utente che, dopo aver smesso di fare operazioni con lo smartphone, non blocca il display ma si limita a lasciare sul tavolo lo smartphone aspettando che il display si spenga da solo, allora potrete guadagnare un bel po’ di batteria impostando il timer di autospegnimento su un basso numero di secondi. È una funzione che si trova nelle impostazioni dello schermo: impostare il timer su 10 o 15 secondi anziché lasciarlo su 2 minuti permette al display di autospegnersi in meno tempo e questo fa una certa differenza. E se state pensando che alla fine si tratta di pochissimi secondi, ricordatevi che una persona mediamente sblocca il display dello smartphone 250 volte al giorno! A fine giornata è un bel risparmio!
     La voce relativa al timer si può chiamare in diversi modi sui diversi smartphone: Timer schermo, Timeout schermo, Screen timeout, Spegnimento schermo ecc.

1.3. Il display ad alta sensibilità consuma di più
     Molti modelli permettono di usare il display anche con i guanti: ciò richiede un aumento della sensibilità del pannello touch e la cosa consuma batteria in modo molto maggiore. In inverno e all’aperto, quando si è costretti a indossare i guanti, può essere una buona soluzione per evitare di mandare in cancrena le nostre falangi, ma appena tolti i guanti bisogna ricordarsi di disattivare subito questa funzione.

1.4. Abbassare la risoluzione del display (se possibile)
     I display sono composti da minuscoli puntini luminosi, i famosi pixel, che, come un mosaico, si colorano diversamente costruendo le varie immagini che vediamo scorrere. Quando un display lavora con molti pixel si dice che ha un’alta risoluzione e viceversa. Far funzionare un display ad alta risoluzione, però, vuol dire consumare (molto) di più la batteria, poiché bisogna fornire energia a più elementi. Laddove sia possibile, quindi, è bene abbassare la risoluzione del display (da non confondere con la risoluzione delle foto, che è un’altra cosa), come sul Samsung Galaxy S7 e S7 Edge ad esempio.
     E se qualcuno si preoccupa di peggiorare la qualità delle immagini che scorrono sullo schermo facendo così, tenga presente che la maggior parte di noi non ha la vista abbastanza acuta per distinguere tra una risoluzione HD, full HD; e comunque non è una differenza che conta se si usa lo smartphone soprattutto per mandare messaggi, e-mail, fare chiamate o sfogliare Facebook. In quei casi una risoluzione più bassa non compromette nulla del nostro uso. Le alte risoluzioni hanno senso quando si guardano immagini o film ad alta definizione (e nemmeno sempre, ma solo per chi è fissato), ma la maggior parte dei contenuti che troviamo sul web (foto di Facebook, video su YouTube non hanno risoluzioni altissime). Può essere utile usare le alte risoluzioni solo in quei casi. In generale, se compriamo smartphone con alte risoluzioni del display, dobbiamo sicuramente aspettarci consumi più elevati dello schermo.

1.5. Usare temi e sfondi scuri (solo per display AMOLED)
Con un tema scuro le schermate cambiano il colore dominante.
Su un display AMOLED ciò consente di ridurre i consumi.
     Tutti i display funzionano con i pixel, ma il modo con cui i pixel vengono illuminati permette di distinguere due famiglie di display: gli AMOLED e gli LCD. Senza approfondire questo tema specifico, basti sapere che i display con tecnologia AMOLED hanno una particolarità molto utile ai fini del risparmio energetico: spengono completamente i pixel quando devono rendere il colore nero. Se si tratta di un nero totale, perché o pixel sono completamente spenti e pixel spenti vuol dire pixel che non consumano energia. Ecco perché è consigliabile impostare sugli smartphone con display AMOLED sfondi e temi scuri, neri in particolare. Più nero c’è nell’interfaccia, maggiore è il numero di pixel spenti, maggiore è l’energia risparmiata.
     Ciò non vale per i display LCD (a cristalli liquidi), come quelli del tipo IPS, che invece hanno sempre una certa illuminazione retrostante ai pixel: per questo tipo di display, quindi il solo modo di risparmiare energia dal display è abbassare la luminosità.

1.6. Disattivare le animazioni
     Le animazioni sono quegli effetti grafici che si vedono quando si cambia pagina o quando si apre o si chiude una cartella o ancora quando si apre un’applicazione. Anche gli sfondi possono avere animazioni: si chiamano in quel caso sfondi animati. Le animazioni fanno lavorare il processore dello smartphone, ma oltre al fattore estetico non aggiungono nulla alle prestazioni dello smartphone, anzi le appesantiscono. È bene quindi preferire sfondi statici a quelli animati e, se possibile, è bene disattivare le animazioni. Su Android è possibile disattivare le animazioni dalla voce Opzioni sviluppatore presente nelle Impostazioni generali. Se non trovate la voce Opzioni sviluppatore è perché essa va resa visibile: per rendere visibile questa impostazione basta andare su Impostazioni > Info sul dispositivo (o Info sul telefono), trovare la voce Numero build (nelle informazioni del software) e cliccarci sopra continuamente finché non compare lavviso che informa che si è diventati sviluppatori. Da quel momento nel menu Impostazioni sarà presente una voce in più, Opzioni sviluppatore. Cliccandoci sopra e attivando queste opzioni col primo bottone in alto si accede a una serie di impostazioni: per disattivare le impostazioni dovremo trovare quelle denominate Scala animazione finestra, Scala animazione transizione e Scala durata animazione e disattivarle tutte.



2. Risparmiare batteria con le connessioni

     Piccola premessa per i meno esperti: nei paragrafi sottostanti si parlerà di connessioni 2G, 3G e 4G. Sono diverse tecnologie con cui si possono usare i dati mobili, ovvero quelli che vengono forniti dal gestore telefonico (i famosi “giga”, per intenderci). La “G” sta per “generation” e indica quindi connessioni di seconda, terza o quarta generazione (la prima generazione non è più usata).
     Vale in generale la seguente regola: il 2G è una connessione meno potente del 3G, che a sua volta è meno potente del 4G. Quindi il 4G è la connessione che consuma di più pur essendo la più veloce.

2.1. Wi-Fi o connessione dati?
     La connessione a internet oggi si effettua o tramite una connessione wireless (Wi-Fi = Wireless Fidelity) fornita da un router/hotspot o tramite una connessione dati, ovvero usando i “giga” di cui disponiamo nel nostro piano tariffario fornito dal nostro operatore. La domanda da un milione di dollari è presto formulata: quale dei due consuma di più la batteria? La risposta è altrettanto netta: dipende.
     Dipende da cosa? Da un paio di cosette. Vediamole in modo schematico.
     Mettiamo che sto navigando su internet sfogliando Facebook o guardando un video su YouTube: se navigo sotto Wi-Fi il mio smartphone consumerà meno batteria rispetto alla connessione dati in 3G o 4G, fondamentalmente perché il Wi-Fi si trova sempre a una distanza molto piccola dallo smartphone (10-20 metri massimo), mentre per usare il 3G/4G il telefono deve agganciarsi a dei ripetitori che possono distare anche diversi chilometri. Il fatto che bisogni cercare un segnale più lontano richiede un consumo di batteria maggiore.
     Inoltre quando uso la connessione dati non specifico al telefono se navigare solo in 3G o solo in 4G (a meno di non volerlo impostare appositamente), quindi, per impostazione predefinita, gli smartphone rimangono pronti a cambiare la connessione a seconda della copertura del segnale in quella zona: se ad esempio il segnale 4G in quella zona è assente, lo smartphone rimedia cercando la connessione 3G e si “aggancia” da solo sul 3G (se non trova nemmeno quella va in 2G, altrimenti va in roaming). Insomma, il concetto è che il cambio continuo tra queste forme di segnale incide sulla batteria, mentre invece una connessione Wi-Fi ha il vantaggio di essere sempre a potenza costante, così lo smartphone non è costretto a cambiare.
     Ma se invece ho lo smartphone in standby, cioè con il display bloccato, ma voglio comunque poter ricevere eventuali notifiche di messaggi in qualunque momento, allora tenerlo in 3G o 4G produce un dispendio energetico molto inferiore, perché in standby l’assorbimento di energia del modulo Wi-Fi può arrivare a essere maggiore di quello della connessione dati.

Quindi ricapitolando:
  • Meglio usare il Wi-Fi se si è sotto copertura stabile di un router o di uno hotspot e se si ritiene di dover compiere attività di navigazione prolungate o comunque non brevissime.
  • Meglio usare la connessione dati, a parte quando non si ha accesso a una connessione Wi-Fi (per esempio, quando si esce), quando, pur avendo la copertura di un router, si ritiene di dover tenere il telefono in standby per un po’ o comunque quando si ritiene di non dover navigare, lasciando comunque che il telefono resti connesso e possa ricevere eventuali notifiche.


2.2. Non andare in giro con il Wi-Fi acceso
     Se si è in giro e si è connessi in 3G/4G bisogna ricordarsi di spegnere il Wi-Fi, perché altrimenti l’antenna del Wi-Fi comincerà continuamente a scansionare lo spazio circostante alla ricerca di un segnale a cui agganciarsi: ovviamente ne troverà tanti e, se ci spostiamo, ne troverà anche di nuovi; inoltre i continui tentativi di connettersi saranno inutili perché non conosceremo le password di tutti i router che il telefono individua. Tutto questo sforzo di ricerca si traduce in un grande dispendio di energia, quindi è meglio usare il Wi-Fi solo quando si è sicuri di volerlo usare e se ne conosce la password.

2.3. Se si usano connessione dati e Wi-Fi insieme, prevale il Wi-Fi
     Poniamo il caso di avere attive sia la connessione dati che l’antenna Wi-Fi e di entrare in un’area in cui ci sia la copertura Wi-Fi di cui abbiamo già inserito la password in passato: il nostro smartphone dovrà scegliere se restare connesso in 3G/4G o se connettersi al Wi-Fi. Se il Wi-Fi è disponibile e accessibile, lo smartphone si connetterà al Wi-Fi comunque, perciò se si vuole restare in 3G/4G si deve tenere il Wi-Fi disattivato.

2.4. Se si usa il Wi-Fi, stare più vicino possibile al router
     In linea generale, quando si usa il Wi-Fi bisogna tener conto della distanza che separa lo smartphone dal router che emette il segnale wireless: più gli oggetti saranno lontani, maggiore sarà lo “sforzo” che l’antenna del telefono farà per connettersi al modem/router e questo inciderà di più sul consumo di batteria. È bene quindi posizionare il router in una zona della casa vicina agli abituali luoghi in cui si usa lo smartphone, il tablet o il computer.

2.5. L'importanza del 2G
     Si è parlato finora del 3G e del 4G, ma nessuno si ricorda mai del 2G: questa connessione di seconda generazione nata negli anni ’90 del ’900, quando i telefoni cellulari non avevano le fotocamere e non navigavano su internet, ma potevano solo chiamare e inviare SMS, è tuttora presente nei nostri smartphone e – sorpresa! – potrebbe rivelarsi ancora meno dispendiosa dei metodi descritti finora.
     Il 2G infatti è una connessione meno potente, quindi consuma pochissimo: non a caso molti smartphone impostano automaticamente la connessione sul 2G quando entrano in risparmio energetico. Ebbene sugli smartphone è possibile impostare la connessione dati in modo che rimanga solo sul 2G: su Android basta visitare le Impostazioni, andare sulla parte dedicata alle reti e connessioni (poco dopo le voci sul Wi-Fi, il bluetooth ecc) e scegliere Altro, quindi selezionare Reti mobili e infine Modalità rete. Da questa finestra sarà possibile scegliere se il telefono deve mantenersi disponibile per connettersi al 4G, al 3G o al 2G, a seconda della copertura; se deve scegliere solo tra il 2G e il 3G; se deve impostarsi solo sul 3G o solo sul 2G (nota: il 2G viene spesso indicato come GSM, il 3G può essere indicato come WCDMA e il 4G può comparire anche come LTE).

Da questa finestra è possibile scegliere su quali reti lo smartphone deve restare connesso: Android consente di scegliere tra diverse combinazioni: usare sempre e solo il 2G (GSM), sempre e solo il 3G (WCDMA), scegliere tra 2G e 3G a seconda della copertura o scegliere tra 2G, 3G e 4G a seconda della copertura.

     Impostare la rete solo sul 2G implica sicuramente un grande risparmio di energia. Ma cos’altro comporta?
     Prima di tutto, se il telefono è impostato sul 2G non farà spontaneamente il cambio di segnale quando si trova in zona sotto copertura 3G o 4G, ma continuerà a restare in 2G.
     Inoltre con il 2G sarà possibile: effettuare/ricevere chiamate vocali senza problemi; inviare/ricevere SMS senza problemi; inviare/ricevere e-mail senza problemi; inviare/ricevere messaggi di testo via WhatsApp, Messenger, Telegram ecc senza problemi. Solo l’invio di alcuni file un po’ più pesanti come foto, note vocali, canzoni o brevi video richiederà qualche secondo in più (o qualche minuto, a seconda di quanto sia grande il file inviato).
     Quello che non consiglio di fare con il 2G, anche se teoricamente è possibile, è navigare: niente Facebook, niente ricerche su Google, niente video su YouTube, perché la potenza di segnale è molto bassa per questo tipo di attività e i tempi di attesa sarebbero troppo lunghi per la maggior parte degli utenti.
     Il 2G quindi va bene ed è consigliato se lavorate per lo più con le chiamate o con i messaggi scritti. Non è poi detto che bisogni usarlo sempre: io consiglio di attivarlo quando siete in giro e non state usando il telefono, ma volete comunque poter ricevere delle notifiche di messaggi; oppure quando avete la batteria in esaurimento. Quando poi si avesse bisogno di compiere quelle attività un po’ più pesanti che il 2G farebbe troppo lentamente, si può sempre modificare temporaneamente la potenza del segnale sul 3G o 4G o attivare il Wi-Fi.

2.6. Ridurre le sincronizzazioni
     Alcune app, come Gmail o altre app native per le e-mail, alcuni servizi di cloud storage come Google Drive, la rubrica, il calendario o altre sono costantemente in sincronizzazione, ovvero si mantengono sempre connesse all’account per tenerlo aggiornato con i nuovi dati in tempo reale. Tuttavia sono poche le persone che hanno davvero bisogno che queste app mantengano aggiornate le loro informazioni.
     Ad esempio, non tutti gli utenti hanno un calendario da sincronizzare, perché semplicemente non aggiungono attività sull’app del calendario, così come non tutti usano davvero la casella di posta Gmail del proprio account Google...
     Per questi utenti, quindi, è indifferente che alcuni servizi rimangano sincronizzati o meno: in tali casi è bene spegnere le sincronizzazioni che non servono. La sincronizzazione, infatti, è un processo che consuma energia perché richiede che lo smartphone si connetta a internet per cercare i dati da sincronizzare, di conseguenza questo scarica la batteria.
     Su Android le impostazioni per le sincronizzazioni si trovano in Impostazioni > Account e sincronizzazioni > Google: qui ci si ritrova con una serie di voci a cui si può togliere la spunta. Se avete installato specifiche app di Google, come Google Chrome o Google Drive, anche queste compariranno in questo elenco. In generale è bene disattivarle tutte e tenere attive solo quelle relative ai servizi che davvero si usano.
     Le sincronizzazioni si possono modificare anche nei menu delle singole app: nell’app di Gmail ad esempio è possibile scegliere ogni quanti minuti la casella di posta deve sincronizzarsi: impostare il timer su ogni 15 minuti consuma molta più batteria rispetto alla sincronizzazione fatta ogni 2 ore.



3. Risparmiare batteria con le app

3.1. App inutili? Disattivale!
     Molti produttori forniscono gli smartphone pieni di app che normalmente non usiamo: si tratta per lo più di app inutili, preinstallate e che funzionano in background a nostra insaputa: vengono indicate nel gergo degli smanettoni come “crapware”, letteralmente “software di merda”. Ebbene, quando queste app non sono disinstallabili, si può evitare che entrino in funzione disattivandole. Disattivare un’app non significa eliminarla dallo smartphone, ma semplicemente spegnerla completamente in modo che non riceva aggiornamenti e non sia mai connessa a internet.
     Alcuni esempi sono il meteo, che è sempre connesso a internet a nostra insaputa, oppure le news di Yahoo! Oppure Hangout o Google+ ecc... È bene non sottovalutare questo aspetto: le app inutili lasciate attive rubano spazio, consumano dati e prosciugano la batteria.
     È possibile, su Android, disattivare un’app semplicemente andando nel menu delle applicazioni e aprendo la schermata della singola app: lì ci sarà la voce Disattiva. Un’app disattivata si può riattivare in qualunque momento.

Attenzione!
  • Non tutte le app sono disattivabili.
  • Disattivare solo le app identificate come inutili, evitare di disattivare app che invece servono.
  • Spesso, prima di poter disattivare un’app, occorre disinstallare gli aggiornamenti che ha fatto fino a quel momento, quindi la voce Disattiva potrebbe essere sostituita da Disinstalla aggiornamenti: solo dopo aver disinstallato gli aggiornamenti sarà possibile disattivare l’app.


3.2. Inutile chiudere le app recenti
Schermate di app recenti su due versioni diverse di Android.
     La schermata delle app recenti è quella che mostra tutte le applicazioni che sono state aperte fino a quel momento e che stanno occupando la RAM (cioè la memoria di “lavoro” dello smartphone, quella che conserva i dati delle app per farle funzionare subito): da questa schermata è possibile chiudere una, molte o tutte le app, liberando la RAM. È stata a lungo opinione diffusa che tenere aperte le app recenti in quella schermata portasse a un maggiore dispendio di energia perché, se un’app rimaneva “aperta” allora lo smartphone doveva usare energia per farla funzionare.
     In realtà i sistemi operativi degli smartphone di oggi, ovvero Android e iOS, hanno sviluppato degli algoritmi per far sì che un’app recente ancora attiva abbia un impatto pressoché nullo sulla batteria, rendendo quindi inutile la chiusura continua e ossessiva dei programmi. Possiamo quindi tenere aperte le app recenti senza preoccuparci della batteria.
     Anzi, se si apre un’app e la si chiude in continuazione si consuma più energia, ottenendo perfino l’effetto opposto! Perché? Quando apriamo un’app e la lasciamo aperta significa che le sue informazioni sono già disponibili nella RAM, pronte per essere usate dallo smartphone: questo vuol dire che lo smartphone non deve “richiamare”, riaprire ogni volta l’app per mettere i suoi dati nella RAM.
     Invece quando l’app viene continuamente chiusa e riaperta lo smartphone spende energie perché chiudendola si cancellano dalla RAM le informazioni che servono al telefono per farla funzionare, per cui, quando la si riapre, il telefono deve richiamarla da zero, trasferendo quelle informazioni nuovamente nella RAM e questo consuma energia. Non è un caso, infatti, che l’apertura di un’app sia più lenta quando essa viene avviata la prima volta, ma che dalla seconda volta in poi si apra molto più velocemente: il motivo è che dopo la prima apertura è rimasta disponibile nella RAM.
     Verrebbe da chiedere: se chiudere le app non apporta miglioramenti alla durata della batteria, allora perché esiste la possibilità di chiuderle? Semplicemente perché così si dà all’utente la possibilità di liberare spazio nella RAM, qualora ce ne fosse bisogno.
     Vale quindi la pena di chiudere un’app solo se si ritiene di non doverla usare più per molte ore, ad esempio quando giungiamo in un posto nuovo e chiudiamo Google Maps, non prevedendo di averne più bisogno per qualche ora o giorno.

3.3. Usare Facebook senza l’app ufficiale
     Ci sono applicazioni che consumano tantissimo e tra queste c’è sicuramente l’app di Facebook, che è una vera e propria bomba che incide moltissimo sulla batteria e anche sulla memoria di archiviazione. Ora, mi rendo conto che Facebook è diventato come l’aria e che quindi nessuno si sognerebbe di fare a meno di questo servizio: tuttavia non tutti sanno che si può usare Facebook anche senza installare l’app ufficiale.
     Una prima alternativa sta nell’app (sempre ufficiale) Facebook Lite, che, semplificando un po’ la grafica, permette un uso di Facebook molto più leggero: l’app infatti integra la versione browser del sito in un’interfaccia preparata appositamente, consumando molti meno dati e permettendo tra l’altro anche di accedere ai messaggi di Facebook senza installare Facebook Messenger. Tramite Lite è anche possibile gestire una propria pagina Facebook senza installare l’app apposita Gestore delle pagine. Insomma, un’app creata per poter commentare, scaricare foto, guardare video, inviare e ricevere messaggi, pubblicare contenuti usando però un minore dispendio di batteria.
     Assieme a Facebook Lite ci sono altre app che fanno una cosa simile, come Metal for Facebook, Fast for Facebook, Mini for Facebook ecc.
     Ancora meglio, si può semplicemente usare Facebook dal browser (Google Chrome, Firefox, Opera...), cioè quell’app che ci fa navigare in internet, esattamente come si fa dal computer. L’uso di Facebook tramite browser è il più leggero e meno dispendioso di tutti ed è anche possibile impostare sul browser usato il famoso codice a quattro cifre che permette di tenere sicuro l’accesso al proprio account senza per forza dover inserire ogni volta la password.


4. Altri metodi per risparmiare batteria

4.1. Occhio ai widget
     I widget sono in pratica come delle app sempre aperte e in costante sincronizzazione e in quanto tali consumano di più. Molti di essi, infatti, si aggiornano collegandosi a internet, come quello del meteo. Non tutti i widget fanno le stesse cose e non tutti usano le risorse dello smartphone allo stesso modo, ma in generale è buona norma limitarne l’uso solo a quelli effettivamente indispensabili.
     Quando si accende uno smartphone per la prima volta, quindi, è bene eliminare dalle pagine tutti quei widget preimpostati che il produttore fa trovare attivi.

4.2. Impostare il risparmio energetico
     Il risparmio energetico è un insieme di funzioni attivabili sui diversi modelli di smartphone che consentono sostanzialmente di disattivare certe sincronizzazioni o ridurre le prestazioni del processore in modo predefinito o a partire da un certo livello di batteria.
     Non esiste un modo univoco di descrivere questa impostazione perché ogni modello personalizza il risparmio energetico a modo suo, quindi l’invito è di fare un giro nelle impostazioni del proprio smartphone e vedere quali funzioni vengono disattivate o ridotte. Alcuni modelli fanno del risparmio energetico un vero e proprio punto di forza, come i modelli Xperia di Sony, con le loro modalità Stamina e Ultra Stamina.
     Il risparmio energetico è una funzione in via di miglioramento in questi anni: mentre prima si limitava ad esempio a spegnere la connessione o a ridurre la luminosità del display, attualmente è possibile scegliere tra più opzioni, come interrompere la sincronizzazione di alcune app quando il display è spento o quando le app non vengono aperte, una funzione molto ben interpretata sui dispositivi Huawei.

4.3. Disattivare le connessioni inutili: bluetooth e GPS
     Gli smartphone forniscono dalla prima accensione alcune connessioni attive in modo predefinito che però non hanno affatto bisogno di essere tenute accese nella maggior parte del tempo. Degne di nota sono il bluetooth e il GPS. Vediamole una alla volta.
     Il bluetooth era 15-20 anni fa il solo modo che si aveva per scambiarsi un file, quando non c’era nemmeno l’idea di WhatsApp, Facebook e quando i telefoni non potevano gestire le e-mail: oggi quasi nessuno utilizza il bluetooth, tranne i rari casi di accessori bluetooth, come le cuffie senza fili.
     Tipicamente alla prima accensione dello smartphone ci si ritrova con il bluetooth attivo, ma siccome esso è un servizio “quasi morto” è bene tenere spenta l’antenna bluetooth perché altrimenti questa si metterà a cercare i dispositivi circostanti per agganciarsi ad essi.
     Il GPS è un altro dei servizi forniti già attivi sugli smartphone: ora, il GPS serve per la geolocalizzazione, ovvero per far sapere ad alcune app dove si trova il telefono nel mondo e viene usato da una pluralità di applicazioni, compresi alcuni giochi. Il bello è che non è detto che sia obbligatorio comunicare a certe app la posizione (forse non si usano nemmeno quelle app), quindi tenere acceso il GPS a prescindere è senz’altro dispendioso: il telefono consuma molta batteria per inviare dati ai satelliti sulla propria posizione. Bisogna attivare il GPS solo per attività necessarie, come quando usiamo un navigatore per trovare una strada che non conosciamo.

4.4. Risparmiare batteria di notte: spegnere lo smartphone o impostare la modalità aereo
     Quando si va a letto molti di noi lasciano lo smartphone acceso, con tutte le connessioni e le antenne attive che, ovviamente, continueranno a funzionare, installando eventuali aggiornamenti, sincronizzando i contenuti, scaricando nuove notifiche e messaggi.
     A meno che non si soffra di insonnia, è inutile far lavorare lo smartphone mentre si dorme, quindi il modo migliore per risparmiare in questo lasso di tempo è spegnere il dispositivo.
     Se però si usa lo smartphone come sveglia e lo si vuole tenere acceso, basta anche solo impostare la modalità aereo (contrassegnata dall’icona a forma di aereo, appunto), ovvero la modalità che disattiva tutte le antenne e le connessioni. In questo modo il consumo notturno sarà quasi nullo ma la sveglia suonerà comunque, perché lo smartphone resterà acceso.

4.5. Disattivare le vibrazioni
     Magari molti non saranno d’accordo, ma lasciatemelo dire chiaramente: il feed della vibrazione non serve a un fico secco! Fatta eccezione per i casi in cui si imposta la modalità silenzioso e si vuole far vibrare il telefono alla ricezione di chiamate e/o messaggi, tutte le altre vibrazioni sono completamente inutili. Far vibrare il telefono quando si scrive sulla tastiera, ad esempio, significa accendere un motorino che “trema” ad ogni “tap” di lettera, così come quando il telefono vibra ogni volta che si sposta un’icona sul display, che si crea una cartella, che si apre una pagina ecc.
     Tutto ciò non aggiunge nulla al miglioramento dell’uso, è solo un capriccio di cui si può fare tranquillamente a meno perché fa scaricare molto di più la batteria. Disattivare il feed della vibrazione (detto anche feed aptico o tattile) dalle impostazioni dello smartphone e della tastiera aiuterà senz’altro a prolungare l’autonomia dello smartphone perché si spegne un oggetto che compie un movimento meccanico.
     Tipicamente si disattivano le vibrazioni in molti modi: dalle impostazioni della tastiera, dalla voce Suono del menu Impostazioni ecc... Le voci da cercare, come detto, sono Feed tattile, Feed aptico, Vibrazione tasti, Feedback tattile ecc.

4.6. Attenti alla voce “Ok Google”
     L’app di Google consente di fare ricerche semplicemente chiamando a voce l’app stessa col comando vocale “Ok Google”: si tratta di una funzione molto smart, utile soprattutto quando si è alla guida o si hanno le mani impegnate, perché in questo modo si parla letteralmente all’app per farle fare qualcosa.
     Tuttavia questa opzione è di norma utilizzabile da qualunque schermata del telefono. Che siamo su WhatsApp, quindi, o su Facebook, o su Gmail, potremo in ogni momento dire la formula magica “Ok Google” e l’app si apre chiedendoci cosa vogliamo. Questo richiede che l’app sia sempre “in ascolto” e questo le fa consumare batteria, quindi, volendo, si può fare in modo che il comando vocale sia limitato solo in alcuni casi, in modo da ridurre il peso che questo ha sulla batteria.
     Per rimediare basta andare nell’app di Google, aprire il menu laterale (quello con le tre lineette) e andare nelle Impostazioni: da qui basta selezionare Voce e poi Rilevamento “Ok Google”, lasciando la spunta solo su ciò che ci interessa.

4.7. Caricare (e scaricare) correttamente la batteria
     Potrà sembrare strano ma se le batterie al litio dei nostri smartphone non vengono caricare e scaricate nel modo appropriato mostrano un invecchiamento molto più rapido di quello naturale e una batteria invecchiata ha una minore durata nell’uso quotidiano. Caricare e scaricare correttamente la batteria, quindi, permette di far durare di più la batteria stessa.
     Vista la grande specificità del tema, vi rimando a questo articolo, dove potete imparare tutte le buone norme da tenere per prendervi cura al meglio della batteria.


     Come si vede i rimedi per far consumare meno la batteria durante la giornata sono tanti: non è detto che vadano adottati tutti, ma tra essi sicuramente ce ne sarà qualcuno che è compatibile con le proprie esigenze. Sentitevi liberi di provare anche quelli che vi rendono più scettici e trovate la vostra combinazione ideale di accorgimenti.


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domenica 20 agosto 2017

Che significano le icone G, E, 3G, H, H+, LTE, LTE+ (e le relative frecce) sulla barra di stato dello smartphone?

La barra di stato di uno smartphone.
     Sempre più spesso facciamo uso, sui nostri smartphone, della cosiddetta connessione dati o dei dati mobili, ovvero la possibilità di usare dati digitali fornitici da un piano tariffario del nostro operatore per connetterci a internet o usare app che hanno bisogno della connessione a internet. Accade soprattutto quando usciamo e non abbiamo più una copertura Wi-Fi perché siamo lontani dal router.

     Quando la connessione dati è attiva è possibile vedere dei simboli sulla barra di stato, ovvero la striscia di display più in alto sul display dello smartphone (quella che contiene lorario, il simbolo della batteria, del segnale ecc). Ogni tanto questi simboli cambiano nel tempo. Per esempio ecco che compare unH+, che poi muta in LTE, per poi cambiare ancora in H.

Icona della connessione dati nella barra di stato.
     Cosa significano questi simboli? Essi ci informano sul tipo di connessione che lo smartphone sta usando in quel momento.
     Per i meno “smanettoni”, basti sapere che oggi esistono tre grandi famiglie di connessioni, chiamate “generazioni”: esse sono il 2G (seconda generazione), il 3G (terza generazione) e il 4G (quarta generazione). Sugli smartphone attuali tutte e tre sono disponibili, ma esistono dispositivi, più vecchiotti, che sono capaci di connettersi solo fino al 3G o addirittura solo in 2G.
     In generale: il 2G è più lento e consuma poco, il 3G è un po' più veloce, il 4G è il più veloce che abbiamo.

     Se il discorso si fermasse qui, avremmo solo tre icone a segnalare il tipo di connessione dati. In realtà ciascuna generazione ha avuto diversi protocolli (sottofamiglie), che sono elencati in ordine di “potenza” crescente, dal più lento al più veloce, così risulterà chiaro come sono organizzati.

     Con il 2G si può usare la connessione dati coi seguenti protocolli:
  • GSM;
  • GPRS;
  • EDGE.


     Con il 3G si può usare la connessione dati coi seguenti protocolli:
  • UMTS;
  • HSPA;
  • HSPA+.


     Con il 4G si può usare la connessione dati coi seguenti protocolli:
  • LTE (che non è un vero 4G, ma piuttosto un 3G potenziato);
  • LTE+ (o LTE Advanced).


     Quindi, in base a quanto detto prima, il GSM è il più lento di tutti, il GPRS un po più veloce, lEDGE più veloce ancora, lUMTS ancora di più e così via fino allLTE+.

     Ognuno di questi protocolli, quando è attivo sullo smartphone, viene contrassegnato da unapposita icona, che noi vediamo affianco al simbolo del segnale (quello a forma di triangolo rettangolo con le “tacche”). Ecco i simboli di ciascuno di essi.


Il simbolo G indica una connessione GPRS, quindi un protocollo del 2G.



Il simbolo E indica una connessione EDGE, quindi un protocollo del 2G.



Il simbolo 3G indica una connessione UMTS, quindi un protocollo del 3G.



Il simbolo H indica una connessione HSPA, quindi un protocollo del 3G.



Il simbolo H+ indica una connessione HSPA+, quindi un protocollo del 3G.



I simboli LTE o 4G indicano una connessione LTE, quindi un protocollo del 4G.



Il simbolo LTE+ indica una connessione LTE Advanced, quindi un protocollo del 4G.


Perché questi simboli cambiano?

     In pratica, quindi, quei simboli vi informano con quale velocità lo smartphone si sta connettendo a internet. Il fatto che i simboli cambino dipende dal fatto che, per impostazione predefinita, lo smartphone cercherà di connettersi alla rete più veloce disponibile in quella zona e in quel momento, per esempio il 4G. Se però la copertura per quel tipo di segnale non è disponibile (perché è debole o perché vi state spostando in una zona diversa), lo smartphone “scala” di potenza e cerca altri tipi di segnali, più deboli.
     Questi continui “switch” servono a far sì che lo smartphone non resti mai senza segnale e che quindi lutente possa avere una connessione costante (anche se non sempre con la stessa velocità). Inoltre i cambi avvengono anche a seconda delle operazioni che state compiendo: a seconda che stiate usando i meno un browser, ad esempio, lo smartphone si assesta su connessioni tali da non consumare la batteria più del necessario.

     È possibile “costringere” uno smartphone a non compiere cambi di rete e a rimanere impostato solo sul 4G, solo sul 3G o solo sul 2G. Sono impostazioni che è possibile cambiare nellapposito menu dello smartphone dedicato alla reti mobili. Ad esempio, se si imposta lo smartphone in modo che si connetta solo sul 3G, esso non aggancerà la rete 4G anche se questa è disponibile, ma resterà senza segnale se in quel momento e in quella zona la copertura 3G dovesse mancare.
     Tipicamente, per stare abbastanza tranquilli e per risparmiare batteria, si può scegliere di tenere il telefono impostato solo sul 2G: questo consente di fare più che agevolmente cose come chiamate, invio/ricezione di SMS ed MMS, invio/ricezione di e-mail, invio/ricezione di messaggi di testo da WhatsApp, Telegram, Viber ecc..., risparmiando un bel po di batteria. Ma se provate a navigare in internet in 2G o a inviare file “più grandi”, come canzoni o video, vedrete di certo dei rallentamenti: in tal caso può essere comodo disattivare il 2G e attivare il 3G, il 4G o il Wi-Fi.


Cosa indicano le frecce verticali?

     E le freccette? Perché ci sono sempre due freccette vicino a queste lettere? Cosa indicano? E perché a volte sono spente e a volte accese?

     Intanto la freccia che punta verso il basso indica un download, ovvero lo scaricamento di dati da internet: quando navighiamo, infatti, il nostro dispositivo scarica dei piccoli file da internet.
     La frecce con la punta verso lalto invece indica lupload, ovvero il caricamento di dati dal dispositivo verso internet.

     Quando le frecce sono spente significa che la modalità di connessione (ad esempio il 3G) è attiva ma non in uso, ovvero che non sta avvenendo alcuno scambio di dati (in download, in upload o entrambi).
     Le frecce colorate indicano invece che sta avvenendo uno scambio di dati tra internet e il dispositivo tramite la connessione attiva in quel momento, ovvero una connessione attiva e in uso.


     Ad esempio, questa icona indica una rete in 4G attiva e in uso, ovvero con un trasferimenti di dati (per esempio mentre si sta consultando una pagina web).


     Questa icona invece indica una rete in 4G attivata ma non in uso, ovvero indica che, pur essendo la rete stata impostata, non sta avvenendo un trasferimento di dati.


     Questa icona indica che sta avvenendo un download (scaricamento sullo smartphone) di dati in 4G.


     Infine, questa icona indica che sta avvenendo un upload (caricamento dallo smartphone) di dati in 4G.

     Non tutti i file che si scaricano quando si naviga sono visibili da parte dellutente: la maggior parte di essi è invisibile. Inoltre non si ha scambio di dati solo quando lutente attivamente tiene il browser aperto o sta effettivamente usando un’app. Queste operazioni spesso sono compiute anche indipendentemente dall’utente per permettere a certe app e a certi servizi di funzionare.


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sabato 19 agosto 2017

Breve storia dei telefoni portatili: dal push-to-talk al 5G, ecco come si sono evolute le telecomunicazioni

     Gli spot pubblicitari oggi ci parlano ossessivamente di connessioni in 4G. Un decennio fa il massimo possibile era invece il 3G. Se risaliamo agli anni ’90 del ’900 invece il problema neanche si poneva, perché si usava solo il 2G.
     Ma cosa vogliono dire queste sigle? Tutti più o meno sappiamo che la connessione 4G è più potente della connessione in 3G e così via, ma quasi nessuno sa con precisione cosa ciò voglia dire.
     Volendo semplificare molto, 2G, 3G e 4G sono tecnologie di trasferimento di dati digitali, ovvero quei dati con cui i nostri computer, smartphone e tablet ci fanno vedere i video su YouTube, ci fanno navigare in internet, ci fanno usare la posta elettronica, ci fanno inviare foto o scaricare canzoni... 
     La tecnologia 4G è la più veloce: essa trasferisce più dati al secondo; poi viene il 3G, un po’ più lento; infine il 2G, il più lento di tutti.
     La “G” sta per generation, cioè generazione e indica appunto il livello a cui è giunta una certa tecnologia delle telecomunicazioni.
     Detto in modo più tecnico, si tratta di diversi protocolli di trasmissione di dati, cioè regole che permettono a dispositivi diversi di scambiarsi dati con diverse velocità.
     L’evoluzione di queste tecnologie ha coinciso con una parallela evoluzione dei telefoni, i quali si sono adattati, in forma, dimensione e in funzionalità per garantire agli utenti la possibilità di gestire un flusso di informazioni sempre più ricco e vario.

     Quello che segue è, raccontato in una breve storia, il percorso evolutivo della tecnologia della comunicazione della telefonia mobile.


Marconi e il suo telegrafo.
     Come molti ricorderanno da studi scolastici, la prima forma di comunicazione elettromagnetica “wireless”, ovvero senza fili, si ebbe negli ultimissimi anni dell’800 con il telegrafo senza fili (o via etere) dellitaliano Guglielmo Marconi. Grazie al telegrafo di Marconi delle onde radio (quindi onde elettromagnetiche) viaggiavano nell’aria coprendo distanze anche grandissime a una velocità enorme, portando messaggi di vario tipo. In pratica furono inventate le trasmissioni via radio e, soprattutto, la stessa radio! Fu una vera rivoluzione che trasformò il ritmo del mondo, accelerando moltissimo le attività umane.
     Ma i telefoni nel senso moderno del termine vennero dopo e all'inizio erano fissi. Spesso li vediamo nei film un po’ vecchiotti: la base con la tastiera numerica e la cornetta collegata con il classico filo arricciato.


La generazione 0G

Un car phone in un’auto americana.
     I primi telefoni “portatili” non erano poi così portatili. Nati per esigenze militari e poi diffusi nell’ambito civile, questi telefoni erano originariamente pensati per essere installati sui veicoli: erano i cosiddetti car phones, veri e propri optional da tenere in macchina. Molte foto degli anni ’40 ritraggono questi dispositivi negli abitacoli delle automobili.
      È difficile dire se i car phone possano essere o meno annoverati tra i telefoni portatili: effettivamente, essendo installati nelle auto, non stavano in posti fissi e potevano essere usati in giro. Dallaltra parte è anche vero che una volta scesi dalla vettura non si potevano usare...
     A voi la scelta.
     Ad ogni modo, quando si svilupparono i modelli per pedoni il formato dovette adattarsi. Il prossimo step furono i radiotelefoni mobili, con una base grossa e pesante (a mo’ di valigetta) che conteneva la batteria e la ricetrasmittente, ovvero il ricevitore e il trasmettitore di segnale, e una cornetta agganciata sopra: di certo non si trattava di modelli tascabili. Base e cornetta erano collegati da un filo.
Un radiotelefono mobile.
     Non siamo ancora nell’era dei telefoni cellulari così come li conosciamo e la tecnologia usata per farli funzionare fu rinominata a posteriori 0G, per distinguerla dall’1G che si diffuse a partire dagli anni ’80.
     I radiotelefoni usavano segnali in analogico (non in digitale, come a partire dalla generazione 2G) e presentavano molte limitazioni, com’è facile immaginare: per esempio, la copertura del segnale non era capillare come oggi, ogni città aveva la sua antenna e il telefono poteva funzionare solo se si trovava a un certo numero di chilometri da essa. Inoltre funzionavano col sistema PTT (Push to talk, Premi per parlare): non si poteva parlare e ascoltare contemporaneamente, ma era un po’ come coi walkie-talkie, premendo un tasto di poteva parlare e non ricevere, lasciando il tasto era possibile ricevere ma non trasmettere la voce.
     Naturalmente era possibile usare solo la voce: i segnali non erano ancora in formato digitale e il telefono non avrebbe potuto crearci immagini, canzoni, file di testo...


La generazione 1G

     È tra gli anni ’70 e ’80 che i telefoni portatili cominciano ad assumere l’aspetto che hanno oggi. In tal senso un ottimo esempio, nonché una pietra miliare, è rappresentata dal DynaTAC (acronimo di Dynamic Adaptive Total Area Coverage), il primo vero telefono portatile della storia.
Martin Cooper nel 1973 (a sinistra) mentre fa la prima chiamata
con telefono portatile della storia, il DynaTAC. A destra Martin
Cooper con il suo DynaTAC nel 2013.
     Questo dispositivo fu inventato dall’ingegnere Martin Cooper (detto Marty), che all’epoca lavorava per Motorola, nella sezione ricerca e sviluppo: il suo DynaTAC pesava 1.5 Kg, aveva una batteria che durava meno di mezz'ora e che si ricaricava in 10 ore. Al riguardo Cooper ha dichiarato «La durata della batteria non era in realtà un problema perché non era possibile reggere in mano quel telefono così a lungo».
     Il 3 Aprile 1973 Martin Cooper fece la prima chiamata in pubblico col suo prototipo di telefono cellulare portatile. In una strada di New York, in mezzo a passanti e giornalisti, compose il numero di Joel E. Engel, il capo della ricerca dei Bell Labs, un’azienda concorrente: «Joel, sono Marty. Ti sto chiamando da un telefono cellulare, un vero telefono cellulare portatile».
     Telefoni come il DynaTAC e gli altri che seguirono funzionavano con uno standard tecnologico oggi noto come 1G, la prima generazione di telecomunicazioni per telefoni portatili.
     La tecnologia 1G trasmetteva in analogico, quindi inviava un solo tipo di segnale: la voce. Niente SMS, niente connessione a internet (all’epoca poi internet non era come la conosciamo oggi).
     Il segnale però era soggetto ad interruzioni e soprattutto era molto poco sicuro in quanto era facile da intercettare e molto suscettibile di essere hackerato. In particolare era possibile “clonare” un numero di telefono, cioè trasferire l’identità di un telefono ad un altro in modo da far addebitare le proprie chiamate ad altri.
     
Alcuni telefoni 1G di Motorola.
La tecnologia analogica dell’1G cominciò a essere usata nel 1979 a Tokyo e nel 1981 nei paesi del nord Europa, per poi diffondersi ovunque in diversi protocolli, cioè diverse modalità di trasmissioni di dati. Specifici protocolli venivano usati in diverse aree del pianeta, come NMT (Nordic Mobile Telephone), AMPS (Advanced Mobile Phone System), TACS (Total Access Communications System), ETACS (Extended Total Access Communication System) e molti altri... Per la prima volta, quindi, il mondo veniva diviso in aree (oggi celle, da cui l’aggettivo cellulare), ognuna servita da antenne che funzionavano con determinate frequenze.
     La tecnologia 1G è stata definitivamente abbandonata alla fine degli anni ’80 a causa delle sue limitazioni intrinseche e al contemporaneo sviluppo della generazione 2G e oggi non è più in uso. I telefoni come il DynaTAC sono detti telefoni 1G e sono ricordati per le loro dimensioni, dovute essenzialmente alla grandezza della ricetrasmittente e della batteria, che all’epoca non era alimentata al litio, come oggi.


La generazione 2G

     I limiti della tecnologia 1G furono superati con l’introduzione del 2G, la seconda generazione di trasmissione dati per telefonia mobile. Il 2G nacque verso i primi anni ’90, precisamente nel 1991, quando fu commercializzato il protocollo GSM da parte della compagnia finlandese Radiolinja. Ma andiamo con ordine...
Nokia 2110 (1995).
     La prima e più importante differenza tra l’1G e il 2G è che il primo trasmette in analogico, mentre il secondo in digitale, ovvero il segnale che gestisce è interamente digitalizzato. Digitalizzare le informazioni, come spiegato meglio più avanti con un esempio, significa trasformare informazioni in sequenze di cifre numeriche tutte composte da 0 e 1. Ogni combinazione di queste sole due cifre rappresenta “qualcosa”, come un colore, un suono, una lettera di un messaggio che stiamo leggendo... Questo è esattamente il tipo di dati che usano i computer. Tutto quello che ci “dà” un computer o uno smartphone, sia esso un’immagine, un messaggio audio, un documento di testo è in realtà “scritto” in formato di cifre (in inglese “cifra” si dice “digit”, per questo il formato si chiama digitale): ogni determinata combinazione di cifre corrisponde a lettere, colori, suoni che, combinati assieme, compongono gli apparentemente semplici contenuti che vediamo sui nostri display.
     Grazie al passaggio in digitale ci furono miglioramenti nella trasmissione del segnale, che divenne anche più protetto dalle intercettazioni illegali. La codifica digitale migliorava anche la qualità del suono, riducendo i fruscii e i rumori di fondo. Ma soprattutto si poterono inviare anche altri tipi di dati oltre la voce: nacquero proprio col 2G, ad esempio, gli SMS (Short Message Service, Servizio di messaggi brevi), che sono dati digitalizzati e successivamente convertiti in caratteri.
     Per capire la rivoluzione del 2G usiamo proprio l’esempio degli SMS. Un SMS non è altro che un pacchetto di dati in formato digitale, ovvero un insieme di informazioni scritte in cifre 0 e 1 che viaggiano tutte assieme.
Notifica di SMS su un Nokia 2G.
     Ogni lettera, segno di punteggiatura o spazio che digitiamo sulla tastiera viene in realtà creato dal telefono (o dal computer) come un insieme di 7 cifre. Ad esempio, se scrivo la lettera A il mio telefono o computer la produce come 1000001: questa stringa di 7 cifre in questo caso è la lettera A in formato digitale (cioè in formato di cifre). Quando invio la lettera A al mio interlocutore via SMS in realtà gli sto inviando un pacchetto di dati e questo pacchetto è 1000001: il pacchetto viene poi ricevuto dal suo telefono, il quale lo “traduce” sul display come il segno A.
     Quante cifre al massimo si possono trasmettere in un SMS? Basta sapere che ogni cifra (0 oppure 1, indifferentemente) ha la dimensione di un bit, perciò ogni lettera che scrivo “pesa” 7 bit.
     Ora, poiché tutti sapranno che in un SMS ci vanno al massimo 160 caratteri, allora in un SMS possono viaggiare un massimo di 7 × 160 = 1120 bit, che corrispondono a 140 byte.
     Da questo semplice esempio si comprende l’enorme importanza che la digitalizzazione ha rivestito: potenzialmente qualsiasi contenuto multimediale può essere tradotto in digitale e quindi può viaggiare tra dispositivi diversi permettendo un imponente scambio di informazioni.
Nokia 3310 (2000).
     Questo è il periodo che ha visto una progressiva miniaturizzazione dei telefoni. I primi telefoni in grado di supportare reti 2G erano decisamente più piccoli del DynaTAC, cominciavano a diventare tascabili. Avevano il classico schermo in “verde e nero”, senza i colori e con poche animazioni. Il display era molto piccolo, spesso poco più di una striscia e sotto c’erano le tastiere che ora non componevano solo numeri ma anche lettere per scrivere i messaggi. Alcuni avevano ancora le antenne che fuoriuscivano dallo chassis, anche se poi il design a riguardo si è adattato presto verso gli anni 2000.
     È questa l’epoca del mitico Nokia 3310, il telefono più famoso di sempre, vero monolite indistruttibile dal design compatto, con antenna integrata, solido, robusto, che se cadeva per terra era il pavimento a frantumarsi. È, anche, l’epoca in cui i giovani inventarono i linguaggi abbreviati da SMS: per non spendere troppo si riducevano all’osso le parole da scrivere in modo da impegnare meno caratteri possibili (perché divenne xké, ci sei? divenne c6?, ti voglio bene si trasformò nel famosissimo tvb ecc...). Nostalgia, eh?
     La connessione in 2G è esistita in diversi protocolli ed è disponibile tutt’oggi sui nostri smartphone: ognuno di questi protocolli si caratterizza per una diversa velocità di trasmissione di dati. Alcuni protocolli, quindi, trasferiranno un certo numero di dati digitali (bit) al secondo, altri ne trasferiranno un numero diverso. I più noti sono quelli sotto elencati.

NOTA – D’ora in avanti, nell'elencare le principali caratteristiche dei diversi protocolli delle varie generazioni di telecomunicazioni, verranno forniti dei valori relativi alla velocità di trasferimento dati sia in download che in upload.
La velocità di download è il numero di dati che si riesce a scaricare da internet in un secondo, mentre la velocità di upload è il numero di dati al secondo che si possono caricare su internet.
     Tali valori sono da intendersi come puramente teorici perché i valori reali dipendono da una pluralità di fattori, come la vicinanza a un ripetitore che emette il segnale in una certa zona, oppure l’ora della giornata, da cui dipende il numero di utenti che sono connessi allo stesso segnale (più utenti sono connessi, più lenta è la velocità), o ancora il modello di smartphone usato, la potenza delle sue antenne, la copertura nella particolare zona in cui ci si trova ecc... A causa di queste variabili i valori possono differire anche di molto da quelli teorici.
     Le velocità vengono indicate con delle unità di misura che sono multipli dei bit. All’occorrenza si tengano presente le seguenti unità:

  • Kbit indica il kilobit, dove 1 Kbit = 1000 bit
  • Mbit indica il megabit, dove 1 Mbit = 1000 Kbit = 1000000 bit
  • Gbit indica il gigabit, dove 1 Gbit = 1000 Mbit = 1000000 Kbit = 1000000000 bit.
     Con queste unità si elencheranno le velocità. Ad esempio, una velocità di 300 Kbit/s significa che in un secondo possono essere trasmessi 300 Kbit.
     Spesso è possibile leggere anche scritture come 300 Kbps, dove le lettere “ps” stanno per “per second”, cioè “al secondo” (e la b minuscola è il bit, da non confondere con la B maiuscola, che indica il byte, una unità di misura più grande).

GSM (2G)
     Lo standard GSM è la prima forma di 2G, la più antica e meno veloce, nata in Europa e sviluppatasi in tutto il mondo. A dispetto della sua bassa velocità è tuttavia la più diffusa al mondo attualmente (usata da 3 miliardi di persone in 200 paesi nel 2017).
     GSM sta per Groupe Spécial Mobile, il gruppo francese che ne curò inizialmente lo sviluppo, ma in seguito la sigla cambiò il suo significato e passò a indicare il Global System for Mobile Communication.
     Il GSM ha una velocità di trasmissione dati di circa 14.4 Kbit/s sia in download che in upload.
     Quando il telefono è connesso in GSM accanto all’icona del segnale c’è l’icona 2G.

GPRS (2.5G)
     La sigla GPRS sta per General Packet Radio Service. Viene detto anche 2.5G, a indicare che si tratta di una generazione intermedia tra il 2G (GSM) e il 3G (UMTS): il GPRS introduce, rispetto al GSM, alcune novità, come la commutazione di pacchetto. In questo senso il GPRS è un’evoluzione del GSM.
     La commutazione di pacchetto consente ai dati di essere prima raccolti in “pacchetti” di informazioni per poi essere spediti sul dispositivo ricevente, dove poi saranno ricongiunti per ricostruire l’informazione spedita. La velocità teorica è di 53.6 Kbit/s in download e 26.8 Kbit/s in upload.
     Grazie al GPRS fu possibile gestire meglio i dati e nacquero così alcune nuove funzioni, come gli MMS (Multimedia Message Service), cioè i messaggi contenenti file multimediali, come immagini, audio video o testo formattato (il testo degli SMS non è formattato); oppure il protocollo WAP (Wireless Application Protocol), sviluppato da Alain Rossmann e diffuso nel 1999, che servì a permettere ai dispositivi mobili di accedere ai siti internet usando un browser proprio con una propria struttura, inizialmente basato su linguaggio WML e successivamente XHTML (prima di allora i siti erano consultabili solo da un computer).
     Quando uno smartphone è connesso in GPRS compare come icona una G accanto all’icona del segnale.

EDGE (2.75G)
     L’EDGE (Enhanced Data rates for GSM Evolution), detto anche EGPRS (Enhanced GPRS) è il più veloce tra i protocolli della generazione 2G, con una velocità di 217.6 Kbit/s in download e 108.8 Kbit/s in upload. Questo aumento di velocità venne ottenuto con l’introduzione di una nuova modulazione che permette di fatto di unire diversi canali GPRS in parallelo invece che usarne uno solo per volta.
     L’icona dell’EDGE è una E.


La generazione 3G

     Con i protocolli del 2G fu possibile, ed è possibile tutt'oggi, fare agevolmente operazioni come chiamare, inviare SMS, MMS, inviare e-mail e, con ragionevoli tempi di attesa, navigare in WAP... Ma alcune operazioni più “pesanti” come navigare in internet o inviare a un amico una canzone o le foto dell’ultima uscita fatta con gli amici richiederebbe dei tempi un po’ lunghi, vista la bassa velocità di trasmissione dati.
     Il salto in questo senso avvenne con l’introduzione del 3G all’inizio del nuovo millennio. Ecco i principali protocolli del 3G, che potrebbero comparire sotto forma di sigle o icone sui nostri smartphone.

UMTS (3G)
     L’UMTS è il primo standard del 3G: esso sta per Universal Mobile Telecommunication System ed è anche chiamato 3GSM. Questo protocollo usa velocità di circa 384 Kbit/s in download e 128 Kbit/s in upload e, quando è attivo sul nostro telefono, è indicato dall’icona 3G. Su alcuni smartphone al suo posto compare la scritta W-CDMA (Wideband Code Division Multiple Access), che altro non è che l’interfaccia di cui l’UMTS si serve: un’interfaccia a banda larga basata sulla tecnologia dell’accesso multiplo, ovvero un sistema in cui diversi utenti possono usufruire di un servizio di telecomunicazioni accedendo e condividendo contemporaneamente le risorse del sistema stesso. L’interfaccia W-CDMA gestisce non solo l'UMTS, ma anche il FOMA, uno standard usato in Giappone. Possiamo assimilare quindi W-CDMA a sinonimo di UMTS e, in generale, di 3G.

HSPA e HSPA+ (3.5G e 3.75G)
     L’HSPA (High Speed Packet Access) è da considerarsi un versione migliorata dell’UMTS nello stesso modo in cui l’EDGE lo fu per il GPRS. Con l’HSPA le velocità di trasmissione diventano più alte, tipicamente 7.2 Mbit/s in download e 3.6 Mbit/s in upload. L’HSPA è in realtà composto da HSDPA (High Speed Downlink Packet Access) e da HSUPA (High Speed Uplink Packet Access) ed è tipicamente indicato, quando è attivo, sui nostri smartphone con la lettera H vicino alle tacche di segnale.
     Dell’HSPA esiste una versione ulteriormente potenziata, detta HSPA+, o HSPA evoluto, che aumenta ancora di più le velocità di trasmissione. Esso è indicato con l’icona H+. Il protocollo HSPA+ ha avuto diversi rilasci, ognuno dei quali con diverse velocità di download e upload.

Nokia 6220 Classic (2008). 
Menu principale (sinistra) e navigatore (destra).
     Grazie alla tecnologia 3G fu possibile gestire molti più dati e, quindi, fare molte più cose coi telefoni portatili. I telefoni a partire dall’inizio del 2000 quindi potevano permettere di navigare agevolmente su internet con appositi browser senza tempi di attesa eccessivi; consentivano di guardare la TV sul telefonino, di usare lo streaming, oltre a tutte le operazioni finora elencate. Il mondo di internet entrava decisamente nel pubblico di massa attraverso i telefoni portatili. Di conseguenza anche i telefoni cominciarono a cambiare, offrendo funzioni e programmi adatti a compiere queste funzioni: i display ormai erano diffusamente a colori, comparivano le prime fotocamere (a risoluzione non altissima se confrontata con gli standard attuali), vediamo comparire il flash e le dimensioni si mantengono decisamente tascabili. I telefoni si dotano di appositi browser per la navigazione, permettono di usare le mappe, di girare video... I tempi erano pronti per l’introduzione degli smartphone.


La generazione 4G

     I nuovi standard della generazione 4G hanno cominciato a essere diffusi intorno al primo decennio del 2000. Con le connessioni in 4G fu possibile un veloce accesso a internet per navigare sui siti, la mobile TV, la videotelefonia, la riproduzione di video in alta definizione e in 3D e le chiamate VoIP, ovvero le chiamate vocali fatte tramite la connessione a internet. In particolare, il 4G si propone si mantenere buone prestazioni anche in mobilità, ovvero mentre ci si sposta: tipicamente, infatti, con lo spostamento fisico tra aree geografiche diverse il segnale non rimane costante, ma tende ad affievolirsi quando raggiunge il confine delle zone coperte (quelle molto lontane dagli emettitori di segnale).
     I protocolli del 4G sono i seguenti.

LTE (4G)
     L’LTE (Long Term Evolution) non è una connessione 4G nel senso pieno del termine, perché a rigore non ne rispetta pienamente i criteri tecnici: esso è più una via di mezzo tra il 3G e il 4G vero e proprio. In pratica un UMTS migliorato o, se vogliamo, un pre-4G.
     Il sistema è stato proposto per la prima volta in Giappone nel 2009 dalla NTT DoCoMo, la principale azienda di telecomunicazioni nipponica e alla fine del 2009 era adottato dai paesi scandinavi, per poi diffondersi altrove.
     Le velocità teoriche dell’LTE sono: 100 Mbit/s in download e fino a 50 Mbit/s in upload (ma sono naturalmente inferiori nella realtà). Quando una connessione in LTE è attiva viene mostrata un’icona 4G o LTE accanto all’icona del segnale.

LTE Advanced o LTE+
     Il vero standard 4G fu pienamente raggiunto dall’LTE Advanced, detto anche LTE+. Attualmente è la tecnologia più rapida che abbiamo e assicura fino a 1 Gbit/s in download e 500 Mbit/s in upload.
     Quando un dispositivo è connesso in LTE+ compare l’icona LTE+ o 4G.
Samsung Galaxy S II, i9100 (2011).

     Con il 4G si entra definitivamente nell’era degli smartphone, ovvero dispositivi a metà strada tra telefoni e computer che, in quanto tali, si servono di numerosi software (applicazioni) che sfruttano la connessione a internet per funzionare. A parte BlackBerry, che ha continuato a proporre a fasi alterne smartphone dotati di tastiera fisica (che è un elemento distintivo del brand e che ha contribuito a farne marchio di successo negli anni addietro), gli smartphone moderni si sono ormai standardizzati tutti sui display total touch, così come li conosciamo oggi, ispirati dal primo iPhone. Sono piastrelle sempre più piatte, con display che fanno a gara per fornire la migliore resa cromatica, fortemente votati alla multimedialità e all’uso di internet... e vengono usati sempre meno per chiamare. Sembra paradossale, ma gli strumenti nati per parlare con persone lontane ora vengono usati molto meno per comunicare a voce: con tutte le app di chat disponibili adesso (Telegram, Viber, WhatsApp ecc) il pubblico preferisce lasciare messaggi scritti, servirsi di emoticon o, al massimo, di messaggi vocali, per i più pigri. Con gli smartphone comincia a nascere il problema delle batterie, che per tutte queste attività durano sempre meno: sono lontani i tempi in cui un Nokia 3310 ci durava 4 o 5 giorni con uso intenso. Ora è un dramma arrivare a 12 ore!

     Se a questo punto avete la testa un po’ confusa, eccovi una tabella che riassume i protocolli delle diverse generazioni (divise per colore).






La generazione 5G

     A partire dagli anni ’80 del ’900, quando fu introdotto l’1G, approssimativamente ogni dieci anni è stata standardizzata e commercializzata una nuova generazione di tecnologie di telecomunicazioni. In questo senso si sta attualmente progettando di rendere operativo entro il 2020 la generazione 5G, che dovrebbe apportare modifiche non solo nella velocità di trasmissione di dati, ma andare oltre a ciò con obiettivi ben più specifici, come ad esempio la possibilità di poter connettere un maggior numero di dispositivi, raggiungere un maggior numero di utenti, ridurre i costi delle infrastrutture, ridurre il consumo di energia per le connessioni o realizzare il cosiddetto internet delle cose, ovvero realizzare oggetti di uso anche quotidiano che però siano connessi in rete per poter scambiare informazioni (ad esempio, una sveglia che impara a suonare un po’ prima del previsto perché ha letto su internet il bollettino del traffico e sa che quel giorno è necessario alzarsi un po’ prima per non fare tardi).
     Come cambieranno i dispositivi in risposta a un flusso di dati così capillare è cosa che non dovremo aspettare molto: fra pochi anni assisteremo a questa ennesima trasformazione. Una cosa è certa: gli smartphone e i computer non saranno più i soli oggetti a essere connessi nella rete.