sabato 19 agosto 2017

Breve storia dei telefoni portatili: dal push-to-talk al 5G, ecco come si sono evolute le telecomunicazioni

     Gli spot pubblicitari oggi ci parlano ossessivamente di connessioni in 4G. Un decennio fa il massimo possibile era invece il 3G. Se risaliamo agli anni ’90 del ’900 invece il problema neanche si poneva, perché si usava solo il 2G.
     Ma cosa vogliono dire queste sigle? Tutti più o meno sappiamo che la connessione 4G è più potente della connessione in 3G e così via, ma quasi nessuno sa con precisione cosa ciò voglia dire.
     Volendo semplificare molto, 2G, 3G e 4G sono tecnologie di trasferimento di dati digitali, ovvero quei dati con cui i nostri computer, smartphone e tablet ci fanno vedere i video su YouTube, ci fanno navigare in internet, ci fanno usare la posta elettronica, ci fanno inviare foto o scaricare canzoni... 
     La tecnologia 4G è la più veloce: essa trasferisce più dati al secondo; poi viene il 3G, un po’ più lento; infine il 2G, il più lento di tutti.
     La “G” sta per generation, cioè generazione e indica appunto il livello a cui è giunta una certa tecnologia delle telecomunicazioni.
     Detto in modo più tecnico, si tratta di diversi protocolli di trasmissione di dati, cioè regole che permettono a dispositivi diversi di scambiarsi dati con diverse velocità.
     L’evoluzione di queste tecnologie ha coinciso con una parallela evoluzione dei telefoni, i quali si sono adattati, in forma, dimensione e in funzionalità per garantire agli utenti la possibilità di gestire un flusso di informazioni sempre più ricco e vario.

     Quello che segue è, raccontato in una breve storia, il percorso evolutivo della tecnologia della comunicazione della telefonia mobile.


Marconi e il suo telegrafo.
     Come molti ricorderanno da studi scolastici, la prima forma di comunicazione elettromagnetica “wireless”, ovvero senza fili, si ebbe negli ultimissimi anni dell’800 con il telegrafo senza fili (o via etere) dellitaliano Guglielmo Marconi. Grazie al telegrafo di Marconi delle onde radio (quindi onde elettromagnetiche) viaggiavano nell’aria coprendo distanze anche grandissime a una velocità enorme, portando messaggi di vario tipo. In pratica furono inventate le trasmissioni via radio e, soprattutto, la stessa radio! Fu una vera rivoluzione che trasformò il ritmo del mondo, accelerando moltissimo le attività umane.
     Ma i telefoni nel senso moderno del termine vennero dopo e all'inizio erano fissi. Spesso li vediamo nei film un po’ vecchiotti: la base con la tastiera numerica e la cornetta collegata con il classico filo arricciato.


La generazione 0G

Un car phone in un’auto americana.
     I primi telefoni “portatili” non erano poi così portatili. Nati per esigenze militari e poi diffusi nell’ambito civile, questi telefoni erano originariamente pensati per essere installati sui veicoli: erano i cosiddetti car phones, veri e propri optional da tenere in macchina. Molte foto degli anni ’40 ritraggono questi dispositivi negli abitacoli delle automobili.
      È difficile dire se i car phone possano essere o meno annoverati tra i telefoni portatili: effettivamente, essendo installati nelle auto, non stavano in posti fissi e potevano essere usati in giro. Dallaltra parte è anche vero che una volta scesi dalla vettura non si potevano usare...
     A voi la scelta.
     Ad ogni modo, quando si svilupparono i modelli per pedoni il formato dovette adattarsi. Il prossimo step furono i radiotelefoni mobili, con una base grossa e pesante (a mo’ di valigetta) che conteneva la batteria e la ricetrasmittente, ovvero il ricevitore e il trasmettitore di segnale, e una cornetta agganciata sopra: di certo non si trattava di modelli tascabili. Base e cornetta erano collegati da un filo.
Un radiotelefono mobile.
     Non siamo ancora nell’era dei telefoni cellulari così come li conosciamo e la tecnologia usata per farli funzionare fu rinominata a posteriori 0G, per distinguerla dall’1G che si diffuse a partire dagli anni ’80.
     I radiotelefoni usavano segnali in analogico (non in digitale, come a partire dalla generazione 2G) e presentavano molte limitazioni, com’è facile immaginare: per esempio, la copertura del segnale non era capillare come oggi, ogni città aveva la sua antenna e il telefono poteva funzionare solo se si trovava a un certo numero di chilometri da essa. Inoltre funzionavano col sistema PTT (Push to talk, Premi per parlare): non si poteva parlare e ascoltare contemporaneamente, ma era un po’ come coi walkie-talkie, premendo un tasto di poteva parlare e non ricevere, lasciando il tasto era possibile ricevere ma non trasmettere la voce.
     Naturalmente era possibile usare solo la voce: i segnali non erano ancora in formato digitale e il telefono non avrebbe potuto crearci immagini, canzoni, file di testo...


La generazione 1G

     È tra gli anni ’70 e ’80 che i telefoni portatili cominciano ad assumere l’aspetto che hanno oggi. In tal senso un ottimo esempio, nonché una pietra miliare, è rappresentata dal DynaTAC (acronimo di Dynamic Adaptive Total Area Coverage), il primo vero telefono portatile della storia.
Martin Cooper nel 1973 (a sinistra) mentre fa la prima chiamata
con telefono portatile della storia, il DynaTAC. A destra Martin
Cooper con il suo DynaTAC nel 2013.
     Questo dispositivo fu inventato dall’ingegnere Martin Cooper (detto Marty), che all’epoca lavorava per Motorola, nella sezione ricerca e sviluppo: il suo DynaTAC pesava 1.5 Kg, aveva una batteria che durava meno di mezz'ora e che si ricaricava in 10 ore. Al riguardo Cooper ha dichiarato «La durata della batteria non era in realtà un problema perché non era possibile reggere in mano quel telefono così a lungo».
     Il 3 Aprile 1973 Martin Cooper fece la prima chiamata in pubblico col suo prototipo di telefono cellulare portatile. In una strada di New York, in mezzo a passanti e giornalisti, compose il numero di Joel E. Engel, il capo della ricerca dei Bell Labs, un’azienda concorrente: «Joel, sono Marty. Ti sto chiamando da un telefono cellulare, un vero telefono cellulare portatile».
     Telefoni come il DynaTAC e gli altri che seguirono funzionavano con uno standard tecnologico oggi noto come 1G, la prima generazione di telecomunicazioni per telefoni portatili.
     La tecnologia 1G trasmetteva in analogico, quindi inviava un solo tipo di segnale: la voce. Niente SMS, niente connessione a internet (all’epoca poi internet non era come la conosciamo oggi).
     Il segnale però era soggetto ad interruzioni e soprattutto era molto poco sicuro in quanto era facile da intercettare e molto suscettibile di essere hackerato. In particolare era possibile “clonare” un numero di telefono, cioè trasferire l’identità di un telefono ad un altro in modo da far addebitare le proprie chiamate ad altri.
     
Alcuni telefoni 1G di Motorola.
La tecnologia analogica dell’1G cominciò a essere usata nel 1979 a Tokyo e nel 1981 nei paesi del nord Europa, per poi diffondersi ovunque in diversi protocolli, cioè diverse modalità di trasmissioni di dati. Specifici protocolli venivano usati in diverse aree del pianeta, come NMT (Nordic Mobile Telephone), AMPS (Advanced Mobile Phone System), TACS (Total Access Communications System), ETACS (Extended Total Access Communication System) e molti altri... Per la prima volta, quindi, il mondo veniva diviso in aree (oggi celle, da cui l’aggettivo cellulare), ognuna servita da antenne che funzionavano con determinate frequenze.
     La tecnologia 1G è stata definitivamente abbandonata alla fine degli anni ’80 a causa delle sue limitazioni intrinseche e al contemporaneo sviluppo della generazione 2G e oggi non è più in uso. I telefoni come il DynaTAC sono detti telefoni 1G e sono ricordati per le loro dimensioni, dovute essenzialmente alla grandezza della ricetrasmittente e della batteria, che all’epoca non era alimentata al litio, come oggi.


La generazione 2G

     I limiti della tecnologia 1G furono superati con l’introduzione del 2G, la seconda generazione di trasmissione dati per telefonia mobile. Il 2G nacque verso i primi anni ’90, precisamente nel 1991, quando fu commercializzato il protocollo GSM da parte della compagnia finlandese Radiolinja. Ma andiamo con ordine...
Nokia 2110 (1995).
     La prima e più importante differenza tra l’1G e il 2G è che il primo trasmette in analogico, mentre il secondo in digitale, ovvero il segnale che gestisce è interamente digitalizzato. Digitalizzare le informazioni, come spiegato meglio più avanti con un esempio, significa trasformare informazioni in sequenze di cifre numeriche tutte composte da 0 e 1. Ogni combinazione di queste sole due cifre rappresenta “qualcosa”, come un colore, un suono, una lettera di un messaggio che stiamo leggendo... Questo è esattamente il tipo di dati che usano i computer. Tutto quello che ci “dà” un computer o uno smartphone, sia esso un’immagine, un messaggio audio, un documento di testo è in realtà “scritto” in formato di cifre (in inglese “cifra” si dice “digit”, per questo il formato si chiama digitale): ogni determinata combinazione di cifre corrisponde a lettere, colori, suoni che, combinati assieme, compongono gli apparentemente semplici contenuti che vediamo sui nostri display.
     Grazie al passaggio in digitale ci furono miglioramenti nella trasmissione del segnale, che divenne anche più protetto dalle intercettazioni illegali. La codifica digitale migliorava anche la qualità del suono, riducendo i fruscii e i rumori di fondo. Ma soprattutto si poterono inviare anche altri tipi di dati oltre la voce: nacquero proprio col 2G, ad esempio, gli SMS (Short Message Service, Servizio di messaggi brevi), che sono dati digitalizzati e successivamente convertiti in caratteri.
     Per capire la rivoluzione del 2G usiamo proprio l’esempio degli SMS. Un SMS non è altro che un pacchetto di dati in formato digitale, ovvero un insieme di informazioni scritte in cifre 0 e 1 che viaggiano tutte assieme.
Notifica di SMS su un Nokia 2G.
     Ogni lettera, segno di punteggiatura o spazio che digitiamo sulla tastiera viene in realtà creato dal telefono (o dal computer) come un insieme di 7 cifre. Ad esempio, se scrivo la lettera A il mio telefono o computer la produce come 1000001: questa stringa di 7 cifre in questo caso è la lettera A in formato digitale (cioè in formato di cifre). Quando invio la lettera A al mio interlocutore via SMS in realtà gli sto inviando un pacchetto di dati e questo pacchetto è 1000001: il pacchetto viene poi ricevuto dal suo telefono, il quale lo “traduce” sul display come il segno A.
     Quante cifre al massimo si possono trasmettere in un SMS? Basta sapere che ogni cifra (0 oppure 1, indifferentemente) ha la dimensione di un bit, perciò ogni lettera che scrivo “pesa” 7 bit.
     Ora, poiché tutti sapranno che in un SMS ci vanno al massimo 160 caratteri, allora in un SMS possono viaggiare un massimo di 7 × 160 = 1120 bit, che corrispondono a 140 byte.
     Da questo semplice esempio si comprende l’enorme importanza che la digitalizzazione ha rivestito: potenzialmente qualsiasi contenuto multimediale può essere tradotto in digitale e quindi può viaggiare tra dispositivi diversi permettendo un imponente scambio di informazioni.
Nokia 3310 (2000).
     Questo è il periodo che ha visto una progressiva miniaturizzazione dei telefoni. I primi telefoni in grado di supportare reti 2G erano decisamente più piccoli del DynaTAC, cominciavano a diventare tascabili. Avevano il classico schermo in “verde e nero”, senza i colori e con poche animazioni. Il display era molto piccolo, spesso poco più di una striscia e sotto c’erano le tastiere che ora non componevano solo numeri ma anche lettere per scrivere i messaggi. Alcuni avevano ancora le antenne che fuoriuscivano dallo chassis, anche se poi il design a riguardo si è adattato presto verso gli anni 2000.
     È questa l’epoca del mitico Nokia 3310, il telefono più famoso di sempre, vero monolite indistruttibile dal design compatto, con antenna integrata, solido, robusto, che se cadeva per terra era il pavimento a frantumarsi. È, anche, l’epoca in cui i giovani inventarono i linguaggi abbreviati da SMS: per non spendere troppo si riducevano all’osso le parole da scrivere in modo da impegnare meno caratteri possibili (perché divenne xké, ci sei? divenne c6?, ti voglio bene si trasformò nel famosissimo tvb ecc...). Nostalgia, eh?
     La connessione in 2G è esistita in diversi protocolli ed è disponibile tutt’oggi sui nostri smartphone: ognuno di questi protocolli si caratterizza per una diversa velocità di trasmissione di dati. Alcuni protocolli, quindi, trasferiranno un certo numero di dati digitali (bit) al secondo, altri ne trasferiranno un numero diverso. I più noti sono quelli sotto elencati.

NOTA – D’ora in avanti, nell'elencare le principali caratteristiche dei diversi protocolli delle varie generazioni di telecomunicazioni, verranno forniti dei valori relativi alla velocità di trasferimento dati sia in download che in upload.
La velocità di download è il numero di dati che si riesce a scaricare da internet in un secondo, mentre la velocità di upload è il numero di dati al secondo che si possono caricare su internet.
     Tali valori sono da intendersi come puramente teorici perché i valori reali dipendono da una pluralità di fattori, come la vicinanza a un ripetitore che emette il segnale in una certa zona, oppure l’ora della giornata, da cui dipende il numero di utenti che sono connessi allo stesso segnale (più utenti sono connessi, più lenta è la velocità), o ancora il modello di smartphone usato, la potenza delle sue antenne, la copertura nella particolare zona in cui ci si trova ecc... A causa di queste variabili i valori possono differire anche di molto da quelli teorici.
     Le velocità vengono indicate con delle unità di misura che sono multipli dei bit. All’occorrenza si tengano presente le seguenti unità:

  • Kbit indica il kilobit, dove 1 Kbit = 1000 bit
  • Mbit indica il megabit, dove 1 Mbit = 1000 Kbit = 1000000 bit
  • Gbit indica il gigabit, dove 1 Gbit = 1000 Mbit = 1000000 Kbit = 1000000000 bit.
     Con queste unità si elencheranno le velocità. Ad esempio, una velocità di 300 Kbit/s significa che in un secondo possono essere trasmessi 300 Kbit.
     Spesso è possibile leggere anche scritture come 300 Kbps, dove le lettere “ps” stanno per “per second”, cioè “al secondo” (e la b minuscola è il bit, da non confondere con la B maiuscola, che indica il byte, una unità di misura più grande).

GSM (2G)
     Lo standard GSM è la prima forma di 2G, la più antica e meno veloce, nata in Europa e sviluppatasi in tutto il mondo. A dispetto della sua bassa velocità è tuttavia la più diffusa al mondo attualmente (usata da 3 miliardi di persone in 200 paesi nel 2017).
     GSM sta per Groupe Spécial Mobile, il gruppo francese che ne curò inizialmente lo sviluppo, ma in seguito la sigla cambiò il suo significato e passò a indicare il Global System for Mobile Communication.
     Il GSM ha una velocità di trasmissione dati di circa 14.4 Kbit/s sia in download che in upload.
     Quando il telefono è connesso in GSM accanto all’icona del segnale c’è l’icona 2G.

GPRS (2.5G)
     La sigla GPRS sta per General Packet Radio Service. Viene detto anche 2.5G, a indicare che si tratta di una generazione intermedia tra il 2G (GSM) e il 3G (UMTS): il GPRS introduce, rispetto al GSM, alcune novità, come la commutazione di pacchetto. In questo senso il GPRS è un’evoluzione del GSM.
     La commutazione di pacchetto consente ai dati di essere prima raccolti in “pacchetti” di informazioni per poi essere spediti sul dispositivo ricevente, dove poi saranno ricongiunti per ricostruire l’informazione spedita. La velocità teorica è di 53.6 Kbit/s in download e 26.8 Kbit/s in upload.
     Grazie al GPRS fu possibile gestire meglio i dati e nacquero così alcune nuove funzioni, come gli MMS (Multimedia Message Service), cioè i messaggi contenenti file multimediali, come immagini, audio video o testo formattato (il testo degli SMS non è formattato); oppure il protocollo WAP (Wireless Application Protocol), sviluppato da Alain Rossmann e diffuso nel 1999, che servì a permettere ai dispositivi mobili di accedere ai siti internet usando un browser proprio con una propria struttura, inizialmente basato su linguaggio WML e successivamente XHTML (prima di allora i siti erano consultabili solo da un computer).
     Quando uno smartphone è connesso in GPRS compare come icona una G accanto all’icona del segnale.

EDGE (2.75G)
     L’EDGE (Enhanced Data rates for GSM Evolution), detto anche EGPRS (Enhanced GPRS) è il più veloce tra i protocolli della generazione 2G, con una velocità di 217.6 Kbit/s in download e 108.8 Kbit/s in upload. Questo aumento di velocità venne ottenuto con l’introduzione di una nuova modulazione che permette di fatto di unire diversi canali GPRS in parallelo invece che usarne uno solo per volta.
     L’icona dell’EDGE è una E.


La generazione 3G

     Con i protocolli del 2G fu possibile, ed è possibile tutt'oggi, fare agevolmente operazioni come chiamare, inviare SMS, MMS, inviare e-mail e, con ragionevoli tempi di attesa, navigare in WAP... Ma alcune operazioni più “pesanti” come navigare in internet o inviare a un amico una canzone o le foto dell’ultima uscita fatta con gli amici richiederebbe dei tempi un po’ lunghi, vista la bassa velocità di trasmissione dati.
     Il salto in questo senso avvenne con l’introduzione del 3G all’inizio del nuovo millennio. Ecco i principali protocolli del 3G, che potrebbero comparire sotto forma di sigle o icone sui nostri smartphone.

UMTS (3G)
     L’UMTS è il primo standard del 3G: esso sta per Universal Mobile Telecommunication System ed è anche chiamato 3GSM. Questo protocollo usa velocità di circa 384 Kbit/s in download e 128 Kbit/s in upload e, quando è attivo sul nostro telefono, è indicato dall’icona 3G. Su alcuni smartphone al suo posto compare la scritta W-CDMA (Wideband Code Division Multiple Access), che altro non è che l’interfaccia di cui l’UMTS si serve: un’interfaccia a banda larga basata sulla tecnologia dell’accesso multiplo, ovvero un sistema in cui diversi utenti possono usufruire di un servizio di telecomunicazioni accedendo e condividendo contemporaneamente le risorse del sistema stesso. L’interfaccia W-CDMA gestisce non solo l'UMTS, ma anche il FOMA, uno standard usato in Giappone. Possiamo assimilare quindi W-CDMA a sinonimo di UMTS e, in generale, di 3G.

HSPA e HSPA+ (3.5G e 3.75G)
     L’HSPA (High Speed Packet Access) è da considerarsi un versione migliorata dell’UMTS nello stesso modo in cui l’EDGE lo fu per il GPRS. Con l’HSPA le velocità di trasmissione diventano più alte, tipicamente 7.2 Mbit/s in download e 3.6 Mbit/s in upload. L’HSPA è in realtà composto da HSDPA (High Speed Downlink Packet Access) e da HSUPA (High Speed Uplink Packet Access) ed è tipicamente indicato, quando è attivo, sui nostri smartphone con la lettera H vicino alle tacche di segnale.
     Dell’HSPA esiste una versione ulteriormente potenziata, detta HSPA+, o HSPA evoluto, che aumenta ancora di più le velocità di trasmissione. Esso è indicato con l’icona H+. Il protocollo HSPA+ ha avuto diversi rilasci, ognuno dei quali con diverse velocità di download e upload.

Nokia 6220 Classic (2008). 
Menu principale (sinistra) e navigatore (destra).
     Grazie alla tecnologia 3G fu possibile gestire molti più dati e, quindi, fare molte più cose coi telefoni portatili. I telefoni a partire dall’inizio del 2000 quindi potevano permettere di navigare agevolmente su internet con appositi browser senza tempi di attesa eccessivi; consentivano di guardare la TV sul telefonino, di usare lo streaming, oltre a tutte le operazioni finora elencate. Il mondo di internet entrava decisamente nel pubblico di massa attraverso i telefoni portatili. Di conseguenza anche i telefoni cominciarono a cambiare, offrendo funzioni e programmi adatti a compiere queste funzioni: i display ormai erano diffusamente a colori, comparivano le prime fotocamere (a risoluzione non altissima se confrontata con gli standard attuali), vediamo comparire il flash e le dimensioni si mantengono decisamente tascabili. I telefoni si dotano di appositi browser per la navigazione, permettono di usare le mappe, di girare video... I tempi erano pronti per l’introduzione degli smartphone.


La generazione 4G

     I nuovi standard della generazione 4G hanno cominciato a essere diffusi intorno al primo decennio del 2000. Con le connessioni in 4G fu possibile un veloce accesso a internet per navigare sui siti, la mobile TV, la videotelefonia, la riproduzione di video in alta definizione e in 3D e le chiamate VoIP, ovvero le chiamate vocali fatte tramite la connessione a internet. In particolare, il 4G si propone si mantenere buone prestazioni anche in mobilità, ovvero mentre ci si sposta: tipicamente, infatti, con lo spostamento fisico tra aree geografiche diverse il segnale non rimane costante, ma tende ad affievolirsi quando raggiunge il confine delle zone coperte (quelle molto lontane dagli emettitori di segnale).
     I protocolli del 4G sono i seguenti.

LTE (4G)
     L’LTE (Long Term Evolution) non è una connessione 4G nel senso pieno del termine, perché a rigore non ne rispetta pienamente i criteri tecnici: esso è più una via di mezzo tra il 3G e il 4G vero e proprio. In pratica un UMTS migliorato o, se vogliamo, un pre-4G.
     Il sistema è stato proposto per la prima volta in Giappone nel 2009 dalla NTT DoCoMo, la principale azienda di telecomunicazioni nipponica e alla fine del 2009 era adottato dai paesi scandinavi, per poi diffondersi altrove.
     Le velocità teoriche dell’LTE sono: 100 Mbit/s in download e fino a 50 Mbit/s in upload (ma sono naturalmente inferiori nella realtà). Quando una connessione in LTE è attiva viene mostrata un’icona 4G o LTE accanto all’icona del segnale.

LTE Advanced o LTE+
     Il vero standard 4G fu pienamente raggiunto dall’LTE Advanced, detto anche LTE+. Attualmente è la tecnologia più rapida che abbiamo e assicura fino a 1 Gbit/s in download e 500 Mbit/s in upload.
     Quando un dispositivo è connesso in LTE+ compare l’icona LTE+ o 4G.
Samsung Galaxy S II, i9100 (2011).

     Con il 4G si entra definitivamente nell’era degli smartphone, ovvero dispositivi a metà strada tra telefoni e computer che, in quanto tali, si servono di numerosi software (applicazioni) che sfruttano la connessione a internet per funzionare. A parte BlackBerry, che ha continuato a proporre a fasi alterne smartphone dotati di tastiera fisica (che è un elemento distintivo del brand e che ha contribuito a farne marchio di successo negli anni addietro), gli smartphone moderni si sono ormai standardizzati tutti sui display total touch, così come li conosciamo oggi, ispirati dal primo iPhone. Sono piastrelle sempre più piatte, con display che fanno a gara per fornire la migliore resa cromatica, fortemente votati alla multimedialità e all’uso di internet... e vengono usati sempre meno per chiamare. Sembra paradossale, ma gli strumenti nati per parlare con persone lontane ora vengono usati molto meno per comunicare a voce: con tutte le app di chat disponibili adesso (Telegram, Viber, WhatsApp ecc) il pubblico preferisce lasciare messaggi scritti, servirsi di emoticon o, al massimo, di messaggi vocali, per i più pigri. Con gli smartphone comincia a nascere il problema delle batterie, che per tutte queste attività durano sempre meno: sono lontani i tempi in cui un Nokia 3310 ci durava 4 o 5 giorni con uso intenso. Ora è un dramma arrivare a 12 ore!

     Se a questo punto avete la testa un po’ confusa, eccovi una tabella che riassume i protocolli delle diverse generazioni (divise per colore).






La generazione 5G

     A partire dagli anni ’80 del ’900, quando fu introdotto l’1G, approssimativamente ogni dieci anni è stata standardizzata e commercializzata una nuova generazione di tecnologie di telecomunicazioni. In questo senso si sta attualmente progettando di rendere operativo entro il 2020 la generazione 5G, che dovrebbe apportare modifiche non solo nella velocità di trasmissione di dati, ma andare oltre a ciò con obiettivi ben più specifici, come ad esempio la possibilità di poter connettere un maggior numero di dispositivi, raggiungere un maggior numero di utenti, ridurre i costi delle infrastrutture, ridurre il consumo di energia per le connessioni o realizzare il cosiddetto internet delle cose, ovvero realizzare oggetti di uso anche quotidiano che però siano connessi in rete per poter scambiare informazioni (ad esempio, una sveglia che impara a suonare un po’ prima del previsto perché ha letto su internet il bollettino del traffico e sa che quel giorno è necessario alzarsi un po’ prima per non fare tardi).
     Come cambieranno i dispositivi in risposta a un flusso di dati così capillare è cosa che non dovremo aspettare molto: fra pochi anni assisteremo a questa ennesima trasformazione. Una cosa è certa: gli smartphone e i computer non saranno più i soli oggetti a essere connessi nella rete.

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