giovedì 30 giugno 2016

Alberto Angela, ‘solo’ un (bravissimo) divulgatore scientifico? No. Una bomba sexy e un’icona gay che i giovani adorano

     Se sei il figlio di Piero Angela, e nella vita decidi di fare il divulgatore scientifico in tv, o sei un pazzo incosciente o sai il fatto tuo. Per sua (e nostra) fortuna, Alberto Angela appartiene alla seconda categoria. Il che non era affatto scontato, ovviamente, soprattutto perché in televisione il confine tra “giovane che sa il fatto suo” e “figlio di papà raccomandato” è sottile sottile. Ma Alberto Angela non è stato catapultato in tv dal padre da un giorno all’altro: si è laureato in Scienze Naturali alla Sapienza con il massimo dei voti, ha seguito corsi di specializzazione in paleontologia e paleoantropologia ad Harvard, alla Columbia University e alla UCLA. E poi tante spedizioni internazionali alla ricerca delle origini dell’uomo, dall’Etiopia alla Mongolia, dallo Zaire all’Oman. Il background c’è, dunque, ovviamente impreziosito da cotanto padre, il David Attenborough italiano, enorme professionista e signore d’altri tempi. Alberto Angela si avvicina alla tv prendendola decisamente da lontano: l’esordio in video vero e proprio, infatti, è targato Televisione Svizzera Italiana (1990), e piano piano cominciano anche le collaborazioni come autore ai programmi del padre. Da lì è un crescendo: prima qualche spazio all’interno di SuperQuark, poi Passaggio a Nord Ovest e, dal 2000, il longevo e seguitissimo Ulisse – Il piacere della scoperta su RaiTre.

     Ma che Alberto Angela sia il tipico “grande professionista” è cosa arcinota (la genetica ci avrà messo lo zampino). Quello che è più curioso e interessante, invece, è la trasformazione del divulgatore scientifico in personaggio cult, amato dai più giovani, persino icona gay. Una parte del merito è di Neri Marcorè che ne L’ottavo nano, era il 2001, ne aveva regalato una esilarante parodia. E si era divertito lo stesso Angela, visto che aveva acconsentito a duettare mostrando una certa dose di autoironia. L’omaggio di Marcorè, però, spiega solo la trasformazione di Alberto Angela in personaggio noto al grande pubblico. Quello che non spiega è la seconda primavera nell’immagine del conduttore di Ulisse, quella sbocciata sui social network, a suon di gif  e fan club scatenati, ma anche e soprattutto di apprezzamenti tra il serio e il faceto di una larga fetta del pubblico gay e femminile che si divide tra tv e twitter.

     Alberto Angela icona gay e oggetto del desiderio? Sissignore, e il fenomeno è in incredibile ascesa. Mercoledì sera, ad esempio, è andato in onda su Rai1 “Stanotte al Museo Egizio”, l’ennesimo gioiello cultural-televisivo del bell’Alberto, e su Twitter è stato un tripudio di battute, meme, gif. Complimenti professionali, certo, ma anche e soprattutto dichiarazioni d’amore, perché per una volta è un uomo a essere considerato un oggetto televisivo da osservare e su cui fare apprezzamenti anche volgarotti sui social. Ormoni a parte, che con l’estate appena cominciata impazzano anche in rete, il fenomeno Alberto Angela è interessante davvero.

     In un periodo in cui i giovani non guardano neppure i programmi ideati e realizzati per loro, Ulisse riesce a pescare anche in quel target. Un dato che non è passato inosservato, visto che negli ultimi giorni è stato ricordato più volte da Daria Bignardi, direttore di Rai3, nel presentare i palinsesti della prossima stagione. Cosa avrai mai, Alberto Angela, tanto da piacere anche ai giovani? È colloquiale, è semplice, all’apparenza persino monocorde, a volte, ma in realtà solo molto asciutto, senza fronzoli. Non si dà arie, non vuole marcare l’evidente differenza di cultura con il pubblico. Gioca per sottrazione, non è primadonna. O almeno, non volontariamente. Ricordate Alessandro Cecchi Paone all’epoca della Macchina del Tempo? Ecco, esattamente il contrario. Alberto Angela è il narratore discreto di un racconto storico, scientifico e culturale che è accurato ma mai troppo complicato. È divulgazione all’inglese, scuola Bbc, perché non è roba per ragazzini di quinta elementare, ma è spiegata così linearmente, senza onanistiche prove da secchione, che la capirebbero anche loro.

     Professionalmente e televisivamente, dunque, il valore è indiscutibile. La faccenda “bomba sexy e icona gay”, invece, è molto divertente, aiuta a creare il personaggio, a popolarizzarlo ancora di più, a renderlo virale (più necessario di questi tempi). E forse segna anche la rivincita dell’uomo bello ma non sbruffone, colto ma non arrogante, sui modelli dominanti degli ultimi anni, anche e soprattutto in televisione. In fondo, il buon Alberto ha 54 anni suonati (portati bene assai), è tutto fuorché mondano, poco incline al gossip. È figlio di un signore d’altri tempi come Piero Angela, e per fortuna dal padre ha ereditato anche questo. È perfetto, Alberto Angela. Tanto che il rischio è che l’ammirazione si trasformi in motivata e feroce invidia.

di Domenico Naso

martedì 28 giugno 2016

Saluto a Bud Spencer, re dei cazzotti (10 scene memorabili)

     Come fai a raccontare la leggenda? Quali parole usi per riassumerne la grandezza? Semplicemente a volte non si può, non hai le parole; così come non hai le parole per dire che Bud Spencer, nome d’arte di Carlo Pedersoli, è morto ieri 27 giugno 2016, all’età di 86 anni.

     Lui e il suo degno compare Terence Hill (Mario Girotti) hanno dato al cinema italiano un lustro e un alone che ha letteralmente “formato” più di una generazione.
     A me non importa della morte, non è con quella che si ricorda una leggenda: io, questa leggenda, la voglio ricordare così...



Bambino contro Mescal
(Lo chiamavano Trinità)


Manuale d'arresto
(I due superpiedi quasi piatti)


«Non si toccano i bambini!»
(Pari e dispari)


«Guarda là...»
(Nati con la camicia)


«Le vuoi a punta le unghie?»
(Chissà perché... capitano tutte a me)


Rissa dal barbiere
(Chissà perché... capitano tutte a me)


«Divento intrattabile»
(Pari e dispari)


«Non c'è cattivo più cattivo di un buono quando diventa cattivo»
(Chi trova un amico trova un tesoro)


«Chi ha fame mi segua!»
(Io sto con gli ippopotami)


Il coro dei pompieri
(... altrimenti ci arrabbiamo)


Ciao, Bambino!




martedì 21 giugno 2016

Fuggire all’estero: una soluzione sostenibile?

     Il fenomeno della fuga di cervelli non è un fatto nuovo oggi e ancor meno stupisce in tempo di crisi. Del resto le fughe dal proprio paese per cercare condizioni migliori in cui vivere sono roba vecchia quanto luomo: si va dalle migrazioni che i primi ominidi preistorici fecero partendo dallAfrica colonizzando il resto del mondo, alla fuga degli ebrei dallEgitto in cerca della “terra promessa”, fino alle migrazioni negli Stati Uniti allinizio del '900, i tempi di “Mamma mia, dammi 100 lire”.
     La fuga allestero si è tristemente riproposta negli ultimi anni, accentuata dalla crisi economica, ed ha colpito soprattutto i giovani, la generazione che non è riuscita affatto ad entrare nel mercato del lavoro e che rischia di essere danneggiata seriamente anche a livello pensionistico. Il nord Europa, il Giappone, gli Stati Uniti sono le mete più ambite dove migliaia di ragazzi sono costretti ad andare per costruirsi un futuro.
     È proprio di questo che vorrei parlare in questo post, ponendo una domanda: fino a che punto è sostenibile fuggire all'estero? Fino a che punto si può considerare attuabile questa soluzione? A lungo andare farà bene o male? E quindi, in fin dei conti: è giusto o no incoraggiare questa soluzione?
     Non intendo criticare chi parte, a cominciare da chi ama viaggiare e magari è andato via dallItalia perché ama il resto del mondo e, quindi, ha scelto liberamente di cambiare aria; mi soffermerei piuttosto su coloro che sono dovuti andare via per forza, coloro che hanno subito questo ricatto silenzioso e che in un certo senso non potevano fare a meno di partire perché si sentivano mancare il terreno da sotto i piedi, su coloro che magari avrebbero voluto costruire la loro vita nella loro terra, attorno alle persone che amano.
     La domanda è circoscritta solo al caso italiano, ovviamente, perché ogni paese fa discorso a sé. Per rispondere alla domanda occorre ammettere la prima e più banale delle cose, ovvero che chi è costretto a lasciare lItalia lo fa perché la politica non ha saputo dare risposte efficaci ai problemi economici di cui siamo vittima. Se infatti in Italia avessimo leggi diverse, che detassano il lavoro, che tutelano il lavoratore, che non ne favoriscano il licenziamento, che non interrompano il circolo economico permettendo alla domanda del mercato di continuare ad esistere, allora avremmo uneconomia che gira e produce ricchezza, e la ricchezza richiama lavoro. E con più lavoro tutti qui giovani costretti a fuggire sarebbero rimasti, facendo scelte più concordi coi loro veri desideri.
     Questa è la causa principale del fenomeno: una reazione di sopravvivenza. Per rispondere alla domanda posta dobbiamo pensare a cosa succederebbe se tutti i giovani presenti nel nostro paese adottassero indiscriminatamente la soluzione di fuggire via. Una soluzione infatti è adottata dal maggior numero di persone se è giusta, mentre se è sbagliata devessere scoraggiata e si devono incentivare altre strade. E allora facciamo questa simulazione, supponiamo che questa sia la soluzione migliore e che tutti i giovani la adottino e vediamo cosa accade:
  • Sottrazione di capitale umano – I giovani rappresentano sempre la risorsa umana più pronta per lo sviluppo di un paese e quando uno stato costringe i giovani a partire perde queste risorse: si tratta non solo di professionisti che potrebbero far funzionare le piccole e medie imprese (vera anima pulsante dell’economia italiana), ma anche ricercatori, specialisti, persone che potrebbero essere preziose a livello manageriale. Ogni giovane che va via è un’azienda che non si sviluppa o non nasce affatto, una proposta per il mercato che viene soffocata. È uno smembramento, che si ripercuote sulla vita del paese, peggiorando le sue condizioni perché di fatto lo stato italiano paga per istruire persone che poi vanno a fare il bene di altri paesi.
  • Invecchiamento medio della popolazione – L’Italia è un paese gerontocratico: da Andreotti a La Malfa a Berlusconi l’età media dei nostri governanti è paurosamente alta; ma non solo: anche l’età media della popolazione lo è. Siamo pieni di anziani. Un po’ è perché la vita media si è allungata, ma molta parte di questo fenomeno consiste nell’assenza di giovani che controbilancino questo trend. E sappiamo bene, senza fare sciocche discriminazioni, che i giovani hanno un potere produttivo molto maggiore degli anziani, che tra l’altro, proprio perché anziani, dovrebbero godersi gli ultimi anni della loro vita lontani dal lavoro e lasciare che siano le generazioni successive a portare avanti la vita del paese. Beninteso, ci sono mestieri che sono favoriti dall’anzianità perché sono legati all’accumulo di esperienza, come il medico o l’avvocato. Ma si tratta di casi minoritari. In generale siamo tutti d’accordo che è più giusto che siano i giovani a lavorare piuttosto che gli anziani.
  • Crisi pensionistica – Se in un paese un’intera generazione viene costretta a fuggire, significa che lavorerà all’estero. Se lavora all’estero significa che vive anche all’estero. E se vive all’estero pagherà anche le tasse all’estero. Tasse che l’Italia perde, sottraendole alla spesa sociale che normalmente lo stato dovrebbe fare a favore delle categorie più deboli. In particolare gli anziani: le pensioni vengono proprio pagate coi contributi versati dai lavoratori. Se un’intera generazione scompare, non solo non si produce ricchezza, non solo di interrompe il circolo economico distruggendo la domanda, ma si sottraggono soldi alla spesa pubblica e non si hanno soldi per le pensioni, che quindi si abbassano, aumentando quindi il tasso di povertà o i casi di suicidi che si sono riproposti con violenza dopo lo scoppio della crisi.
  • Sovraffollamento ed emergenze sociali – Mettiamo infine che tutti i giovani emigrino: dovranno pur andare da qualche parte. Se ammettiamo che sia la soluzione giusta e che quindi vada perseguita dal maggior numero di persone, allora un numero enorme di esseri umani dovrà trovare luogo per vivere altrove. Nasce un ovvio problema di ospitalità e integrazione, del tutto simile a quello che attualmente proprio l’Italia sta vivendo con i migranti provenienti dal continente africano, migranti economici ma anche di guerra. E tutti sappiamo cosa significhino queste “invasioni”: qualcuno – i più ignoranti – usano questo fenomeno come pretesto per fare bieche campagne elettorali; altri sviluppano veri e propri fenomeni di razzismo e discriminazioni. Ma in generale c'è un problema di risorse: nessuno stato è abbastanza ricco da poter ospitare e integrare tutta questa gente. Ovvero nascerebbero problemi anche nel paese ospitante. Crisi ed emergenze sociali sono cose da aspettarsi in un caso del genere. Gli italiani, poi, hanno in ciò una bella faccia di bronzo, perché vogliono emigrare e si aspettano ospitalità dall’estero, ma non sopportano che gente fugga dalla guerra che noi occidentali abbiamo provocato e alimentato, ma questa è un’altra storia.


     Se dunque tutti fuggissero via si aggraverebbero i problemi del paese lasciato e ne nascerebbero di nuovi nel paese ospitante. È un effetto domino, una reazione a catena. A chi giova alimentare questo fenomeno? Badate bene, il punto non è se sia giusto o meno che qualcuno scelga di andar via: il punto è se molti sono costretti ad andar via.
     Allora dobbiamo scegliere, i giovani, nella formazione della loro identità, devono scegliere se quello di andar via, salvo casi estremi, è un modello da considerare buono oppure no. Devono scegliere, quando si affacciano al mondo, quando si fanno una certa idea della vita, se mettere questa soluzione nel cassetto delle cose “buone da incoraggiare” o in quelle “cattive da evitare il più possibile”. Perché se passa lidea che lasciare il proprio paese sia giusto a prescindere, allora siamo già morti, in quanto la vita in generale richiede che le cose vengano aggiustate e non abbandonate a se stesse, che nuove alternative vengano create e incoraggiate. È proprio la mentalità dellusa-e-getta che non va bene, non possiamo permettercela.
     Vanno valorizzate le risorse che abbiamo, anziché cercarne di nuove, che tra l'altro finiranno prestissimo. È un discorso, lo si capisce, che va anche oltre il discorso che abbiamo fatto relativo al lavoro.

Molti sollevano polemiche a riguardo. Le riassumo di seguito, confutandole:
  • «Fissarsi a stare nella propria terra è sbagliato: la casa è dove ti trovi bene, non dove sei nato». In effetti la questione fa nascere il tema della “casa”. La fuga dei cervelli non può diventare un modello da incoraggiare non per una questione sentimentale, non perché altrimenti si avrebbe troppa nostalgia del luogo natio, ma perché non è sostenibile in termini di risorse, perché non è materialmente possibile, perché aggrava ancora di più il problema. Il concetto di casa non è in discussione.
  • «Ma allora nessuno dovrebbe mai migrare, dov'è il cosmopolitismo?». Ancora una volta mi piace sottolinearlo: il problema non nasce quando qualcuno migra, ma quando si crea nella mentalità dei giovani la convinzione che sia giusto andar via a prescindere, sempre e comunque. Abituarli al fatto che sia giusto andar via senza mostrare loro le alternative non li educa a risolvere il problema, non li educa a sforzarsi di creare soluzioni, una cosa che nella vita bisogna assolutamente saper fare. Le migrazioni contenute, come dicevo allinizio, sono fisiologiche, assolutamente normali e anzi auspicabili, perché favoriscono lo scambio di idee; ma quando prendono la forma di emergenze sociali di massa è diverso, stiamo parlando di unaltra cosa.
  • «Chi si ostina a restare è solo un pigro o un mammone».
    È vero che molti, già fortemente diseducati ad affrontare la vita, preferiscono restare sotto lala protettiva di mamma e papà ed è inutile discutere sul pericolo di un simile modello educativo, tipicamente italiano. Ma imparare a non dare per scontato che si debba andar via è da incoraggiare per un motivo molto più semplice: perché cambiare le cose è possibilissimo. Anche se il potere ci educa a rinunciare a questa idea, anche se i media ci mandano questo tipo di messaggi, anche se nella nostra stessa cultura locale si è diffuso il virus dellarrendevolezza, del lasciarsi andare, non è vero che non si possono cambiare le cose e che quindi si può solo fuggire. Un esempio? Abbiamo detto che la causa per cui si è costretti a fuggire è il cattivo operato della nostra classe dirigente che non ha proposto soluzioni adatte per rispondere alla crisi. Ebbene, cosa ci impedisce di scegliere i rappresentanti in maniera più accorta? In Italia abbiamo votato e sostenuto il berlusconismo per vent’anni ed è proprio in quegli anni che le cose sono peggiorate. Noi italiani, ammettiamolo, ci facciamo corrompere davanti ai seggi, vendiamo il nostro voto per 50 euro (anche per 1 euro solo), permettiamo alle mafie di comprare i voti, facciamo salire al potere la malavita organizzata, non ci interessiamo della politica, anzi ci vantiamo di disprezzarla, non sorvegliamo quindi la nostra classe dirigente, le permettiamo di fare le cose peggiori perché non vogliamo problemi, però poi pretendiamo che tutto fili liscio. 
    Non funziona così in democrazia, una volta delegato il potere ai rappresentanti il compito di un cittadino non è finito: bisogna continuare ad esercitare un’azione di sorveglianza e, se necessario, intervenire facendo sentire il peso dell’opinione pubblica. Se non ci correggiamo, continuiamo a votare persone inadatte che ovviamente approfitteranno del nostro disinteresse per fare i loro comodi. Se fossimo meno “ignoranti” in questo senso, non avremmo bisogno di fuggire, perché non permetteremmo così facilmente a certi politici di prendere certe decisioni, come labolizione dell'articolo 18, ad esempio, che facilita i licenziamenti, o linnalzamento delle tasse sul lavoro; i nostri politici avrebbero un po più “paura” di osare perché saprebbero che perderebbero il nostro voto se si spingono oltre. E invece da noi si sa fin troppo bene che sopportiamo benissimo questo e altro. E allora ecco che la cosa più intelligente che ci viene da pensare è cercare altrove le condizioni migliori per vivere, anziché crearle qui. A ben vedere, è questa la vera pigrizia.

     Si vada pure via, quindi, si cerchi la propria strada laddove ci sembra più opportuno, ma stiamo attenti a non formulare dentro di noi lidea che questo vada fatto per primo. Teniamoci questa alternativa come ultima spiaggia, scoraggiamola il più possibile, soprattutto educhiamo i giovani a inventare e proporre soluzioni nuove invece che cercarle altrove già belle e pronte. E facciamo i cittadini in modo più serio, così magari tutto questo non accadrebbe affatto e non ci sarebbe bisogno di risolverlo, questo problema.


domenica 12 giugno 2016

Alberto Angela racconta Firenze e le sue bellezze artistiche (Rivedi la puntata)

     Torna a stupire Alberto Angela con la sua puntata speciale sulle bellezze artistiche di Firenze andata in onda giovedì scorso 9 giugno, Stanotte a Firenze. E si riconferma un bravo divulgatore in una TV che ormai sembra avere spazio solo per tette siliconate e labbra gonfiate sulla bocca di presunti VIP (che nessuno conosce) da cui fuoriescono turpiloqui insopportabili e volgarissimi; una TV del gossip fine a se stesso, delle faccine di Barbara D’Urso e dei TG di parte che (dis)informano.
     Torna a stupire con la sua solita professionalità e il suo garbo espositivo, con la sua voce suadente, con la composta trasparenza con cui ci lascia intravedere l’amore sincero per il lavoro che fa. La puntata è stata condotta con l’ausilio di una voce narrante di eccellenza, quella di Giancarlo Giannini, vero titano del nostro cinema, e con la partecipazione di ospiti speciali, come Andrea Bocelli e Oliviero Toscani, che pure non hanno bisogno di presentazioni.
     Il risultato è una narrazione gradevolissima, a tratti commovente, con bellissimi giochi di luci e ombre, con musiche ben pensate e con una qualità video – il 4K – superiore a quello delle sale cinematografiche.
     Lo spettatore viene portato a spasso per la notturna Firenze, attraverso le pitture e le statue che tutto il mondo ci invidia, con storie che ne narrano il significato, la nascita e anche curiosi aneddoti poco noti. Michelangelo, Brunelleschi, Cellini... i maggiori artisti del Rinascimento sono gli attori di questo straordinario palcoscenico che è Firenze.

     Per chi si fosse perso quest’altro bellissimo pezzo di resistenza culturale e volesse rivedere le perle degli Uffizi, il David teso con lo sguardo di sfida, gli schizzi lasciati da Michelangelo in un rifugio (con tanto di impronta della sua mano su una parete), per chi volesse fare questo stupefacente viaggio nel tempo e lasciarsi investire da questa tempesta di bellezza, ecco la puntata direttamente dal sito ufficiale della RAI.



     E ora un piccolo extra: se siete bulimici di arte e non ne avete abbastanza, vi lascio anche la puntata dell’anno scorso, dedicata alle meraviglie del Museo egizio di Torino, primo museo del mondo sulla cultura egizia, dopo quello del Cairo.
     Quanto mi volete bene?