sabato 30 novembre 2013

Consulta, soldi ai partiti dichiarati illeciti. Atteso verdetto anche sul Porcellum

     31 milioni. È il numero di italiani che nell’aprile del 1993 abrogava tramite un referendum il finanziamento pubblico ai partiti: all’epoca la memoria dei cittadini scottava ancora del recente scandalo Tangentopoli, quando vennero al pettine tutti i nodi degli intrighi e gli imbrogli che la Democrazia Cristiana, Craxi e gli altri partiti avevano nel loro armadio di scheletri.
     La maggioranza del paese decise quindi che mai e poi mai lo Stato (cioè noi) avrebbe finanziato i partiti. Ma poiché siamo un paese dalla memoria cortissima e poiché non abbiamo cambiato la nostra gerontocratica classe dirigente per decenni, i protagonisti del potere hanno ben presto trovato il modo nel corso degli anni di bypassare quella decisione chiara e limpida «attraverso la finzione del linguaggio», per dirla con Azzariti, docente di diritto costituzionale a “La Sapienza”: non volete il finanziamento pubblico? Non c’è problema: noi introduciamo il “rimborso elettorale”. Il nome è cambiato, la sostanza è rimasta. È una storia tristemente italiana, del resto: la vediamo anche in queste settimane, dove si finge di togliere la tassa sui rifiuti o l’Imu solo per introdurre nuovi oneri fiscali con nome diverso (Trise, Tasi, Tari, Tarsu…), tra l’altro ancora più onerosi dei precedenti.

Raffaele De Dominicis
     Nel corso di questi vent’anni e più, a piccole tappe, la politica italiana (e sappiamo chi sono stati i protagonisti: il centrodestra berlusconiano e per una monir parte anche la sinistra dell’Ulivo e del Pd) hanno cambiato o ripresentato leggi e leggine nuove che di fatto hanno ripristinato gli stessi privilegi di cui godevano i partiti prima di quel referendum. E fino ad oggi la cosa si è limitata a restare in quel cassonetto differenziato dell’opinione pubblica che si chiama “sfoghi fini a se stessi”. Fino a quando, ieri, il procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha sollevato esplicitamente ricorso di incostituzionalità contro queste norme.
     Secondo il magistrato «tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi». Gli italiani sono stati derubati con questo sistema per molti anni, per l’ammontare di 2,7 miliardi di euro, una cifra che in tempi come questi risolverebbe più che agevolmente un bel po’ di problemi che incombono sulle finanze della macchina statale, soprattutto se pensiamo che il furto-sopruso che i partiti hanno compiuto in questi anni comprendeva “rimborsi” ben oltre i 2 anni previsti dalla legge, ma estesi a tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, ovvero all’intero periodo di carica, una cosa che la legge non permette.

     In Commissione Affari Costituzionali al Senato c’era un ddl fermo che probabilmente non verrà nemmeno approvato perché sarebbe dichiarato incostituzionale appena sfornato dal Parlamento, che prevedeva che l’interruzione del finanziamento pubblico avrebbe dovuto concludersi nel 2017 e che nel frattempo i partiti avrebbero continuato a ricevere sovvenzionamenti pagati dai cittadini contro la loro volontà. Le cifre previste erano così distribuite:
     - 91 milioni di euro nel 2014;
     - 54,6 milioni di euro nel 2015;
     - 45,5 milioni di euro per il 2016;
     - 36,4 milioni di euro per il 2017.

     Cifre, come si vede, comunque molto alte, che aggirano il problema fingendo di risolverlo. Si tratterebbe di emendamenti inutili tra l’altro, soprattutto se nel corso di quegli anni l’economia italiana dovesse andare ancora più a picco: se abbassi un po’ un onere fiscale ma contemporaneamente impoverisci il paese, quell'onere continua lo stesso a pesare. Come se non bastasse, in quelle stesse norme che giacciono ferme in Commissione ci sono una serie di clausole davvero discriminatorie, come l’impossibilità di ricevere i rimborsi da parte di forze che non hanno lo statuto di partiti (come il MoVimento 5 Stelle), anche se svolgono di fatto la funzione di rappresentanza che ogni partito svolge: codicilli discriminatori che non trattano le forze politiche allo stesso modo.

     Anche sul fronte Porcellum i partiti hanno dato di che pensare. Questa vergognosa legge elettorale approvata dal governo Berlusconi nel 2005 presenta molte clausole inconcepibili. Il ricorso contro questa norma, come spiega Il Fatto quotidiano di oggi, in un articolo di Luca De Carolis, fu presentato nel 2009 dall’avvocato Aldo Bozzi e altri 27 firmatari, che impugnavano in particolare le due parti del blocco delle liste e del premio di maggioranza, i due aspetti più controversi e più in malafede del Porcellum. Dopo due rifiuti di accogliere il ricorso da parte di due gradi di giudizio, quest’anno (nel mese di maggio) la Corte di Cassazione ha deciso che il ricorso merita accoglimento e la prima udienza è stata fissata il 3 dicembre.

     Un collegio di 15 giudici dovrà valutare diversi aspetti. Prima di tutto dovranno decidere se colui che ha richiesto il ricorso è legittimato a chiederlo; poi dovranno decidere se l’oggetto della richiesta rientra nelle competenze della Consulta che essi rappresentano: non è detto che queste deliberazioni siano prese il 3 dicembre, ma i giudici possono riservarsi di rinviarle a una data diversa, a loro discrezione. Il motivo potrebbe essere anche quello di concedere al Parlamento la possibilità di darsi da fare per dimostrare di voler davvero attivarsi per modificare questa falla normativa. Un modo per spronarlo e dargli fiducia, insomma.
     Oltre a rinviare le decisioni a un altro momento, la Corte potrebbe anche pronunciarsi immediatamente sui punti oggetto del ricorso, ovvero dichiarare immediatamente incostituzionali delle parti della legge. In tal caso non verrebbe cancellata tutta la legge per il fatto che si creerebbe un enorme vuoto normativo (saremmo senza legge elettorale, né si potrebbe tornare a quella precedente, perché quest'ultima decisione spetterebbe solo al Parlamento). La Corte potrebbe allora dichiarare incostituzionali solo quelle parti ritenute contrarie alla legge ma senza annullarle, perché avere una legge mutilata delle sue parti equivale a non averla affatto: quindi lasciare in vita una legge incostituzionale, ma solo con la promessa di una modifica immediata. La sola soluzione ragionevole, ma anche la più difficile, è quindi che il Parlamento si decida a discutere un testo di legge per riformare il Porcellum: solo il Parlamento, infatti, può creare una legge, mentre alla Corte Costituzionale spetta la sola facoltà di annullarla.

     Vale la pena ancora una volta di ricordare come in questo paese il solo ordine che continui a fare bene il suo dovere, seppure a volte con lentezza data dall’intasamento dei tribunali e dai tagli alla giustizia, sia la Magistratura, tanto bistrattata da loschi individui che hanno solo da perdere dal lavoro onesto e pulito dei magistrati. Governo e Parlamento, invece si comportano da perfetti organi autocratici e autoreferenziali, ignorando sia la legge sia i bisogni dei cittadini.


domenica 24 novembre 2013

Un aiuto per la Sardegna: ecco come fare.

     Quando tutti aiutano, a ciascuno basta fare uno sforzo molto piccolo per ottenere un grande risultato. Quando aiutano in pochi, a ciascuno spetta uno sforzo immane e non è certo che il risultato sia ottenuto.

     Ecco due modi messi a disposizione per aiutare le popolazioni colpite dall’alluvione della Sardegna.

     Il primo è un’iniziativa fatta in collaborazione con il TGLa7 e il Corriere della Sera, il secondo da Mediafriends e i telegiornali Mediaset. Potete effettuare delle donazioni con una delle seguenti coordinate bancarie.


UN AIUTO SUBITO

Banca Intesa San Paolo

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IT 86 R 03069 09400 000000111105

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UN AIUTO PER LA SARDEGNA

Beneficiario:
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Causale:
Alluvione Sardegna









venerdì 22 novembre 2013

Processo Ruby: la sentenza con le prove che Berlusconi inquinò. Si va verso un Ruby-ter

     Sette anni di condanna, di cui 6 anni e 4 mesi per il reato di concussione, 8 mesi per la prostituzione minorile. Questa fu la pena attribuita a Silvio Berlusconi quando il 24 giugno scorso il collegio giudicante apriva una frattura profonda nel record di processi bloccati che Berlusconi aveva vantato fino a quel momento. Da allora la paura è cresciuta sempre più e sempre più si sono succedute complicazioni giudiziarie per uno dei maggiori pregiudicati della storia del nostro paese.
     I giudici di primo grado hanno reso note da poche ore le motivazioni della sentenza elencando le prove che fanno di Berlusconi un uomo che ha violato la legge.


Sproporzioni di condotta
     Innanzitutto sono da tenere a mente alcune sproporzioni comportamentali che non si riescono in alcun modo a giustificare se non con l’esistenza dei reati ascritti e che Berlusconi ha tenuto nel corso della vicenda. I giudici, in particolare, sottolineano l’eccessivo stato di allerta che quella famosa notte portò Berlusconi a fare la telefonata in Questura a Milano (reato di concussione) perché facesse rilasciare Ruby, una reazione che non si addice assolutamente a un Presidente del Consiglio dei Ministri (per lo più nell’esercizio delle sue funzioni) per una semplice ragazzina di 17 anni beccata a rubare; in secondo luogo, ancora più evidenti sono le troppo ingenti somme di denaro e regalie che Berlusconi versava e ha continuato a versare alla ragazze che partecipavano alle sue feste private ad Arcore: questi “doni” consistevano in denaro contante, gioielli, automobili, pagamento di canoni di locazione, appartamenti in via Olgettina dove le ragazze vivevano e perfino contratti di lavoro in Mediaset (per quelli che credessero a Berlusconi quando, a proposito della condanna per frode fiscale, dichiarò che non si occupava più di Mediaset da anni). Alla stessa Ruby furono corrisposti ben 57000 euro, per l’apertura di un centro estetico (mai aperto ovviamente).

Berlusconi ha effettuato un vero e proprio inquinamento probatorio
     Con queste considerazioni i magistrati hanno rilevato le prove di un consistente inquinamento delle prove che doveva servire a sviare le indagini e ad ostacolare l’emergere della verità. In quest’ottica si aprirebbe un nuovo capo di imputazione, quindi, che porta a una nuova inchiesta, la quale a sua volta potrebbe sfociare in un nuovo processo, il Ruby-ter. Rischiosa anche la posizione dei legali di Berlusconi, Niccolò Ghedini, «la radice di tutti i mali di Berlusconi», come l’ha definito l’ex senatore De Gregorio, e Pietro Longo, perché potrebbero aver consigliato a Berlusconi di pagare le ragazze perché mentissero ai processi.

Le prove: Berlusconi ha davvero fatto sesso con Ruby
     Ma veniamo alle motivazioni della sentenza. Dove i giudici hanno individuato prove che giustifichino la colpevolezza dei reati ascritti? Su questo blog sono state già elencate una piccolissima ma molto significativa parte delle telefonate che Ruby e altre ragazze, protagoniste del bunga-bunga gate, hanno tenuto e che testimoniano molto esplicitamente la natura di quegli incontri ad Arcore e che si possono riascoltare a questo link. Oltre alle telefonate dai contenuti fin troppo espliciti, molti SMS confermano che le ragazze venivano espressamente assunte per show a contenuto erotico, consistenti in balletti, spogliarelli, toccamenti reciproci tra le ragazze e tra esse e gli invitati, travestimenti; ancora, molte testimonianze (alcune provenienti dalla stessa Ruby nelle prime fasi di interrogatorio, prima che iniziasse a fingere di non ricordare niente) mettono in chiaro che tra le invitate il Presidente Berlusconi ne sceglieva alcune in conclusione di serata per terminare la festa con veri e propri rapporti sessuali e che Ruby avesse partecipato a tali incontri sessuali è accertato almeno per un paio di volte. Dalle stesse fonti si prova anche la correlazione tra le prestazioni stesse e le ricompense patrimoniali.

Berlusconi sapeva che Ruby fosse minorenne
     Questo per quanto riguarda il reato nei suoi caratteri generali. C’è poi la questione dell’età di Ruby. La ragazza era infatti minorenne all’epoca dei fatti (da cui il reato di prostituzione minorile) e Berlusconi ha sempre dichiarato di non essere mai stato a conoscenza di questo particolare. Purtroppo per lui anche qui le prove sono più di una e abbastanza chiare: in primo luogo, quando Berlusconi telefonò in Questura per chiedere il rilascio della ragazza, ne chiese l’affido, e l’affido è riservato esclusivamente ai soggetti minorenni; c’è inoltre la testimonianza della stessa Ruby che aveva fatto sapere a Berlusconi che non aveva la maggiore età per comparire sul contratto di locazione dell’appartamento che egli le mise a disposizione; infine figura il fatto che tutti, comprese le altre ragazze, Emilio Fede e Lele Mora, conoscevano l’età della ragazza e appare molto improbabile che in un clima così coeso e in un sistema di prostituzione così chiuso la notizia non fosse arrivata anche a Berlusconi.

     Nella sentenza i giudici hanno rilevato la grande «capacità a delinquere dell’imputato», una “dote” che anche i giudici del processo Mediaset avevano sottolineato nelle loro sentenza. Una propensione, un vizio, una pulsione che pare proprio irrefrenabile per quest’uomo, che commette reati per coprire altri reati. In questi giorni Berlusconi è davvero fuori di sé. Dopo la condanna definitiva uscita dal processo Mediaset, la votazione palese e l’imminente decadenza da senatore prevista per il 27 novembre, il suo umore è nerissimo. Accusa i magistrati di aver rese note le motivazioni della sentenza a meno di una settimana dal voto sulla decadenza apposta, con lo scopo di screditarne ulteriormente l’immagine. In verità, anche ammesso che i magistrati abbiano fatto questa “lettura politica” delle motivazioni della sentenza (ora nasce anche questa contestazione), i fatti non cambiano assolutamente. Tutti sanno quali sono i fatti accaduti, tutti conoscono i reati di cui Berlusconi si è macchiato e tutti sanno che la sentenza di primo grado l’ha dichiarato colpevole. L’opinione pubblica del Parlamento non ha bisogno che i giudici ribadiscano queste cose già note per decidere se votare per o contro la decadenza di Berlusconi da parlamentare. Il solito sbraitare fine a se stesso che da anni è il leitmotiv dei turpiloqui demagogici di quest’uomo.

     La paura di perdere tutto è forte: con l’imminenza del voto sulla decadenza, Berlusconi rischia di essere arrestato. Quando sarà decaduto perderà i benefici che il suo status di senatore gli garantisce e la cosa lo preoccupa enormemente. La possibilità della grazia (chiesta e richiesta più volte) è esclusa, né è possibile rinviare la seduta della settimana prossima. Il tempo stringe, il mito decade, la parabola antidemocratica compie il suo decorso. Forse una zavorra in meno sta per gravare sulle sorti di questo bellissimo e disgraziato paese.

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi e Alfano si separano: il Pdl diventa Forza Italia + Nuovo Centrodestra

     Un epilogo da soap opera: da una parte c’è il leader storico, che si finge agguerrito ancora più di prima, dall’altro il figlio “ingrato”, che avrebbe tradito alle spalle il suo mentore. Si beccano nelle dichiarazioni pubbliche, ma si promettono rispetto, si odiano, ma dicono di voler collaborare. Sono le due entità del centrodestra italiano che ci ritroviamo da poche ore, dopo la decisione di Angelino Alfano di costituire gruppi autonomi per non aderire agli “estremismi” della nuova Forza Italia, nome riciclato dalla pattumiera dell’umido della storia con cui Berlusconi vuole identificarsi ai suoi elettori.

     Angelino Alfano ha dichiarato di essere stato mosso in questa scelta da “amore” per l’Italia. Anche Berlusconi esordì nel ’94 con lo stesso tema («L’Italia è il paese che amo»): i discepoli si riconoscono dai loro maestri. Berlusconi dal canto suo si dice rammaricato per lo strappo voluto da Alfano – «Non me l’aspettavo da lui, per me era come un figlio» – e il figlio-allievo-collaboratore prova a smussare l’impatto del suo gesto sull’opinione pubblica pidiellina dichiarando di voler continuare a sostenere le istanze dell’ex Pdl e che anzi il prossimo 27 novembre Nuovo Centrodestra (così si chiama il suo partito) voterà contro la decadenza di Berlusconi da senatore. Sostegno a oltranza per il “presidente” Berlusconi, quindi, nonostante le divisioni. E Berlusconi? A quel Congresso Nazionale stranamente avverte tutti di non proiettare rabbia sugli scissionisti alfaniani, nemmeno lui insulta o offende, come spesso fa con chiunque non la pensi come lui. Niente attacchi. Verrebbe da chiedere perché si siano separati, se hanno tutto questo amore l’uno per l’altro. La risposta di Berlusconi è stata “divergenze personali”: per quelle non è stato possibile andare avanti insieme. Già, perché è così che deve funzionare la politica, per moventi personali, non tenendo presente i bisogni della collettività.

     Anche i contenuti non sono dissimili: non che i due gruppi concordino nel senso che hanno lo stesso contenuto, ma nel senso che entrambi ne hanno di molto vaghi. Per cosa si caratterizzano FI e Ncd? Che posizione occupano nel panorama europeo? Né Alfano né Berlusconi si sono ancora degnati di spiegarlo. Nessuno ha parlato di proposte che intendono portare avanti, nessuno che abbia in mente una soluzione chiara e trasparente da proporre al Parlamento, per quel poco che ancora vale nel panorama legislativo del nostro paese (oggi vanno di moda i “saggi”, piccole oligarchie che si sostituiscono alle Camere, sempre più fuori moda in tempi in cui si sente aria di presidenzialismo). Se poi per spiegare il contenuto si intende riprendere le proprie citazioni tratte dal primo monologo del 1994 (e si intende proprio leggere parola per parola!) allora si chiede scusa. Perché è questo che ha fatto Berlusconi: si è autocitato! Nulla di nuovo, assolutamente nulla. Anzi…

     C’era puzza di vecchio in quella sala. Vecchio e stantio, cose risentite e ripresentate trasformisticamente agli italiani, come un cibo prima vomitato e poi reingerito con l’illusione di variare la dieta. Non mancava proprio niente a quel congresso: c’era il battesimo di Forza Italia, il divorzio da Alfano, c’erano i soliti figuranti pagati per applaudire e per non lasciare i posti vuoti, c’era il piccolo malore ipoglicemico del leader che a un certo punto ha avuto bisogno del suo medico, i richiami nostalgici del ’94, i giornalisti indipendenti che tessono lodi apologetiche, ci sono gli arrivisti e i leccapiedi che scodinzolano all’attrattiva di un nuovo posto nella neonata FI, senza dimenticare l’Esercito di Silvio che aspettava il proprio idolo dopo il discorso ma che se l’è visto scappare via senza fermarsi.

     Peccato per Berlusconi, perché, guarda caso, proprio nei giorni in cui Alfano si è separato, aveva intenzione – questa volta sul serio, eh – di far cadere il governo. «Ma ora non abbiamo più i numeri», confessa rammaricato Berlusconi. Ha giocato per mesi a fare il bello e il cattivo tempo, ha ricattato decine di volte l’esecutivo e proprio quando stava per mantenersi coerente a se stesso ecco che gli vanno a rompere le uova nel paniere! Che guastafeste!

     Che grigiore emana ormai quest’uomo! Fino a dove si può trascinare certe cose! Assistiamo ai tentativi letteralmente patetici di un pazzo innamorato del suo stesso mito che, tutto infervorato dai finti applausi di sostenitori che perseguono solo i propri interessi personali e gli fingono fedeltà, continua ostinatamente a forzare gli eventi del suo destino ignorando completamente i fatti. Ignorando che il suo tempo è tramontato, che è ora di andarsene.
     Berlusconi continua a comportarsi come un paziente con problemi cognitivi perché pare ignorare tutto ciò che non gli piaccia. Lo elimina dalla memoria, lo cancella dalla propria attenzione e si comporta come se non fosse mai esistito: l’hanno condannato? E lui fonda di nuovo un partito. Vuole proporre una nuova offerta politica? E la chiama col nome vecchio. Gli hanno negato la grazia molte settimane fa? E lui continua a dire che Napolitano gliela deve. Aveva detto che avrebbe sostenuto il governo a tutti i costi? E ora dice di aver sempre voluto la crisi di governo. Ha votato una legge che esclude i condannati dal parlamento? E ora dice che quella legge non va bene.
     La forma più infima di decadenza, una schizofrenia del pensiero politico, un delirio che non si regge in piedi, che non si degna nemmeno più di indossare i panni nuovi restando vecchio, ma che resta vecchio con panni vecchi ma pretende che lo si riconosca come novità! Non ci sono davvero parole per qualificare una condotta così greve. Quando impareranno gli italiani a ignorare queste cose?

sabato 9 novembre 2013

Trattativa Stato-mafia, Onorato testimone choc: «Craxi e Andreotti uccisero Dalla Chiesa»

     Palermo, 7 novembre 2013. Le pareti dell’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si sta svolgendo il processo sulla trattativa Stato-mafia, hanno tremato quando ha cominciato a parlare Francesco Onorato, pentito e attualmente collaboratore di giustizia, ex pezzo grosso della squadra dei killer di Cosa Nostra, uno di quelli che faceva il lavoro sporco, uno che ammazzava e metteva bombe.
     Molte cose sono uscite dalla sua deposizione e meritano divulgazione, vediamone alcune.

Nessuna trattativa, solo convivenza
Francesco Onorato, pentito.
     Onorato ribadisce (anche lui, come molti magistrati negli anni addietro) che Cosa Nostra non è assolutamente un’organizzazione criminale composta esclusivamente da fuorilegge che latitano e fanno i boss, ma anche dai colletti bianchi: il coinvolgimento dei politici negli affari “gestiti” dalla mafia è sempre esistito e anzi, sono stati i politici a chiedere l’aiuto e l’assistenza della mafia! Così che Onorato preferisce non usare il termine “trattativa”: «Quando si parla di trattativa con lo Stato, io dico “La  trattativa? Ma che trattativa, se c’è sempre stata la convivenza?” Io ho sempre visto la convivenza tra i politici e Cosa Nostra».

Riina ha ragione
     Riina ha sempre accusato lo Stato di averlo “abbandonato” e per Onorato il Capo dei capi ha ragione: egli sa che lo Stato ha usato la mafia per eliminare avversari scomodi, ma poi a pagare sono stati solo i mafiosi: Riina è infatti tuttora detenuto, mentre le persone accusate di volta in volta da questo o quel pentito sono rimaste a piede libero, hanno fatto quadrato contro i loro stessi alleati, hanno voltato loro le spalle e lasciati al loro destino.
     Ricordiamo che Onorato è stato l’esecutore dell’omicidio di Salvo Lima, il primo politico a essere eliminato dalla mafia per vendetta, perché la politica non mantenne la promessa di evitare il carcere ai mafiosi condannati dal maxiprocesso dell’1986-87 dove furono imputati oltre 400 persone per reati di mafia.

Altri obiettivi
     Riina, secondo Onorato, aveva in mente di uccidere anche altre persone, tra cui Andreotti e suo figlio, sempre per motivi di vendetta. Il patto c’era stato, ma la politica non lo aveva rispettato: l’omicidio era stato commissionato ai fratelli Graviano, ma fu accantonato perché Andreotti rafforzò la scorta. Nella lista figurava anche Claudio Martelli, che nel 1991 diventa Ministro di Grazie e Giustizia, fatto diventare ministro proprio dai mafiosi, che gli finanziarono la campagna elettorale per 200 milioni di lire e che, proprio in virtù di quella carica, doveva scongiurare il pericolo del carcere ai condannati del maxiprocesso. Non ultimo, nel mirino c’era anche Calogero Mannino (tuttora senatore della Repubblica). 

Craxi e Andreotti vollero la morte di Dalla Chiesa
L'A112 con a bordo il prefetto Dalla Chiesa e sua moglie 
Emanuela Setti Carraro (alla guida) trivellata di colpi la 
sera
del 3 settembre 1982 in seguito a un attentato mafioso.
     La rivelazione forse più inaspettata di Onorato riguarda però l’omicidio Dalla Chiesa. Carlo Alberto Dalla Chiesa, ex generale dei carabinieri e poi prefetto di Palermo, ebbe un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo: lo chiamavano il prefetto di ferro e fu ucciso in un attentato mentre era a bordo della sua auto con sua moglie, seguito dalla scorta, nel 1982, nel tragitto per tornare a casa. Per quell’omicidio furono condannati solo i mafiosi: Riina, Provenzano, Greco e altri boss in qualità di ideatori, più altri uomini come esecutori. Ma Onorato rivela che i veri mandanti erano Craxi e Andreotti: «c’hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa il signor Craxi e il signor Andreotti che si sentivano il fiato addosso». Onorato rivela infatti che in quel momento Dalla Chiesa non rappresentava un pericolo grave per Cosa Nostra e che quindi la Cupola non sentiva l'esigenza di eliminarlo. Se non fosse stato per il volere di Craxi e Andreotti, il generale non sarebbe morto quella sera, e con lui non sarebbero morti nemmeno sua moglie, Emanuela Setti Carraro e la sua scorta Domenico Russo. Il giorno dopo l'attentato una scritta apparve nei pressi del luogo del delitto: Qui muore la speranza dei palermitani onesti.

La bomba-bluff all’Addaura
     Nell’estate del 1989 nella villa al mare di Giovanni Falcone scoppia una bomba. Un attentato, per fortuna fallito. Subito dopo strane voci cominciano a diffondersi secondo cui Falcone si sarebbe piazzato da solo quella bomba. «Ma quella bomba la piazzai io stesso» rivela Onorato, «furono i politici a mettere in giro la voce che Falcone si mise la bomba da solo […] per indebolirlo, per farlo passare per un bugiardo».

     È uno dei paradossi più assurdi di tutti i tempi il fatto che, in un processo incentrato sulla mafia, siano i mafiosi a collaborare con la giustizia e non i politici, che pure ebbero un ruolo di primo piano in quegli stessi eventi, se non addirittura maggiore.