sabato 30 novembre 2013

Consulta, soldi ai partiti dichiarati illeciti. Atteso verdetto anche sul Porcellum

     31 milioni. È il numero di italiani che nell’aprile del 1993 abrogava tramite un referendum il finanziamento pubblico ai partiti: all’epoca la memoria dei cittadini scottava ancora del recente scandalo Tangentopoli, quando vennero al pettine tutti i nodi degli intrighi e gli imbrogli che la Democrazia Cristiana, Craxi e gli altri partiti avevano nel loro armadio di scheletri.
     La maggioranza del paese decise quindi che mai e poi mai lo Stato (cioè noi) avrebbe finanziato i partiti. Ma poiché siamo un paese dalla memoria cortissima e poiché non abbiamo cambiato la nostra gerontocratica classe dirigente per decenni, i protagonisti del potere hanno ben presto trovato il modo nel corso degli anni di bypassare quella decisione chiara e limpida «attraverso la finzione del linguaggio», per dirla con Azzariti, docente di diritto costituzionale a “La Sapienza”: non volete il finanziamento pubblico? Non c’è problema: noi introduciamo il “rimborso elettorale”. Il nome è cambiato, la sostanza è rimasta. È una storia tristemente italiana, del resto: la vediamo anche in queste settimane, dove si finge di togliere la tassa sui rifiuti o l’Imu solo per introdurre nuovi oneri fiscali con nome diverso (Trise, Tasi, Tari, Tarsu…), tra l’altro ancora più onerosi dei precedenti.

Raffaele De Dominicis
     Nel corso di questi vent’anni e più, a piccole tappe, la politica italiana (e sappiamo chi sono stati i protagonisti: il centrodestra berlusconiano e per una monir parte anche la sinistra dell’Ulivo e del Pd) hanno cambiato o ripresentato leggi e leggine nuove che di fatto hanno ripristinato gli stessi privilegi di cui godevano i partiti prima di quel referendum. E fino ad oggi la cosa si è limitata a restare in quel cassonetto differenziato dell’opinione pubblica che si chiama “sfoghi fini a se stessi”. Fino a quando, ieri, il procuratore della Corte dei Conti del Lazio, Raffaele De Dominicis, ha sollevato esplicitamente ricorso di incostituzionalità contro queste norme.
     Secondo il magistrato «tutte le disposizioni impugnate, a partire dal 1997 e, via via riprodotte nel 1999, nel 2002, nel 2006 e per ultimo nel 2012, hanno ripristinato i privilegi abrogati col referendum del 1993, facendo ricorso ad artifici semantici, come il rimborso al posto del contributo; gli sgravi fiscali al posto di autentici donativi». Gli italiani sono stati derubati con questo sistema per molti anni, per l’ammontare di 2,7 miliardi di euro, una cifra che in tempi come questi risolverebbe più che agevolmente un bel po’ di problemi che incombono sulle finanze della macchina statale, soprattutto se pensiamo che il furto-sopruso che i partiti hanno compiuto in questi anni comprendeva “rimborsi” ben oltre i 2 anni previsti dalla legge, ma estesi a tutti e cinque gli anni del mandato parlamentare, ovvero all’intero periodo di carica, una cosa che la legge non permette.

     In Commissione Affari Costituzionali al Senato c’era un ddl fermo che probabilmente non verrà nemmeno approvato perché sarebbe dichiarato incostituzionale appena sfornato dal Parlamento, che prevedeva che l’interruzione del finanziamento pubblico avrebbe dovuto concludersi nel 2017 e che nel frattempo i partiti avrebbero continuato a ricevere sovvenzionamenti pagati dai cittadini contro la loro volontà. Le cifre previste erano così distribuite:
     - 91 milioni di euro nel 2014;
     - 54,6 milioni di euro nel 2015;
     - 45,5 milioni di euro per il 2016;
     - 36,4 milioni di euro per il 2017.

     Cifre, come si vede, comunque molto alte, che aggirano il problema fingendo di risolverlo. Si tratterebbe di emendamenti inutili tra l’altro, soprattutto se nel corso di quegli anni l’economia italiana dovesse andare ancora più a picco: se abbassi un po’ un onere fiscale ma contemporaneamente impoverisci il paese, quell'onere continua lo stesso a pesare. Come se non bastasse, in quelle stesse norme che giacciono ferme in Commissione ci sono una serie di clausole davvero discriminatorie, come l’impossibilità di ricevere i rimborsi da parte di forze che non hanno lo statuto di partiti (come il MoVimento 5 Stelle), anche se svolgono di fatto la funzione di rappresentanza che ogni partito svolge: codicilli discriminatori che non trattano le forze politiche allo stesso modo.

     Anche sul fronte Porcellum i partiti hanno dato di che pensare. Questa vergognosa legge elettorale approvata dal governo Berlusconi nel 2005 presenta molte clausole inconcepibili. Il ricorso contro questa norma, come spiega Il Fatto quotidiano di oggi, in un articolo di Luca De Carolis, fu presentato nel 2009 dall’avvocato Aldo Bozzi e altri 27 firmatari, che impugnavano in particolare le due parti del blocco delle liste e del premio di maggioranza, i due aspetti più controversi e più in malafede del Porcellum. Dopo due rifiuti di accogliere il ricorso da parte di due gradi di giudizio, quest’anno (nel mese di maggio) la Corte di Cassazione ha deciso che il ricorso merita accoglimento e la prima udienza è stata fissata il 3 dicembre.

     Un collegio di 15 giudici dovrà valutare diversi aspetti. Prima di tutto dovranno decidere se colui che ha richiesto il ricorso è legittimato a chiederlo; poi dovranno decidere se l’oggetto della richiesta rientra nelle competenze della Consulta che essi rappresentano: non è detto che queste deliberazioni siano prese il 3 dicembre, ma i giudici possono riservarsi di rinviarle a una data diversa, a loro discrezione. Il motivo potrebbe essere anche quello di concedere al Parlamento la possibilità di darsi da fare per dimostrare di voler davvero attivarsi per modificare questa falla normativa. Un modo per spronarlo e dargli fiducia, insomma.
     Oltre a rinviare le decisioni a un altro momento, la Corte potrebbe anche pronunciarsi immediatamente sui punti oggetto del ricorso, ovvero dichiarare immediatamente incostituzionali delle parti della legge. In tal caso non verrebbe cancellata tutta la legge per il fatto che si creerebbe un enorme vuoto normativo (saremmo senza legge elettorale, né si potrebbe tornare a quella precedente, perché quest'ultima decisione spetterebbe solo al Parlamento). La Corte potrebbe allora dichiarare incostituzionali solo quelle parti ritenute contrarie alla legge ma senza annullarle, perché avere una legge mutilata delle sue parti equivale a non averla affatto: quindi lasciare in vita una legge incostituzionale, ma solo con la promessa di una modifica immediata. La sola soluzione ragionevole, ma anche la più difficile, è quindi che il Parlamento si decida a discutere un testo di legge per riformare il Porcellum: solo il Parlamento, infatti, può creare una legge, mentre alla Corte Costituzionale spetta la sola facoltà di annullarla.

     Vale la pena ancora una volta di ricordare come in questo paese il solo ordine che continui a fare bene il suo dovere, seppure a volte con lentezza data dall’intasamento dei tribunali e dai tagli alla giustizia, sia la Magistratura, tanto bistrattata da loschi individui che hanno solo da perdere dal lavoro onesto e pulito dei magistrati. Governo e Parlamento, invece si comportano da perfetti organi autocratici e autoreferenziali, ignorando sia la legge sia i bisogni dei cittadini.


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