Palermo, 7 novembre 2013. Le pareti dell’aula bunker del carcere Ucciardone, dove si sta svolgendo il processo sulla trattativa Stato-mafia, hanno tremato quando ha cominciato a parlare Francesco Onorato, pentito e attualmente collaboratore di giustizia, ex pezzo grosso della squadra dei killer di Cosa Nostra, uno di quelli che faceva il lavoro sporco, uno che ammazzava e metteva bombe.
Molte cose sono uscite dalla sua deposizione e meritano divulgazione, vediamone alcune.
Nessuna trattativa, solo convivenza
Francesco Onorato, pentito. |
Onorato ribadisce (anche lui, come molti magistrati negli anni addietro) che Cosa Nostra non è assolutamente un’organizzazione criminale composta esclusivamente da fuorilegge che latitano e fanno i boss, ma anche dai colletti bianchi: il coinvolgimento dei politici negli affari “gestiti” dalla mafia è sempre esistito e anzi, sono stati i politici a chiedere l’aiuto e l’assistenza della mafia! Così che Onorato preferisce non usare il termine “trattativa”: «Quando si parla di trattativa con lo Stato, io dico “La trattativa? Ma che trattativa, se c’è sempre stata la convivenza?” Io ho sempre visto la convivenza tra i politici e Cosa Nostra».
Riina ha ragione
Riina ha sempre accusato lo Stato di averlo “abbandonato” e per Onorato il Capo dei capi ha ragione: egli sa che lo Stato ha usato la mafia per eliminare avversari scomodi, ma poi a pagare sono stati solo i mafiosi: Riina è infatti tuttora detenuto, mentre le persone accusate di volta in volta da questo o quel pentito sono rimaste a piede libero, hanno fatto quadrato contro i loro stessi alleati, hanno voltato loro le spalle e lasciati al loro destino.
Ricordiamo che Onorato è stato l’esecutore dell’omicidio di Salvo Lima, il primo politico a essere eliminato dalla mafia per vendetta, perché la politica non mantenne la promessa di evitare il carcere ai mafiosi condannati dal maxiprocesso dell’1986-87 dove furono imputati oltre 400 persone per reati di mafia.
Altri obiettivi
Riina, secondo Onorato, aveva in mente di uccidere anche altre persone, tra cui Andreotti e suo figlio, sempre per motivi di vendetta. Il patto c’era stato, ma la politica non lo aveva rispettato: l’omicidio era stato commissionato ai fratelli Graviano, ma fu accantonato perché Andreotti rafforzò la scorta. Nella lista figurava anche Claudio Martelli, che nel 1991 diventa Ministro di Grazie e Giustizia, fatto diventare ministro proprio dai mafiosi, che gli finanziarono la campagna elettorale per 200 milioni di lire e che, proprio in virtù di quella carica, doveva scongiurare il pericolo del carcere ai condannati del maxiprocesso. Non ultimo, nel mirino c’era anche Calogero Mannino (tuttora senatore della Repubblica).
Craxi e Andreotti vollero la morte di Dalla Chiesa
L'A112 con a bordo il prefetto Dalla Chiesa e sua moglie
Emanuela Setti Carraro (alla guida) trivellata di colpi la
sera
del 3 settembre 1982 in seguito a un attentato mafioso.
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La rivelazione forse più inaspettata di Onorato riguarda però l’omicidio Dalla Chiesa. Carlo Alberto Dalla Chiesa, ex generale dei carabinieri e poi prefetto di Palermo, ebbe un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo: lo chiamavano il prefetto di ferro e fu ucciso in un attentato mentre era a bordo della sua auto con sua moglie, seguito dalla scorta, nel 1982, nel tragitto per tornare a casa. Per quell’omicidio furono condannati solo i mafiosi: Riina, Provenzano, Greco e altri boss in qualità di ideatori, più altri uomini come esecutori. Ma Onorato rivela che i veri mandanti erano Craxi e Andreotti: «c’hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa il signor Craxi e il signor Andreotti che si sentivano il fiato addosso». Onorato rivela infatti che in quel momento Dalla Chiesa non rappresentava un pericolo grave per Cosa Nostra e che quindi la Cupola non sentiva l'esigenza di eliminarlo. Se non fosse stato per il volere di Craxi e Andreotti, il generale non sarebbe morto quella sera, e con lui non sarebbero morti nemmeno sua moglie, Emanuela Setti Carraro e la sua scorta Domenico Russo. Il giorno dopo l'attentato una scritta apparve nei pressi del luogo del delitto: Qui muore la speranza dei palermitani onesti.
La bomba-bluff all’Addaura
Nell’estate del 1989 nella villa al mare di Giovanni Falcone scoppia una bomba. Un attentato, per fortuna fallito. Subito dopo strane voci cominciano a diffondersi secondo cui Falcone si sarebbe piazzato da solo quella bomba. «Ma quella bomba la piazzai io stesso» rivela Onorato, «furono i politici a mettere in giro la voce che Falcone si mise la bomba da solo […] per indebolirlo, per farlo passare per un bugiardo».
È uno dei paradossi più assurdi di tutti i tempi il fatto che, in un processo incentrato sulla mafia, siano i mafiosi a collaborare con la giustizia e non i politici, che pure ebbero un ruolo di primo piano in quegli stessi eventi, se non addirittura maggiore.
La politica ha usato ed usa tutt'ora la mafia come strumento per controllare persone, territori e per risolvere in modo spiccio vari problemi, non è una trattativa, ma una partnership.
RispondiEliminaFinché ci sarà questa collusione, è impossibile estirpare questo cancro dalla società italiana.