giovedì 31 ottobre 2013

Decadenza Berlusconi: il voto sarà palese. Ora o cade il governo o si spacca il Pdl

     Avevano promesso che mai e poi mai le vicende personali di Berlusconi avrebbero intaccato la stabilità di questo governo: quindi si è verificato l’esatto contrario. Ieri si è espressa la Giunta per il regolamento del Senato che, presieduta da Pietro Grasso (che si è astenuto dal voto), ha deliberato con una maggioranza di 7 a 6 che il voto sull’incandidabilità di Berlusconi a seguito della condanna definitiva per frode fiscale e in base alla legge Severino non sarà un voto segreto. Ogni senatore, quindi, renderà conto all’elettorato della decisione che prenderà.


     Il Pdl insorge in un attimo col solito soliloquio che ormai si ripete in loop da mesi: «Affronto alla democrazia!», «Atto eversivo!», «Plotone di esecuzione!», «Persecuzione politica!» eccetera. In particolare la critica dei berlusconiani ruoterebbe attorno alla tesi (infondata, come stiamo per dimostrare) che il MoVimento 5 Stelle avrebbe peccato di parzialità quando ha proposto di votare palesemente sulla decadenza di Berlusconi invece che col voto segreto, com’era “prassi consolidata”. Quella dei grillini, quindi, sarebbe stata una legge contra personam, perché sul voto sulle persone si è sempre votato segretamente.
     Anzitutto, se mai fosse stato così, gli ultimi a potersene lamentare sarebbero proprio i berlusconiani, che hanno imbottito i nostri codici di leggi ad personam per anni e anni; quindi semmai prima si pareggia il conto e poi se ne parla di sollevare lamentele. Ma, anche ammettendo che abbiano ragione, c’è da dire che quella del voto segreto non è affatto una “prassi consolidata” per casi del genere. Quella su cui si dovrà esprimere la Giunta per le Immunità sulla decadenza è infatti un caso nuovo nel nostro paese: se Berlusconi non avesse passato metà della sua vita a commettere reati, infatti, non avrebbe registrato anche questo record personale di costringere una Camera a votare per i requisiti per poter fare il senatore, una cosa mai successa. A precisare ulteriormente ci pensa Linda Lanzillotta (Scelta Civica), da cui è dipeso l’ago della bilancia nella votazione di ieri: «Quello sulla decadenza non è un voto sulla persona, ma sulla composizione del Senato»; e le fa eco Zanda, capogruppo Pd al Senato: «Non si tratta di un voto sulla persona, ma dell’accertamento sulla legittimità della sua permanenza nella carica di senatore». Niente eccezione quindi (sebbene quello di Berlusconi sia effettivamente un caso “eccezionale”, nel senso che ha sollevato continue “eccezioni” alla legge).

     La giunta ha votato in 4 ore: i 7 a favore del voto palese sono stati, a parte la Lanzillotta, Maurizio Buccarella e Vincenzo Santangelo (M5S), Luigi Zanda, Francesco Russo e Anna Finocchiaro (Pd) e Loredana De Petris (Sel); quelli contro sono stati Anna Maria Bernini, Donato Bruno e Francesco Nitto Palma (Pdl), Roberto Calderoli (Lega), Mario Ferrara (Gal) e Karl Zeller. Alla Lanzillotta, per la sua presa di posizione e per aver determinato questo risultato, sono perfino arrivate delle minacce di morte in rete.
Dunque si va alla decadenza col voto palese. La domanda è “quando?”. La risposta è, ancora una volta, “non si sa”. Vediamo perché: i 5Stelle vorrebbero che la cosa si concludesse ai primi di novembre, anche perché la legge Severino dice (art. 3) che «le sentenze definitive di condanna di cui all'articolo 1, emesse nei confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate […] alla Camera di rispettiva appartenenza». E se pensiamo che la sentenza definitiva è arrivata il primo agosto scorso, si capisce come il testo della norma sia stato già abbondantemente violato. Inoltre sarebbe carino che la cosa si concludesse in fretta, anche perché il nostro paese ha ben altre urgenze che quella di decidere sulla vicende personali di un solo uomo, che non dovrebbe stare nemmeno dove sta in base a ben altra legge che la Severino.
     Gli alfaniani, però, che sempre di più si stanno separando dai “lealisti”, vorrebbero aspettare e chiedono a Letta e al Pd di calendarizzare la data della votazione finale a dopo l’approvazione della legge di stabilità, ovvero a fine novembre, per evitare ritorsioni del Pdl proprio nel momento in cui il governo deve affrontare una scelta così delicata. Letta in particolare, ha tuonato contro ogni forma di crisi proprio in questo momento e ha lanciato il suo diktat ad Alfano e soci: «Dopo la scelta del voto palese, lui romperà. E lo farà prima della decadenza. Dovete muovervi. Non riesco davvero a immaginare che ci siano ripercussioni sulla legge di stabilità. Abbiamo gli occhi del mondo addosso. Sarebbe un disastro». L’ordine per loro è quindi separarsi da Berlusconi prima che lui esca dalla maggioranza e impedisca al governo di procedere, con il fine di proteggere la stabilità di governo.
     Dall’altra parte i falchi lealisti spingono il loro leader a rompere subito, senza indugi, e minacciano di farlo da soli, di agire indipendentemente dalle decisioni di Berlusconi, col curioso fenomeno in cui sono i pidiellini a rimettere in riga Berlusconi e non viceversa. Lo incitano a rompere ora, sennò non votano la legge di stabilità.
 
     Un leader sempre meno sovrano, quindi, leader a metà, leader sotto ricatto dei suoi stessi uomini, chi da una parte, chi dall’altra. Un uomo in balia di se stesso e delle conseguenze delle sue malefatte, che ora si ritrova pieno di variabili e in mezzo a un mare di polemiche. Berlusconi non sa che pesci pigliare: vorrebbe la crisi subito, ma vorrebbe anche Alfano al suo fianco, che però non è disposto a cedere e rimane fedele al governo.
 
     Infine vale la pena di notare come ogni volta che sorga una questione su questa vicenda, il Pdl si dia la zappa sui piedi a confessare la sua mala fede: accusano il voto palese di essere contro la democrazia, ma non notano la contraddizione di condannare la trasparenza, che è un valore indubbiamente democratico perché permette agli elettori di sapere cosa fanno i loro rappresentanti; insistono inoltre sul nascondere la volontà dei senatori che dovranno votare facendo intendere che ci sia effettivamente qualcosa da nascondere. Ma sono bravi a non far notare queste conseguenze, perché trascinano il dibattito in turpiloqui fini a se stessi, gridano, sbraitano, fingono di indignarsi e non lasciano spazio al ragionamento e alla lucida riflessione, impedendo alla gente di rendersi conto di quanto sia inappropriato tutto ciò che dicono. Forse la cosa migliore è lasciarli sfogare senza ascoltarli, come si fa con un bimbo troppo capriccioso che vuole sempre averla vinta, anche quando è “palese” che abbia torto.
 

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