Avevano promesso che mai e poi mai le
vicende personali di Berlusconi avrebbero intaccato la stabilità di questo
governo: quindi si è verificato l’esatto contrario. Ieri si è espressa la
Giunta per il regolamento del Senato che, presieduta da Pietro Grasso (che si è
astenuto dal voto), ha deliberato con una maggioranza di 7 a 6 che il voto sull’incandidabilità
di Berlusconi a seguito della condanna definitiva per frode fiscale e in base
alla legge Severino non sarà un voto segreto. Ogni senatore, quindi, renderà
conto all’elettorato della decisione che prenderà.
Il Pdl insorge in un attimo col solito soliloquio che ormai si ripete in loop da mesi: «Affronto alla democrazia!», «Atto eversivo!», «Plotone di esecuzione!», «Persecuzione politica!» eccetera. In particolare la critica dei berlusconiani ruoterebbe attorno alla tesi (infondata, come stiamo per dimostrare) che il MoVimento 5 Stelle avrebbe peccato di parzialità quando ha proposto di votare palesemente sulla decadenza di Berlusconi invece che col voto segreto, com’era “prassi consolidata”. Quella dei grillini, quindi, sarebbe stata una legge contra personam, perché sul voto sulle persone si è sempre votato segretamente.
Anzitutto, se mai fosse stato così, gli ultimi a potersene lamentare sarebbero proprio i berlusconiani, che hanno imbottito i nostri codici di leggi ad personam per anni e anni; quindi semmai prima si pareggia il conto e poi se ne parla di sollevare lamentele. Ma, anche ammettendo che abbiano ragione, c’è da dire che quella del voto segreto non è affatto una “prassi consolidata” per casi del genere. Quella su cui si dovrà esprimere la Giunta per le Immunità sulla decadenza è infatti un caso nuovo nel nostro paese: se Berlusconi non avesse passato metà della sua vita a commettere reati, infatti, non avrebbe registrato anche questo record personale di costringere una Camera a votare per i requisiti per poter fare il senatore, una cosa mai successa. A precisare ulteriormente ci pensa Linda Lanzillotta (Scelta Civica), da cui è dipeso l’ago della bilancia nella votazione di ieri: «Quello sulla decadenza non è un voto sulla persona, ma sulla composizione del Senato»; e le fa eco Zanda, capogruppo Pd al Senato: «Non si tratta di un voto sulla persona, ma dell’accertamento sulla legittimità della sua permanenza nella carica di senatore». Niente eccezione quindi (sebbene quello di Berlusconi sia effettivamente un caso “eccezionale”, nel senso che ha sollevato continue “eccezioni” alla legge).
La giunta ha votato in 4 ore: i 7 a favore del voto palese sono stati, a parte la Lanzillotta, Maurizio Buccarella e Vincenzo Santangelo (M5S), Luigi Zanda, Francesco Russo e Anna Finocchiaro (Pd) e Loredana De Petris (Sel); quelli contro sono stati Anna Maria Bernini, Donato Bruno e Francesco Nitto Palma (Pdl), Roberto Calderoli (Lega), Mario Ferrara (Gal) e Karl Zeller. Alla Lanzillotta, per la sua presa di posizione e per aver determinato questo risultato, sono perfino arrivate delle minacce di morte in rete.
Il Pdl insorge in un attimo col solito soliloquio che ormai si ripete in loop da mesi: «Affronto alla democrazia!», «Atto eversivo!», «Plotone di esecuzione!», «Persecuzione politica!» eccetera. In particolare la critica dei berlusconiani ruoterebbe attorno alla tesi (infondata, come stiamo per dimostrare) che il MoVimento 5 Stelle avrebbe peccato di parzialità quando ha proposto di votare palesemente sulla decadenza di Berlusconi invece che col voto segreto, com’era “prassi consolidata”. Quella dei grillini, quindi, sarebbe stata una legge contra personam, perché sul voto sulle persone si è sempre votato segretamente.
Anzitutto, se mai fosse stato così, gli ultimi a potersene lamentare sarebbero proprio i berlusconiani, che hanno imbottito i nostri codici di leggi ad personam per anni e anni; quindi semmai prima si pareggia il conto e poi se ne parla di sollevare lamentele. Ma, anche ammettendo che abbiano ragione, c’è da dire che quella del voto segreto non è affatto una “prassi consolidata” per casi del genere. Quella su cui si dovrà esprimere la Giunta per le Immunità sulla decadenza è infatti un caso nuovo nel nostro paese: se Berlusconi non avesse passato metà della sua vita a commettere reati, infatti, non avrebbe registrato anche questo record personale di costringere una Camera a votare per i requisiti per poter fare il senatore, una cosa mai successa. A precisare ulteriormente ci pensa Linda Lanzillotta (Scelta Civica), da cui è dipeso l’ago della bilancia nella votazione di ieri: «Quello sulla decadenza non è un voto sulla persona, ma sulla composizione del Senato»; e le fa eco Zanda, capogruppo Pd al Senato: «Non si tratta di un voto sulla persona, ma dell’accertamento sulla legittimità della sua permanenza nella carica di senatore». Niente eccezione quindi (sebbene quello di Berlusconi sia effettivamente un caso “eccezionale”, nel senso che ha sollevato continue “eccezioni” alla legge).
La giunta ha votato in 4 ore: i 7 a favore del voto palese sono stati, a parte la Lanzillotta, Maurizio Buccarella e Vincenzo Santangelo (M5S), Luigi Zanda, Francesco Russo e Anna Finocchiaro (Pd) e Loredana De Petris (Sel); quelli contro sono stati Anna Maria Bernini, Donato Bruno e Francesco Nitto Palma (Pdl), Roberto Calderoli (Lega), Mario Ferrara (Gal) e Karl Zeller. Alla Lanzillotta, per la sua presa di posizione e per aver determinato questo risultato, sono perfino arrivate delle minacce di morte in rete.
Dunque
si va alla decadenza col voto palese. La domanda è “quando?”. La risposta è,
ancora una volta, “non si sa”. Vediamo perché: i 5Stelle vorrebbero che la cosa
si concludesse ai primi di novembre, anche perché la legge Severino dice (art.
3) che «le sentenze definitive di condanna di cui all'articolo 1, emesse nei
confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate […] alla
Camera di rispettiva appartenenza». E se pensiamo che la sentenza definitiva è
arrivata il primo agosto scorso, si capisce come il testo della norma sia stato
già abbondantemente violato. Inoltre sarebbe carino che la cosa si concludesse
in fretta, anche perché il nostro paese ha ben altre urgenze che quella di
decidere sulla vicende personali di un solo uomo, che non dovrebbe stare
nemmeno dove sta in base a ben altra legge che la Severino.
Gli
alfaniani, però, che sempre di più si stanno separando dai “lealisti”,
vorrebbero aspettare e chiedono a Letta e al Pd di calendarizzare la data della
votazione finale a dopo l’approvazione della legge di stabilità, ovvero a fine
novembre, per evitare ritorsioni del Pdl proprio nel momento in cui il governo
deve affrontare una scelta così delicata. Letta in particolare, ha tuonato
contro ogni forma di crisi proprio in questo momento e ha lanciato il suo
diktat ad Alfano e soci: «Dopo la scelta del voto palese, lui romperà. E lo
farà prima della decadenza. Dovete muovervi. Non riesco davvero a immaginare
che ci siano ripercussioni sulla legge di stabilità. Abbiamo gli occhi del mondo
addosso. Sarebbe un disastro». L’ordine per loro è quindi separarsi da
Berlusconi prima che lui esca dalla maggioranza e impedisca al governo di
procedere, con il fine di proteggere la stabilità di governo.
Dall’altra parte i falchi lealisti
spingono il loro leader a rompere subito, senza indugi, e minacciano di farlo
da soli, di agire indipendentemente dalle decisioni di Berlusconi, col curioso
fenomeno in cui sono i pidiellini a rimettere in riga Berlusconi e non
viceversa. Lo incitano a rompere ora, sennò non votano la legge di stabilità.
Un leader
sempre meno sovrano, quindi, leader a metà, leader sotto ricatto dei suoi stessi
uomini, chi da una parte, chi dall’altra. Un uomo in balia di se stesso e delle
conseguenze delle sue malefatte, che ora si ritrova pieno di variabili e in
mezzo a un mare di polemiche. Berlusconi non sa che pesci pigliare: vorrebbe la
crisi subito, ma vorrebbe anche Alfano al suo fianco, che però non è disposto a
cedere e rimane fedele al governo.
Infine
vale la pena di notare come ogni volta che sorga una questione su questa
vicenda, il Pdl si dia la zappa sui piedi a confessare la sua mala fede: accusano
il voto palese di essere contro la democrazia, ma non notano la contraddizione
di condannare la trasparenza, che è un valore indubbiamente democratico perché
permette agli elettori di sapere cosa fanno i loro rappresentanti; insistono
inoltre sul nascondere la volontà dei senatori che dovranno votare facendo
intendere che ci sia effettivamente qualcosa da nascondere. Ma sono bravi a non
far notare queste conseguenze, perché trascinano il dibattito in turpiloqui
fini a se stessi, gridano, sbraitano, fingono di indignarsi e non lasciano
spazio al ragionamento e alla lucida riflessione, impedendo alla gente di
rendersi conto di quanto sia inappropriato tutto ciò che dicono. Forse la cosa
migliore è lasciarli sfogare senza ascoltarli, come si fa con un bimbo troppo
capriccioso che vuole sempre averla vinta, anche quando è “palese” che abbia
torto.
Speriamo che sia la volta buona!!!
RispondiEliminaAMEN!
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