sabato 30 aprile 2011

Scripta manent, n. 6 - «Illusioni!» grida il filosofo

     La primavera è definitivamente giunta. Direi che è proprio il caso di segnalare in questo sesto numero della rubrica Scripta manent uno dei passi più dolci e “primaverili” della letteratura italiana.
     Voglio portarvi nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, romanzo epistolare uscito dalla penna di Ugo Foscolo: un giovane studente, Jacopo Ortis, durante la sua permanenza sui colli Euganei, tra solitudine e rammarico per la sua patria, conosce la giovane Teresa, promessa da suo padre a un uomo che lei non ama. Tra i due giovani nasce intesa, fanno insieme chiacchierate in mezzo alle bellezze del paesaggio veneto, fino a quando, unica volta in tutto il romanzo, i due si baciano. Per Jacopo quel bacio è davvero la primavera dei sensi ed egli ne racconta gli effetti all’amico Lorenzo (destinatario delle epistole del romanzo), arrivando a fare, nell’ultima parte della lettera, una bella riflessione sulle illusioni umane e sul bisogno, tutto umano, di illudersi. Chiude il passo una promessa che Jacopo fa a se stesso, che mi fece applaudire quando la mia prof. di Lettere ce la lesse al Liceo.

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15 maggio

     Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno la troverei nella mia immaginazione. O Amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animi generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese: tu raccendi ne’ nostri petti la sola virtù utile a’ mortali, la Pietà, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata; gli animali, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale.
     Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire. - O Lorenzo! sto spesso sdrajato su la riva del lago de’ cinque fonti: mi sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l’erba, e allegrano i fiori, e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe ignude, saltanti, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia le Muse e l’Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti le Najadi, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo. - Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci delle immortali dive del cielo; che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell’uomo, e che trovavano il BELLO ed il VERO accarezzando gli idoli della lor fantasia! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e nojosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis


lunedì 25 aprile 2011

Le riflessioni di casa Winslet

     Se vi dicessi che un’attrice famosa in tutto il mondo, premiata con l’Oscar e altri riconoscimenti vari, che ha recitato come co-protagonista nel film più visto della storia del cinema, abbia acceso la sua videocamera e si sia messa a fare un piccolo video amatoriale direttamente da casa sua, anzi, no: dal bagno di casa sua, ponendosi interrogativi esistenziali sulla sua carriera cinematografica che l’ha consacrata alla fama e al successo e abbia cercato di dare in pochi minuti una risposta a questi interrogativi, sempre nel bagno di casa sua, voi ci credereste? Immagino di no… e fareste male.
     È quello che è successo un paio di giorni fa: il 23 aprile 2011 su YouTube compare un breve video di quasi 4 minuti e a girarlo è stata un’attrice a me molto cara. Chi mi conosce sa già di chi parlo; chi non mi conosce lo impari adesso: sto parlando di Kate Winslet. Non è uno scherzo: l’attrice britannica, da poco uscita dal successo della sua ultima miniserie Mildred Pierce, ha fatto questo. Un curioso video girato nel suo bagno, dove, con voce sussurrata, quasi a non voler farsi sentire, s’è messa a chiedersi il senso della sua carriera di attrice: una vera e propria riflessione esistenziale sul suo lavoro.
     Questa cosa dapprima mi ha spiazzato: non avrei mai immaginato di ritrovarmi la mia attrice preferita a fare una cosa così curiosa. Poi mi sono chiesto perché l’abbia fatto. Voleva riflettere assieme ai suoi fans su un problema che riguarda il suo lavoro? O era solo un modo per farsi pubblicità (anche se non credo, visto il recentissimo successo che ha avuto con Mildred Pierce)? Forse si sentiva sola? O magari le andava di aprirsi al suo pubblico per sentirsi più vicina ai suoi ammiratori? E chi lo sa! Quello che so è che l’idea di questo video mi è piaciuta alquanto: mi piace l’idea che abbia comunicato anche così, un modo alternativo rispetto all’uso del grande e del piccolo schermo. Mi piace l’idea che Kate ci abbia portati in casa sua, nel suo bagno addirittura, e che, così inaspettatamente, in un ambiente così poco indicato, si sia messa a riflettere in apparenza così spontaneamente su una cosa che la riguarda intimamente.
     Già, intimità: intimità del luogo (casa sua), intimità dell’apparire (niente abiti da cerimonia ufficiale, ma mise quotidiana), intimità dei temi (perché parla di una cosa personale). Credo che sia stata questa intimità che lei ha voluto condividere ad aver attratto la mia attenzione e ad avermi intenerito molto. Se siete curiosi di sapere quali sono state le sue riflessioni in questa manciata di secondi, guardate pure il video sottostante. Assieme al video vi lascio anche una trascrizione in inglese e una traduzione.


Trascrizione
     Ok… Ehm… This is Kate Winslet, hello, and I am filming myself in my bathroom, so I apologize for the amateurish nature of this little segment.
     Ok: why do I do what I do? Well, I think the short answer is «Because I love it». The question of why do I love it I’ve never been able to answer fully for myself. It’s something I’ve always wanted to do, I’ve always wanted to act. But acting and being in films for me as a kid were always two totally separate things.
     We didn’t have a TV until I was twelve and we didn’t get a video player until I was fifteen, so I really wasn’t exposed to the world of film, but for me it was always about pretending to be somebody else and seeing where that took me and the possibilities were endless.
     So, not just about the freedom of expression and creativity, but knowing that I could invent things and invent characters and funny voices and go to places and worlds in my head that only I could control. And there was no one to tell me to stop or not to or no one to tell me how to do it differently, so I found this kind of personal freedom within that… and I think I still do.
     But now I appreciate acting, right now, because… because of the mystery, I think: it’s such a mysterious, illusive job! I’m not just getting to play other characters and explore what they can become, but not knowing who they’re ultimately going to be and the risk that is involved in playing that part. I’m also having some kind of secrets too, I think having secrets about that character that only one is playing, only I am playing. I really enjoy this sort of secretive fun side of that.
     And when you walk on to a film set or walk on to a stage it doesn’t matter how rehearsed you are or how prepared you feel you might be in how much work you’ve done with the director or with the other actors. You ultimately just don’t know what’s gonna happen and sometimes something magic happens and sometimes you end up with the egg on your face. I kinda love that too.
     So, that’s part one of the question and the second bit is «What would I do if I didn’t do this job?». Quite honestly I really have no idea, because I don’t think I can do anything else. I know I’d just take care of children and I know a bit about cooking, but honestly sometimes I feel that that’s all I know and that’s ok. So I wish I can tell you either what I would wanted to be… I don’t know… a stripper or a hostess, you know…something really glamorous, but I’m just… I’m just an actress.

Traduzione
     Ok... ehm... sono Kate Winslet, salve, e mi sto riprendendo in bagno, quindi mi scuso per la natura amatoriale di questa piccola clip.
     Ok: perché faccio quello che faccio? Be’, credo che la risposta sintetica sia «Perché mi piace». Alla domanda sul perché mi piaccia non sono mai stata pienamente capace di rispondere per me stessa. È qualcosa che ho sempre voluto fare, ho sempre voluto recitare. Ma recitare ed essere in un film per me da bambina sono sempre state due cose totalmente separate.
     Non abbiamo avuto un televisore fin quando non ho compiuto 12 anni né abbiamo preso un videoregistratore finché non ne ho compiuti 15, perciò non sono proprio stata esposta al mondo dei film, ma per me ha sempre significato fingere di essere qualcun altro e vedere dove ciò mi portasse e le possibilità erano illimitate.
     Quindi non è solo la libertà di espressione e la creatività, ma il sapere che potevo inventare cose, inventare personaggi, voci buffe, andare in posti e mondi nella mia mente che solo io potevo controllare. E non c’era nessuno a dirmi di fermarmi oppure «Non farlo» o nessuno a dirmi come farlo in modo diverso, quindi ho trovato questa forma di libertà personale in ciò... e credo di trovarla ancora oggi.
     Ma ora io apprezzo la recitazione, proprio oggi, a causa... a causa del mistero, credo: è un mestiere così misterioso e irreale! Non mi appresto solo a interpretare altri personaggi ed esplorare cosa essi possano diventare, ma è il non sapere chi essi finiranno per essere e il rischio che è implicito nel recitare quella parte. Ho anche una sorta di segreti, credo di avere dei segreti riguardo quel personaggio che solo una persona sta interpretando, che solo io sto interpretando. Mi piace davvero questa sorta di lato riservato, divertente di tutto ciò.
     E quando cammini sul set di un film o quando cammini sul palco non importa quante prove tu abbia fatto o quanto preparato tu pensi che potresti essere in tutto il lavoro che hai fatto con il regista o con gli altri attori. Tu in sostanza semplicemente non sai cosa accadrà e quindi a volte avviene qualcosa di magico e a volte ti ritrovi tanto imbarazzata. Ma mi piace anche questo in un certo senso!
     Dunque, questa è la prima parte della domanda e il secondo pezzo è «Cosa avrei fatto se non avessi fatto questo lavoro?». In tutta onestà non ne ho la più pallida idea, perché non credo di saper fare nient’altro. So che mi prenderei cura dei bambini e me la cavo con la cucina, ma onestamente a volte sento che questo è tutto ciò che so e va bene così. Quindi mi piacerebbe dirvi che avrei voluto essere... che so... una spogliarellista o una hostess... insomma qualcosa di veramente entusiasmante, ma sono solo... sono solo un’attrice.



sabato 23 aprile 2011

Perché Dio sta in cielo?

     A poche ore dal giorno di Pasqua, vogliamo farla una riflessioncina carina carina su Dio? Una domanda che è degna dell’innocenza di un bambino: “Perché Dio sta in cielo?”. Già: come mai nelle religioni di tutte le epoche il concetto di divinità è sempre intimamente legato al cielo? Ma soprattutto, per quale motivo lo stesso Dio cristiano, secondo i dogmi della Chiesa, viene fatto tradizionalmente risiedere in cielo, al punto che si dice che dimori nel “regno dei cieli”?
     Questa domanda è in realtà scomponibile in due. La prima è “Perché le religioni dell’età antica facevano risiedere le divinità nel cielo?”; mentre la seconda è “Perché il Dio cristiano viene immaginato dimorare in cielo?”. C’è infatti una differenza tra le religioni antiche e il Cristianesimo, a parte il contenuto etico professato e la descrizione del fenomeno divino nella sua essenza: questa differenza sta nel fatto che le religioni antiche, che indicheremo da ora in poi col termine paganesimo, nascono nella preistoria come “religioni naturalistiche”, cioè religioni che inventano i loro dèi in conseguenza del rapporto dell’uomo con i fenomeni naturali; invece il Cristianesimo è una religione molto più giovane, poiché fu concepita e divulgata in un momento della storia (quello dell’Impero romano di Ottaviano Augusto) in cui era già stato raggiunto un certo grado di civiltà e l’influsso “naturalistico” era molto meno presente. Ovvero, detto in altri termini, il Cristianesimo, nell’essere teorizzato come religione, non è stato influenzato dall’impatto degli uomini con la natura, bensì ha subìto piuttosto l’influsso delle correnti filosofiche allora più in auge, prima fra tutte il neoplatonismo di Plotino e Porfirio.
               
Il ruolo del cielo nelle religioni naturalistiche
     Il paganesimo della preistoria era un paganesimo fatto di religioni naturalistiche. Quando l’uomo, agli albori della sua storia sulla Terra, cominciò il suo sviluppo intellettivo, si ritrovò davanti per prima cosa la natura: i fenomeni naturali erano la prima esperienza che egli fece e soprattutto furono il primo “pretesto” per cominciare a riflettere. La riflessione dell’uomo sull’uomo stesso è infatti qualcosa di molto posteriore alla preistoria, che presuppone un grado di maturità intellettuale maggiore di quello che potevano avere gli ominidi della preistoria. Quindi l’uomo preistorico rifletteva sulla natura, e questa è una cosa nota già dai tempi di Aristotele (IV secolo a.C.), il quale affermava che la filosofia cominciò allorquando l’uomo si fermò a riflettere sulla natura in quanto “meravigliato” da essa. Per Aristotele è infatti la meraviglia di fronte alla grandezza e alla superiorità della natura ciò che spinge l’uomo a riflettere e a porsi i primi interrogativi. Egli usa una parola precisa, che in italiano si rende con “meraviglia”, ma che ha un significato molto più specifico di quello che questa parola evoca per noi oggi: thàyma. In verità "thàyma" non significa proprio “meraviglia”, ma piuttosto “paura reverenziale”: in questa accezione il vocabolo contiene certamente il senso della meraviglia, ma questo senso è insito all’interno di un sentimento più generale di timore (e, quindi, di sottomissione) nei confronti di avvenimenti (i fenomeni naturali) che vengono percepiti come superiori all’uomo. Infatti le tempeste, i fulmini, i venti, il freddo gelido e il caldo torrido sono cose che l’uomo non può controllare, e se non le può controllare allora significa che esse sono superiori a lui, sono entità che agiscono imponendosi sull’uomo. E sono cose che possono anche distruggere l’uomo, fargli del male, impedirgli di sopravvivere: per il freddo si può morire, un fulmine può incendiare una palafitta, una raffica di vento può impedire la conservazione di un fuoco togliendo forse la sola difesa contro le belve feroci…
     L’uomo teme i fenomeni naturali fin dal suo primo comparire sulla Terra: perciò, quando cominciano a formarsi le prime religioni naturalistiche è inevitabile che sia proprio nei fenomeni del cielo che vengano proiettati i primi dèi. E questo è un processo che si protrarrà in tutte le religioni antiche, che sono figlie di queste religioni naturalistiche. Un esempio per tutti può essere il dio Zeus, il cui simbolo è non a caso il fulmine! Certo, esistevano anche dèi che venivano assimilati ad altri luoghi naturali, ma gli dèi più importanti, gli dèi per eccellenza, quelli più potenti sono assimilati a fenomeni del cielo. Dal cielo infatti viene la pioggia, che può far crescere le piante di cui l’uomo si nutre, dandogli quindi la possibilità di sopravvivere; dal cielo arrivano però anche i temporali che sono punizioni o manifestazioni di ira del dio nei confronti degli errori che l’uomo commette. Ecco perché nelle religioni pagane il cielo è un elemento così predominante, tanto predominante da essere spesso la sede degli dèi.

Il ruolo del cielo nel Cristianesimo
     Anche il Dio cristiano è intimamente collegato al cielo. Ma il Cristianesimo viene elaborato in un momento di maggiore sensibilità del pensiero dell’uomo, e quindi il suo rapporto col cielo si spiega con un’argomentazione un po’ più articolata.
     La prima cosa da dire è che il Cristianesimo ha avuto la fortuna di nascere nel momento in cui il pensiero filosofico greco aveva partorito tutti i suoi filoni, l’ultimo dei quali fu il neoplatonismo. Ora, il Cristianesimo aveva bisogno, agli albori della sua storia, di una sua filosofia che spiegasse agli uomini la visione del mondo secondo questa religione, perché una religione deve anche spiegare come funziona il mondo e come esso è legato al Dio: tutti questi elementi non erano presenti o ben definiti all’inizio. Alla costruzione di questo edificio ideologico si dedicarono i cosiddetti Padri della Chiesa, che erano dei pensatori filosofi-teologi. Ora, i Padri della Chiesa, che erano pensatori istruiti alla filosofia antica, attinsero dalle filosofie antiche i principi, le teorie e gli strumenti logici per spiegare e descrivere il divino. O almeno è inevitabile che da esse si facessero condizionare. Questo significa che l’elaborazione dell’immagine di Dio si basava su teorie, strumenti, formae mentis delle filosofie precedenti, che erano state i primi tentativi di dare al mondo (e quindi anche al divino) delle spiegazioni razionali.
     Il Cristianesimo contiene dunque molti elementi presi dalla filosofia greca, anzi si può dire che l’elaborazione del mondo secondo la visione cristiana, e la stessa concezione del Dio cristiano, è fatta quasi totalmente usando le dottrine del pensiero greco. In particolare, la quasi totalità di quello che oggi è l’idea di Dio, del Paradiso, del percorso dell’uomo con Dio sono stati presi dall’ultimo prodotto della filosofia greca, il neoplatonismo. Se si studia questa corrente filosofica, il cui esponente più importante fu il filosofo Plotino assieme al suo discepolo Porfirio, si noteranno infatti tantissimi punti in comune con la religione cristiana, se non addirittura gli stessi identici principi. E non è una coincidenza: è stato un fatto voluto. I filosofi che avevano il compito di dare al Cristianesimo una sua struttura ideologica (i Padri della Chiesa, appunto, e primo fra tutti il filosofo Agostino), studiarono le filosofie precedenti, spesso vi aderivano anche, e gli schemi teorici di quelle filosofie entravano a far parte del loro modo di pensare, di vedere il mondo, di spiegare il mondo. Quindi, nel dare al Cristianesimo una veste ideologica e filosofica, essi dovettero per forza usare i modelli teorizzati dal pensiero greco precedente. E qui veniamo al punto della questione…
     Uno di questi modelli della filosofia greca che è entrato a far parte del Cristianesimo è in grado di spiegare perché Dio viene pensato risiedere in cielo. Ecco in sintesi come avviene l’elaborazione di questa immagine.
     Cominciamo col dire che è bene che Dio risieda in cielo poiché nella visione greca il cielo è un luogo di perfezione. Gli antichi infatti credevano che il cielo, anzi: i cieli, fossero un mondo diverso da quello terrestre, fatto di una materia diversa, in cui valessero leggi fisiche diverse. Per l’uomo antico il mondo dei cieli è totalmente diverso dal mondo della Terra: la Terra è il luogo degli uomini e degli esseri viventi, il luogo dove le cose cambiano, dove c’è la nascita e la morte, il luogo della materia che si corrompe e si degrada; i cieli sono il luogo degli dèi immortali, il luogo dove tutto rimane sempre uguale, dove nulla nasce e nulla muore, il luogo in cui non c’è la materia corruttibile, ma l’etere, una sostanza eterna che non si degrada, il luogo dove il tempo non esiste (visto che nulla nasce e nulla muore), ma esiste solo l’eternità.
     E come mai i cieli vengono concepiti come un luogo di perfezione? Cos’è che ha convinto l’uomo filosoficamente più maturo a pensare che la perfezione sia una caratteristica propria solo del mondo celeste? La risposta sta nel movimento degli astri. L’uomo antico fin dai tempi più remoti ha infatti notato che gli astri (stelle, pianeti, satelliti) si muovono nel cielo secondo traiettorie circolari e movimenti eterni. Ed è proprio nell’idea di circonferenza che risiede l’idea di perfezione. La circonferenza è ciò che collega il divino alla perfezione.
     Secondo la visione del mondo greco, infatti, la circonferenza è l’immagine geometrica di ciò che è perfetto e per dimostrarlo mettiamo a confronto due tipi di movimento, quello rettilineo e quello circolare. Un movimento fatto in maniera rettilinea, come lungo un segmento, è per l'uomo greco un movimento imperfetto, perché esso ha un punto di inizio da cui parte e un punto di arrivo a cui tende. Il fatto che qualcosa si muova in modo rettilineo verso un punto finale significa che tende a raggiungere uno scopo, un fine, una perfezione che all’inizio del movimento non aveva. Per esempio, il fuoco, come spiega Aristotele, tende a muoversi verso l’alto (movimento rettilineo) poiché tende a raggiungere il luogo a esso più naturale, essendo l’elemento più leggero di tutti. Se il fuoco fosse già in alto non avrebbe bisogno di muoversi per arrivarci, poiché starebbe già nel suo stato più proprio. Ma, proprio perché non è in alto, si muove per raggiungerlo, si muove per acquisire quello stato di perfezione che gli è proprio e che ancora non possiede sulla Terra.
     Invece i movimenti circolari sono tipici delle cose perfette: in una circonferenza infatti non esiste un punto di inizio e un punto di arrivo, poiché ogni punto della circonferenza è esattamente uguale a tutti gli altri (tutti i punti di una circonferenza hanno la stessa distanza dal centro); perciò un movimento circolare non ha un inizio e non ha una fine; ma se non ha una fine, vuol dire che non ha un punto finale a cui arrivare, non ha alcuno stato di maggiore perfezione da raggiungere, in quanto è già perfetto.
     La perfezione è inoltre qualcosa di immutabile: la stessa parola “perfetto” significa a livello etimologico “fatto completamente”, “completamente compiuto”, “realizzato del tutto”, e una cosa perfetta non ha bisogno di cambiare, poiché è già nel suo stato di massima realizzazione. E non a caso un movimento fatto secondo una traiettoria circolare può ripetersi in eterno in maniera sempre uguale (immutabile) senza finire mai (perché non c’è mai un punto di arrivo), poiché in esso non esiste una fine che rappresenti un gradino finale di perfezione.
     Ora, gli astri del cielo si muovono, per l’uomo antico, proprio secondo traiettorie circolari eterne (anche se con Keplero, secoli dopo, si scoprì che le orbite sono ellittiche e non circolari). Essi, quindi, compiono movimenti perfetti, quindi sono perfetti essi stessi, così come perfetto è il luogo dove risiedono, che è appunto il cielo. Vedendo che nei cieli nulla cambia mai e che gli unici movimenti (allora) conosciuti sono quelli circolari, l’uomo antico ha dedotto che il cielo è il luogo della perfezione.
     E voi, su queste basi, dove lo mettereste un dio? Non lo mettereste anche voi in cielo, nel luogo che è più alla sua altezza, nel luogo più perfetto, visto che lo stesso Dio, per sua definizione, è un essere perfetto?


martedì 19 aprile 2011

Esercizi di Kegel. Cura e prevenzione della zona pelvica

     Oggi voglio parlare di una metodica terapeutica e preventiva che si occupa della tutela della zona pelvica del nostro corpo, ovvero quella parte che va dall’addome ai genitali: la pelvi è quindi il “fondo” del nostro tronco, quello spazio che contiene gli organi come la vescica, l’utero (nelle donne), il colon (cioè l’ultima parte dell’intestino crasso)…
Immagine in trasparenza della muscolatura del pavimento pelvico
di una donna. Si notano sezionati il colon, l'utero e la vescica.
     Perché è così importante questa zona? Perché ad essa (o meglio: ai suoi organi) sono associati una serie di disturbi e disfunzioni molto, ma molto comuni e molto più trascurati di quanto si pensi. Tutti questi problemi hanno in comune il fatto di dipendere dall’attività alterata di precisi muscoli della pelvi, che si chiamano genericamente muscoli del pavimento pelvico. Gli organi pelvici infatti non “galleggiano” nella pelvi, ma sono sistemati su un “pavimento” di muscoli che, oltre a sostenerli e tenerli in posizione, contribuiscono alla loro funzionalità grazie alle loro contrazioni.
     Le disfunzioni pelviche però possono essere facilmente prevenute o curate con un semplicissimo tipo di esercizi che descriverò di seguito: si tratta degli esercizi di Kegel, dal nome di Arnold Kegel, un ginecologo statunitense. Attenzione: quando si sente la parola esercizi viene ovviamente subito in mente una serie di fatiche fisiche che fanno sudare o che provocano dolore e prevedono sacrifici. Non questa volta: in questo caso ci troviamo di fronte a esercizi totalmente privi di ogni fatica, che possono essere eseguiti senza il minimo sforzo, senza addirittura essere notati e in ogni momento della giornata.
     Ora, se avete uno dei seguenti problemi, o se volete prevenirli per gli anni a venire, o semplicemente se ne siete curiosi, potete leggere i tre prossimi paragrafi; se li conoscete già e siete interessati solo all’esecuzione degli esercizi, andate agli ultimi due paragrafi. I problemi più rilevanti riguardo le disfunzioni della zona pelvica sono…

Incontinenza urinaria
     L’incontinenza è l’incapacità di regolare il flusso di liquidi corporei. Come sappiamo, infatti, urinare è un atto in gran parte volontario nel senso che si può “decidere”, entro certi limiti fisiologici, se e quando liberare il flusso di urina. È bene non trattenere spesso la pipì, perché la vescica deve svuotarsi regolarmente, altrimenti si rischiano infezioni delle vie urinarie.
Schematizzazione del sistema urinario.
     Quando una persona è incontinente perde urina senza volerlo, perché non riesce a controllare quei muscoli che permettono all’urina di uscire, chiudendole o aprendole la strada verso l’esterno. L’urina, infatti, prodotta dai reni, scivola tramite due tubicini (detti ureteri) dentro la vescica, una sacca muscolare elastica che la accumula e la conserva dilatandosi fino al momento in cui si gonfia troppo: quando la vescica si riempie troppo, infatti, parte un riflesso (cioè una risposta involontaria del corpo) che ci fa venire lo “stimolo”, ovvero la sensazione di dover urinare. Il momento in cui ci si lascia andare e si permette all’urina di defluire fuori dal corpo è il momento in cui “apriamo la strada” al flusso di urina. Ma cosa vuol dire aprire la strada al flusso? Immaginatevi un serbatoio pieno di liquido, da cui parte un tubo che può far uscire il liquido tramite un rubinetto: il serbatoio è la vescica, che contiene l’urina; il tubo è l’uretra, cioè il condotto finale che porta l’urina dalla vescica all’esterno (nell’uomo l’uretra è più lunga perché decorre all’interno del pene, mentre quella della donna è più corta e sbocca sotto il clitoride); e il rubinetto è rappresentato dalle “porte” muscolari (quindi muscoli!) che permettono all’urina di passare (se sono aperte) o non passare (se sono chiuse): queste porte si chiamano sfinteri. Gli sfinteri sono proprio i muscoli che noi usiamo quando ci tratteniamo dal fare pipì. Per una rappresentazione più figa dell’apparato urinario consiglio questo breve video che ne illustra le componenti in grafica 3D (vi avverto che il video è in spagnolo, ma si capisce benissimo, e poi è solo per dare uno sguardo).
     Da questa breve sintesi su come funziona la minzione si capisce che l’attività urinaria dipende da muscoli! Ed è facile ora intuire che, se questi muscoli non funzionano bene, perché sono deboli in quanto sono stati sollecitati poco o male nel corso della vita, allora non riusciranno a chiudere bene quella porticina attraverso cui passa l’urina: gli sfinteri, cioè, non saranno efficaci. Il risultato è che in talune condizioni, come un colpo di tosse, una risata improvvisa, il sollevamento di un oggetto pesante, ovvero in tutte quelle situazioni in cui ci sia un aumento della pressione nella zona pelvica, una certa quantità di urina può essere persa o non trattenuta bene: è così che funziona genericamente l’incontinenza urinaria.

Sfintere dell'uretra maschile in sezione sagittale.

Sfintere dell'uretra femminile in sezione sagittale.

     Vale la pena di ricordare, anche solo di volata, che sarebbe meglio parlare di incontinenze urinarie, al plurale, poiché, sebbene il sintomo sia sempre lo stesso (perdita incontrollata di una certa quantità di urina), tuttavia le condizioni e gli stimoli che danno vita a questo sintomo sono diversi. Ai fini di questo articolo, però, non è necessario trattare anche tutti i tipi di incontinenze urinarie.

Perdita del tono muscolare e prolasso pelvico
     Questa è una cosa che riguarda soprattutto le donne. Il “tono” muscolare è il grado di contrazione di un muscolo in certe condizioni. Normalmente nello stato di riposo i muscoli pelvici sono contratti con una certa intensità di base, hanno un loro “tono”, cioè sono “tonici”: quel tono serve a mantenere gli organi interni fissati in precise posizioni. Se la tonicità di un muscolo (di qualsiasi muscolo) è troppo bassa, esso non riesce a svolgere bene la sua funzione e lo stesso vale per i muscoli pelvici: mantenere un buon tono muscolare riduce i rischi del prolasso degli organi. Il prolasso consiste nello spostamento/scivolamento di un organo in una sede diversa da quella in cui dovrebbe stare e avviene benissimo quando il tono muscolare dei muscoli che dovrebbero tenere in sede un organo si abbassa molto perché i muscoli sono sfiancati. Nel mondo femminile un prolasso molto conosciuto (e temuto) è il prolasso uterino, che riguarda cioè l’utero.
     Ma ciò che interesserà di più a tal proposito è quella sensazione che si può avvertire dopo il parto, quando ci si sente “più larghe”: col parto infatti, la sinfisi pubica si dilata e lo stesso canale vaginale, da cui fuoriesce il feto, si apre moltissimo e la muscolatura non è così elastica da ritornare esattamente come prima. Una rieducazione muscolare post partum è quindi d’uopo per le donne che hanno portato avanti una gravidanza. In questo modo i muscoli di quella zona diventano più tonici e questo ripristina il funzionamento corretto dell’attività vaginale (sia per fini sessuali, sia per un nuovo parto). Non a caso, nei corsi pre-parto viene insegnato, tra le tante cose, a contrarre i muscoli giusti. Ricordiamo infine che anche con la menopausa si rischia di sfiancare la muscolatura, il che riporta ai tipici problemi di incontinenza di cui abbiamo parlato prima.

Disfunzioni sessuali
     Tra le disfunzioni sessuali maschili più ricorrenti e più temute c’è senz’altro l’eiaculazione precoce: problema vissuto molto male e preso da una prospettiva totalmente errata dalla stragrande maggioranza degli uomini. Non affronteremo qui nel dettaglio anche questo problema, poiché esso, quando esiste veramente, è il risultato dell’interazione di una serie di fattori fisici e psichici su cui davvero non si può parlare approssimativamente: diremo solo che l’allenamento dei muscoli pelvici, in particolare i muscoli bulbo-cavernoso e ischio-cavernoso, ha un ruolo importante nell’acquisizione della consapevolezza del funzionamento del proprio coito, aiutando a controllare l’orgasmo o a ritardarlo. Dicasi lo stesso per i problemi di erezione o disfunzioni erettili, che vanno sotto il nome tecnico di impotentia coeundi (dal latino: “incapacità di eseguire un coito”), ovvero l’incapacità di raggiungere e mantenere un’erezione che sia sufficiente a compiere un coito completo.

Localizzazione dei muscoli bulbo-cavernoso e 
ischio-cavernoso 

nell'uomo.

     Anche per la donna l’esercizio della muscolatura pelvica può aiutare a vivere meglio il rapporto col proprio partner: si può per esempio aumentare la sensazione di “riempimento” vaginale quando il pene è inserito nella vagina contraendo i muscoli pelvici attorno al pene durante il coito. In questo modo sarà come se il pene del partner premesse di più contro le pareti vaginali e ci si sentirà più “riempite” (e in questo caso il piacere aumenta anche per lui). Di conseguenza, anche l’orgasmo è facilitato con gli appositi esercizi, poiché, essendo la vagina più stretta, risulta più sensibile e gli orgasmi si raggiungono più facilmente e sono più intensi.

Come eseguire gli esercizi di Kegel
     E veniamo al cuore del discorso. Come si compiono questi benedetti esercizi di Kegel?
     La prima cosa da capire è quali siano i muscoli da contrarre durante le esercitazioni. Stiamo parlando, infatti, di muscoli pelvici, che non sono visibili dall’esterno e che non si possono trovare al tatto, come si percepirebbe, per esempio, un bicipite. Per trovare i muscoli giusti si può usare il seguente stratagemma: al momento di urinare, mentre l’urina sta defluendo all’esterno, si deve provare a interrompere il flusso e concentrarsi sui muscoli che si stanno usando in quel momento per fare ciò: i muscoli da allenare sono gli stessi che bloccano il flusso. Attenzione: questo piccolo esperimento va fatto solo per capire quali siano i muscoli da trovare. Non va ripetuto assolutamente più del necessario e soprattutto non a distanza di poco tempo: se non trovate subito i muscoli in questione, ripetete pure l’esperimento a distanza di ore. Inoltre gli esercizi veri e propri non vanno eseguiti durante la minzione, ma si devono sempre eseguire a vescica svuotata (subito dopo aver fatto pipì, quindi, sarebbe l’ideale).
     Le donne possono usare anche un altro sistema: inserendo un dito all’interno della vagina, possono provare a contrarne i muscoli percependo il tono muscolare sul dito. Si possono usare anche oggetti diversi dal proprio dito, ma per fini pratici esso basta.
     Dopo aver trovato i muscoli giusti si può iniziare a contrarli. La contrazione di questi muscoli, lo si capisce con facilità, non richiede nessuna posa particolare, nessuna situazione particolare né tanto meno strumenti particolari.
     Le contrazioni muscolari dovrebbero richiedere idealmente tre sedute al giorno: sono sedute molto brevi, ognuna composta da dieci contrazioni. Si può stare seduti, sdraiati, con la gambe incrociate, potreste farli perfino mentre state a tavola o mentre vi lavate, non importa. In ogni serie si fa una contrazione di prova per “sentire” i muscoli giusti, poi si inizia a contrarli e li si tiene contratti per pochi secondi (in media 5 secondi: cominciamo con poco, toh); poi li si rilassa lentamente e li si tiene rilassati per la stessa durata di tempo. Il rilassamento dei muscoli è importante tanto quanto la loro contrazione, quindi attenzione a non strafare, o si otterranno effetti collaterali.
     Una volta fatta la prima contrazione se ne fanno altre nove. In totale potete fare le vostre dieci contrazioni per ogni seduta. Si può scegliere di eseguire una seduta la mattina, appena svegli, una il pomeriggio e una la sera prima di andare a letto.
     Esistono anche degli strumenti, volendo, che aiutano l’esecuzione degli esercizi di Kegel, come per esempio il manometro di Kegel, il bilanciere o i coni vaginali, ma non tratteremo di questo aspetto tecnico in questo articolo.

Avvertenze e precauzioni
     Altrettanto importanti sono alcune raccomandazioni al fine di evitare effetti indesiderati. Ve le elenco di seguito e vi prego di fare molta attenzione ad esse:
  1. Come già raccomandato, non eseguire gli esercizi di Kegel durante lo svuotamento della vescica!
  2. Ripetere gli esercizi con regolarità ogni giorno (tanto costano veramente pochissimo, non fate i pigri!) per ottenere risultati ottimali dopo poche settimane.
  3. Evitare di contrarre muscoli diversi da quelli indicati: le prime volte, infatti, a molte persone verrà spontaneo contrarre, di riflesso, muscoli sbagliati, come quelli dell’orifizio anale, o i muscoli addominali, o i muscoli delle cosce. Questo va evitato perché vanificherebbe l’efficacia degli esercizi, oltre a trascurare proprio i muscoli che andrebbero veramente allenati. State rilassati e concentratevi molto tranquillamente, magari a occhi chiusi, sulla zona giusta (dopo aver fatto le prove consigliate).
  4. Non strafate: cominciate da contrazioni e rilassamenti di breve durata e aumentate la durata solo quando siete esperti. Se le sedute vi provocano dolore o manifestano effetti collaterali, interrompete subito e fatelo presente al vostro medico.
  5. Ove possibile, parlate di questa metodica con il vostro medico e fatevi consigliare. Se non è un medico cane, saprà darvi le indicazioni giuste.


     Se eseguiti correttamente, questi semplici esercizi di Kegel aiuteranno a prevenire le disfunzioni di cui abbiamo parlato, renderanno la vostra vita sessuale più gradevole e vi daranno una mano a scongiurare o, almeno, a ritardare quei tipici acciacchi e inconvenienti della terza età.

giovedì 7 aprile 2011

6 aprile 2011: comincia il processo Ruby

     Ieri, 6 aprile 2011, al Palazzo di Giustizia di Milano, alle ore 9.30 si è aperto formalmente il processo Ruby, ovvero il processo che vede imputato Silvio Berlusconi per concussione e prostituzione minorile in seguito agli eventi di cui si è tanto discusso alcune settimane fa e avvenuti l’anno scorso (per informazioni vedere anche i miei post su questo blog degli scorsi 14, 21 e 23 gennaio); lo stesso processo vede coinvolti, lo ricordiamo, anche altre persone, tra cui Emilio Fede, Lele Mora e, ovviamente, la stessa Karima El Marhoug, ovvero “Ruby”. La notizia, che a mio avviso è importante, è stata annunciata in vari modi: mentre sulle reti Mediaset e quelle filoberlusconiane la cosa è stata trattata di volata o diffusa in maniera da far apparire il premier come vittima dell’ennesimo attacco ad personam da parte della Magistratura, sulla rete ci si è sbizzarriti di più. Già da qualche tempo cominciavano a circolare video divertenti a sfondo satirico, come Arcore’s nights, una parodia del brano “Summer nights” del celebre musical Grease, realizzato da Mariano Apicella e prodotto da Sora Cesira; oppure Inception Berlusconi, una parodia politica del recente film di Christopher Nolan Inception, pensata e realizzata da Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi. E, proprio Fontana e Stasi sono tornati questa volta con un altro “trailer” satirico tutto improntato sull’inizio del processo Ruby, qui presentato scherzosamente come un evento imperdibile che tutti aspettavano da tempo. Ma non voglio dirvi nulla: vi lascio godere questo piccolo capolavoro, così ci si informa facendosi due risate.



     Chissà se questo processo verrà portato a termine o se invece farà la fine di molti altri processi che Berlusconi si vanta di aver vinto, ma che in realtà sono stati semplicemente interrotti perché caduti in prescrizione. La storia reclamerebbe delle verità, buone o cattive che siano. Speriamo bene!