venerdì 15 marzo 2019

In marcia per il clima: la rivoluzione di Greta Thunberg

     Nell’agosto 2018 in Svezia una bambina di appena 15 anni, che coltivava una passione per le tematiche di ecologia fin dall’età di 8 anni, rimanendo allarmata dalle eccezionali ondate di calore nel suo paese e dai numerosi incendi boschivi provocati dal surriscaldamento globale, decise di scioperare per un intero mese tutti i venerdì di fronte al parlamento svedese con un cartello su cui era scritto SKOLSTREJK FÖR KLIMATET (Sciopero scolastico per il clima).

     Quella bambina si chiama Greta Thunberg.


     Chiaro e trasparente, quel cartello dichiarava chiare intenzioni: che senso ha andare a scuola e prepararsi per un futuro che rischia addirittura di non esserci? Perché affannarsi tanto a imparare cose che dovranno servire per domani, se l’esistenza di quello stesso domani è minacciata?

     Greta sa bene che il surriscaldamento globale non è, come molti erroneamente pensano, solo una questione di temperatura: aumentare di un solo grado la temperatura del pianeta non significa che farebbe solo più caldo.
     Sbilanciare la temperatura in questo modo produce squilibri ecologici spaventosi: significa modificare il clima di regioni del mondo che ora ospitano specie animali e vegetali e renderle inospitali alla vita, significa annientare la possibilità di poter coltivare cibo su vastissime aree del pianeta, che a sua volta vuol dire far morire di fame miliardi di persone; significa anche portare temporali, uragani, tsunami, tornado in luoghi dove il clima è ora mite e abitabile e creare interi flussi di migranti climatici, che cercheranno rifugio in molte zone del mondo, creando emergenze sociali, sanitarie, problemi di accoglienza, come già accade oggi con i migranti africani e asiatici che scappano dalla guerra rifugiandosi in Europa. Significa condannare all’estinzione centinaia di specie animali, alterando paurosamente la catena alimentare. Significa, in una parola, mettere l’umanità e la vita in generale del pianeta sull’orlo dell’estinzione.

     Sono in pochi ad essere veramente consci di quanto grave sia il problema del surriscaldamento globale e, di conseguenza, non esiste, secondo Greta, un sufficiente “panico” da parte delle persone.
     Strano a dirsi, in frangenti come questo proprio il panico è una reazione appropriata perché spingerebbe le persone a cambiare e a pretendere dai propri politici di adottare misure legislative per modificare il sistema economico che abbiamo in modo da ridurre il suo impatto sull’ambiente. E invece l’addormentamento generale delle coscienze ha fatto sì che il problema continuasse ad aggravarsi nell’arco dei decenni e ora è diventato improrogabile.

     Eppure lo sforzo necessario non è così grande come potrebbe sembrare. Anzi! Greta sa anche questo: «La crisi climatica è già stata risolta: abbiamo già tutti i fatti e le soluzioni». Manca solo l’azione, quell’ingrediente che dà senso a tutte le riflessioni, i dibattiti, gli scontri che si fanno in nome di un’idea.

     E invece lo stesso sistema che ha creato il problema fa di tutto per nascondere la gravità del problema: i politici ignorano volutamente la questione, nessuna legge viene fatta per regolarizzare le strategie di consumo e di produzione; gli stessi mass media, spesso pilotati da ristretti gruppi di potere, omettono di citare le conseguenze di questa crisi impedendo alle persone di farsi un’idea chiara sull’argomento.
     Greta sa bene che pregare i politici per l’ennesima volta non servirebbe: «ci hanno già ignorato in passato e ci ignoreranno ancora». Quindi non c’è spazio per la diplomazia, rimane solo l’azione, immediata e decisa.


     Grazie agli scioperi di Greta è nato un movimento, Friday for Future (venerdì per il futuro), che ha l’intento di mobilitare, partendo dai più giovani, le coscienze di tutto il mondo per passare all’azione.
     Oggi, venerdì 15 marzo, studenti da tutto il mondo manifesteranno e marceranno nelle principali città dei rispettivi paesi per gridare al mondo che il mondo non ha intenzione di aspettare ancora.

     Su Greta non sono mancati attacchi e si è messa in moto la consueta macchina del fango: qualcuno l’ha accusata di istigare i giovani a saltare le lezioni scolastiche, di manovrarli. In realtà una ragazzina che si prende il disturbo di rinunciare alla scuola per dare una svegliata a coloro che, profumatamente pagati, non svolgono il lavoro di tutela della collettività, non solo ha già dimostrato di avere già cultura (più cultura di quegli stessi politici!), ma getta anche un’ombra di vergogna su coloro che – politici e non – hanno avuto bisogno di una ragazzina per capire il rischio che tutti stiamo correndo.

     C’è stato anche chi non ha mancato di cadere ancora più in basso, ingiuriando Greta per la sua presunta boria ed arroganza da prima della classe (bacchettare dei politici sarebbe troppo per una ragazzina secondo questi presunti giornalisti). Dimenticando poi che l’aria arrogante (ammesso che la si noti) di Greta deriva dal fatto che ella è affetta da sindrome di Asperger, un disturbo comunicativo che non compromette le capacità cognitive, linguistiche ed emotive del soggetto, ma che lo rende poco capace di rendere manifeste le proprie emozioni e talvolta lo fa apparire erroneamente come freddo o insensibile a chi lo vede dall’esterno: gli Asperger sono in realtà perfettamente in grado di provare emozioni, di sentire quelle altrui ed hanno interessi personali (che anzi spesso risultano molto selettivi e limitati). Spesso, come nel caso di Greta, soffrono anche di mutismo selettivo, il che vuol dire che parlano di rado, solo quando lo ritengono importante.

     Altri ancora hanno sottolineato che dietro Greta potrebbe nascondersi in realtà un gruppo di attivisti che userebbe Greta per promuovere le proprie azioni (una cosa che, se anche fosse vera, non sarebbe neanche tanto criminosa, a condizione che la stessa Greta abbia a sua volta a cuore in modo sincero la questione: in tal caso sarebbe al massimo una portavoce).

     Dall’altra parte c’è chi ha chiesto a Greta di continuare a studiare per diventare una scienziata del clima e risolvere la crisi. Ma anche questo è quasi un’offesa: sia perché la risoluzione della questione climatica è un problema unicamente politico (i rimedi sono già stati proposti dalla scienza, spetta alla politica renderli obbligatori), sia perché non ha senso chiedere ai governanti di oggi di delegare la risoluzione del problema alle generazioni future, in quanto per allora il problema si sarà già aggravato in modo irrimediabile. I governanti di oggi devono agire oggi. Altrimenti vorrà dire che saranno solo un branco di «bambini viziati che non sanno assumersi le proprie responsabilità».

     La risonanza di Greta è stata tale che essa è stata invitata a parlare in molte riunioni e dibattiti pubblici con esponenti della grande politica: lo scorso dicembre, ad esempio, Greta, ha parlato alla COP24, il vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici tenutosi in Polonia. Ha partecipato anche all'incontro di Bruxelles a febbraio 2019 o a quello di Amburgo del 1° marzo.


     Un gruppo di deputati socialisti norvegesi ha segnalato Greta come candidata all’assegnazione del prossimo premio Nobel per la pace. Questa ragazzina è riuscita (da sola? con l’aiuto di qualcuno? che importa, se il fine è così nobile?) a scuotere le coscienze dell’intero pianeta con la sua lineare ragionevolezza, con il suo stile diretto e cristallino e con una pacatezza e una sobrietà che ne fanno un’attivista davvero singolare.

     Ma noi, persone comuni, vero motore della nostra specie, riusciremo stavolta ad essere all’altezza di questo efficace appello? O riveleremo ancora una volta la nostra parte peggiore, sprecando anche questa irripetibile occasione?




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