Che la Grecia sia diventata una sorta di
laboratorio umano su cui sperimentare le varie strategie di dittatura
finanziaria dell’Unione europea lo sapevamo già. Tuttavia la fantasia e la
spudoratezza dei “big” a capo di questi meccanismi sembra non avere alcuna
forma di limite. Risale a qualche giorno fa una decisione aberrante: chiudere
la tv pubblica e licenziare in un colpo solo 2700 persone. È seguita poi anche
la sospensione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, conclusasi con un ultimo
concerto in lacrime. Smembrata pezzo per pezzo, la Grecia sta subendo inerme i
colpi della Troika. Ma i veri motivi per cui si è deciso di sfogare sulla tv
gli ordini provenienti dall’“alto” ci vengono spiegati da Pavlos Nerantzis, in
questo articolo tratto da Europa quotidiano.
gdfabech
Lo stesso governo che ha riempito la Ert di
raccomandati adesso invoca gli sprechi. Ma il bilancio dell'emittente era in
attivo. Hanno pesato di più i servizi "scomodi" sulla crisi.
I nomi
del premier greco, Antonis Samaras,
del ministro dell’economia, Jannis
Stournaras, e del portavoce governativo, Simos Kedikoglou, rimarranno nella storia ellenica perché sono
riusciti a fare l’impensabile: hanno
staccato la spina alla radio-televisione pubblica. Nemmeno la giunta dei
colonnelli negli anni Settanta – con i suoi interventi di censura sull’emittente
pubblica – aveva tentato una cosa simile.
La
notizia della chiusura dell’Ert
(Radio televisione ellenica), paragonabile a un ordigno esplosivo nel campo
della libertà di stampa, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Martedì
scorso – mentre i giornalisti stavano preparando il notiziario delle ore
ventuno, quello più seguito – in redazione è piovuto il comunicato del governo:
«In un momento in cui chiediamo grandi sacrifici alla popolazione ellenica non
possono esistere realtà intoccabili ed Ert è una situazione dove esistono
grandi sacche di opacità e di spreco di denaro pubblico». Negli studi di Agia
Paraskevi ad Atene, a Salonicco e nelle venti sedi periferiche, dopo la
sorpresa, la reazione è stata rabbiosa.
Non solo
perché da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso, questi 2700 lavoratori della radiotelevisione
pubblica venivano licenziati in una maniera brutale. Ma anche perché Simos
Kedikoglou, ex giornalista, assunto negli anni Novanta proprio all’Ert grazie
alle conoscenze di suo padre, allora parlamentare socialista, aveva garantito
fino al giorno prima che era «stufo di smentire le notizie false della chiusura
dell’Ert e di eventuali licenziamenti». Oltretutto da qualche anno il bilancio
di Ert era passato in attivo, grazie
ai tagli degli stipendi e a una riduzione degli sprechi.
Ma il
secondo choc doveva ancora arrivare, alle 23.15 di martedì sera. Negli studi
non c’erano solo i giornalisti, ma intellettuali, uomini dello spettacolo e
della cultura, gente comune, tutti contrari alla decisione del governo. È
allora che hanno staccato la spina, per di più grazie a un decreto firmato
soltanto dal ministro dell’economia: mancano cioè le firme degli altri ministri
competenti, esponenti del partito socialista Pasok e della Sinistra democratica
(Dimar), partner minori del governo di coalizione. «Si tratta di un colpo di
stato costituzionale», hanno commentato noti professori universitari e
sindacalisti.
Nonostante
la serrata, tutti i giornalisti e i tecnici hanno espresso la volontà di
continuare a trasmettere. Ma si sono trovati di fronte poliziotti in tenuta
antisommossa pronti a impedire l’accesso alle antenne dell’Ert. Tre giorni
dopo, le proteste continuano massicce. Ieri [13 giugno 2013] le Confederazioni
generali dei lavoratori nel settore pubblico e quello privato, Adedy e Gsee,
hanno scioperato per 24 ore. Lo stesso anche le Associazioni dei giornalisti,
mentre migliaia di persone si radunano pacificamente ogni giorno di fronte alle
sedi dell’Ert. I programmi ormai autogestiti dell’emittente pubblica continuano
ad andare in onda via internet oppure attraverso emittenti comunali e private
che hanno offerto le loro lunghezze d’onda ai giornalisti licenziati. Una
solidarietà senza precedenti: l’arroganza del potere di Samaras ha mosso la
coscienza della maggioranza dei greci, colpiti già dalla crisi, dalla
recessione prolungata e da una quantità di promesse non mantenute.
Certo l’Ert, come del resto tutti gli
organismi del settore pubblico, ha subìto le conseguenze di anni di clientelismo. L’emittente pubblica
greca è stata da sempre la riserva di caccia dei due partiti che guidano il
paese da decenni, la Nea Dimokratia e il Pasok. I maggiori scandali sui
maxi-stipendi riguardavano proprio quegli “esperti” iscritti ai partiti di
governo e assunti direttamente dai ministri per “modernizzare” l’emittente
pubblica. La direttrice generale dell’Ert3, per esempio – una giornalista in
pensione assunta dai conservatori e rimasta al suo posto anche durante il
governo di Georgios Papandreou – ancora dopo l’inizio della crisi guadagnava
più di 17mila euro al mese. Altri colleghi, dirigenti e golden boy legati ai
partiti, arrivavano a guadagnarne 35mila. Il tutto mentre la stragrande
maggioranza dei dipendenti dell’Ert, anche quelli assunti grazie a logiche
clientelari, si vedeva ridurre lo stipendio a meno di mille euro per via del
memorandum sull’austerità.
Lo
stesso Simos Kedikoglou, portavoce del governo e responsabile “politico” della
tv pubblica, nell’arco degli ultimi dodici mesi ha fatto assumere diciassette
nuovi dirigenti. In altri termini, come fanno notare le associazioni dei
giornalisti e il sindacato, «se ci sono stati sprechi e clientelismo l’attuale
governo è responsabile almeno quanto i suoi predecessori».
Il dato
straordinario è che, nonostante le pressioni e le lamentele dei ministri, la
gran parte dei giornalisti dell’Ert aveva continuato a svolgere il proprio
lavoro con una professionalità pari o superiore a quella degli altri mezzi di
informazione ellenici. Anzi dopo la crisi l’Ert è stata un esempio di
pluralismo e un megafono importante sulle conseguenze sociali della crisi,
spesso “dimenticate” dai canali privati. Molti dei quali sono di proprietà di
interessi economici strettamente legati ai partiti del potere. Non a caso, come
fanno notare in questi giorni molti analisti, «chi ha deciso la chiusura
dell’Ert fa il gioco dei canali privati».
Per il
premier Samaras l’Ert era una spina nel
fianco. La sua chiusura, inoltre, è
servita a soddisfare la richiesta della troika di licenziare duemila dipendenti
pubblici entro l’anno. Dopo il fallimento, pochi giorni fa, della vendita
del colosso del gas Depa (Gazprom ha ritirato la sua offerta) e gli ostacoli
alle privatizzazioni di altri enti pubblici, Samaras aveva bisogno di
presentarsi ai suoi interlocutori europei e i suoi partner del governo come
uomo dal pugno di ferro.
Il
portavoce del governo ha precisato che l’emittente riaprirà più avanti con una
struttura diversa, più moderna, ma non sarà più di proprietà dello stato e avrà
meno lavoratori. Agli attuali 2.700 dipendenti verrà concessa la possibilità di
presentare richiesta di assunzione nella nuova organizzazione. Le proteste però
non si fermano. Alexis Tsipras, il leader della Coalizione della Sinistra,
Syriza, ha parlato di «colpo di stato»
di Samaras. Accuse simili dal Pasok e dalla Sinistra democratica. In questo
clima non è da escludere neppure una crisi di governo, che porterebbe a
elezioni anticipate. E dalla protesta di piazza per la chiusura della tv
pubblica si potrebbe passare a una rivolta più generalizzata contro le
politiche del governo. Proprio come è successo a piazza Taksim, nella
vicinissima Turchia.
Pavlos Nerantzis, 14 giugno 2013
(Nota in parentesi e grassetti sono miei)
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