lunedì 17 giugno 2013

Vi spiego perché la Grecia ha spento la tv pubblica

     Che la Grecia sia diventata una sorta di laboratorio umano su cui sperimentare le varie strategie di dittatura finanziaria dell’Unione europea lo sapevamo già. Tuttavia la fantasia e la spudoratezza dei “big” a capo di questi meccanismi sembra non avere alcuna forma di limite. Risale a qualche giorno fa una decisione aberrante: chiudere la tv pubblica e licenziare in un colpo solo 2700 persone. È seguita poi anche la sospensione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, conclusasi con un ultimo concerto in lacrime. Smembrata pezzo per pezzo, la Grecia sta subendo inerme i colpi della Troika. Ma i veri motivi per cui si è deciso di sfogare sulla tv gli ordini provenienti dall’“alto” ci vengono spiegati da Pavlos Nerantzis, in questo articolo tratto da Europa quotidiano.

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Lo stesso governo che ha riempito la Ert di raccomandati adesso invoca gli sprechi. Ma il bilancio dell'emittente era in attivo. Hanno pesato di più i servizi "scomodi" sulla crisi.

     I nomi del premier greco, Antonis Samaras, del ministro dell’economia, Jannis Stournaras, e del portavoce governativo, Simos Kedikoglou, rimarranno nella storia ellenica perché sono riusciti a fare l’impensabile: hanno staccato la spina alla radio-televisione pubblica. Nemmeno la giunta dei colonnelli negli anni Settanta – con i suoi interventi di censura sull’emittente pubblica – aveva tentato una cosa simile.
     La notizia della chiusura dell’Ert (Radio televisione ellenica), paragonabile a un ordigno esplosivo nel campo della libertà di stampa, è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Martedì scorso – mentre i giornalisti stavano preparando il notiziario delle ore ventuno, quello più seguito – in redazione è piovuto il comunicato del governo: «In un momento in cui chiediamo grandi sacrifici alla popolazione ellenica non possono esistere realtà intoccabili ed Ert è una situazione dove esistono grandi sacche di opacità e di spreco di denaro pubblico». Negli studi di Agia Paraskevi ad Atene, a Salonicco e nelle venti sedi periferiche, dopo la sorpresa, la reazione è stata rabbiosa.
     Non solo perché da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso, questi 2700 lavoratori della radiotelevisione pubblica venivano licenziati in una maniera brutale. Ma anche perché Simos Kedikoglou, ex giornalista, assunto negli anni Novanta proprio all’Ert grazie alle conoscenze di suo padre, allora parlamentare socialista, aveva garantito fino al giorno prima che era «stufo di smentire le notizie false della chiusura dell’Ert e di eventuali licenziamenti». Oltretutto da qualche anno il bilancio di Ert era passato in attivo, grazie ai tagli degli stipendi e a una riduzione degli sprechi.
     Ma il secondo choc doveva ancora arrivare, alle 23.15 di martedì sera. Negli studi non c’erano solo i giornalisti, ma intellettuali, uomini dello spettacolo e della cultura, gente comune, tutti contrari alla decisione del governo. È allora che hanno staccato la spina, per di più grazie a un decreto firmato soltanto dal ministro dell’economia: mancano cioè le firme degli altri ministri competenti, esponenti del partito socialista Pasok e della Sinistra democratica (Dimar), partner minori del governo di coalizione. «Si tratta di un colpo di stato costituzionale», hanno commentato noti professori universitari e sindacalisti.
     Nonostante la serrata, tutti i giornalisti e i tecnici hanno espresso la volontà di continuare a trasmettere. Ma si sono trovati di fronte poliziotti in tenuta antisommossa pronti a impedire l’accesso alle antenne dell’Ert. Tre giorni dopo, le proteste continuano massicce. Ieri [13 giugno 2013] le Confederazioni generali dei lavoratori nel settore pubblico e quello privato, Adedy e Gsee, hanno scioperato per 24 ore. Lo stesso anche le Associazioni dei giornalisti, mentre migliaia di persone si radunano pacificamente ogni giorno di fronte alle sedi dell’Ert. I programmi ormai autogestiti dell’emittente pubblica continuano ad andare in onda via internet oppure attraverso emittenti comunali e private che hanno offerto le loro lunghezze d’onda ai giornalisti licenziati. Una solidarietà senza precedenti: l’arroganza del potere di Samaras ha mosso la coscienza della maggioranza dei greci, colpiti già dalla crisi, dalla recessione prolungata e da una quantità di promesse non mantenute.
     Certo l’Ert, come del resto tutti gli organismi del settore pubblico, ha subìto le conseguenze di anni di clientelismo. L’emittente pubblica greca è stata da sempre la riserva di caccia dei due partiti che guidano il paese da decenni, la Nea Dimokratia e il Pasok. I maggiori scandali sui maxi-stipendi riguardavano proprio quegli “esperti” iscritti ai partiti di governo e assunti direttamente dai ministri per “modernizzare” l’emittente pubblica. La direttrice generale dell’Ert3, per esempio – una giornalista in pensione assunta dai conservatori e rimasta al suo posto anche durante il governo di Georgios Papandreou – ancora dopo l’inizio della crisi guadagnava più di 17mila euro al mese. Altri colleghi, dirigenti e golden boy legati ai partiti, arrivavano a guadagnarne 35mila. Il tutto mentre la stragrande maggioranza dei dipendenti dell’Ert, anche quelli assunti grazie a logiche clientelari, si vedeva ridurre lo stipendio a meno di mille euro per via del memorandum sull’austerità.
     Lo stesso Simos Kedikoglou, portavoce del governo e responsabile “politico” della tv pubblica, nell’arco degli ultimi dodici mesi ha fatto assumere diciassette nuovi dirigenti. In altri termini, come fanno notare le associazioni dei giornalisti e il sindacato, «se ci sono stati sprechi e clientelismo l’attuale governo è responsabile almeno quanto i suoi predecessori».
     Il dato straordinario è che, nonostante le pressioni e le lamentele dei ministri, la gran parte dei giornalisti dell’Ert aveva continuato a svolgere il proprio lavoro con una professionalità pari o superiore a quella degli altri mezzi di informazione ellenici. Anzi dopo la crisi l’Ert è stata un esempio di pluralismo e un megafono importante sulle conseguenze sociali della crisi, spesso “dimenticate” dai canali privati. Molti dei quali sono di proprietà di interessi economici strettamente legati ai partiti del potere. Non a caso, come fanno notare in questi giorni molti analisti, «chi ha deciso la chiusura dell’Ert fa il gioco dei canali privati».
     Per il premier Samaras l’Ert era una spina nel fianco. La sua chiusura, inoltre, è servita a soddisfare la richiesta della troika di licenziare duemila dipendenti pubblici entro l’anno. Dopo il fallimento, pochi giorni fa, della vendita del colosso del gas Depa (Gazprom ha ritirato la sua offerta) e gli ostacoli alle privatizzazioni di altri enti pubblici, Samaras aveva bisogno di presentarsi ai suoi interlocutori europei e i suoi partner del governo come uomo dal pugno di ferro.
     Il portavoce del governo ha precisato che l’emittente riaprirà più avanti con una struttura diversa, più moderna, ma non sarà più di proprietà dello stato e avrà meno lavoratori. Agli attuali 2.700 dipendenti verrà concessa la possibilità di presentare richiesta di assunzione nella nuova organizzazione. Le proteste però non si fermano. Alexis Tsipras, il leader della Coalizione della Sinistra, Syriza, ha parlato di «colpo di stato» di Samaras. Accuse simili dal Pasok e dalla Sinistra democratica. In questo clima non è da escludere neppure una crisi di governo, che porterebbe a elezioni anticipate. E dalla protesta di piazza per la chiusura della tv pubblica si potrebbe passare a una rivolta più generalizzata contro le politiche del governo. Proprio come è successo a piazza Taksim, nella vicinissima Turchia.

Pavlos Nerantzis, 14 giugno 2013

(Nota in parentesi e grassetti sono miei)


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