Nota:
la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia
restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai
Romani.
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A cruce salus
[pronuncia
scolastica: a cruce salus]
[pronuncia restituita: a
cruche salus]
Frase di stampo cristiano, sita nel De
imitatione Christi attribuita Tommaso da Kempis, traducibile con “la
salvezza [viene] dalla croce”: il riferimento è ovviamente alla morte del
Cristo che, secondo la dottrina cristiana, si sarebbe immolato sulla croce al fine
di redimere l’umanità. Attualmente la frase viene usata in senso più lato per
ribadire che molti effetti positivi si fanno sentire solo se si vive un periodo
di fatica: che cioè il cammino più semplice non sempre (meglio: quasi mai) è
quello più efficace. Così, Umberto Eco, ne Il
pendolo di Foucault, scrive che “per ogni problema complesso esiste una
soluzione semplice, ed è quella sbagliata”; così gli stessi latini, anche prima
del cristianesimo, affermavano che per
aspera ad astra (“attraverso le difficoltà [si giunge] alle stelle”); così il
Dante Alighieri protagonista della Commedia
comprese che per giungere alla salvezza non si può salire direttamente sul
colle illuminato dal sole, ma occorre farsi il giro dei tre regni ultraterreni.
Etiam capillus unus habet umbram suam
[pronuncia
scolastica: èziam capìllus unus abet umbram suam]
[pronuncia
restituita: ètiam capìllus unus habet umbram suam]
Publilio Sirio, nelle sue Sententiae,
scriveva che “anche un solo capello ha una sua ombra”, per ribadire che non
bisogna trascurare i dettagli che sembrano più insignificanti. Spesso la
soluzione a un problema, o la chiave di lettura giusta per affrontare un
discorso sta nell’osservazione di quei particolari che possono apparire
insignificanti. È quello che disse Freud quando comprese che per interpretare
la pulsione che muove il contenuto di un sogno, non si deve badare solo alla
scena primaria, cioè a ciò che sta al centro della rappresentazione onirica, ma
a quegli elementi decentrati, messi in secondo piano, poiché l’inconscio tenta
di censurare il suo vero messaggio. E anche i fisici, quando vogliono spiegare
fenomeni enormi e onnicomprensivi come il big bang, non possono fare a meno di
ricorrere a quelle minuscole particelle subatomiche che neanche si vedono ad
occhio nudo ma che stanno alla base di tutto.
O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti
[pronuncia scolastica: o
Tite tute Tazi tibi tanta tirànne tulìsti]
[pronuncia restituita: o
Tite tute Tati tibi tanta türànne tulìsti]
“O tiranno Tito Tazio tu stesso ti sei
attirato cose tanto tremende”. Si legge questa frase negli Annales di Ennio, dove si parla di Tito Tazio, uno dei re di Roma
che però non vengono citati nel famoso elenco dei sette re (che è un elenco
leggendario): Tito Tazio fu re assieme a Romolo per un breve periodo e di lui
si hanno testimonianze tra gli storici della latinità. Questa frase non ha una
particolare importanza didascalica, non volendo insegnare alcun principio, ma è
diventata famosa a causa dell’enorme numero di allitterazioni a base di T
presenti praticamente in ogni parola. Questo espediente retorico l’ha resa
molto famosa per due motivi: da una parte infatti è conosciuta come uno
scioglilingua molto simpatico (assieme ad altri di cui il mondo letterario
latino è pieno); dall’altra è stata atrocemente condannata nel più antico
trattato di retorica in lingua latina a noi mai pervenuto Rhetorica ad Herennium come pessimo esempio di retorica.
Vorrei leggere la composizione completa, non la ricordo bene da quando l'ho studiata:
RispondiEliminao Tite tute tati tibi tanta tyranne tulisti
at tuba terribili sonitu taratantara dixit
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omnes occesi obcenisque in nocte serena
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antiquis moribus rex stat romana vieisque,