Questo signore che vedete in foto è Giacomo Caliendo. È un politico
italiano targato Pdl, ex
sottosegretario alla Giustizia sotto l’impero Berlusconi, e che dal 2008 è
senatore al nostro Parlamento. Quindi è uno di quelli che fa le leggi. In questi
giorni è diventato “famoso” per essere stato l’autore di un emendamento che si
propone come esplicito obiettivo quello di introdurre una nuova limitazione alla libertà di stampa.
Gli esponenti del centro-destra si sono
distinti in questi anni con molti tentativi di mettere la mordacchia all’informazione.
Il bavaglio, come è stato nominato, è una tendenza che in Italia ha preso forma
di molti decreti legge e proposte legislative, segno che a questi signori proprio
non sta bene che i giornalisti dicano la verità. Ebbene, in tempi in cui un
partito come il Pdl (ma non solo quello, eh) si è ritrovato sfasciato dal suo
stesso leader, colpito da scandali di corruzione e di sputtanamenti che mettono
in chiaro i legami dei suoi esponenti con la mafia e la camorra, si ritorna
(tristemente e senza un pizzico di originalità) a coprire dalla vergogna l’immagine
di questi delinquenti costringendo i giornalisti a non scrivere e a non
diffondere le notizie scomode. Vediamo cosa si sono “inventati” stavolta…
Diciamo come stanno le cose ora che l’emendamento
di Caliendo non è ancora passato. Attualmente la legge prevede che quando un
giornalista scrive un articolo lo venda al suo editore o comunque a colui che
lo vuole pubblicare. È poi quest’ultimo che decide se pubblicarlo oppure no,
quindi è lui che si assume la “responsabilità civile” di quello che c’è
scritto, giacché ha di fatto comprato quel prodotto e ne ha autorizzato la
divulgazione a suo nome. Ora, in un caso del genere, può capitare che l’articolo
sia accusato di “reato a mezzo stampa”, ovvero di aver danneggiato qualcuno o essere
andato contro l’ordine pubblico attraverso ciò che viene pubblicato. In quel
caso è giusto che qualcuno paghi: difatti il normale contratto tra editore e
giornalista prevede delle clausole con cui è l’editore ad accollarsi eventuali
spese di sanzioni economiche per ciò che egli
stesso ha voluto pubblicare.
In questo modo il giornalista è tutelato
dal danno economico che graverebbe su di lui e questo, a sua volta, gli
garantisce di continuare a scrivere senza
condizionamenti e senza ricatti. È una forma di tutela della libertà di
informazione.
Se invece l’emendamento passa, ecco cosa
accade: l’editore non è più tenuto a pagare la multa, nonostante si sia assunto
la responsabilità di pubblicare l’articolo del giornalista. Con la proposta di
Caliendo, è il giornalista stesso che
deve pagare la multa. Vengono, cioè, rese nulle tutte quelle clausole del
contratto tra editore e giornalista che prevedono che sia l’editore a pagare la
multa. In questo modo il giornalista sa dall’inizio che non può azzardarsi a
scrivere di temi troppo piccanti perché se va a disturbare la figura di un
potente citandolo in un’inchiesta rischia di doverci rimettere di tasca sua! Assistiamo
qui a una trovata a dir poco diabolica: laddove non possono impedire che non si
scriva degli scandali dei politici (perché sarebbe troppo spudorato) trovano il
modo di dissuadere il giornalista stesso a scrivere, lo bombardano di deterrenti
e con la scusa della diffamazione a mezzo stampa, lo mettono sotto ricatto
economico e lo costringono a chiudersi in una autocensura. Siamo a livelli
veramente inarrivabili di vigliaccheria e vergogna!
Chi colpisce questo emendamento? Tutti i
giornalisti, indipendentemente dalla loro “categoria”: dai grandi giornalisti
di inchiesta che vediamo in televisione, come Milena Gabanelli, Carlo
Lucarelli, Michele Santoro, a
quelli non protetti, come i giornalisti
free lance o indipendenti, quelli che non hanno un “padrone” che si assume
la responsabilità di tutelarli dalle querele paraculo dei corrotti impuniti che
mentono sapendo di mentire.
Cosa lede questo emendamento? L’emendamento
viola in generale la libertà di stampa
e impedisce, di fatto, la divulgazione dell’informazione relativa a uno dei
temi più urgenti di questi tempi, ovvero l’inchiesta. Siamo un paese pieno
zeppo di ladri, mafiosi, corrotti e il minimo che possiamo fare per costruire
una base alla nostra salvezza è quella di poter denunciare apertamente queste
cose, facendole conoscere alla gente e dandogli la massima divulgazione
possibile. Del resto, alla stessa gente dovrebbe dar fastidio di non poter
essere informati di ciò che viene fatto ai loro danni, giacché, come dice una
vecchio foglio tristemente calpestato e dimenticato, «la sovranità appartiene
al popolo» (che non sempre ne è degno).
In particolare, l’emendamento viola l’articolo 21 della Costituzione, che
dice (commi 1 e 2):
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parole, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
La norma mira quindi a colpire
esplicitamente un certo tipo di giornalismo, che offre un importantissimo
servizio alle persone. Non è il primo atto di abbattimento della libertà di
stampa e ritengo che non sarà nemmeno l’ultimo. Ora però mantenere la stampa
libera è molto più importante che in passato proprio perché abbiamo un estremo
bisogno di capire cosa succede. Del resto, il fatto stesso che certi politici
si impegnino tanto nel promuovere queste proposte di legge è un chiaro segno
della loro colpevolezza. «Non so voi, ma io non ho mai visto un innocente darsi
tanto da fare per farla franca», diceva Luttazzi in un suo monologo.
L’emendamento è stato ribattezzato norma anti-Gabanelli o ammazza Gabanelli, proprio perché la
celebre conduttrice ha rischiato di vedersi negata proprio la clausola che la
tutela: tutti sanno che con il suo programma Report lei si occupa di
informare i cittadini delle questioni che riguardano le truffe, le logge, la
malavita e la malapolitica. Ma la Gabanelli è solo la punta di diamante di
questo esercito di ricattati. La giornalista ha dichiarato: «Ti dicono di
andare in guerra, ma non ti danno l’elmetto né altri strumenti per difenderti».
Le votazioni per l’emendamento sono previste
per martedì 23 ottobre 2012, in sede di Commissione di Giustizia.
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