Volevo scrivere due righe sulla imminente
raccolta firme necessaria a indire il famoso referendum abrogativo che
ripristini l’articolo 18 dello Statuto del Lavoratori, che la signora Ministro
Elsa Fornero si è ben studiata di calpestare, sennonché mi sono imbattuto in
questo bell’articolo di Francesco Baicchi, tratto da liberacittadinanza.it dello scorso 21 settembre. Ho
deciso di incollarlo direttamente sul mio blog perché esprime a mio avviso nel
modo migliore la necessità del referendum in tutto la sua potenza democratica,
modificandolo solo leggermente (i grassetti sono miei).
gdfabech
Il 13 ottobre prossimo inizia la raccolta
delle firme per richiedere il referendum abrogativo della norma che ha di fatto
cancellato l’art. 18 dello Statuto dei
Lavoratori che prevedeva il reintegro automatico del lavoratore licenziato
senza giusta causa. Il referendum viene proposto da un comitato composto da
IDV, SEL, PRC, PdC, FIOM, ALBA, Art. 21 e altri soggetti. La data dell’eventuale referendum non è ancora certa a causa della
concomitanza delle elezioni politiche del prossimo anno, delle presidenziali ecc... Rimane intatto il grande valore
simbolico dell’iniziativa.
Quando i Costituenti decisero di inserire
nella Carta repubblicana del 1948 la possibilità di ricorrere al referendum
abrogativo (peraltro scartando altre forme di democrazia diretta pur proposte
dal Mortati) come estremo rimedio a una possibile divergenza fra la volontà
popolare (che deve in ogni caso prevalere) e l’operato del Parlamento, non
potevano prevedere che l’esito di queste consultazioni avrebbe potuto essere
semplicemente ignorato da “politici”
che si sentono comunque sottratti al giudizio popolare grazie a meccanismi e
ingegnerie elettorali, come sta accadendo, per esempio per la ripubblicizzazione
dei servizi idrici.
Per
questo oggi anche nella sempre meno individuabile area del “centro-sinistra”
c’è chi si dissocia dall’iniziativa referendaria che punta a reintegrare nel
testo originale l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, sostenendo che anche la
eventuale vittoria non servirebbe a cambiare le cose, oppure che questa è solo
una piccola parte del problema occupazionale e che si tratta di una “battaglia
di retroguardia” perché in fondo riguarda solo pochi casi ogni anno.
Purtroppo
queste obiezioni non sono infondate, ma la raccolta firme prima, e l’eventuale
campagna referendaria poi, rimangono un’occasione unica e irripetibile per
informare e far riflettere l’opinione pubblica su quanto sta accadendo nel
nostro Paese.
Perché la vicenda dell’attacco all’art. 18
non può essere separata dai tentativi di modificare anche l’art. 41 della
Costituzione, di annullare la validità dei contratti nazionali e di cancellare
il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, rendendo il precariato condizione
normale per il lavoratore.
Il tentativo insomma di demolire il
complesso delle norme giuridiche che faticosamente nel corso della seconda metà
del ’900 era stato pensato per rendere i cittadini del nostro Paese un po’ più
uguali e tutelare diritti inalienabili come la libertà di pensiero e la stessa
salute.
Al di là dei tecnicismi giuridici, l’articolo
18 nello Statuto dei Lavoratori, annullando i licenziamenti privi di una causa
oggettiva, tentava semplicemente di impedire che un o una dipendente potessero
essere ricattati dal datore di lavoro per motivi di opinione o, peggio ancora,
di rapporti personali. In attuazione degli articoli 3 e 21 della Costituzione.
Così come l’art. 41 della Costituzione,
che sancisce la libertà di ogni cittadino di divenire imprenditore, chiarisce
che questo diritto individuale non può essere esercitato generando un “danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e non può “svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale”; e che dunque (per rimanere alla attualità) la
legittima ricerca del profitto non può giustificare la creazione di situazioni
di rischio per i dipendenti, l’ambiente ecc...
È evidente come queste norme costituiscano
conquiste importanti di civiltà,
sulla strada di una società di uguali, più giusta e senza prevaricazioni.
Pensare che il benessere economico sia
ottenibile solo rinunciando ad esse è una visione drammatica, che interrompe il cammino verso un futuro
migliore e ci riporta indietro nel tempo. Smentendo esplicitamente quanti
proclamano il superamento della distinzione fra la sinistra e una destra
conservatrice e nostalgica dei privilegi.
Per
questo il referendum per il ripristino dell’art. 18 non deve essere visto nella
prospettiva letterale e limitata di conservazione di una norma giuridica
applicabile in casi singoli, ma come atto, anche di alto contenuto simbolico,
di resistenza al ritorno dei fantasmi del passato e di riaffermazione dell'indispensabile utopia di un mondo
migliore per tutti.
Ci vediamo ai tavolini, a partire dal 13 ottobre, ancora una
volta per una semplice dimostrazione di responsabilità e di volontà di contare
nelle scelte politiche del nostro Paese.
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