sabato 8 ottobre 2011

Da cellula epatica a cellula nervosa in un solo colpo: la ricerca dell’italiano Marro alla Stanford University sulla transdifferenziazione cellulare


     Una eccezionale scoperta per le neuroscienze e per la biologia cellulare viene dalla Facoltà di Medicina della Stanford University: uno studio condotto sul tessuto epatico di topi ha portato alla trasformazione di cellule del fegato in cellule del sistema nervoso senza passare per lo stadio di cellule staminali pluripotenti. Lo studio, guidato dall’italiano Samuele Marro, PhD, è di fondamentale importanza per le applicazioni terapeutiche e di ricerca in cui è necessario trovare nuove cellule nervose.
Samuele Marro, ricercatore alla
Stanford University.
     Le cellule nervose, dette neuroni, sono le cellule dei nostri nervi, del nostro midollo spinale e del nostro cervello e in molte ricerche è essenziale poterle studiare, poiché sono tra le più difficili da osservare; inoltre in molte malattie neurodegenerative i neuroni vengono compromessi fisicamente. Una ricerca che quindi permetta di procurarsi questo tipo di cellule è di importanza vitale per curare disturbi come il morbo di Parkinson, in cui risultano compromessi dei neuroni detti dopaminergici.
     La ricerca del dottor Marro è il prosieguo di una precedente ricerca guidata da Marius Wernig, PhD e MD, in cui si scoprì che dei fibroblasti tegumentari di topo, cellule che producono proteine della pelle, potevano diventare neuroni. La ricerca è proseguita con lo studio di Marro, che presenta però delle differenze importantissime.
     Ma andiamo con ordine. All’inizio dello sviluppo le cellule sono tutte uguali e tutte hanno la stessa possibilità di trasformarsi in un qualunque altro tipo cellulare del corpo: queste cellule indifferenziate sono le cellule staminali pluripotenti. Una staminale pluripotente, per esempio, può diventare un cardiocita (cellula del cuore) o un osteocita (cellula ossea) o un epatocita (cellula del fegato) e questa trasformazione avviene grazie a delle proteine e fattori di crescita con cui le cellule vengono a contatto: l’effetto di questa interazione tra molecole e cellule indifferenziate fa sì che solo una parte del DNA (i geni) di queste cellule cominci a funzionare e che quindi quella cellula produca le proteine adatte a diventare solo un particolare tipo cellulare.
     È infatti il DNA a contenere le informazioni per produrre tutto ciò che a una cellula serve per trasformarsi in ciò che deve diventare. Cosa importante: ogni cellula del nostro corpo dotata di DNA contiene tutte le informazioni per potersi trasformare in ogni altro tipo cellulare. Ad esempio, una cellula di un rene, anche se si è già differenziata in una cellula ben precisa, ha dentro di sé le informazioni per poter diventare anche cellula intestinale o cellula dell’occhio o ancora cellula di un polmone, che ovviamente sono cellule che hanno caratteristiche diverse. Il fatto che in una cellula si attivino le informazioni genetiche per diventare una cellula di tipo X non significa che essa abbia solo informazioni X, ma che usi solo quelle informazioni, senza usare tutte le altre, che comunque possiede. Quindi tutte le cellule hanno lo stesso genoma, ma ogni tipo cellulare ne usa una parte diversa. Queste informazioni genomiche sono appunto i geni, che non sono altro che pezzi di DNA.

Confronto tra una cellula del fegato (a sinistra) e una cellula nervosa (a destra):
si noti la grande diversità strutturale tra i due tipi cellulari, che si riflette in una
diversità funzionale abissale.

     Esiste quindi una scala nell’evoluzione cellulare: il punto di partenza è quello di staminali e poi, attraverso passaggi e stadi successivi, una cellula matura sempre di più fino a diventare cellula differenziata, ad esempio, del pancreas. Normalmente è possibile trasformare una cellula differenziata (diciamo di tipo A) in una cellula differenziata di tipo diverso (diciamo di tipo B), ma per farlo la si deve riportare al punto di partenza di staminale e farle ricominciare il percorso da capo: ovvero il percorso sarebbe “tipo A-staminale-tipo B. Invece nella ricerca di Marro delle cellule epatiche (del fegato) sono state portate direttamente a diventare neuroni, senza passaggi intermedi. Questo ha fatto risparmiare tempo, risorse e rischi legati alle mutazioni genetiche. Precisamente, le cellule epatiche hanno cominciato a diminuire la produzione delle loro proteine (e questo processo è conosciuto come down regulation, sottoregolazione) e a produrne altre, perché i geni che li rendevano cellule epatiche sono stati resi “silenti”, ovvero non sono stati più usati.
     Marro ha fatto iniettare tramite virus innocui (i virus sono spesso usati come vettori, cioè come trasportatori, nell’ingegneria genetica) in cellule epatiche di topo tre proteine, dette Drn2, Ascl1 e Myt1l: queste proteine si sono legate al DNA delle cellule epatiche, hanno attivato quei geni che funzionano nei neuroni (e che non funzionano nelle cellule epatiche) e hanno cominciato a far produrre alle cellule epatiche le proteine che invece i neuroni producono. Il risultato è stato che in tre settimane le cellule epatiche hanno cominciato a diventare cellule nervose, funzionando proprio come fanno i neuroni.
Schema che mostra due dei tre tessuti embrionali: in blu
l'ectoderma, da cui si sviluppano la pelle e il sistema nervoso;
in giallo l'endoderma, da cui discendono gli organi viscerali,
come il fegato.
     I neuroni così prodotti, chiamati neuroni indotti, si sono “integrati” con altri neuroni dimostrando di poter essere impiantati in un tessuto nervoso. Si tratta del primo caso nella storia della biologia in cui una trasformazione da un tipo cellulare all’altro avviene senza passare per lo stato primordiale di staminale. Ma questo non è il solo motivo per cui questa ricerca è degna di nota: non è un caso, infatti, che le cellule usate in questa ricerca siano cellule del fegato, mentre quelle usate nella ricerca di Wernig erano fibroblasti della pelle. La pelle, infatti, deriva dallo stesso tessuto embrionale da cui deriva anche il sistema nervoso, l’ectoderma, e cellule di uno stesso tessuto hanno più cose in comune tra loro; mentre le cellule del fegato derivano da un tessuto embrionale diverso, detto endoderma: quindi cellule del fegato e cellule nervose sono ancora più diverse tra loro rispetto a quanto lo siano cellule della pelle e cellule nervose.
     In parole povere, le cellule della ricerca di Marro sono ancora più dissimili tra loro delle cellule della ricerca di Wernig: il fatto che cellule provenienti addirittura da tessuti embrionali diversi si siano trasformate le une nelle altre (studio di Marro) è una maggiore riprova del fatto che la trasformazione è vera, proprio perché è una trasformazione più difficile da realizzare.
     Inoltre le cellule epatiche hanno caratteristiche e proprietà molto meglio definite dei fibroblasti e si trovano in un solo organo del corpo; invece, i fibroblasti sono presenti anche altrove e sono definite meno dettagliatamente. Questo rende il confronto più misurabile e più gestibile.
     La frontiera aperta da questa transdifferenziazione – questo il termine tecnico per indicare questo passaggio cellulare – è senza pari e, se portata avanti nella maniera giusta, può aprire la strada a numerosi metodi di studio e terapeutici per quelle malattia neurologiche e neuropsicologiche in cui i neuroni sono colpiti in prima persona.

2 commenti:

  1. Mi rattrista leggere che menti come Marro vivino e lavorino all'estero anziché in Italia (per i motivi che purtroppo tutti conosciamo).
    Mi rattrista vedere che eccellenze come lui in Italia siano dei perfetti sconosciuti.
    Mi rattrista constatare che gli Stati Uniti, da sempre, si prendono i nostri cervelli migliori e a noi, in cambio, mandano i loro escrementi migliori (Justine Mattera, Randi Ingerman, Amanda Knox... tanto per citarne qualcuno).
    Che tristezza!

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  2. Pensavo la stessa identica cosa mentre scrivevo questo post, ripensando anche alla puntata del 2 ottobre di "Presa diretta" (che ti segnalerò, perché è un programma di inchiesta eccellente). Mi sento come Dante Alighieri quando, dovendo dare un titolo alla "Commedia" e volendo prendere le distanze da una Firenze che gli dava il voltastomaco, titolò "Incipit comoedia Dantis Alagherii, florentini natione, non moribus": "Comincia la commedia di Dante Alighieri, fiorentino di nascita, ma non di costumi". Sto molto male a vedere il mio paese ridotto così e l'ipotesi di andarmene via è sempre meno un'ipotesi e sempre più una necessità.

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