mercoledì 31 luglio 2013

Italiani al mare, il governo attacca la Costituzione. Firma la petizione del Fatto

     Ci sono molti modi con cui un governo può far passare provvedimenti impopolari: di solito, nel periodo lavorativo, si usano i grandi “distrattori” di massa (il Grande Fratello, le Veline, i telegiornali che nascondono certe notizie…), ma quando la gente è in vacanza, allontanatasi spontaneamente dalle questioni di interesse pubblico, non occorre scomodarsi. La gente è altrove, via sia dalla propria città che dall’attenzione ai media, vuole svagarsi, pensa ad altro. E i governi furbacchioni e criminali possono allora approfittare del periodo estivo per mettere in moto le riforme più importanti e pericolose con il rischio minimo di suscitare sdegno e ribellione.
     È quello che ha fatto questo non votato governo Letta, con la “viva e vibRRRante” collaborazione di Giorgio Napolitano. Un vero e proprio attacco alla Costituzione proprio mentre siete al mare a bagnarvi il popò o a sudare dietro i balletti degli animatori, un attacco che mira a cambiare la Costituzione, stravolgendo perfino la forma di governo, gli equilibri tra i poteri e le istituzioni, togliendo al Parlamento il potere di fare leggi e dandolo al Governo. Un colpo di mano a tutti gli effetti, una violenza non consentita da quella stessa legge che vogliono cambiare, una forzatura, come l’ha definita Salvatore Settis.
     Contro tutto questo, un appello online lanciato da Il Fatto quotidiano, che qualunque cittadino può firmare. In pochi giorni sono stati già 150 000 i cittadini ad aver aderito, tra cui nomi illustri come lo stesso Settis, Alessandro Pace, Gianni Ferrara, Alberto Lucarelli, Don Luigi Ciotti, Michela Manetti, Raniero La Valle, Claudio De Fiores, Paolo Maddalena, Cesare Salvi, Massimo Siclari, Massimo Villone, Silvio Gambino, Domenico Gallo, Antonio Ingroia, Beppe Giulietti, Antonello Falomi, Raffaele D’Agata, Mario Serio, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Aldo Busi, Gian Carlo Caselli, Salvatore Borsellino, Roberta De Monticelli, Paolo Flores D’Arcais, Maurizio Viroli, Maurizio Crozza, Gustavo Zagrebelsky.



     Ora, per chi sa la storia e volesse rimediare con la propria firma, un link a fondo pagina indirizzerà alla petizione per manifestare la propria volontà di non far passare questo emendamento. Con lo stesso meccanismo, ricordo, fu portata in aula la discussione della riforma della legge sullo scambio elettorale politico-mafioso. Se i cittadini non avessero fatto pressioni firmando quella petizione, la legge non sarebbe stata emendata.

     Per coloro che invece non sanno cosa sia successo, ecco il fattaccio…

I retroscena
     Cinque mesi fa abbiamo votato il nuovo governo, ma una legge elettorale detta gergalmente porcellum non ha consentito di avere un partito vincitore, quindi, con la consultazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che allora stava per terminare il suo mandato, si è deciso di accozzare un gruppo dai maggiori partiti vincitori (Pd e Pdl) per creare e imporre una squadra di governo che, nelle parole di allora, doveva essere un governo di breve durata con il compito di dedicarsi solo alle questioni più urgenti – ovvero fronteggiare la crisi e soprattutto cambiare la legge elettorale – cosicché poi gli italiani avrebbero potuto riandare a votare per scegliersi finalmente un governo normale.

     Il governo è stato fatto, Giorgio Napolitano ha terminato il settennato e poi, al momento di votare il nuovo Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che giurò che mai e poi mai si sarebbe ripresentato come candidato per un milione di motivi uno più valido dell’altro, viene richiamato da certe forze politiche per essere rieletto una seconda volta consecutiva (cosa mai accaduta nel nostro paese!), anche se tra i candidati c’erano personalità eccezionali come Stefano Rodotà.
     Ecco dunque che Napolitano, dopo il giuramento di non ricandidarsi, ritorna a fare il Capo dello Stato. Ricordiamoci questo particolare di Napolitano, che è stato così ossessivamente cercato e voluto da queste forze politiche che ora sono al governo: ci servirà per capire il cuore del meccanismo.

     Passano i mesi ma intanto, tra un finto decreto del fare (pena) e le polemiche, anch’esse di distrazione di massa, sugli scontri tra la Kyenge e la Lega, la riforma della legge elettorale, tanto attesa e tanto voluta, non arriva. Eppure a ottobre era previsto il ritorno alle urne! Ci pensa Giorgio Napolitano a chiudere questa porta: «Il governo Letta deve durare fino al 2015». “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”: alla faccia della breve durata.

Il progetto di questo governaccio
     Ed eccoci al finale. Le maggioranze di Pd e Pdl, sapendo di voler cambiare l’assetto istituzionale del nostro paese, sotto spinta del Quirinale, invece di perdere tempo a mettersi a cambiare una legge alla volta, decidono di andare alla radice del “problema”. L’articolo 138 della Costituzione. Questo articolo importantissimo riguarda proprio la riforma della Costituzione e delle leggi costituzionali e spiega cosa è lecito fare e cosa no per cambiare la Costituzione (perché la Costituzione, sia ben chiaro, si può cambiare, ma per migliorarla).

     Ma cosa vuole fare questa deroga del governo? A cosa mira la riforma della Costituzione? I punti più salienti del progetto di questo governo sono questi:
  • Riformare 69 articoli della Carta: sono un numero enorme, e il Comitato dei 40 saggi previsto per effettuare queste modifiche si ritroverebbe di fatto a svolgere il ruolo di una vera e propria assemblea costituente che riscrive da capo la Costituzione! Infatti chiunque comprende che gli articoli sono collegati gli uni agli altri, per cui, cambiandone uno, se ne cambiano per forza altri, con i quali entrerebbero in contrasto! Un’assemblea costituente l’abbiamo già avuta, nel 1947 e, come ci ricorda Salvatore Settis, i costituenti di allora studiavano: leggevano le costituzioni di tutto il mondo per prendere esempio sui vari temi e c’era un ministero apposta dedicato all’informazione della scrittura della Carta, per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini in questa operazione.
  • Dare al Governo il potere di emendare la Costituzione, cosa che la legge consente solo al Parlamento, con i suoi membri che rappresentano il paese. Non si è mai visto che l’esecutivo rubi questa funzione alle Camere!
  • I parlamentari non possono presentare più emendamenti in ogni momento, ma hanno una sola possibilità: 72 ore prima dell’esame, uccidendo così di fatto la discussione legislativa, che è il cuore del meccanismo democratico del fare le leggi.
  • Pretendere di derogare all’articolo 138 (l’articolo che consente di modificare la Costituzione indicandone i limiti), il che a sua volta è una violazione dell’articolo 72 (comma 4) della Costituzione, che dice che per le leggi costituzionali le Camere adottano la procedura normale; quella proposta da questo governo è invece una deroga speciale, tra l’altro valevole una tantum e creata ad hoc per questa circostanza. Ovvero: si cambia la legge violando la legge.

Cosa dice l’articolo 138?
     E a proposito dell’articolo 138, se uno ne va a leggere il testo del primo comma, ecco cosa trova scritto:
     Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
     La legge dice cioè che se vuoi cambiare la Costituzione le Camere del Parlamento devono rispettare questo intervallo di almeno tre mesi. La ragione è semplice: la Costituzione è la legge fondamentale del nostro ordinamento e riguarda tutti i cittadini, quindi prima di cambiarla si deve poter consentire un adeguato dibattito pubblico, anche informativo, su una materia tanto delicata, che non può essere emendata da un giorno all’altro come se nulla fosse. L’intervallo di tre mesi serve ai parlamentari per orientarsi o eventualmente avere ripensamenti sulle modifiche, e ai cittadini per conoscere la portata di un cambiamento tanto importante. Ebbene, la proposta del governo Letta è quella di far approvare in aula un disegno di legge creato ad hoc, che valga “solo questa volta” e che consenta di ridurre l’intervallo di discussione da 90 a 45 giorni. Ora, ecco quali sono le conseguenze:
  1. Riducendo l’intervallo di tempo non si consente all’opinione pubblica di prendere parte a una decisione tanto importante e si blocca il dibattito pubblico. Cosa ancora più grave, inoltre, questo vuol essere fatto nel periodo estivo, quando l’attenzione della società civile è comprensibilmente più bassa a questioni istituzionali. La società civile, infatti, non è semplice spettatrice e passivo fruitore delle deliberazioni del Parlamento, ma è ciò per cui vengono fatte le leggi: se la società civile, dopo essersi adeguatamente informata, non fosse d’accordo, dovrebbe avere modo e tempo di far sentire la propria voce. Così funziona in democrazia. Il progetto del governo era quello di far passare il ddl entro il primo agosto, ma l’azione dei Cinque Stelle ha impedito tutto ciò (beccandosi l’accusa di ostruzionismo, che tra l’altro è cosa nobile quando si vuole ostacolare un processo antidemocratico), e la discussione è slittata a settembre.
  2. Non si è mai visto che il governo (sotto la spinta del Capo dello Stato) si faccia promotore di una riforma costituzionale, tra l’altro così incisiva: è il Parlamento ad avere autorità sulle riforme costituzionali, non il governo. Con questa deroga si esautora quindi il Parlamento di una delle sue funzioni, lasciandogli solo la funzione di approvazione, non di elaborare e discutere la norma. Questa è una violenza all’assetto del nostro regime repubblicano, che è parlamentare, non presidenziale.
  3. Se questa deroga che il governo propone passasse, dovrebbe passare con procedura ordinaria, e questo significa che arriveremmo all’assurdo secondo cui una legge ordinaria può derogare a un articolo della Costituzione! Inoltre chi ci dice che poi non si arrivi a farlo anche in futuro? Tanto la scusa dell’urgenza si trova sempre! Non si può cambiare la legge violando la legge: come ha sentenziato giustamente Alessandro Pace, «La Costituzione è modificabile, non derogabile!».

     I parlamentari grillini con il loro (c)ostruzionismo, hanno permesso quindi di guadagnare un mese, durante il quale si ha intenzione di informare i cittadini, sensibilizzare l’opinione pubblica a una tematica che tocca così da vicino la vita di tutti noi, per preparare la società civile ad affrontare questo tema e, eventualmente a intervenire. Infatti l’articolo 138, nella saggia lungimiranza dei padri costituenti, prevede anche questo (comma 2):
     Le leggi stesse [di revisione costituzionale] sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
     Tale referendum però non è sempre permesso; infatti il comma 3 precisa:
     Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.
     E qui entrano in gioco le larghe intese: se Pd e Pdl votano compatti e riescono a coprire il numero necessario, la società non può ottenere il referendum. E lo faranno se non vengono fermati, perché dalla loro parte hanno la scusa di farlo per il bene del paese, che è sempre la cosa su cui fanno leva i cattivi governanti quando vogliono incutere timore (ricordate il governo Monti e i suoi “sacrifici per uscire dalla crisi”?).
     Su questo fatto del referendum il governo Letta ha promesso che nelle riforme future verrà comunque garantito il referendum confermativo, anche se la votazione avverrebbe a maggioranza dei due terzi delle Camere: peccato però che questa gentile concessione varrebbe solo per le riforme future, non per questa! Inoltre Alessandro Pace fa notare un’altra trappola: se in un referendum, a cui come sappiamo si può rispondere solo con SÌ o con NO, venissero introdotti più temi diversi in un solo quesito, il cittadino che vota dovrebbe dire sì a tutti oppure no a tutti, perché il quesito sarebbe unico, come la risposta consentita. Quindi, per esempio, ci ritroveremmo a votare sì per la diminuzione del numero dei parlamentari, ma anche per il presidenzialismo, se questi due temi venissero posti nello stesso quesito.

Incostituzionalità e stranezze: il ruolo di Napolitano
     Non dimentichiamoci infine che questo tema delle riforme sarebbe affidato a un comitato di 40 saggi che dovrebbero decidere tutto loro. Ancora una volta il Parlamento diventa il cuddy del governo. Nel progetto dei saggi, tra l’altro, andrebbe a ricadere la stessa riforma del porcellum, come se il porcellum fosse una parte della Costituzione che essi hanno avuto il compito di emendare! Le due cose, invece, sono e devono restare separate! Il porcellum non è parte della Costituzione.
     Veniamo ora alla cosa interessante: questo comitato avrebbe un tempo limite per portare a termine le riforme della Costituzione così come piace alle forze politiche che vivono le larghe intese. Sapete qual è il tempo massimo? 18 mesi, ovvero un anno e mezzo. E indovinate dove saremo tra 18 mesi? Nel 2015! Proprio come aveva detto Napolitano: il governo Letta deve durare fino al 2015. Ecco il ruolo di Napolitano in tutto questo. Le riforme della Costituzione devono essere portate a termine e Napolitano ci tiene fermamente! E non esiste che il Presidente della Repubblica, che rappresenta la legge e l’unità nazionale, si faccia primo promotore della rottamazione della Costituzione: egli ne deve garantire il rispetto! Ecco allora che la nostra intelligenza ci suggerisce che Pd e Pdl fossero d’accordo fin dall’inizio nel cambiare in un certo modo la Costituzione e, nel governo, uscito da febbraio e dal porcellum, occorreva che il Capo dello Stato desse man forte a questa revisione. Ecco perché Napolitano ha escluso il ritorno alle urne a ottobre: il processo di revisione costituzionale deve andare fino in fondo e delle nuove elezioni politiche interromperebbero questo processo. Napolitano c’è dentro fino al collo.

     Ci sono insomma elementi sufficienti per comprendere come il progetto di questo esecutivo sia un vero e proprio stupro alla legge, un colpo di stato bianco, un’aberrazione che non farebbe altro che togliere alla nostra democrazia le sue armi migliori. Le conseguenze sarebbero terribili, potrebbero fare della legge ciò che vogliono, si potrebbe consentire qualunque arbitrio e i cittadini perderebbero molti dei loro diritti.
     Ecco perché occorre far sentire il nostro peso, così com’è successo con la riforma del reato di scambio elettorale politico-mafioso. Dobbiamo tutti firmare l’appello lanciato da Il Fatto quotidiano e diffondere questo appello a tutti coloro che conosciamo. Il numero degli aderenti cresce ogni giorno. Democrazia significa governo del popolo: se il popolo è il primo a disertare il dovere di esercizio della sovranità, allora diventa il vero colpevole delle sciagure del proprio paese.




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