Qualche giorno fa sul blog Italians
di Beppe Severgnini è stata pubblicata una breve lettera firmata Aldo Marchioni, 55 anni, programmatore
di computer. La sua storia è quella di molti: un italiano che lavora
onestamente ma che, pur pagando regolarmente tutte le tasse, viene
letteralmente schiacciato dalla pressione fiscale iniqua che i nostri politici
ci impongono.
La lettera, intitolata L’Italia è
morta, andatevene finché siete in tempo, ha spopolato in rete e sui social
network viene continuamente proposta e citata, con migliaia di condivisioni. Il
messaggio della lettera, come s’intende dal titolo, invita le persone a
lasciare un paese ormai cadavere, senza speranza e senza prospettiva.
Prima di dire ciò che ho pensato, vorrei farvi leggere le parole di
quest’uomo.
Caro Bsev, ho un problema. Lavoro per conto mio: ho la partita IVA. Nel 2012, è arrivato, finalmente, lavoro in abbondanza. Io lavoro esclusivamente per aziende: tutto viene fatturato. Alle correnti tariffe di mercato ho prodotto un reddito lordo di circa 50.000 euro. Per me, abituato come ero abituato, non è male. Il commercialista mi ha appena comunicato quanto dovrò versare da qui a novembre, tra saldo e anticipo: 22.900 euro tra imposte e contributi previdenziali. Questo dopo che, sul fatturato, è già stato versato il 20% di ritenuta d’acconto: che fanno altri 12.000: 34.900. In percentuale sul lordo, fa 69,8%. Per mettere insieme 50.000 euro ho lavorato sabati, domeniche, alcune notti, ho fatto trasferte paurose. Lo stato, per mantenere vizi e stravizi dei vari Trota, Batman, Formigoni e Minetti, se ne porta via più di due terzi. Per inciso: non potrò pagare, ovviamente. Sto ancora arrancando dietro imposte e contributi dell’anno scorso, poi ho una rata da 250 euro mensili con Equitalia; ed ho una rata da oltre 300 euro con una finanziaria, per un finanziamento chiesto ed ottenuto per pagare le tasse di 5 o 6 anni fa, non ricordo. Sono professionista (faccio il programmatore di computer): non posso fallire, non posso delocalizzare. L’unica cosa che potrei fare, e che probabilmente farò, sarà vendere l’appartamento di città dove vivono due figli venticinquenni e la ex moglie (io vivo in affitto), vendere la casetta di montagna ereditata da mio padre due anni fa, e sparire in uno di quei paesi dove si vive con pochissimo. Severgnini, lei dice, ai bravi ragazzi volenterosi che vogliono emigrare, di non farlo, e, se lo fanno, di tornare presto; io dico loro: “Andate fino a che siete in tempo. Quando avrete 50 anni (io ne ho 55), vi morderete le mani per non averlo fatto. L’Italia è un paese perduto. Lasciate i Trota, i Batman, i Formigoni e le Minetti al loro destino, e costruitevi una vita dignitosa altrove. L’Italia è morta”. Cordiali saluti,
Aldo Marchioni, aldo@aldomarchioni.it
Vorrei dire innanzitutto che rispetto infinitamente le persone come il
sig. Marchioni e i sentimenti di rabbia e sfiducia che egli prova, anche
perché, non essendo io stesso ricco, posso dire di conoscere gran parte dei
problemi economici che sempre più persone fronteggiano a causa della
malapolitica di questo paese. Problemi che vedo nella gente attorno a me, non
solo in famiglia ma anche presso amici o finanche estranei. Lo vedo nel mio
quartiere, lo vedo nei carrelli sempre più vuoti al supermercato quando la
gente fa la spesa, lo vedo sui cartelli dei locali commerciali con su scritto
VENDESI o AFFITTASI o CEDESI ATTIVITÀ e nei negozi che da un giorno all’altro chiudono
definitivamente. Io stesso sono poi uno studente ma devo lavorare per
mantenermi gli studi, per non gravare sulle spese familiari, e spesso sono
stato sul punto di pensarla come questo signore. Dunque comprendo e rispetto
profondamente il suo messaggio … ma non lo condivido.
Non posso condividere un invito a lasciare il problema lì dov’è, quando
so che il cambiamento è invece possibilissimo e che non costerebbe nemmeno
tanto. Certo, a pensarci frettolosamente la reazione più ovvia è pensare di
mandare a quel paese tutto, di lasciare ai questi delinquenti questa carogna
marcescente di penisola e dirgli «Tenete e spolpatevi il resto: quando sarà
finito tutto non avrete altro da rubare». Viene da pensare che abbiamo il
diritto di essere felici, perché la legge ci garantisce delle cose che invece
ci stanno togliendo. È molto invitante un pensiero del genere: andarsene
altrove e trovare finalmente i riconoscimenti che la nostra fatica reclama, la
giusta ricompensa ai nostri sforzi e al nostro impegno. È un’idea suadente.
E in effetti è anche un diritto sacrosanto di ciascun individuo.
Tuttavia, così facciamo il loro gioco. Così li aiutiamo a eliminare dal loro
cammino gli ultimi ostacoli a questa imperdonabile opera di distruzione
democratica che hanno messo in atto. Senza la volontà di lavorare per cambiare
le cose non avremmo avuto fulgidi esempi come la resistenza dei partigiani! Non avremmo avuto il referendum che ci
ha fatto cacciare via il re e diventare una Repubblica! Andarsene, voltare le
spalle non conviene mai! Noi dovremmo restare! E, restando, dovremmo cambiare
le cose!
“Eh, sì: parla facile lui!” vi starete dicendo: “Fa l’idealista, lui!”.
E invece no. Vi porto un esempio: per anni abbiamo dato il voto a certe persone
che, per quanto faccia male ad alcuni di voi, ci hanno portato dove siamo,
hanno reso il nostro paese legislativamente più fragile, più vulnerabile ad
attacchi e minacce economiche. Bene, basterebbe
smetterle di votarli! Immaginate per un attimo, abbiate il coraggio di
immaginare solo per un secondo: milioni di persone che lasciano letteralmente a
piedi quei Batman, quelle Minetti e quei Trota! Senza voto! Sarebbero morti! E
lo sforzo che avremmo fatto sarebbe stato minimo. Stanno nascendo delle
alternative anche in politica, di cui il Movimento 5 Stelle è solo il più conosciuto.
Potremmo non dare a quei tiranni il
consenso che loro usano per violentare il nostro paese, e invece alle
scorse elezioni di febbraio ci siamo comportati male, perché abbiamo ridato
fiducia alle persone sbagliate, come una donna picchiata dal marito che ritorna
da lui perché anche nel male lui funge da punto di riferimento. Non votarli!
Già questo atto, da solo, metterebbe seriamente in crisi gli intenti e il
potere di queste persone, che non potrebbero più imporci le loro folli
deliberazioni. Magari scapperebbero loro all’estero, con la coda fra le gambe,
come fece Craxi! Sarebbero loro a liberare questa terra magnifica dalla loro
pestilenziale presenza.
Volete un altro esempio? Uno su piccola scala: qualche mese fa dalle mie
parti un intero quartiere venne sommerso letteralmente da un alluvione: un
fiume (inquinato tra l’altro), a causa della scarsa manutenzione degli argini
di contenimento e di decenni di incuria, straripò e molte famiglie persero la
casa. Porte abbattute, allagamenti, raccolti rovinati. Non c’era nemmeno un
letto dove dormire, un tavolo su cui mangiare. La colpa era della politica che
per decenni non si era occupata di quel problema. Ora, quelle persone potevano
perdersi d’animo, cambiare città, lasciare le rovine della loro vita lì nel
fango. Invece no: si sono rimboccati le maniche, hanno spalato il fango, hanno
lanciato appelli, raccolto donazioni di abiti, mobili, cibo, hanno chiamato la
stampa e hanno anche inviato una petizione alle autorità. Ora l’amministrazione
dovrà rimettere a posto il letto del fiume e quando i lavori saranno stati
completati questo problema non si ripresenterà più.
E poi, se neanche vi bastasse, ci sono gli esempi più “forti”, come il
popolo egiziano che costringe un presidente a dimettersi facendo un vero e
proprio colpo di stato dal basso. Ora in Egitto l’odiato presidente Morsi è
stato destituito e gli egiziani hanno avuto ciò che volevano. Magari vorranno
cambiare anche quello che verrà dopo, ma intanto hanno ottenuto, di comune
accordo, ciò che volevano.
Cari signori, non sta scritto da nessuna parte che il mondo sarà come lo
vorremmo o come ci aspettiamo che fosse. Non sta scritto da nessuna parte che i
diritti, per il fatto di essere scritti su un pezzo di carta, esercitino
automaticamente il loro potere. Perché vi stupisce così tanto l’idea di dover
compiere una qualche forma di “attività” per far andare bene le cose? Perché vi
sembra così strano che una situazione possa essere migliorata con l’impegno di
tutti? Se tutti fanno qualcosa, ognuno
ci rimetterà molto poco! È come portare sulle spalle un peso gigante: se lo
portiamo tutti, ciascuno farà poca fatica.
La colpa prima, quella più autentica, viene da noi! Dalla nostra
concezione corrotta di “essere cittadini”. Noi vogliamo delegare agli altri e
lavarcene le mani, pur sapendo che la disonestà sia un fatto che esiste da
sempre. Noi vogliamo il cane da guardia e non vogliamo essere rotti la scatole,
vogliamo “farli mangiare purché essi facciano mangiare anche noi”. Mi dispiace,
ma finché si è in democrazia (dove la sovranità appartiene al popolo), le
dittature nascono col consenso della gente comune. Un esempio: Hitler venne eletto democraticamente.
Al sig. Marchioni è concesso essere pessimista: lui ha lavorato una
vita, ne ha viste tante, magari è stanco e non ha nemmeno le forze fisiche per
sopportare ogni giorno certi pensieri. Ma chi non ha ancora passato una vita a
fare la sua parte per questa nostra magnifica terra non ha il diritto di
pensare che andarsene sia la cosa migliore. O almeno, se proprio vuole
andarsene, non può pensare che un cambiamento sia impossibile per un fatto di
costituzione. I più giovani hanno il dovere di sapere come stanno le cose in
realtà, hanno il dovere di non essere ignoranti, di non farsi ingannare, di non
farsi convincere che ogni intervento non servirebbe a niente. Questa è una
bugia. Guardate la stessa crisi economica: i più rinomati economisti della
Terra l’hanno sbugiardata come l’inganno di massa più grande di tutti i tempi,
eppure continuano a parlarne come se si fosse trattato di una cosa
imprevedibile, di cui nessuno ha colpa.
Ci sono mille modi per cui potremmo interagire con poco sforzo per cambiare questo paese. Anche semplicemente
condividendo informazioni scomode, quelle che nessun telegiornale direbbe mai,
diffondere idee e promuovere iniziative. Anche quello sarebbe un modo! Sono cose
che si possono fare. Ma “loro” ci hanno
divisi, ci hanno portati a pensare che ciascuno di noi è il solo onesto e
che tutti gli altri siano criminali, ci hanno educato a sputare sulla
fratellanza e a non collaborare insieme. Del resto, un popolo diviso è un
popolo fragile: «Divide et impera»,
“Dividi e comanda” si diceva fin dall’antichità. Perché l’unione fa la forza. E
i dittatori lo sanno.
Se non volete fare il ragionevole
sforzo (anche minimo) per cambiare le cose perché non siete disposti,
allora va bene. Ne avete il diritto, come ho detto. Avete il diritto di non
rischiare. Ma non si dica che andarsene è la sola soluzione, non si osi dire
che “cambiare non è possibile”. Diciamo piuttosto che cambiare costa e che
quasi nessuno vuole pagare quel prezzo, anche se quel prezzo sarebbe molto piccolo
se lo pagassimo in tanti (idea che non sovviene alla mente delle persone,
perché è psicologicamente più conveniente cadere nella trappola del “meglio
andarsene”).
Se volete, andate, ma dovete saperlo che è sempre possibile fare qualcosa e che andando via, in un certo
senso, siete complici degli stessi meccanismi che criticate. Del resto,
pensatela su scala più egoistica: se una forte tempesta vi rompesse le finestre
di casa, voi la lascereste senza finestre? La lascereste aperta ai ladri o
addirittura la abbandonereste? O non fareste qualche ragionevole sacrificio di
tempo e denaro per ripararla? Ecco: col vostro paese è la stessa logica. Ma
forse è proprio qui che “loro” hanno vinto: vi hanno convinto che il vostro paese non vi appartenga; vi hanno
persuaso che siete ospiti in casa vostra, vi hanno messo in testa che ciò che
era già vostro di diritto sia una loro concessione, così non vi ci affezionate,
non la sentite una vostra proprietà e dunque non vi viene da difenderla.
Non piangere per me
sappi che muoio
non puoi aiutarmi
Ma guarda quel fiore
quello che appassisce, ti dico
Annaffialo
sappi che muoio
non puoi aiutarmi
Ma guarda quel fiore
quello che appassisce, ti dico
Annaffialo
Alèxandros Panagùlis, Vi scrivo da un carcere in Grecia
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