lunedì 24 febbraio 2014

Governo Renzi: ecco i difetti che il premier non vi ha detto

Matteo Renzi
     Da poco Letta è stato sfiduciato dal PD per i palesi fallimenti del suo governo e i geni della Casta politica hanno ben pensato di ripresentare agli italiani lo stesso programma, ma con un volto nuovo, per rassicurarli. Nasce così il governo Renzi I, che molti hanno già ribattezzato “governo Napolitano III”, perché è il terzo governo non scelto dal voto dei cittadini italiani ma pilotato con manovre molto dubbie dal due volte Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La gran parte dei media hanno ricamato cornici auree attorno a questo evento e lo stesso Renzi si è prestato a fare la parte dello statista composto davanti alle telecamere per presentare agli italiani nel modo migliore possibile questo passo che, come vedremo è tutt’altro che tranquillizzante per noi cittadini. In queste righe cercheremo di riflettere su quei punti che non sono stati affrontati in maniera critica dai diretti interessati e proveremo a mostrare le prime gravi pecche di questo neonato governo, mettendo in mostra meccanismi e sottolineando particolari che dovrebbero interessare alla gente per farsi un’idea un pio’ più libera su Renzi e sui protagonisti stessi di questo nuovo modo di fare politica che si è affermato in Italia sotto l’egida di Giorgio Napolitano.

     Apparentemente il governo nascente presenta delle novità, per così dire, “di vetrina” che lo fanno apparire migliore del precedente e questo dovrebbe avere nelle intenzioni degli artefici la funzione di tranquillizzare l’opinione pubblica che sempre più si allontana dalla politica. Per esempio, questo esecutivo si vanta di aver ridotto drasticamente il numero dei ministeri, riducendolo a 16 (mentre il precedente governo Letta ne aveva 21). In secondo luogo Renzi ha tenuto a sottolineare lo sforzo di introdurre nella squadra personalità giovani, come giovane è lui (un dato che ha contribuito molto alla sua escalation mediatica): l’età media dei ministri sarebbe infatti alquanto bassa; in ultimo c’è la parità di genere: 8 ministri uomini e 8 donne condividono, in perfetto equilibrio, la gestione della cosa pubblica.
     Questi sono gli elementi che secondo Renzi dovrebbero bastare a fare del suo governo un ottimo governo, al punto che il neopremier promette di fare una riforma al mese (sebbene la maggioranza in Parlamento sia molto più precaria di quella che aveva il suo predecessore, quindi non si capisce cosa gli dia tanta sicurezza).

     Vediamo ora cosa agli italiani non è stato fatto notare in tutte le conferenze stampa e le interviste sinora tenute…

Un premier inaffidabile
     In primis ci sono alcune incoerenze dello stesso Renzi che ne mettono in discussione la credibilità agli occhi della gente. Un politico è credibile quando le sue azioni si mantengono abbastanza vicino alle sue idee e a ciò che egli dichiara di voler fare, altrimenti quel politico è inaffidabile, una “sola”, un imbroglione. Ebbene, appena pochissimi giorni fa, quando l’ipotesi della Presidenza del Consiglio non ancora era in auge, Renzi andava sbandierando a destra e a sinistra che «anche se si formasse un nuovo governo non sarei io candidabile avendo più volte detto che se andrò a Palazzo Chigi un giorno, ci andrò forte del consenso popolare, non di manovre di Palazzo». La promessa era quindi di farsi scegliere dagli italiani, non come Monti e Letta, che sono stati imposti da “manovre di Palazzo”. E infatti, detto fatto, Renzi diventa premier senza farsi eleggere. Giudicate voi…

Le “nuove” facce (di bronzo): cambiare tutto per non cambiare niente
     La seconda pecca che sa di presa per i fondelli riguarda il rinnovamento della squadra. Essa presenta indubbiamente facce nuove, ma Renzi si è dimenticato di spiegare che qualche faccia nuova non trasforma affatto il governo: è come dire che avendo cambiato i cerchioni, la vernice e la targa di un’auto, questa sia un’auto diversa che funziona in modo diverso. Le più forti personalità del precedente (e fallimentare) governo Letta figurano ancora nel governo Renzi, alla faccia del rinnovamento. Si tratta di Alfano, personalità che ha fatto molte pressioni a Renzi (pressioni che hanno funzionato: Alfano è addirittura rimasto nello stesso identico ruolo che aveva nel governo Letta, Ministro dell’Interno), oppure Lorenzin, che è rimasta Ministro della Salute, pari pari a prima; o ancora Lupi, che hanno lasciato alle Infrastrutture e Trasporti.
     Accanto a questi ministri monouso, usati per fare sempre la stessa cosa, vediamo anche i ministri multiuso, ovvero persone che non sono state sostituite in nome del rinnovamento, ma semplicemente spostate ad altri dicasteri: è il caso di Franceschini, deportato ai Beni culturali; oppure Andrea Orlando (su cui diremo meglio più avanti), che Letta aveva voluto all’Ambiente e che Renzi ha messo alla Giustizia.



Alfano: il Ministro dell’Interno che può permettersi di non sapere
     Colpisce, sempre in barba alla pulizia della classe dirigente, la presenza di Alfano non solo perché era già stato Ministro, ma perché, come ricorderete, su di lui si era abbattuto lo scandalo del caso Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako prelevata dalla polizia italiana: un fatto grave perché Alfano ha sempre dichiarato di non esserne informato e proprio lui, che era Ministro dell’Interno, doveva conoscere e gestire quella vicenda in modo regolare. Lo stesso Renzi a tal proposito aveva dichiarato: «Se il Ministro dell’Interno sapeva e ha mentito è un problema. Se non sapeva è ancora peggio». Cosa credete che abbia fatto Renzi di fronte a un Ministro che, nel migliore dei casi, è incapace e, nel peggiore, è un bugiardo? Ovvio: l’ha voluto nel suo governo. E nello stesso identico ruolo.
     Certo, qualcuno potrà dire che il povero Renzi è stato “costretto” perché non si poteva immaginare di avere in mano tutte le redini della faccenda: che ci siano ricatti nel bel clima delle larghe intese è normale: tutti si ricattano a vicenda, perché nelle larghe intese all’italiana non esiste alcuna stabilità, essa è un’accozzaglia di tutte le forze politiche, ognuna delle quali spinge per accaparrarsi qualcosa. E bisogna per forza accontentare tutti, perché altrimenti la struttura si frantuma, se qualcuno fa i capricci e minaccia di andarsene l’equilibrio si perde e tutto crolla.

Giustizia: il veto di Napolitano bacchetta Renzi
     Ma veniamo a quella che forse è la pecca maggiore: il Ministero della Giustizia. Come sappiamo, in Italia quello della Giustizia è un dicastero che scotta, perché i problemi che deve gestire sono molti e difficili: a cominciare dal problema del sovraffollamento delle carceri (problema volutamente mai risolto per avere la scusa di usare l’indulto), fino alla riforma della giustizia (che tanto interessa a Berlusconi e a quelli come lui). Grazie all’uscente Ministro Cancellieri, poi, anche l’immagine di questo ruolo era stata compromessa. Serviva dunque un volto nuovo e affidabile.
Nicola Gratteri
     Renzi pensa a Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, un magistrato anti-’ndrangheta, uno che politicamente si era sempre mostrato indipendente non essendosi mai candidato per alcuna forza politica. Gratteri aveva anche qualche proposta per risolvere i problemucci di Palazzo Piacentini: costruzione di nuove carceri per evitare il sovraffollamento senza mandare fuori criminali; inasprimento del 41bis, il regime di carcere duro per i detenuti mafiosi o molto pericolosi, che non avrebbero dovuto essere in contatto con nessuno (ricordiamo che il 41bis era uno dei punti del famoso “papello” di Totò Riina, che imponeva allo stato di migliorare le condizioni dei mafiosi giù condannati in cambio della cessazione delle bombe nella stagione stragista dei primi anni ’90); detenzione negli spazi esterni e lavoro per il reinserimento sociale dei detenuti non gravissimi; accordi bilaterali con paesi stranieri per far scontare ai detenuti non italiani una parte della pena nel loro paese d’origine; diverse riforme al codice di procedura penale
     Quindi, come si vede, Gratteri era uno che rischiava di far davvero funzionare la giustizia in questo paese. E andava bene persino a Berlusconi, che come si sa è allergico alla “razza” dei pm: il condannato di Arcore si era anche informato su «questo signore che conosco troppo poco» e non aveva avuto niente da ridire! Renzi lo vuole in squadra, fino alla sera prima di presentare la lista al Quirinale gli giura e spergiura che il posto è suo, che ce l’ha praticamente in tasca. Ma non avevamo fatto i conti con re Giorgio, il vero manovratore e arbitro della vita politica italiana dal 2011 a oggi. Napolitano si è subito imposto, ponendo un forte veto su Gratteri. Ora, le motivazioni vere le lasciamo all’intelligenza del lettore, riportando solo la scusa ufficiale, che è stata: «c’è una regola sempre rispettata: i magistrati non possono andare alla Giustizia».
     Pensate: un magistrato ad amministrare la giustizia. Che ossimoro! È come dire che nella cucina di un ristorante vanno messi i cuochi: ma siamo matti? In verità, di magistrati alla Giustizia ce ne sono stati eccome: Nitto Palma, per esempio, era Guardasigilli durante l’ultimo governo Berlusconi. Ma soprattutto: se a Napolitano sta tanto a cuore seguire quelle “regole non scritte” della buona politica, perché ha violato quell’altra regola non scritta (ricordata e sostenuta da lui stesso) che dice che un Presidente della Repubblica non deve ricandidarsi due volte? Giudicate voi…
     Renzi dichiarava di voler difendere a tutti i costi il suo candidato: «Non voglio cedere!». Gli sono bastati cinque minuti per cedere agli ordini di Napolitano, che sennò gli bocciava tutta la squadra. Gratteri viene fatto così fuori e al suo posto Napolitano piazza Orlando, che quasi se la fa sotto, che preferiva restare all’Ambiente e ammette di essere «preoccupato»: «Io Ministro della Giustizia? Mamma mia, che responsabilità enorme…!».

Demagogia spicciola
     In tutto questo bel panorama Renzi ha rincarato la dose: il suo governo non doveva neanche esistere e ora già parla di arrivare al 2018 (praticamente un’intera legislatura politica). Niente governo di scopo, nato solo per fare le cose essenziali e poi andare al voto (a proposito: non c’è cenno di legge elettorale in questo programma governativo). Il neopremier afferma che tutti ci hanno messo la faccia, che «questo governo risponde solo a me. Se sbagliamo è colpa mia, solo mia. Se c’è una responsabilità è mia, punto. Non ci sono più alibi». Roba grossa! Ma in un paese come l’Italia, che dimentica entro 24 ore anche le promesse più teatrali (come il milione di posti di lavoro), è come se non fosse mai stato detto.
     E alla domanda “Perché mai dovremmo astenerci dal ribellarci ora che un ennesimo governo è stato imposto al paese calpestando il più grande potere dei cittadini, ovvero la sovranità?” Renzi risponde «Perché l’Italia non ha scelta!». Potere della logica: si può ribaltare il mondo intero con essa. Ma l’Italia, una scelta, ce l’ha eccome e anche più di una. Peccato che ogni volta che qualcuno si proponga come alternativa si attivi subito la macchina del fango per gettare discredito su proposte positive o personalità affidabili. Alcuni esempi in proposito: la proposta della nuova legge elettorale del MoVimento5telle è stata fatta passare in secondo piano dai media e nessun politico di nessuno schieramento ne ha fatto cenno, mentre la Cassazione ha dichiarato che una legge elettorale nuova occorre perché quella che abbiamo è incostituzionale (il governo Letta non ha fatto la legge elettorale); oppure il succitato Gratteri, subito adombrato da Napolitano; o ancora tutti i candidati “nuovi” che si sono presentati alle scorse politiche, tutti screditati con le motivazioni più banali proprio da quei politici che hanno sulle spalle condanne o processi pendenti (Ingroia non andava bene perché era stato magistrato e non poteva fare il premier, Grillo dice troppe parolacce...).
     Se nascondi le alternative valide per poter dire “io sono l’unica alternativa” è ovvio che poi chiunque si opponga appaia come un irresponsabile che vuole male al paese. E la maggioranza degli italiani, che ragiona con la pancia e guarda Barbara D’Urso convinta di informarsi sull’attualità, dà ragione a questi paradossi.

Critiche a Renzi
     Qualche perplessità Renzi è riuscito a suscitare almeno in seno allo stesso PD, da cui si sono levate fondamentalmente due critiche. La prima, più forte, proveniente da Pippo Civati, il quale parla di Matteo Letta e valuta l’ipotesi di rompere col PD, perché non riesce a riconoscersi nella condotta di Renzi; l’altra, più tecnica, di Cuperlo, che fa notare come essere contemporaneamente segretario del PD e capo del Governo sia una cosa su cui occorre «avviare una riflessione molto seria», perché «nel nostro partito ora viviamo un’anomalia». Poi ci sarebbero anche i montiani, che si sono visti trombare il loro esponente Mario Mauro alla Difesa e che rischiano di mettere in pericolo il voto di fiducia al governo.

E se Renzi fallisse…?
     Ad ogni modo, staremo a vedere cosa sarà in grado di fare questo governo del giovane vecchio, che promette una riforma al mese, proprio in prossimità delle elezioni europee e che viaggia con un rottamatore che si tiene i rottamati. Renzi rischia grosso, se fallisce il colpo sarà pesante. Io, comunque, credo che in Italia uno come lui non avrebbe difficoltà a riemergere. Anzi, credo che riemergerebbe con lo stesso metodo che l’ha portato prima a vincere le primarie e poi a essere scelto come volto del nuovo governo (che nuovo non è ma ha solo cambiato faccia): il successo mediatico. Riemergerebbe esattamente come ha fatto Berlusconi per tante volte. Anche lui sarebbe un “rieccolo”, come veniva chiamato Amintore Fanfani, che proprio quando lo credevi morto, rispuntava inaspettatamente. Come fa notare la prof.ssa Signorelli, docente di antropologia culturale all’Università “Federico II” di Napoli, «Renzi ha ottenuto una primazia conquistata con le armi tipiche delle società post-moderne: alla visibilità è corrisposto il successo, al successo il consenso. I fattori dovrebbero invece avere un ordine diverso: illustro le mie idee, guadagno il consenso e poi ottenuto il successo. Prima c’era l’ideale come carattere collettivo. Si stava col Pci, non con Togliatti».

     Ecco quindi il panorama: abbiamo al governo un uomo non scelto, dalla personalità fortemente egocentrata (perché mai avrebbe tolto ad Alfano il ruolo di vicepremier?), parecchio vanitoso e fa tutt’altro da quello che dice, un uomo di cui perfino la parodia di Maurizio Crozza riesce ad essere più attendibile e che è un bravo manipolatore della comunicazione (e non un bravo comunicatore, che è diverso). Il suo governo nasce già in pericolo, mutilato dai veti di Napolitano e con una maggioranza parlamentare precaria e continuamente sotto minaccia; inoltre non introduce novità, limitandosi solo a cambiare le facce, o meglio, la facciata. Un uomo che prepotentemente se ne infischia dei suoi stessi elettori e che ora pretende di fare un’intera legislatura, con il paese che ancora una volta si è visto negare la possibilità di scegliere il proprio rappresentante.

     Teniamolo d’occhio questo governo e vediamo cosa saprà fare. Ah, a proposito… ecco l’elenco dei ministri.

Matteo Renzi, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Graziano Delrio, SOTTOSEGRETARIATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Ministri con portafoglio

Pier Carlo Padoan, MINISTERO DELL’ECONOMIA
Angelino Alfano, MINISTERO DELL’INTERNO
Andrea Orlando, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Federica Guidi, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Giuliano Poletti, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Stefania Giannini, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
Dario Franceschini, MINISTERO DELLA CULTURA
Beatrice Lorenzin, MINISTERO DELLA SALUTE
Federica Mogherini, MINISTERO DEGLI ESTERI
Roberta Pinotti, MINISTERO DELLA DIFESA
Maurizio Martina, MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
Gianluca Galletti, MINISTERO DELL’AMBIENTE
Maurizio Lupi, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI

Ministri senza portafoglio

Maria Elena Boschi, MINISTERO DEI RAPPORTI COL PARLAMENTO
Marianna Madia, MINISTERO DELL SEMPLIFICAZIONE
Maria Carmela Lanzetta, MINISTERO DEGLI AFFARI REGIONALI




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