Matteo Renzi |
Da poco Letta è stato sfiduciato dal PD
per i palesi fallimenti del suo governo e i geni della Casta politica hanno ben
pensato di ripresentare agli italiani lo stesso programma, ma con un volto
nuovo, per rassicurarli. Nasce così il governo Renzi I, che molti hanno già
ribattezzato “governo Napolitano III”, perché è il terzo governo non scelto dal
voto dei cittadini italiani ma pilotato con manovre molto dubbie dal due volte
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La gran parte dei media hanno
ricamato cornici auree attorno a questo evento e lo stesso Renzi si è prestato
a fare la parte dello statista composto davanti alle telecamere per presentare
agli italiani nel modo migliore possibile questo passo che, come vedremo è
tutt’altro che tranquillizzante per noi cittadini. In queste righe cercheremo
di riflettere su quei punti che non sono stati affrontati in maniera critica
dai diretti interessati e proveremo a mostrare le prime gravi pecche di questo
neonato governo, mettendo in mostra meccanismi e sottolineando particolari che
dovrebbero interessare alla gente per farsi un’idea un pio’ più libera su Renzi
e sui protagonisti stessi di questo nuovo modo di fare politica che si è
affermato in Italia sotto l’egida di Giorgio Napolitano.
Apparentemente il governo nascente
presenta delle novità, per così dire, “di vetrina” che lo fanno apparire
migliore del precedente e questo dovrebbe avere nelle intenzioni degli artefici
la funzione di tranquillizzare l’opinione pubblica che sempre più si allontana
dalla politica. Per esempio, questo esecutivo si vanta di aver ridotto
drasticamente il numero dei ministeri, riducendolo a 16 (mentre il precedente
governo Letta ne aveva 21). In secondo luogo Renzi ha tenuto a sottolineare lo
sforzo di introdurre nella squadra personalità giovani, come giovane è lui (un
dato che ha contribuito molto alla sua escalation mediatica): l’età media dei
ministri sarebbe infatti alquanto bassa; in ultimo c’è la parità di genere: 8
ministri uomini e 8 donne condividono, in perfetto equilibrio, la gestione
della cosa pubblica.
Questi sono gli elementi che secondo Renzi
dovrebbero bastare a fare del suo governo un ottimo governo, al punto che il
neopremier promette di fare una riforma al mese (sebbene la maggioranza in Parlamento
sia molto più precaria di quella che aveva il suo predecessore, quindi non si
capisce cosa gli dia tanta sicurezza).
Vediamo ora cosa agli italiani non è stato
fatto notare in tutte le conferenze stampa e le interviste sinora tenute…
Un
premier inaffidabile
In primis ci sono alcune incoerenze dello
stesso Renzi che ne mettono in discussione la credibilità agli occhi della
gente. Un politico è credibile quando le sue azioni si mantengono abbastanza
vicino alle sue idee e a ciò che egli dichiara di voler fare, altrimenti quel
politico è inaffidabile, una “sola”, un imbroglione. Ebbene, appena pochissimi
giorni fa, quando l’ipotesi della Presidenza del Consiglio non ancora era in
auge, Renzi andava sbandierando a destra e a sinistra che «anche se si formasse
un nuovo governo non sarei io candidabile avendo più volte detto che se andrò a
Palazzo Chigi un giorno, ci andrò forte del consenso popolare, non di manovre
di Palazzo». La promessa era quindi di farsi scegliere dagli italiani, non come
Monti e Letta, che sono stati imposti da “manovre di Palazzo”. E infatti, detto
fatto, Renzi diventa premier senza farsi eleggere. Giudicate voi…
Le
“nuove” facce (di bronzo): cambiare tutto per non cambiare niente
La seconda pecca che sa di presa per i
fondelli riguarda il rinnovamento della squadra. Essa presenta indubbiamente
facce nuove, ma Renzi si è dimenticato di spiegare che qualche faccia nuova non
trasforma affatto il governo: è come dire che avendo cambiato i cerchioni, la
vernice e la targa di un’auto, questa sia un’auto diversa che funziona in modo
diverso. Le più forti personalità del precedente (e fallimentare) governo Letta
figurano ancora nel governo Renzi, alla faccia del rinnovamento. Si tratta di
Alfano, personalità che ha fatto molte pressioni a Renzi (pressioni che hanno
funzionato: Alfano è addirittura rimasto nello stesso identico ruolo che aveva
nel governo Letta, Ministro dell’Interno), oppure Lorenzin, che è rimasta
Ministro della Salute, pari pari a prima; o ancora Lupi, che hanno lasciato
alle Infrastrutture e Trasporti.
Accanto a questi ministri monouso, usati
per fare sempre la stessa cosa, vediamo anche i ministri multiuso, ovvero
persone che non sono state sostituite in nome del rinnovamento, ma
semplicemente spostate ad altri dicasteri: è il caso di Franceschini, deportato
ai Beni culturali; oppure Andrea Orlando (su cui diremo meglio più avanti), che
Letta aveva voluto all’Ambiente e che Renzi ha messo alla Giustizia.
Alfano:
il Ministro dell’Interno che può permettersi di non sapere
Colpisce, sempre in barba alla pulizia
della classe dirigente, la presenza di Alfano non solo perché era già stato
Ministro, ma perché, come ricorderete, su di lui si era abbattuto lo scandalo
del caso Shalabayeva, moglie di un dissidente kazako prelevata dalla polizia
italiana: un fatto grave perché Alfano ha sempre dichiarato di non esserne informato
e proprio lui, che era Ministro dell’Interno, doveva conoscere e gestire quella
vicenda in modo regolare. Lo stesso Renzi a tal proposito aveva dichiarato: «Se
il Ministro dell’Interno sapeva e ha mentito è un problema. Se non sapeva è
ancora peggio». Cosa credete che abbia fatto Renzi di fronte a un Ministro che,
nel migliore dei casi, è incapace e, nel peggiore, è un bugiardo? Ovvio: l’ha
voluto nel suo governo. E nello stesso identico ruolo.
Certo, qualcuno potrà dire che il povero
Renzi è stato “costretto” perché non si poteva immaginare di avere in mano
tutte le redini della faccenda: che ci siano ricatti nel bel clima delle larghe
intese è normale: tutti si ricattano a vicenda, perché nelle larghe intese all’italiana
non esiste alcuna stabilità, essa è un’accozzaglia di tutte le forze politiche,
ognuna delle quali spinge per accaparrarsi qualcosa. E bisogna per forza
accontentare tutti, perché altrimenti la struttura si frantuma, se qualcuno fa
i capricci e minaccia di andarsene l’equilibrio si perde e tutto crolla.
Giustizia:
il veto di Napolitano bacchetta Renzi
Ma veniamo a quella che forse è la pecca
maggiore: il Ministero della Giustizia. Come sappiamo, in Italia quello della
Giustizia è un dicastero che scotta, perché i problemi che deve gestire sono
molti e difficili: a cominciare dal problema del sovraffollamento delle carceri
(problema volutamente mai risolto per avere la scusa di usare l’indulto), fino
alla riforma della giustizia (che tanto interessa a Berlusconi e a quelli come
lui). Grazie all’uscente Ministro Cancellieri, poi, anche l’immagine di questo
ruolo era stata compromessa. Serviva dunque un volto nuovo e affidabile.
Nicola Gratteri |
Renzi pensa a Nicola Gratteri, procuratore
aggiunto di Reggio Calabria, un magistrato anti-’ndrangheta, uno che
politicamente si era sempre mostrato indipendente non essendosi mai candidato
per alcuna forza politica. Gratteri aveva anche qualche proposta per risolvere
i problemucci di Palazzo Piacentini: costruzione di nuove carceri per evitare
il sovraffollamento senza mandare fuori criminali; inasprimento del 41bis, il
regime di carcere duro per i detenuti mafiosi o molto pericolosi, che non
avrebbero dovuto essere in contatto con nessuno (ricordiamo che il 41bis era
uno dei punti del famoso “papello” di Totò Riina, che imponeva allo stato di
migliorare le condizioni dei mafiosi giù condannati in cambio della cessazione
delle bombe nella stagione stragista dei primi anni ’90); detenzione negli
spazi esterni e lavoro per il reinserimento sociale dei detenuti non
gravissimi; accordi bilaterali con paesi stranieri per far scontare ai detenuti
non italiani una parte della pena nel loro paese d’origine; diverse riforme al
codice di procedura penale…
Quindi, come si vede, Gratteri era uno che
rischiava di far davvero funzionare la giustizia in questo paese. E andava bene
persino a Berlusconi, che come si sa è allergico alla “razza” dei pm: il
condannato di Arcore si era anche informato su «questo signore che conosco
troppo poco» e non aveva avuto niente da ridire! Renzi lo vuole in squadra,
fino alla sera prima di presentare la lista al Quirinale gli giura e spergiura
che il posto è suo, che ce l’ha praticamente in tasca. Ma non avevamo fatto i
conti con re Giorgio, il vero manovratore e arbitro della vita politica
italiana dal 2011 a oggi. Napolitano si è subito imposto, ponendo un forte veto
su Gratteri. Ora, le motivazioni vere le lasciamo all’intelligenza del lettore,
riportando solo la scusa ufficiale, che è stata: «c’è una regola sempre
rispettata: i magistrati non possono andare alla Giustizia».
Pensate: un magistrato ad amministrare la
giustizia. Che ossimoro! È come dire che nella cucina di un ristorante vanno
messi i cuochi: ma siamo matti? In verità, di magistrati alla Giustizia ce ne
sono stati eccome: Nitto Palma, per esempio, era Guardasigilli durante l’ultimo
governo Berlusconi. Ma soprattutto: se a Napolitano sta tanto a cuore seguire
quelle “regole non scritte” della buona politica, perché ha violato quell’altra
regola non scritta (ricordata e sostenuta da lui stesso) che dice che un Presidente della
Repubblica non deve ricandidarsi due volte? Giudicate voi…
Renzi
dichiarava di voler difendere a tutti i costi il suo candidato: «Non voglio
cedere!». Gli sono bastati cinque minuti per cedere agli ordini di Napolitano,
che sennò gli bocciava tutta la squadra. Gratteri viene fatto così fuori e al
suo posto Napolitano piazza Orlando, che quasi se la fa sotto, che preferiva
restare all’Ambiente e ammette di essere «preoccupato»: «Io Ministro della
Giustizia? Mamma mia, che responsabilità enorme…!».
Demagogia
spicciola
In tutto questo bel panorama Renzi ha
rincarato la dose: il suo governo non doveva neanche esistere e ora già parla
di arrivare al 2018 (praticamente un’intera legislatura politica). Niente
governo di scopo, nato solo per fare le cose essenziali e poi andare al voto (a
proposito: non c’è cenno di legge elettorale in questo programma governativo). Il
neopremier afferma che tutti ci hanno messo la faccia, che «questo governo
risponde solo a me. Se sbagliamo è colpa mia, solo mia. Se c’è una
responsabilità è mia, punto. Non ci sono più alibi». Roba grossa! Ma in un
paese come l’Italia, che dimentica entro 24 ore anche le promesse più teatrali
(come il milione di posti di lavoro), è come se non fosse mai stato detto.
E alla domanda “Perché mai dovremmo
astenerci dal ribellarci ora che un ennesimo governo è stato imposto al paese
calpestando il più grande potere dei cittadini, ovvero la sovranità?” Renzi
risponde «Perché l’Italia non ha scelta!». Potere della logica: si può
ribaltare il mondo intero con essa. Ma l’Italia, una scelta, ce l’ha eccome e
anche più di una. Peccato che ogni volta che qualcuno si proponga come alternativa
si attivi subito la macchina del fango per gettare discredito su proposte
positive o personalità affidabili. Alcuni esempi in proposito: la proposta
della nuova legge elettorale del MoVimento5telle è stata fatta passare in
secondo piano dai media e nessun politico di nessuno schieramento ne ha fatto
cenno, mentre la Cassazione ha dichiarato che una legge elettorale nuova
occorre perché quella che abbiamo è incostituzionale (il governo Letta non ha
fatto la legge elettorale); oppure il succitato Gratteri, subito adombrato da
Napolitano; o ancora tutti i candidati “nuovi” che si sono presentati alle
scorse politiche, tutti screditati con le motivazioni più banali proprio da
quei politici che hanno sulle spalle condanne o processi pendenti (Ingroia non
andava bene perché era stato magistrato e non poteva fare il premier, Grillo
dice troppe parolacce...).
Se nascondi le alternative valide per
poter dire “io sono l’unica alternativa” è ovvio che poi chiunque si opponga
appaia come un irresponsabile che vuole male al paese. E la maggioranza degli
italiani, che ragiona con la pancia e guarda Barbara D’Urso convinta di
informarsi sull’attualità, dà ragione a questi paradossi.
Critiche
a Renzi
Qualche perplessità Renzi è riuscito a
suscitare almeno in seno allo stesso PD, da cui si sono levate fondamentalmente
due critiche. La prima, più forte, proveniente da Pippo Civati, il quale parla
di Matteo Letta e valuta l’ipotesi di rompere col PD, perché non riesce a
riconoscersi nella condotta di Renzi; l’altra, più tecnica, di Cuperlo, che fa
notare come essere contemporaneamente segretario del PD e capo del Governo sia
una cosa su cui occorre «avviare una riflessione molto seria», perché «nel
nostro partito ora viviamo un’anomalia». Poi ci sarebbero anche i montiani, che
si sono visti trombare il loro esponente Mario Mauro alla Difesa e che rischiano
di mettere in pericolo il voto di fiducia al governo.
E
se Renzi fallisse…?
Ad ogni modo, staremo a vedere cosa sarà
in grado di fare questo governo del giovane vecchio, che promette una riforma
al mese, proprio in prossimità delle elezioni europee e che viaggia con un
rottamatore che si tiene i rottamati. Renzi rischia grosso, se fallisce il
colpo sarà pesante. Io, comunque, credo che in Italia uno come lui non avrebbe
difficoltà a riemergere. Anzi, credo che riemergerebbe con lo stesso metodo che
l’ha portato prima a vincere le primarie e poi a essere scelto come volto del
nuovo governo (che nuovo non è ma ha solo cambiato faccia): il successo
mediatico. Riemergerebbe esattamente come ha fatto Berlusconi per tante volte. Anche
lui sarebbe un “rieccolo”, come veniva chiamato Amintore Fanfani, che proprio
quando lo credevi morto, rispuntava inaspettatamente. Come fa notare la
prof.ssa Signorelli, docente di antropologia culturale all’Università “Federico
II” di Napoli, «Renzi ha ottenuto una primazia conquistata con le armi tipiche
delle società post-moderne: alla visibilità è corrisposto il successo, al
successo il consenso. I fattori dovrebbero invece avere un ordine diverso:
illustro le mie idee, guadagno il consenso e poi ottenuto il successo. Prima c’era
l’ideale come carattere collettivo. Si stava col Pci, non con Togliatti».
Ecco quindi il panorama: abbiamo al
governo un uomo non scelto, dalla personalità fortemente egocentrata (perché
mai avrebbe tolto ad Alfano il ruolo di vicepremier?), parecchio vanitoso e fa
tutt’altro da quello che dice, un uomo di cui perfino la parodia di Maurizio
Crozza riesce ad essere più attendibile e che è un bravo manipolatore della
comunicazione (e non un bravo comunicatore, che è diverso). Il suo governo
nasce già in pericolo, mutilato dai veti di Napolitano e con una maggioranza
parlamentare precaria e continuamente sotto minaccia; inoltre non introduce
novità, limitandosi solo a cambiare le facce, o meglio, la facciata. Un uomo
che prepotentemente se ne infischia dei suoi stessi elettori e che ora pretende
di fare un’intera legislatura, con il paese che ancora una volta si è visto
negare la possibilità di scegliere il proprio rappresentante.
Teniamolo d’occhio questo governo e
vediamo cosa saprà fare. Ah, a proposito… ecco l’elenco dei ministri.
Matteo
Renzi, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Graziano
Delrio, SOTTOSEGRETARIATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Ministri
con portafoglio
Pier
Carlo Padoan, MINISTERO DELL’ECONOMIA
Angelino
Alfano, MINISTERO DELL’INTERNO
Andrea
Orlando, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Federica
Guidi, MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
Giuliano
Poletti, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Stefania
Giannini, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
Dario
Franceschini, MINISTERO DELLA CULTURA
Beatrice
Lorenzin, MINISTERO DELLA SALUTE
Federica
Mogherini, MINISTERO DEGLI ESTERI
Roberta
Pinotti, MINISTERO DELLA DIFESA
Maurizio
Martina, MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE
Gianluca
Galletti, MINISTERO DELL’AMBIENTE
Maurizio
Lupi, MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Ministri
senza portafoglio
Maria
Elena Boschi, MINISTERO DEI RAPPORTI COL PARLAMENTO
Marianna
Madia, MINISTERO DELL SEMPLIFICAZIONE
Maria
Carmela Lanzetta, MINISTERO DEGLI AFFARI REGIONALI
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