mercoledì 26 febbraio 2014

Scripta manent, n. 19 – Il mercato politico: le contraddizioni dei partiti e degli elettori

     Quello che vi propongo oggi è una serie di passi tratti da una bella raccolta di riflessioni sulla democrazia moderna del politologo Norberto Bobbio. La raccolta è stata pubblicata col titolo di Il futuro della democrazia e rappresenta un insieme di ragionamenti interessanti sui meccanismi e le contraddizioni del modo con cui oggi funzionano i governi democratici. Nel particolare clima politico dei nostri tempi, in cui una certa politica fa di tutto per spingere la gente a disinteressarsi delle questioni dello stato (che poi sono le loro questioni), mi appare più che mai urgente che le persone siano in grado di riconoscere i meccanismi dannosi per la politica e preferire invece quelli buoni.
     Il passo qui proposto parla del modo con cui i partiti comunicano tra loro (che Bobbio chiama il “grande mercato”) e quello con cui i partiti comunicano con i loro elettori (“piccolo mercato”). Alla base dei meccanismi esposti c’è il funzionamento di un intero paese e il suo destino, giacché sono gli elettori che danno il permesso ai partiti di fare politica e sono i partiti che attuano le decisioni della vita pubblica.

     P.S. Le note tra parentesi sono mie.




     Oggi chi consideri realisticamente come si prendono le decisioni in un parlamento, dove i deputati sono tenuti alla disciplina di partito, e quando se ne discostano lo fanno non sempre per difendere interessi nazionali contro interessi di parte ma perché ubbidiscono a gruppi di pressione che in un certo senso rappresentano interessi ancor più particolari di quelli dei partiti, deve ammettere che una dizione come quella dell’art. 67 della costituzione «Ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione» suona falsa, se non addirittura ridicola. Ogni membro del parlamento rappresenta prima di tutto il proprio partito, così come in uno stato di ceti il delegato rappresentava prima di tutti gli interessi del proprio ceto. Con questo non voglio affatto proporre un anacronistico confronto fra lo stato di ceti e lo stato di partiti, ma semplicemente mettere in rilievo ancora una volta quanto sia difficile vedere attuato in pratica l’ideale dell’unità statale al di sopra delle parti, anche quando i soggetti politici non sono più i gruppi, i ceti, gli ordini che difendono gli interessi particolari, ma gl’individui di uno stato democratico investiti di una pubblica funzione. La difficoltà nasce dal fatto che le società parziali che Rousseau voleva coerentemente bandire dalla sua repubblica proprio perché avrebbero fatto valere interessi di parte non solo non sono scomparse con l’avvento della democrazia, ma sono enormemente aumentate sia per effetto dello stesso sviluppo della democrazia da cui sono nati i grandi partiti di massa, sia in conseguenza della formazione di grandi organizzazioni per la difesa d’interessi economici  nelle società industriali, caratterizzate da forti concentrazioni di potere economico. Tra questi potentati quasi sovrani si svolgono continue negoziazioni che costituiscono la vera trama dei rapporti di potere nella società contemporanea, nella quale il governo, il “sovrano” nel senso tradizionale della parola, il cui posto dovrebbe essere super partes (1), figura come un potentato fra gli altri, e non sempre è il più forte.
     Mentre tra partiti si svolge il grande mercato, tra partiti e cittadini elettori si svolge il piccolo mercato, quello che oggi si chiama “mercato politico” per eccellenza, attraverso il quale i cittadini elettori investiti, in quanto elettori, di una funzione pubblica, diventano clientes (2), e ancora una volta un rapporto di natura pubblica si trasforma in un rapporto di natura privata. Si tratta del resto di una forma di privatizzazione del pubblico che dipende dalla precedente, cioè dalla capacità dei partiti di tenere in pugno i loro deputati e di ottenere da loro il mantenimento delle promesse fatte agli elettori. Ne dipende, in quanto la trasformazione dell’elettore in cliente è possibile soltanto attraverso la trasformazione del mandato libero in mandato vincolato (3). I due fenomeni sono strettamente connessi e sono entrambi espressione di quella dissoluzione dell’unità organica dello stato che ha costituito il nucleo essenziale della teoria e dell’ideologia (più ideologia che teoria) dello stato moderno, e nello stesso tempo anche una forma di corruzione del principio individualistico da cui è nata la democrazia moderna, la cui regola del gioco è la regola di maggioranza, fondata sul principio che ogni testa è un voto.
     Che la democrazia moderna sia nata dalla concezione individualistica, atomistica, della società, non è dubbio […] Non è pure dubbio che la democrazia rappresentativa sia nata dal presupposto (sbagliato) che gl’individui, una volta investiti dalla funzione pubblica di scegliere i loro rappresentanti, avrebbero scelto i “migliori”. C’è un brano in una lettera dei Federalist Papers¸ scritta da Madison, che ogniqualvolta mi è accaduto di leggerla ai miei scolari non ha mancato di provocare una grande ilarità: è il brano in cui uno dei vantaggi della democrazia rappresentativa viene fatto consistere nell’elezione di un «corpo di cittadini, la cui provata saggezza può meglio discernere l’interesse collettivo del proprio paese e la cui sete di giustizia renderebbe meno probabile che si sacrifichi il bene del paese a considerazioni particolarissime e transitorie». Sbagliato il presupposto, perché non si riesce a capire come mai ci si potesse illudere (anche se si tratta di un’illusione dura a morire) sul fatto che il cittadino chiamato a scegliere il suo rappresentante politico non scegliesse la persona o il gruppo che gli dava le maggiori garanzie di soddisfare i suoi interessi. La vecchia definizione dell’appartenenza a un partito come idem sentire de re pubblica (4) lasciava credere falsamente che chi vota per un partito lo faccia perché convinto della bontà delle idee che esso esprime, un voto, come oggi si direbbe, di opinione. Nelle società di massa il voto di opinione sta diventando sempre più raro: oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito o credono di aver capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza grave danno, e come tutti i riti, ad esempio la messa alla domenica, sono in fin dei conti una seccatura. Opinione discutibile, condannevole, detestabile, ma opinione. Sta aumentando invece il voto di scambio, via via che gli elettori si fanno più smaliziati e i partiti più abili. […] Nello scambio fra risorse pubbliche e consenso, in cui consiste la peculiarità del contratto politico, l’interesse dell’elettore s’incontra con l’interesse del partito. La forza di un partito si misura a numero di voti. Tanto maggiore il numero di voti nel piccolo mercato che si svolge tra il partito e gli elettori, tanto più grande la forza contrattuale del partito nel grande mercato che si svolge nei rapporti dei partiti fra loro, anche se nel grande mercato conta non solo il numero dei voti che un partito può mettere sul piatto della bilancia ma anche la collocazione nel sistema delle alleanze, sicché un piccolo partito quando è determinante per la formazione di una maggioranza ha un peso specifico maggiore […].



Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia


NOTE:
(1) Espressione latina che significa “al di sopra delle parti”, ovvero “imparziale”.
(2) Nome che nell’antica Roma si dava a tutti coloro che chiedevano la protezione di un personaggio potente (generalmente un patrizio) in cambio di supporto e di mantenimento (in denaro o in natura). Dal termine deriva la parola italiana “clienti” che qui non è usata nel suo significato comune di “acquirente”, ma nel senso (un po’ dispregiativo) di persona che svende il proprio voto in cambio di favori personali.
(3) Il mandato libero è il potere conferito a un rappresentante politico (un parlamentare) di interpretare a suo modo gli interessi della collettività: oggi tutte le moderne democrazie hanno il mandato libero (cioè i rappresentanti non hanno vincolo di mandato), nel senso che, anche se il deputato è stato eletto da un gruppo X facente parte di una collettività generale C, non può essere obbligato per legge a soddisfare, una volta eletto, le promesse fatte al gruppo X, perché esso viene eletto comunque rappresentante di tutta la collettività C e deve perciò sacrificare gli interessi particolari in favore di quelli generali, se necessario. Un mandato vincolato è invece una forma di conferimento del potere in cui il rappresentante è obbligato a farsi semplice portavoce degli interessi di un ristretto gruppo di persone e deve curare esclusivamente quegli interessi particolari, altrimenti il mandato gli viene revocato.
(4) Significa letteralmente “avere la stessa opinione sullo stato”, ovvero condividere stesse idee sul modo con cui si fa politica.





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