L’hanno chiamata “agibilità politica”,
con un eufemismo spudorato che vorrebbe smussare tutta la gravità di quello che
è veramente, ovvero un’impunità a tutti gli effetti. Silvio Berlusconi vuole
salvarsi a tutti i costi, ma più il tempo passa, più i margini di azione si
restringono. E in questi giorni quelli del fu Pdl (a breve ritornerà Forza
Italia), hanno bombardato Giorgio Napolitano di richieste di intervento. L’hanno
pressato mentre era in vacanza a Castelporziano affinché intervenisse in ogni
modo, soprattutto con la grazia, per garantire al proprio leader la tanto
agognata agibilità politica, ovvero per farlo rimanere impunito.
Quello di Castelporziano è stato un assedio vero e proprio, e ieri il
Capo dello Stato, dopo una riunione con i suoi giuristi, tra cui Ernesto Lupo,
ha finalmente sciolto ogni riserva e si è pronunciato in una nota pubblicata sul sito del Quirinale,
nota con cui Napolitano dice finalmente la sua su cosa può e intende fare sul “caso
Berlusconi”, condannato definitivo per frode fiscale che dovrebbe già essere in
galera sia in virtù della sentenza che lo condanna, sia in virtù della legge
Severino del 2012 con cui egli dovrebbe essere automaticamente espulso dal
Parlamento in quanto condannato a più di due anni. Ecco dunque i punti in cui possiamo immaginare riassunta la nota del Presidente della Repubblica, rilasciata ieri 13 agosto:
- È assolutamente vietato mettere a rischio la tenuta del governo Letta: Berlusconi deve quindi smetterla di minacciare continuamente di creare scompiglio o di far cadere crisi sull’esecutivo tanto voluto dallo stesso Napolitano all’indomani della fallimentare esperienza elettorale di febbraio. Niente slogan antistituzionali, quindi, niente accuse alla magistratura, come questo pregiudicato si ostina a fare da anni: non si deve mettere in discussione l’indipendenza dei giudici.
- Berlusconi deve rassegnarsi a prendere atto della sentenza che, in quanto sentenza definitiva, va rispettata come accade per qualunque altro cittadino. Non sono da sperare scappatoie-salvacondotti, quindi, per il Cavaliere. Si prenda atto di ciò che la Cassazione ha deliberato.
- Non è detto che Berlusconi debba andare in carcere, perché la legge prevede pene alternative. Napolitano qui consola Berlusconi dall’eventualità forse più umiliante per lui e cita velatamente il precedente storico del caso di Forlani, ex segretario Dc, che scelse per sé i servizi sociali.
- Napolitano non ha ricevuto alcuna domanda di grazia e quindi non ha al momento nulla da valutare. La legge dice che il Presidente della Repubblica può agire anche di propria iniziativa, ma Napolitano esclude questa eventualità, sia per non sporcare l’immagine della propria persona e della propria carica, sia perché dopo i casi Sofri e Bompressi si è consolidata la prassi di chiedere la grazia espressamente, senza aspettare che il Capo dello Stato intervenga d’ufficio. Se questa dovesse arrivare, il Colle la prenderà in esame, così come previsto dalla legge. In realtà se Silvio Berlusconi chiedesse la grazia, riconoscerebbe come valida la sentenza della Cassazione e ciò equivarrebbe ad ammettere la propria colpevolezza. Non che questo sia un paradosso dal quale non saprebbe uscire, magari con argomentazioni del tipo «anche se innocente, devo dirmi colpevole per il bene del paese».
- La grazia, anche laddove arrivasse, può cancellare solo la pena principale (la reclusione), ma non inciderebbe sulla pena accessoria (l’interdizione), che comunque verrebbe a gravare su Berlusconi, anche in virtù della legge Severino che impone ai condannati a più di due anni di essere esclusi dal Parlamento (e la grazia non può derogare a una legge dello Stato). Di Pietro ha aggiunto a complemento: «Non ci sono né i presupposti giuridici né quelli morali per chiedere la grazia al Presidente della Repubblica».
- Le forze politiche devono restare unite e coese e non si ammettono quindi ipotesi di elezioni anticipate: Napolitano ribadisce quanto aveva già detto qualche settimana fa: il governo Letta deve continuare fino al 2015. A ben poco serve quindi la campagna elettorale che Berlusconi sta facendo da qualche tempo ormai.
- Sta a Berlusconi e al Pdl decidere del sua leadership politica. Il Capo dello Stato non ha poteri di intervento sulle sorti politiche di un leader.
Questo è in sostanza il contenuto
della dichiarazione del Quirinale. Facciamo ora qualche riflessione…
Innanzitutto Travaglio ricorda che una sentenza della Consulta
(200/2006), citata solo a metà da Napolitano, ribadisce che la grazia può
essere concessa solo per «eccezionali esigenze di natura umanitaria» e che essa
«esula da ogni valutazione di natura politica». Lo ripeto: la grazia si fonda
su motivazioni umanitarie, non politiche. Questo vuol dire che alla base della
grazia non ci possono essere motivazioni come quelle che vengono addotte in
questi giorni, quali «Berlusconi serve alla sopravvivenza del governo».
Anzi è proprio in motivazioni come questa che si coglie tutta la mala
fede del Pdl e di chi sostiene queste larghe intese. Se davvero il Pdl avesse a
cuore le sorti del paese come dice e quindi volesse veramente far continuare il
governo per le riforme che (non) sta facendo, allora eleggerebbe subito un nuovo
leader che, sempre negli interessi del paese, guiderebbe il partito nell’ambito
delle larghe intese: è quello che è successo del resto al Pd, che ha nominato
Epifani al posto del decaduto (e decadente) Bersani. Berlusconi non è infatti
il solo uomo sulla Terra grazie al quale un governo possa esistere, non sta
scritto da nessuna parte che solo la sua presenza possa garantire la
governabilità del paese! Esistono ed esisteranno sempre politici anche migliori di Berlusconi, che anzi ha mille motivazioni per sfruttare il potere politico a proprio vantaggio piuttosto che usarlo per il bene comune.
Osserviamo poi come, nella cautela e nella compostezza istituzionale che
caratterizzano il tono del messaggio, Napolitano voglia salvare il governo
Letta, più che Berlusconi. L’ipotesi della grazia non è stata immediatamente
negata, sarebbe stata una dichiarazione troppo forte per uno che, in fin dei
conti, è coinvolto in questo pasticciaccio di governo. Napolitano non si espone
troppo, quindi, ribadisce solo ciò che prevede la legge: che al massimo può
valutare la richiesta di grazia, se presentata. In realtà non ci sono assolutamente
i requisiti necessari per graziare uno come Berlusconi: troppi processi ancora
in corso, il condannato non si dimostra pentito, i fini non sono umanitari…
In un’occasione come quella dell’allontanamento di Berlusconi dalla
politica italiana, la destra avrebbe l’occasione di riformarsi ed epurarsi da
quel cancro antidemocratico che si chiama Silvio Berlusconi. Gli alleati e i collaboratori di gente come lui, che ha passato la vita a imbrogliare, sono infatti sempre
precari: i fidati veri sono pochi e i più sono sempre pronti a pugnalarlo alle
spalle alla minima occasione. Se Berlusconi va a fondo, saranno in molti a
voltargli le spalle, perché la stragrande maggioranza dei suoi appoggi si
basano su favori o promesse di favori: caduto il suo potere, Berlusconi diventa
inutile alla gente che ha comprato o corrotto.
I margini di manovra di Berlusconi sono in ogni caso molto stretti:
Napolitano gli ha lasciato ben poco spazio per muoversi. Questo Berlusconi lo
sapeva già da qualche giorno, perché Letta gliel’aveva anticipato, ma la nota
di ieri ha ugualmente seminato un po’ di disappunto nel condannato di Arcore,
che si è lasciato andare anche a un po’ di paranoia, ipotizzando che dietro le
concessioni che Napolitano pure gli ha rivolto si nasconda una qualche
trappola. Il suo legale Piero Longo, intanto, annuncia che prima o poi questa grazia dovrà essere
richiesta e che Napolitano, nella sua compostezza e nel suo non voler escludere
completamente l’ipotesi della grazia, abbia voluto indicare a Berlusconi la
strada che dovrebbe seguire.
Da notare poi che Napolitano non ha
fatto minimamente menzione dell’incandidabilità di Berlusconi, elemento pure
strettamente connesso a quello della sentenza e dell’agibilità politica.
Intanto, mentre tutti cadono nella
trappola retorica dell’agibilità politica, si continua a parlare del caso Berlusconi
come di un “problema politico”, come se la sua condanna fosse diversa da quella
di tutti gli altri. Solo perché il condannato è Silvio Berlusconi e ha fatto il
politico (in modo abusivo, dobbiamo dire, in barba alla legge del 1957). Lo
trattano e ne parlano come se il suo caso fosse un caso eccezionale, per il
quale sono normali delle eccezioni, ne parlano come se la sua presenza in
Parlamento fosse la sola a poter garantire la vivibilità politica. Nessuno
invece chiama le cose con il loro nome e dice la verità: che cioè Berlusconi è
un ladro che ha commesso un reato molto grave ed è attualmente imputato per
altri reati altrettanti gravi; che questa condanna lo deve escludere da ogni
forma di carica pubblica perché non è consentito a un condannato di avere il
potere delle cariche pubbliche; nessuno dice che già solo il fatto che
sia stata sollevata una questione così risonante su questa sentenza rende
Berlusconi un cittadino diverso dagli altri, violando il principio di
uguaglianza. Se uno viene condannato, deve scontare la pena. Punto! Non ci sono
“se” e non ci sono “ma”. E se prima faceva il politico non si capisce dove sta
la difficoltà: lascia la carica e lo si sostituisce. Non è così difficile da accettare.
Ci accorgiamo di come in questo modo
di intervenire, in questo continuo rimandare, in questa odiosa lentezza e
indeterminatezza, le istituzioni in Italia stiano attuando sempre la stessa
regola del temporeggiamento. La parola d’ordine è perdere tempo, anche sulle
cose che sono ormai chiare. È ormai chiaro, per esempio, che Berlusconi sia
condannato e che debba lasciare il Parlamento, ma la giunta in Senato ha
volutamente ritardato la votazione con cui si ufficializzerebbe la sua
espulsione. Da cosa credono di fuggire facendo così? Forse sperano in un
miracolo last minute… Intanto dal Movimento 5 Stelle, il senatore Giarrusso
tuona: «Se Napolitano concede la grazia rischia l’impeachment», e si minacciano
moti di piazza. E questi sì che sarebbero motivati.
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