mercoledì 9 gennaio 2013

Scripta manent, n. 16 – Prima il volere, poi il piacere


     In tempi come questi, in cui la gente si abbandona a se stessa e si lascia marcire nellapatia del disinteresse sociale e culturale, fa sempre bene rispolverare e riscoprire autori come Erich Fromm. E io ve lo voglio appunto riproporre qui, attraverso un piccolo accenno della riflessione che egli fa nella prefazione di Avere o essere?, dove esamina i vari pregiudizi legati alla cosiddetta “Grande Promessa”, ovvero alla presunzione dell’uomo nata dopo la grande rivoluzione industriale di poter creare una società piena di benefici per tutti senza limiti. Questo sistema, dice Fromm, ha promesso una cosa non solo irrealizzabile, ma addirittura dannosa, perché spinge la gente ad amare valori e comportamenti che invece danneggiano la natura umana, creando una società di individui depressi, tristi, arrabbiati e non in contatti con se stessi e con gli altri. Fromm passa attraverso l’esame di punti morti del sistema economico contemporaneo, aiutandoci a capire, prima ancora di cosa fare, cosa non fare, cosa non desiderare e ciò a cui non aspirare per poter essere felici. Una vera e propria guida spirituale, le cui riflessioni dovrebbero rappresentare l’ABC della vita interiore di ognuno di noi per imparare a prenderci cura di noi stessi in un modo meno malato.


     La Grande Promessa di Progresso Illimitato – vale a dire la promessa del dominio sulla natura, di abbondanza materiale, della massima felicità per il massimo numero di persone e di illimitata libertà personale – ha sorretto le speranze e la fede delle generazioni che si sono succedute a partire dall’inizio dell’era industriale. Indubbiamente, la nostra civiltà ha avuto esordio quando la specie umana ha cominciato a esercitare attivamente il controllo sulla natura; ma tale controllo è rimasto limitato fino all’avvento definitivo dell’era industriale stessa. Grazie al progresso industriale, cioè al processo che ha portato alla sostituzione dell’energia animale e umana con l’energia dapprima meccanica e quindi nucleare e alla sostituzione della mente umana con il calcolatore elettronico, abbiamo potuto credere di essere sulla strada che porta a una produzione illimitata e quindi a illimitati consumi; che la tecnica ci avesse resi onnipotenti e la scienza onniscienti; che fossimo insomma sul punto di diventare dei, superuomini capaci di creare un mondo “secondo”, servendoci del mondo naturale soltanto come di una serie di elementi di costruzione per edificarne uno nuovo.

[…]

     L’imponenza della Grande Promessa, le stupende realizzazioni materiali e intellettuali dell’era industriale devono essere tenute ben presenti se si vuole capire l’entità del trauma che oggi è prodotto dalla constatazione del suo fallimento. È infatti innegabile che l’era industriale non sia riuscita a esaudire la Grande Promessa, e un numero sempre crescente di persone sta oggi rendendosi conto di quanto segue:

  • La soddisfazione illimitata di tutti i desideri non comporta il vivere bene, né è la strada per raggiungere la felicità o anche soltanto il massimo piacere.
  • Il sogno di essere padroni assoluti delle nostre esistenze ha avuto fine quando abbiamo cominciato ad aprire gli occhi e a renderci conto che siamo tutti divenuti ingranaggi della macchina burocratica, e che i nostri pensieri, i nostri sentimenti e i nostri gusti sono manipolati dai governi, dall’industria e dai mezzi di comunicazione di massa controllati dagli uni e dall’altra.
  • ll progresso economico è rimasto limitato ai paesi ricchi, e il divario tra nazioni ricche e nazioni povere si è più che mai ampliato.
  • Lo stesso progresso tecnico ha avuto come conseguenza il manifestarsi di pericoli per l’ambiente e di rischi di conflitti nucleari, e sia gli uni sia gli altri, agendo isolatamente o insieme, possono mettere fine all’intera civiltà e forse anche a ogni forma di vita.

[…]

     Il fallimento della Grande Promessa, a parte le contraddizioni economiche di fondo dell’industrializzazione, è intimamente connesso al sistema industriale in ragione dei due principali presupposti psicologici della Grande Promessa stessa: 1. che lo scopo della vità sia la felicità, vale a dire il massimo piacere, inteso quale soddisfazione di ogni desiderio o bisogno soggettivo che una persona possa avere (edonismo radicale); 2. che l’egotismo, l’egoismo e l’avidità, che il sistema non può fare a meno di  generare per poter funzionare, conducono all’armonia e alla pace.

[…]
     Nessuno degli altri grandi Maestri ha insegnato che l’esistenza effettiva di un desiderio costituisce una norma etica. Il loro interesse andava al modo ottimale di “vivere bene” per l’umanità, e il nucleo essenziale del loro pensiero va ricercato nella distinzione tra quei bisogni (desideri) che sono avvertiti solo soggettivamente e la cui soddisfazione comporta un piacere momentaneo, e quei bisogni che sono radicati nella natura umana e la cui soddisfazione comporta uno sviluppo dell’Uomo  e ha per effetto l’eudaimonia, vale a dire appunto il “vivere bene”. In altre parole, i grandi Maestri avevano di mira la distinzione tra bisogni avvertiti come puramente soggettivi e bisogni oggettivamente validi, considerando i primi almeno in parte dannosi allo sviluppo umano e i secondi invece in accordo con le esigenze della natura umana.

Erich Fromm, Avere o essere?, Prefazione


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