La parola “politica” viene dalla dicitura politiké tèchne, dove tèchne
vuol dire “arte” e politiké è l’aggettivo
di pòlis, la città, e significa
quindi “che riguarda la città”. Quindi la dicitura si traduce con “arte di
governare la città”. Ma poiché nell’antica Grecia la città era anche uno stato autonomo
(le famose città-stato), allora la politica è l’“arte di governare uno stato”,
il modo in cui si amministrano gli affari comuni a tutti i cittadini. Checché ne
pensiate voi delusi, voi arrabbiati o voi cinici, sappiate che la politica è
una delle cose più nobili che la civiltà umana si sia inventata. “Fare politica”, inteso non per forza
come “fare il politico”, ma anche come semplicemente interessarsi e informarsi sul modo con cui si gestiscono le
questioni che riguardano la collettività, è una cosa che giova a tutti, quindi
anche a se stessi.
Ho sempre incontrato fin da bambino tanta diffidenza nei confronti della
politica. Anche oggi mi guardo intorno e vedo un sacco di gente che dalla
politica è annoiata. Che noia questa
politica! Cose che non suscitano il minimo interesse, questioni astratte e
astruse raccontate da gente che parla difficile, veri e propri esperti della
non comunicazione, che dicono tutto per non dire niente! C’è chi poi dalla
politica è deluso: la politica non è
al servizio delle persone, non serve il popolo, è un sistema più grande di noi
(inutile quindi anche provare a cambiarlo: si è destinati a perdere!); questa
gente è delusa da un’ideale in cui credeva e ora è piena di rabbia e vorrebbe
quasi sfogarsi per manifestare la frustrazione che prova. E poi ci sono quelli
che della politica semplicemente non si
interessano, quelli ai quali, della politica, non glie ne frega proprio
niente! Che potrebbero farne a meno benissimo, che addirittura la vivono come
un moscerino in un occhio. Infine troviamo coloro che guardano alla politica
come a una forma di clientelismo, quel
modo di impostare i rapporti umani in cui ci si promette e ci si scambia favori
personali in dipendenza da un potente, in cui ogni singolo individuo,
isolatamente ed egoisticamente, deve essere bravo a tutelare i propri interessi
anche a danno degli altri, se necessario (perché questa vita è una guerra e
vale il detto mors tua, vita mea).
Ebbene, vorrei dirvi due cose sulla politica. Sono cose che dovrebbero
far parte dell’alfabetizzazione civica di base di tutti noi, a prescindere dal
nostro stato civile, dalla nostra posizione sociale o dal nostro orientamento
ideologico o politico. Se avete un minimo di onestà intellettuale, vorrete
almeno considerare quest’altro punto di vista.
Vorrei dire che fare politica è per sua stessa definizione un fenomeno di pluralità: “politica”
viene da polis, la città, e polis viene a sua volta da polýs, che vuol dire “molto”, “numeroso”,
“plurale”. Nell’idea di politica c’è quindi l’idea di pluralità, perché la
società è una pluralità di persone che devono agire in maniera coordinata e
reciprocamente rispettosa e non è pensabile perciò applicare modi di vivere che
siano invece improntati all’egoismo o alla filosofia del “penso solo al mio
orticello”. Questo atteggiamento fa male agli altri attorno a noi, i quali sono
legati alla nostra vita, al nostro destino: quindi se affondano gli altri
affondiamo tutti.
Un esempio pratico, afifnché non si pensi che parlo solo di vuoto
idealismo: qualche mese fa dalle mie parti un violento acquazzone ha fatto
straripare un fiume la cui vasca di contenimento non era funzionante perché
lasciata a oltre cinquant’anni di incuria: in pochi minuti durante quella
pioggia violentissima un intero quartiere è stato distrutto. L’acqua sporca,
piena di letame, immondizia e sporcizia ha straripato dal letto del fiume e si
è insinuata ovunque, distruggendo le case, facendo ammalare le persone,
rompendo porte, sfasciando gli arredamenti, portando via le auto e lasciando
molti cittadini senza neanche un letto dove dormire. Fu indetta una petizione
per chiedere alle autorità competenti la messa in sicurezza del fiume per
evitare che possa riaccadere. Ebbene, molte persone che non abitavano in quella zona a cui fu chiesto aiuto non compresero
per quale motivo dovessero aiutare questa gente sostenendo la loro causa: del
resto non riguardava loro! Loro pensavano a se stessi e il problema non li
riguardava. Tuttavia, al di là del semplice e spontaneo senso di solidarietà,
nessuno di questi scettici ha pensato (per esempio) che l’acqua sporca del fiume
si è insinuata anche sui campi coltivati di quella zona, distruggendoli,
spazzando via i raccolti e inquinando il terreno. E quel terreno inquinato
produce frutti e ortaggi; frutti e ortaggi vengono poi venduti e mangiati e
finiscono sulle tavole anche di coloro che non
abitano in quella zona e a cui, come dicevamo, poteva non interessare un bel
niente di quella piccola tragedia.
Vivere in comunità, sia essa la comunità di un quartiere, di una città o
di un’intera nazione significa, volenti o nolenti, creare dei rapporti di interdipendenza in virtù
dei quali se si blocca un elemento viene penalizzato tutto il resto. E quanto più
numerosi sono gli elementi compromessi, tanto più gravi e immediate sono le
conseguenze negative su tutto l’insieme. In poche parole: veniamo colpiti tutti
quando viene colpito qualcuno! Il
destino degli altri, anche di quelli che non conosciamo, ci riguarda! Siamo
interconnessi, come gli organi di un corpo umano, ognuno dei quali fa qualcosa:
se il cuore non funziona, non arriva sangue ai tessuti di tutti gli altri
organi, che quindi muoiono; se il fegato non funziona il sangue non si
arricchisce delle sostanze nutritive giuste che servono a nutrire i tessuti; se
i polmoni non funzionano non c’è ossigeno per bruciare le sostanze nutritive...
La natura, quando associa insieme più elementi, fa in modo che ci sia
cooperazione e tutela reciproca tra le parti, così da assicurare il
mantenimento della totalità, quindi di ogni singola parte.
Noi siamo privi di questo semplice concetto, siamo abituati (e ci
riabituiamo ogni volta da soli) all’esatto opposto e senza saperlo alimentiamo
una reazione a catena che aumenta sempre più la gravità dei mali della nostra
società, che a loro volta ci mettono ancora più di malumore e ci fanno essere
ancora più cinici di prima e così via…
Guardate il nostro paese in questo momento: il nostro disinteresse per
la politica anche a livello nazionale ci ha portato a non informarci sui
candidati che si sono presentati alle elezioni in questi ultimi anni, abbiamo
dato e ridato il voto alle persone sbagliate che hanno accompagnato il nostro
paese alla crisi. Ci siamo fatti distrarre dalle veline, dal Grande Fratello e
da quelle cose là, messe lì apposta per non farci riflettere. Ci siamo annoiati
e disinteressati e abbiamo lasciato che chi era stato al potere facesse quello
che voleva. E non è bastata una sola legislatura: l’abbiamo rifatto più volte.
Su scala locale così come su scala nazionale, il concetto sbagliato che abbiamo
di politica ci ha portati a diventare un popolo di menefreghisti stupidi, di
autolesionisti antidemocratici, di disfattisti qualunquisti che si lamentano ma
che non vogliono assumersi quella piccola parte di responsabilità che spetta
anche a loro. Non vogliamo investire le energie nella cura dei nostri affari, anche se sono nostri! Non
vogliamo impegnarci, non vogliamo vigilare, non vogliamo correggere questa
mentalità. Però ce ne lamentiamo… Ah, se ce ne lamentiamo…
Lo so cosa state pensando: ma perché dovrei farlo solo io? Perché devo
essere il fesso della situazione? Io sono onesto, lo farei anche, ma se gli
altri non collaborano con me è inutile! Ebbene, sta proprio in questo il
problema: che così come può pensarlo uno di voi, pur essendo una persona
onesta, ci possono essere milioni di altre persone oneste che, pur essendo
oneste, non lo fanno, perché si pongono la stessa domanda! Il risultato è che
tutti, pur essendo onesti, si comportano come persone non oneste. Bei fessi! Se
tutti, nel nostro intimo e nella nostra personale coscienza (come si farebbe
quando si dice una preghiera) applichiamo questo principio indipendentemente da come lo fanno gli altri, allora questo effetto
sarà controbilanciato.
Ci sono molti modi per fare politica, anche nel proprio piccolo: ci si
può, come dicevo prima, interessare, raccogliere informazioni e non
accontentarsi di quello che dicono certi telegiornali; si può entrare a far
parte di un’associazione civica che tutela un diritto (come le associazioni
antimafia o le associazioni per la tutela dell’acqua come bene comune); ci si
può iscrivere a un partito; si possono firmare petizioni o organizzare raccolte
firme per i referendum che vogliono istituire o ripristinare dei diritti; si
può partecipare a una manifestazione; si può scegliere di votare lo stesso
anche se i candidati non ci piacciono, almeno per ridurre la percentuale di
voti mafiosi; si può dare il voto senza fare il favore all’amico ma scegliendo
il candidato che potenzialmente secondo noi può giovare al maggior numero di
persone possibile…
In un certo senso, vedete, la politica, più che una scelta, è anche una necessità. È necessario fare politica perché essa si occupa di ciò che riguarda
tutti. Se tutti ignorano i propri interessi, allora il potere di intervenire
sarà nelle mani di pochi che potranno decidere cosa fare di noi a loro
piacimento. Se vogliamo mantenere un certo ordine sociale, una certa
organizzazione e quindi una certa efficienza a livello di comunità dobbiamo per
forza vigilare e impegnarci, anche nelle piccole cose, nella “politica”, nel
suo senso vero e più pulito di “tutela e gestione delle questioni che
riguardano tutti”. È una forma di impegno molto nobile, molto utile… e arriva
ad essere perfino piacevole.
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