sabato 19 gennaio 2013

Vorrei dirvi un paio di cose sulla politica


     La parola “politica” viene dalla dicitura politiké tèchne, dove tèchne vuol dire “arte” e politiké è l’aggettivo di pòlis, la città, e significa quindi “che riguarda la città”. Quindi la dicitura si traduce con “arte di governare la città”. Ma poiché nell’antica Grecia la città era anche uno stato autonomo (le famose città-stato), allora la politica è l’“arte di governare uno stato”, il modo in cui si amministrano gli affari comuni a tutti i cittadini. Checché ne pensiate voi delusi, voi arrabbiati o voi cinici, sappiate che la politica è una delle cose più nobili che la civiltà umana si sia inventata. “Fare politica”, inteso non per forza come “fare il politico”, ma anche come semplicemente interessarsi e informarsi sul modo con cui si gestiscono le questioni che riguardano la collettività, è una cosa che giova a tutti, quindi anche a se stessi.

     Ho sempre incontrato fin da bambino tanta diffidenza nei confronti della politica. Anche oggi mi guardo intorno e vedo un sacco di gente che dalla politica è annoiata. Che noia questa politica! Cose che non suscitano il minimo interesse, questioni astratte e astruse raccontate da gente che parla difficile, veri e propri esperti della non comunicazione, che dicono tutto per non dire niente! C’è chi poi dalla politica è deluso: la politica non è al servizio delle persone, non serve il popolo, è un sistema più grande di noi (inutile quindi anche provare a cambiarlo: si è destinati a perdere!); questa gente è delusa da un’ideale in cui credeva e ora è piena di rabbia e vorrebbe quasi sfogarsi per manifestare la frustrazione che prova. E poi ci sono quelli che della politica semplicemente non si interessano, quelli ai quali, della politica, non glie ne frega proprio niente! Che potrebbero farne a meno benissimo, che addirittura la vivono come un moscerino in un occhio. Infine troviamo coloro che guardano alla politica come a una forma di clientelismo, quel modo di impostare i rapporti umani in cui ci si promette e ci si scambia favori personali in dipendenza da un potente, in cui ogni singolo individuo, isolatamente ed egoisticamente, deve essere bravo a tutelare i propri interessi anche a danno degli altri, se necessario (perché questa vita è una guerra e vale il detto mors tua, vita mea).

     Ebbene, vorrei dirvi due cose sulla politica. Sono cose che dovrebbero far parte dell’alfabetizzazione civica di base di tutti noi, a prescindere dal nostro stato civile, dalla nostra posizione sociale o dal nostro orientamento ideologico o politico. Se avete un minimo di onestà intellettuale, vorrete almeno considerare quest’altro punto di vista.

     Vorrei dire che fare politica è per sua stessa definizione un fenomeno di pluralità: “politica” viene da polis, la città, e polis viene a sua volta da polýs, che vuol dire “molto”, “numeroso”, “plurale”. Nell’idea di politica c’è quindi l’idea di pluralità, perché la società è una pluralità di persone che devono agire in maniera coordinata e reciprocamente rispettosa e non è pensabile perciò applicare modi di vivere che siano invece improntati all’egoismo o alla filosofia del “penso solo al mio orticello”. Questo atteggiamento fa male agli altri attorno a noi, i quali sono legati alla nostra vita, al nostro destino: quindi se affondano gli altri affondiamo tutti.
     Un esempio pratico, afifnché non si pensi che parlo solo di vuoto idealismo: qualche mese fa dalle mie parti un violento acquazzone ha fatto straripare un fiume la cui vasca di contenimento non era funzionante perché lasciata a oltre cinquant’anni di incuria: in pochi minuti durante quella pioggia violentissima un intero quartiere è stato distrutto. L’acqua sporca, piena di letame, immondizia e sporcizia ha straripato dal letto del fiume e si è insinuata ovunque, distruggendo le case, facendo ammalare le persone, rompendo porte, sfasciando gli arredamenti, portando via le auto e lasciando molti cittadini senza neanche un letto dove dormire. Fu indetta una petizione per chiedere alle autorità competenti la messa in sicurezza del fiume per evitare che possa riaccadere. Ebbene, molte persone che non abitavano in quella zona a cui fu chiesto aiuto non compresero per quale motivo dovessero aiutare questa gente sostenendo la loro causa: del resto non riguardava loro! Loro pensavano a se stessi e il problema non li riguardava. Tuttavia, al di là del semplice e spontaneo senso di solidarietà, nessuno di questi scettici ha pensato (per esempio) che l’acqua sporca del fiume si è insinuata anche sui campi coltivati di quella zona, distruggendoli, spazzando via i raccolti e inquinando il terreno. E quel terreno inquinato produce frutti e ortaggi; frutti e ortaggi vengono poi venduti e mangiati e finiscono sulle tavole anche di coloro che non abitano in quella zona e a cui, come dicevamo, poteva non interessare un bel niente di quella piccola tragedia.

     Vivere in comunità, sia essa la comunità di un quartiere, di una città o di un’intera nazione significa, volenti o nolenti, creare dei rapporti di interdipendenza in virtù dei quali se si blocca un elemento viene penalizzato tutto il resto. E quanto più numerosi sono gli elementi compromessi, tanto più gravi e immediate sono le conseguenze negative su tutto l’insieme. In poche parole: veniamo colpiti tutti quando viene colpito qualcuno! Il destino degli altri, anche di quelli che non conosciamo, ci riguarda! Siamo interconnessi, come gli organi di un corpo umano, ognuno dei quali fa qualcosa: se il cuore non funziona, non arriva sangue ai tessuti di tutti gli altri organi, che quindi muoiono; se il fegato non funziona il sangue non si arricchisce delle sostanze nutritive giuste che servono a nutrire i tessuti; se i polmoni non funzionano non c’è ossigeno per bruciare le sostanze nutritive... La natura, quando associa insieme più elementi, fa in modo che ci sia cooperazione e tutela reciproca tra le parti, così da assicurare il mantenimento della totalità, quindi di ogni singola parte.

     Noi siamo privi di questo semplice concetto, siamo abituati (e ci riabituiamo ogni volta da soli) all’esatto opposto e senza saperlo alimentiamo una reazione a catena che aumenta sempre più la gravità dei mali della nostra società, che a loro volta ci mettono ancora più di malumore e ci fanno essere ancora più cinici di prima e così via…
     Guardate il nostro paese in questo momento: il nostro disinteresse per la politica anche a livello nazionale ci ha portato a non informarci sui candidati che si sono presentati alle elezioni in questi ultimi anni, abbiamo dato e ridato il voto alle persone sbagliate che hanno accompagnato il nostro paese alla crisi. Ci siamo fatti distrarre dalle veline, dal Grande Fratello e da quelle cose là, messe lì apposta per non farci riflettere. Ci siamo annoiati e disinteressati e abbiamo lasciato che chi era stato al potere facesse quello che voleva. E non è bastata una sola legislatura: l’abbiamo rifatto più volte. Su scala locale così come su scala nazionale, il concetto sbagliato che abbiamo di politica ci ha portati a diventare un popolo di menefreghisti stupidi, di autolesionisti antidemocratici, di disfattisti qualunquisti che si lamentano ma che non vogliono assumersi quella piccola parte di responsabilità che spetta anche a loro. Non vogliamo investire le energie nella cura dei nostri affari, anche se sono nostri! Non vogliamo impegnarci, non vogliamo vigilare, non vogliamo correggere questa mentalità. Però ce ne lamentiamo… Ah, se ce ne lamentiamo…

     Lo so cosa state pensando: ma perché dovrei farlo solo io? Perché devo essere il fesso della situazione? Io sono onesto, lo farei anche, ma se gli altri non collaborano con me è inutile! Ebbene, sta proprio in questo il problema: che così come può pensarlo uno di voi, pur essendo una persona onesta, ci possono essere milioni di altre persone oneste che, pur essendo oneste, non lo fanno, perché si pongono la stessa domanda! Il risultato è che tutti, pur essendo onesti, si comportano come persone non oneste. Bei fessi! Se tutti, nel nostro intimo e nella nostra personale coscienza (come si farebbe quando si dice una preghiera) applichiamo questo principio indipendentemente da come lo fanno gli altri, allora questo effetto sarà controbilanciato.

     Ci sono molti modi per fare politica, anche nel proprio piccolo: ci si può, come dicevo prima, interessare, raccogliere informazioni e non accontentarsi di quello che dicono certi telegiornali; si può entrare a far parte di un’associazione civica che tutela un diritto (come le associazioni antimafia o le associazioni per la tutela dell’acqua come bene comune); ci si può iscrivere a un partito; si possono firmare petizioni o organizzare raccolte firme per i referendum che vogliono istituire o ripristinare dei diritti; si può partecipare a una manifestazione; si può scegliere di votare lo stesso anche se i candidati non ci piacciono, almeno per ridurre la percentuale di voti mafiosi; si può dare il voto senza fare il favore all’amico ma scegliendo il candidato che potenzialmente secondo noi può giovare al maggior numero di persone possibile…

     In un certo senso, vedete, la politica, più che una scelta, è anche una necessità. È necessario fare politica perché essa si occupa di ciò che riguarda tutti. Se tutti ignorano i propri interessi, allora il potere di intervenire sarà nelle mani di pochi che potranno decidere cosa fare di noi a loro piacimento. Se vogliamo mantenere un certo ordine sociale, una certa organizzazione e quindi una certa efficienza a livello di comunità dobbiamo per forza vigilare e impegnarci, anche nelle piccole cose, nella “politica”, nel suo senso vero e più pulito di “tutela e gestione delle questioni che riguardano tutti”. È una forma di impegno molto nobile, molto utile… e arriva ad essere perfino piacevole.

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