«Se a 28 anni tu non sei ancora
laureato, sei uno sfigato»: questa la frase incriminata che ha fatto indignare
gli studenti italiani e molti esponenti del mondo politico.
Michel Martone, attuale viceministro del Lavoro e delle Politiche sociali. |
Nel suo discorso Martone parlava di problemi reali e innegabili, come
del fatto che l’età media dei laureati italiani è molto più alta di quella
europea, che esistono studenti che si compiacciono di bivaccare all’università
invece di studiare… Ma il suo modo di esprimersi, a tanti altri studenti che
pure a 28 anni non sono laureati, proprio non è andato giù.
Le più ovvie obiezioni sono sorte proprio dai diretti interessati, che
hanno ricordato al viceministro della Fornero le solite cose: che un paragone
tra essi e i colleghi europei è insensato perché in Italia il sistema
universitario è carente e morente; che gli studenti italiani devono fare i
conti con la crisi economica e quindi un’alta percentuale di essi è costretta a
lavorare per mantenersi gli studi, il che rallenta la carriera accademica; che
l’organizzazione dei curricula accademici e della governance è talmente caotica
e mal organizzata da rendere lo studio difficoltoso (ricordiamo il caso di Luca,
studente romano che diede 29 esami in due anni con la media del 28.48 e a cui
non permisero di laurearsi, facendolo attendere due anni a vuoto); che il fatto
di essere laureati (anche prima dei 28 anni) non vuol dire niente perché non si
contano più i laureati che sono invecchiati a forza di fare stage senza
comunque riuscire a trovare un lavoro…
Anche i politici si sono fatti sentire: Vendola definisce quelle di
Martone «parole sprezzanti»; Fedriga, Lega Nord, invece tuona: «Martone ha
offeso gli studenti che devono lavorare per mantenersi e per questo non
riescono a laurearsi nei termini». E l’appoggio agli “sfigati” continua a
essere totale da tutti gli esponenti politici. Solo UDC e la Santanché spezzano
una lancia a suo favore.
Ma chi è questo Martone per lasciarsi scappare una tale mancanza di
tatto? Dall’alto di cosa parla in questo modo alle vittime del precariato
italiano? Ebbene, risulta che il vice del welfare sia il classico uomo dal
curriculum in decollo. Questo giovanotto appena alle soglie dei 40, che un
giornalista ha definito “maniacale promotore di se stesso”, ha un cursus
honorum tutto da invidiare: nell’arco dai 20 ai 30 anni è stato laureato in
Giurisprudenza, ricercatore, poi professore associato alla L.U.I.S.S., poi
professore ordinario all’ateneo di Teramo, ora viceministro. Tiene un blog personale dove pubblica le sue riflessioni, pubblicizza i suoi libri e i suoi articoli,
scritti su riviste come Il Riformista,
Il Messaggero, Il Sole 24 ore o Aspenia.
Si definisce un grafomane interessato alla politica. Già membro in passato di incarichi
di rilievo in varie commissioni.
Dall’altra parte, però (e qui si resta perplessi), vanta di essere membro della Fondazione Craxi (per la
quale ha tenuto anche un discorso in occasione dei dieci anni dalla morte dell’“esiliato”
Bettino); inoltre è figlio del giudice Antonio Martone, che è stato presidente dell’Authority
scioperi e frequentatore del tristemente noto Cesare Previti (interdetto in
perpetuo dai pubblici uffici e con una condanna al processo Lodo Mondadori), il che gli ha fatto guadagnare il marchio di raccomandato; inoltre è stato collaboratore di Renato Brunetta (quello dei fannulloni: un tema proprio
caro a questa cerchia), per una consulenza da 40000 euro, e di Sacconi.
Questo solo per elencare il grosso, perché c’è veramente da perdersi nel
suo curriculum.
Dopo l’intervento troppo azzardato, in cui
qualcuno ha voluto rivedere l’eco di quel famoso «Bamboccioni» con cui l’allora
ministro Padoa Schioppa si rivolse ai giovani nelle commissioni di Bilancio
cinque anni fa, e dopo la protesta studentesca, Martone si è visto costretto a
smussare il colpo: «Sono profondamente dispiaciuto se i giovani che lavorano,
intraprendono o, comunque, fanno qualcosa per la crescita del nostro paese si
sono offesi. Non mi rivolgevo a loro!» scrive nel suo blog,
pubblicando tanto di video con la trascrizione completa della sua
dichiarazione, per mettere in evidenza il vero intento del suo intervento, che
sarebbe stato quello di esortare i giovani a collaborare per la realizzazione
della crescita italiana e a non dormire sui libri, e di chiamare col proprio nome un problema che è
innegabilmente gravante nel sistema italiano.
«Mi rivolgo piuttosto a tutti gli studenti
che, pur vivendo a casa coi genitori e non avendo particolari problemi, si
laureano “comodamente” dopo i 28 anni», precisa Martone. E aggiunge: «Dieci
anni per una laurea quinquennale sono troppi.», concludendo, più umile ma comunque
deciso: «prometto in futuro di essere più sobrio ma sempre sincero».
Ora al di là della polemica in sé, che a
mio avviso non è proprio una questione prioritaria di questi tempi, visto il
clima in cui versa il nostro paese, credo che la frase di questo politico abbia
come peggior demerito quella di essere arrivata in un contesto poco adatto. Forse
qualche anno fa il lessico cool e giovanile di Martone avrebbe potuto essere
simpatico, ma attualmente in Italia i problemi riguardanti gli atenei, la carenza
del corpo docente (1 docente per ogni 800 studenti, mentre in Inghilterra il
rapporto è 1 a 1), le lotte per i diritti allo studio e per la sottrazione dei
fondi alla ricerca, il sovraffollamento negli atenei, la mancanza di guide per
la scelta della facoltà, lo stallo dello sviluppo scientifico, una burocrazia
paurosamente modificata dalle riforme Gelmini e questo mal vissuto problema
degli studenti costretti a lavorare hanno fatto di quel termine qualcosa di
decisamente fuori luogo e offensivo, e non solo per gli studenti, ma anche per
i docenti e i rettori, che stavolta hanno dovuto fare fronte comune con i
discenti.
L’impressione data dal viceministro è
stata quella di non conoscere la realtà che stava giudicando, peccando di
classismo, superbia e superficialità. Inoltre parlare così di una categoria
sociale già così spudoratamente calpestata non ha reso possibile chiudere un
occhio.
Vale la pena chiudere con un’altra notizia
tutt’altro che marginale, sempre relativa ai laureati, che sarà oggetto proprio
oggi di discussione al Consiglio dei Ministri, riguardo la normativa regolante
il valore legale del titolo di laurea nei concorsi pubblici. Pare che la
proposta del Governo sia quella autorizzare un nuovo modo di valutare i
candidati ai concorsi sulla base non più del voto di laurea o del titolo di
laurea acquisito, che passerebbero quindi in secondo piano, ma della qualità e del prestigio dell’università
di provenienza.
La cosa ha suscitato malcontento prima
ancora di essere discussa: viene rimproverato al Governo di mortificare i
criteri meritocratici che stanno alla base della scelta dei candidati. Infatti non
si guarderà più all’impegno dello studente e alle sue capacità (di cui il voto
dovrebbe essere simbolo), e, fatte poche eccezioni (Medicina, Ingegneria…), non
sarà essenziale neanche la sua qualifica (laureati in settori anche
diversissimi potrebbero concorrere per uno stesso incarico per il quale finora
era richiesta una preparazione ben precisa).
In questo modo, quindi, chi si è
conquistato il “pezzo di carta” con 110 e lode all’Università di Cagliari non
potrà più farsi forte di questo per agevolare la sua posizione nelle
graduatorie, ricevendo un trattamento peggiore di un laureato con 75 alla
Bocconi, poiché l’ateneo milanese sarebbe valutato come più prestigioso. L’indignazione
si è concretizzata, tra le tante forme, nella creazione di una pagina Facebook
chiamata Per un’università meritocratica.
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