sabato 8 agosto 2015

Treedom: guarire il pianeta con pochi euro adottando alberi

     In Svezia, terra di foreste e leader mondiale nella produzione di legname, da più di cento anni esiste una legge: ogni albero abbattuto dev’essere sostituito da un nuovo albero piantato. Con questa semplice norma il territorio forestale svedese nei decenni è aumentato in un pianeta in cui il territorio boschivo e forestale è invece addirittura in drastica diminuzione a causa del cinismo e del pericoloso menefreghismo della cultura capitalistica che pur di far guadagnare miliardi alle multinazionali non guarda in faccia a nessuno ed è disposta perfino a creare le condizioni per l’estinzione di interi habitat e, a tempo debito, della vita in generale.

     Ebbene, sei siete ecologisti o semplicemente avete a cuore questo puntino dell’universo che è il pianeta Terra che ci dà da mangiare da milioni di anni, sarete contenti di sapere che è possibile con una manciata di euro adottare degli alberi nel sud del mondo, ripiantando così intere foreste, restituendo fertilità ai terreni, dando lavoro ai contadini locali, producendo frutti che sfameranno intere comunità di persone, nonché riducendo il dannoso impatto dell’anidride carbonica (CO2) che è la causa principale del surriscaldamento globale del pianeta, per il quale l’innalzamento delle temperature sta stravolgendo il clima, portando catastrofici cambiamenti ai territori, alla loro produttività e mettendo a rischio le colture con cui il pianeta intero si sfama e le specie animali che fanno parte della delicatissima catena alimentare.

     Ma chi vi permette di fare tutto questo a un costo ridicolo e con una spesa una tantum? Sono i ragazzi di Treedom, una startup fondata da Federico Garcea a Firenze nel 2010 con un’équipe di giovani che hanno in comune la voglia di tutelare l’ambiente e che credono nello sviluppo sostenibile, occupandosi di progetti legati alla riforestazione del pianeta.
Il motto di Treedom è Let’s green the planet, Rinverdiamo il pianeta e il proposito principale è tanto semplice quanto meraviglioso: piantare nuovi alberi nel pianeta.


     Tramite il suo sito web Treedom permette infatti a tutti (sia privati che aziende che enti nazionali e internazionali) di acquistare degli alberi che verranno piantati, cresciuti, fatti maturare, fotografati e mappati su Google; potete acquistare uno o anche più alberi nel tempo, diventando "genitori" di un'intera foresta. Gli alberi acquistati possono essere “adottati” in questo modo a distanza ed è perfino possibile dedicare questi alberi a una persona a noi cara, adottandoli per lei.

     L’utente che voglia adottare un albero può scegliere tra molte varietà di specie: baobab, mangrovie, karité, alberi di arancio, mango, avogado… C’è davvero l’imbarazzo della scelta. Ognuno si trova in una località specifica dell’Africa e ognuno di essi è capace di assorbire una diversa quantità di anidride carbonica. Sul sito esiste anche una sezione che calcola il vostro impatto ecologico in termini di CO2 prodotta, per farvi avere un’idea di quanto emettiamo con il nostro stile di vita.


     La registrazione al sito è ovviamente gratuita ed offre dei simpatici servizi, come un blog frequentemente arricchito che vi tiene aggiornati su argomenti inerenti all’ambiente e alla natura e la possibilità di diventare membro di una community di iscritti come voi. I prezzi sono ragionevolissimi: al momento della pubblicazione di questo post vanno da un minimo di € 5.90 a un massimo di € 39.90, a seconda della specie che vi interessa. Praticamente è come fare un investimento ecologico comprando un libro. Il pagamento, si legge sulla pagina dei termini e delle condizioni del servizio, può essere effettuato in più forme: PayPal, carta di credito, bonifico bancario, pagamento tramite UP Mobile e pagamento con MasterPass.

     Come detto, Treedom è impegnata a sostenere numerosi progetti di riforestazione del territorio ed ha collaborato perfino con Libera, l’associazione antimafia più importante d’Italia. L’utente può scegliere quale progetto supportare (alcuni sono stati già completati), valutando tramite apposite “schede di identità” gli alberi a cui è interessato. Quando l’utente adotta un albero riceve delle foto dello stesso e ha la possibilità di seguirlo durante la sua crescita.

     Il consiglio, se siete curiosi, è di sbirciare il sito, molto chiaro ed esaustivo, o selezionando le apposite voci elencate nella parte bassa (vedi immagine) di ogni pagina o cliccando sui link che portano alle pagine che per comodità verranno lasciati di seguito, poiché sembra una bellissima occasione per fare qualcosa per questo nostro bellissimo e sfortunato pianeta.







Il blog di Treedom (consultabile anche da parte dei non iscritti al sito)



Termini e condizioni (non temete, non è nulla di noioso o lungo)


La natura si domina obbedendole.
- Francis Bacon


mercoledì 8 luglio 2015

Tsipras al Parlamento europeo: fondi per la Grecia andati a banche, il paese usato come laboratorio per l'austerità

     8 luglio 2015: il parlamento europeo, presieduto da Martin Schultz, è in seduta plenaria e attende lingresso di Alexis Tsipras, il premier greco a cui è stata data facoltà di parola davanti ai parlamentari per esporre il caso del suo paese. Al suo ingresso i leader della sinistra europea gli danno un caloroso benvenuto: dai seggi molti cartelli con il NO del referendum, a richiamare la bella vittoria morale del popolo greco, si mostrano orgogliosi; si levano applausi, qualcuno si avvicina al premier per stringergli la mano; i più audaci si lasciano andare perfino a un abbraccio.
     Tsipras è luomo del momento in Europa per via della scelta che ha fatto domenica 5 luglio: dare la parola al suo popolo con un referendum.
     Nel corso di pochi minuti Tsipras ha parlato con franchezza ai suoi colleghi, ammettendo verità per lo più delicate che spesso non si vuole sollevare nei dibattiti dellEurogruppo.
      Ecco riassunti i punti essenziali del suo discorso (segue video integrale con traduzione in italiano alla fine). Laddove necessario, sarà fornita qualche nota per meglio comprendere le questioni citate.


1. Il referendum non è un modo per dire no all'Europa, la Grecia non vuole una rottura con lEuropa.
     Molti ancora oggi credono infatti erroneamente che il referendum dovesse servire per scegliere se restare o meno in Europa o nellEuro, ma la verità è che con quel referendum Tsipras chiedeva ai suoi elettori se fossero daccordo che il governo accettasse le ennesime barbare condizioni di violazione di sovranità in cambio di aiuti economici, alimentando la spirale di riforme che hanno contribuito ad aggravare la crisi del paese.

2. La politica di austerità non ha rappresentato uno strumento per lo sviluppo, ma ha aggravato la crisi.
     Un punto sacrosanto che vale non solo per la Grecia ma per tutti gli altri paesi. In Italia sappiamo benissimo cosa questo abbia rappresentato. È bello che un leader europeo lo abbia dichiarato davanti a tutto il parlamento.

3. La Grecia è stata usata come un laboratorio per sperimentare lausterità.
     La dichiarazione più coraggiosa dellintervento di Tsipras, pensata da tutti ma taciuta quasi da tutta la stampa e soprattutto dai grandi leader (Mario Monti addirittura, in uno dei suoi deliri, dichiarò che la Grecia rappresentava una vittoria per leuro).

4. I fondi stanziati per la Grecia non sono stati usati per il popolo greco, bensì sono stati stanziati per il salvataggio delle banche.
     Questo è il punto che più interessa approfondire in questo articolo: Özlem Onaran (economista, docente di Politica del lavoro a Greenwich), ha fatto emergere tramite listituzione ad aprile di una commissione di verità le prove che il debito greco è «non solo illegittimo e non sostenibile», ma addirittura «illegale». Pare infatti che, di tutte le centinaia di miliardi di euro che sono stati inviati al paese, il 90% di essi sia stato dirottato alle banche al fine di salvarle e non alla spesa pubblica del paese, ovvero quei soldi sono stati sottratti ai cittadini e ai loro bisogni. Un meccanismo folle che sfiora il crimine contro lumanità, giacché con questa condotta sono morte delle persone e di molte altre sono state violate la dignità e molti diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea.
     Perfino Massimo D'Alema, in un suo recente intervento, ha confermato questa scandalosa verità. Secondo Onaran «degli oltre 243 miliardi che il Paese ha ricevuto negli ultimi cinque anni sono stati utilizzati per ripagare debito precedentemente contratto. Un altro 20% è andato alla ricapitalizzazione del sistema bancario, mentre solo un decimo di quei fondi ha alimentato la spesa pubblica. Insomma quei miliardi, il 60% dei quali prestati dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) oppure bilateralmente dai Paesi dell’eurozona, sono stati per lo più indirizzati verso creditori privati e istituti di credito greci, tedeschi o francesi».

5. Le giuste riforme che avrebbero potuto salvare la Grecia sono state volutamente evitate.
     Sempre grazie ad Onaran sappiamo, o meglio, abbiamo le prove che il default della Grecia non è stato uno stupido imprevisto, ma una cosa voluta, perché si conoscevano bene le conseguenze a cui il paese sarebbe andato incontro: «Commissione Europea e Bce assieme al Fondo Monetario Internazionale, con l’imposizione di povertà, disoccupazione e diseguaglianza, hanno dunque violato le loro stesse regole e princìpi» […] «In Grecia […] non è stata la popolazione a trarre benefici dai prestiti internazionali». Continua Onaran: «Già nel 2010 il Fondo Monetario Internazionale aveva teorizzato l’insostenibilità del debito senza una ristrutturazione, ma Bruxelles impose le sue condizioni. Nel report della Commissione sono menzionati documenti dell’organizzazione che ammettono tale consapevolezza. Secondo Philippe Legrain, che fu advisor del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso fino al 2014, gli interessi delle banche furono sistematicamente privilegiati rispetto a quelli dei cittadini. Sapevano a cosa saremmo andati incontro, eppure si è voluto che le cose procedessero fino a un braccio di ferro che lascia poco spazio alla razionalità economica e troppo all’ideologia». E conclude: «Nel 1953 metà del debito della Germania fu cancellato con l’accordo di Londra. Oggi, come allora, l’Europa necessita di una conferenza sul debito. Coloro che sono usciti vincitori dalla crisi finanziaria non hanno interesse a cambiare le cose, ma le persone hanno diritto di sapere che i propri soldi sono stati usati per salvare le banche. La faccenda non riguarda solo la Grecia: attraverso le stesse dinamiche e con le stesse giustificazioni gli errori dell’austerity sono stati riprodotti negli altri Paesi europei».

6. La debolezza della Grecia è in realtà una debolezza dellEuropa: essa non sa affrontare in modo efficace le politiche economiche. Occorre quindi un intervento europeo non solo per la Grecia ma per tutta l'unione.
     Queste parole ci rimandano al vero spirito dellUnione europea: quello di una collaborazione e una cooperazione tra democrazie, non unegemonia di pochi paesi che ne ricattano altri che non entrano nel merito dei casi specifici, pretendendo lassurdo solo perché credono di essere in posizioni di prevalenza finanziaria. Tsipras con queste parole ha restituito allUnione il suo significato più pulito e autentico: i leader europei dovrebbero prendere esempio.



     Vi lascio qui il discorso integrale di Tsipras. Buona visione!




lunedì 6 luglio 2015

Lode sopra le urne greche: cosa ci insegna il referendum di Tsipras

     Diciamolo subito per i meno informati: il referendum in Grecia svoltosi ieri non era per decidere se restare o meno nell’euro (al massimo questa questione potrebbe proporsi come conseguenza prossima futura), bensì serviva a interpellare la volontà popolare per decidere se accettare o meno le condizioni dell’Europa in cambio degli aiuti economici alle banche. Votare Sì avrebbe significato accettare l’ennesimo ricatto dell’Europa: in cambio di qualche spicciolo alle banche che basterebbe a mala pena per sopravvivere e che non garantirebbe lo sviluppo economico, la Grecia avrebbe dovuto cedere un altro pezzo della sua sovranità all’Europa, accettando ulteriori umiliazioni economiche e sociali (aumento dell’IVA, tagli alle pensioni, ulteriore mortificazione del mercato del lavoro ecc.); votare No, invece, sarebbe stato un modo per dire che o si imposta una trattativa diversa o non se ne fa niente.
     Il risultato della vittoria del No a oltre il 61% (un contributo venuto soprattutto dalle fasce più giovani) uscito dalle urne elettorali ci consente di mettere alcuni punti fermi che vale la pena analizzare, perché possono essere preziose lezioni anche per gli altri paesi europei che stanno pagando una crisi tanto aggressiva.
     Come al solito partiamo dai fatti, poi faremo le nostre riflessioni.

     Alexis Tsipras fu eletto con una precisa promessa elettorale: opporsi all’austerità imposta dall’Europa (questa Europa, che non è quella che ci venne raccontata quando nacque). E, a differenza della maggior parte dei leader europei, Tsipras ha mantenuto la promessa e l’ha fatto con una mossa davvero elegante, soprattutto se pensiamo che la democrazia è un’invenzione greca: restituire la parola al popolo. Bella mossa davvero!

     Ora, per comprendere l’importanza di questo referendum occorre considerare la posizione della Grecia. Per comprendere tutto senza tecnicismi, in modo che sia più chiaro possibile, possiamo servirci di due righe di Giancarlo Marcotti che, su un articolo di Finanzia in chiaro, così schematizza la situazione greca.

     “Se ho un debito di 10.000 euro ho davvero un grosso problema, se ho un debito di 10.000.000 di euro, ad avere un grosso problema … è il mio creditore”.
     Come tutte le battute, se fa ridere, significa che nasconde un fondo di verità.
     Figuratevi così se ho un debito di 330.000.000.000 (330 MILIARDI) di euro, ed in cassa non ho nemmeno un euro, che razza di problema ha il mio… anzi… i miei creditori.
     Il debitore può persino riderci su, tanto, che può fare? Certo, i creditori non hanno molta voglia di ridere e pretenderebbero perlomeno che il debitore la smettesse di fare lo spiritoso e che invece dicesse loro in che modo intende pagare.
     Ma che volete che faccia? Lui va avanti a divertirsi, povero lo è già, cosa pretendete? Che muoia di fame solo per restituire al massimo un 1 o un 2% del suo debito? Fare la fame per restituire circa 7 miliardi e rimanere con un debito di 323 miliardi? Dai, siamo seri.
     Ed i creditori incalzano: “Dicci come intendi ritornarci i soldi che ti abbiamo prestato!”
     E lui: “Dunque, fra non molto saranno in scadenza 27 miliardi del mio debito, allora voi prestatemene altrettanti e io vi pago le rate in scadenza. Ah! Dimenticavo! Non deve essere un finanziamento a breve termine, altrimenti fra poco siamo ancora punto e a capo, diciamo che la scadenza del nuovo prestito sia… fra 30 anni! Ah, ancora una cosa! Naturalmente venitemi incontro con un tasso di interesse sopportabile, beh… diciamo… l’1,5%.”
     A quel punto i creditori si alterano ed urlano: “Non siamo mica qua a farci prendere per il c…lo, è una proposta offensiva!”, ma si sentono rispondere: “Sentite, a suo tempo siete stati voi ad accogliermi nella Comunità, voi lo sapevate certamente in quale situazione mi trovavo, non raccontate la balla che ho truccato i conti, perché siete stati proprio voi a dirmi come dovevo truccare i conti, quindi non venite ora a farmi la morale, da voi non l’accetto!”
     Ed ancora i creditori: “Dai, sei un politico anche tu, mettiti nei nostri panni, se ti diamo ancora i soldi i nostri elettori non ci votano più perché non vogliono che continuiamo a finanziarti, se non te li diamo i nostri elettori non ci votano più perché abbiamo perso 330 miliardi di euro, come ne usciamo?”
     Ed il debitore “Quelli sono fatti vostri, i miei elettori mi hanno votato proprio per questo, sono già pieno di problemi, i vostri ve li dovete risolvere da soli”.
     Tutto chiaro?

     Solo una precisazione: non mi sono inventato nulla, soprattutto per quanto riguarda i numeri.

     Nelle prossime ore Tsipras dovrà cercare di allestire nuove trattativa per la Grecia con i vertici europei. E qui possiamo aspettarci continui colpi di scena. Uno è avvenuto stamane: Yanis Varoufakis, ministro dell’economia greco, ha rassegnato le sue dimissioni, a suo dire per favorire le trattative di Tsipras con l’Europa, giacché erano in molti a considerarlo una presenza sgradita. Varoufakis, che aveva accusato più volte i creditori della Grecia di essere dei terroristi, lascia quindi il ministero: la sua testa è stato un prezzo da pagare per potersi ritagliare un posto più forte in Europa.
     Il problema più urgente ora da risolvere è quello della liquidità delle banche: se gli istituti di credito non possono erogare contante sarà il caos. È soprattutto di questo che di dovrà discutere nei prossimi meeting. Tsipras dovrà presentare un nuovo piano di riforme che dovrà piacere ai creditori, si dovrà cercare un nuovo compromesso; infatti è stato già dichiarato che sarebbe molto improbabile un taglio del debito greco, al massimo si potrà contare su una dilazione su tempi più lunghi.

     Questi sono i fatti. Ma cosa ci insegna il referendum greco?

Limportanza del coinvolgimento del popolo
     Non importa che abbia vinto il No o il Sì e nemmeno importa quali saranno le conseguenze politiche ed economiche della giornata di domenica. Sta di fatto che interpellare il popolo per una questione così importante è stata una mossa molto bella da parte di Tsipras: la consultazione popolare ha rappresentato innanzitutto la concretizzazione di quello che Tsipras andava dicendo in campagna elettorale qualche mese fa, ovvero «Prima le persone». È bello vedere che un premier tenga fede a ciò che ha promesso ai suoi elettori, soprattutto in un’epoca in cui le promesse elettorali vengono puntualmente disattese anche alla luce del sole, dato che l’opinione pubblica spesso non ha la maturità di riconoscere questo ingiusto comportamento e quindi, non è in grado di punirlo o almeno di scoraggiarlo.
     La presenza del popolo, il ruolo attivo delle persone nel referendum greco è una prima lezione che ci giunge dall’Ellade: che l’Europa è fatta di persone e la loro partecipazione non può ridursi a quella di semplici spettatori passivi che assistono all’opera di distruzione delle democrazie che da qualche anno si sta realizzando, soprattutto a danno dell’Europa mediterranea. È dalle persone che si dovrebbe partire, dalle loro esigenze, dai loro bisogni, dalla loro volontà. Altrimenti a cosa serve agli stati europei formare una comunità? Chi si aiuta se si ignora la gente? Si aiutano solo le multinazionali, le lobby, le banche, si aiutano i ricchi a diventare più ricchi, si distrugge la classe media («quando la borghesia scompare significa che un paese sta morendo», ripeteva il mio docente di storia e filosofia al liceo)…
     Anche noi italiani dovremmo ricordarci di questo, siamo infatti stati molto passivi come popolo nel corso della storia e gli esempi non mancano: durante il risorgimento solo una ristretta élite lottò per l’unità d’Italia mentre la maggior parte della gente (soprattutto i contadini) si dimostrò contraria o indifferente alla questione; allo stesso modo siamo sempre stati affetti da un forte servilismo nei confronti di tutti coloro che si proclamavano nostri padroni: il feudalesimo in Italia, soprattutto quello del sud, è durato fino a tempi recentissimi; così come abbiamo permesso che si costituisse nel nostro paese una delle più feroci dittature della storia, quella fascista...

Contraddizioni della politica finanziaria europea
     Un’altra lezione che ci viene dal referendum di Tsipras riguarda l’emergere di una delle contraddizioni insite nello stesso meccanismo con cui funzionano i cosiddetti aiuti europei. Riflettiamo: se io ricevo un prestito è perché sono in difficoltà, quindi vuol dire che voglio uscire dal mio momento di crisi per ritornare a produrre abbastanza ricchezza a) per me stesso e b) per produrre un surplus necessario a restituire il prestito che mi è stato fatto, evidentemente maggiorato di un tasso di interesse. Per fare ciò i soldi prestati devono essere usati per produrre ricchezza (per un paese questo può farsi investendo nella cultura, sfruttando in modo razionale le risorse naturali e quelle turistiche, incentivando l’assunzione con una buona regolazione delle tasse e degli sgravi fiscali per le aziende più virtuose…).
     In Europa invece quando i prestiti vengono erogati i paesi devono cedere una parte della loro sovranità, ovvero devono fare riforme e leggi che piacciano ai creditori, anche se queste scelte sono contrarie all’interesse del paese che riceve gli aiuti. In sostanza si perde la libertà di gestire lo stato: a che serve a quel punto un capo del governo? Egli dovrà seguire le direttive che gli danno in Europa, ignorando ciò che il popolo chiede. E in Italia è accaduto proprio questo: Monti, Letta e Renzi, presidenti del Consiglio non eletti, hanno attuato le riforme che sono volute dall’Europa ma che non hanno assolutamente incentivato lo sviluppo. E qualunque demente ha visto le conseguenze di questi anni di politica di austerità. Del resto che le riforme si debbano tradurre in una perdita di libertà politica ce lo ricorda Mario Monti in una sua conferenza di qualche anno fa: «i passi avanti fatti in Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali», testuale.
     Dovremo invece aver bisogno di leader che non accettino di alimentare questo meccanismo: gli aiuti sono una cosa preziosa ma se alla Grecia vengono imposte condizioni tali che essa non possa produrre ricchezza nemmeno per se stessa, allora come è possibile sperare che possa anche restituire il debito? Ovviamente alla disumana e aggressiva politica finanziaria vigente in Europa non importano le conseguenze sociali: i soldi vanno restituiti, anche se questo significa provocare suicidi, aumentare il numero di disoccupati, vedere supermercati che vendono cibo scaduto e gente che rovista nella spazzatura. In Italia accade una cosa simile: il made in Italy deve essere distrutto nelle intenzioni di queste persone, così, una volta che il mercato italiano sarà definitivamente morto, saranno i mercati del nord Europa i soli a contare e non avranno concorrenza.
     La Grecia, con la sua tragica situazione, fa emergere questa contraddizione enorme di cui abbiamo tutti il dovere di renderci conto, perché anche al nostro paese sono state imposte condizioni contrarie allo sviluppo del paese.

L’importanza della ristrutturazione del debito
     Nessuno dice che i debiti non vadano ripagati. Anzi, gli stessi creditori hanno interesse che i debitori possano ripagarlo. Ma per poter ripagare un debito è necessario programmare in modo sostenibile la sua restituzione. Facciamo un esempio banale: se io voglio aprire una pizzeria e chiedo in banca un prestito di 60 000 euro la banca non può aspettarsi che io la ripaghi in 18 mesi! Occorre che la mia attività si avvii bene, che io accumuli ricchezza, che metta da parte del denaro e che periodicamente, ovvero in rate sostenibili e con un tasso di interesse non assurdo, io ridia indietro i soldi. Ma se mi viene imposto di restituire tutto in tempi brevi, con rate alte e con un interesse che mi impediscono di poter mettere da parte ricchezza, allora è ovvio che io mi troverò sempre in condizioni di bisogno, mentre invece dovrei avere del superfluo per ripagare il mio finanziatore.
     La Grecia, come molti paesi europei, ha bisogno di una seria ristrutturazione del suo debito: si devono cioè ridiscutere le forme di pagamento del suo debito, in modo che si adattino alla situazione del paese. Questa questione non è quasi mai citata in Italia, fateci caso: si parla di tasse, di fare sacrifici, di tenere duro perché “ce lo chiede l’Europa”, ma nessuno solleva la questione politica di riformulare le condizioni del pagamento del debito. Solo Antonio Ingroia, in campagna elettorale per le ultime elezioni politiche del 2013, ne fece oggetto della sua proposta politica.

Equità ed uguaglianza
     Il caso greco ci dà anche l’opportunità di ribadire la differenza tra equità ed uguaglianza. Essere trattati in modo uguale vuol dire ricevere lo stesso tipo di trattamento: se ho due soggetti A e B e vogliono trattarli in modo uguale do a entrambi la stessa cosa nello stesso modo. L’uguaglianza è indubbiamente importante, basti pensare a tutte le conquiste democratiche che su questo principio si basano (le legge è uguale per tutti, ad esempio, nel senso che tutti devono essere puniti allo stesso modo se violano la legge).
     Tuttavia in alcuni casi l’uguaglianza del trattamento non solo non è utile ma è addirittura dannosa: per esempio se a tutti gli studenti vanno fatte pagare le stesse tasse universitarie, gli studenti più poveri potrebbero essere in condizione di dover rinunciare all’istruzione, giacché quelle tasse potrebbero essere troppo alte. Occorre quindi fare un distinguo e tenere conto delle differenti condizioni di partenza dei soggetti. In tali caso è più utile usare l’equità come principio, che consiste non nello stesso trattamento, ma in trattamenti diversi per ottenere lo stesso risultato finale. Nel mio esempio, far pagare le tasse agli studenti in modo diverso (trattamento equo ma non uguale) per garantire a tutti l’istruzione (stesso stato finale). Badate che per fare questo occorre prendere atto delle differenze iniziali (lo studente più povero va trattato in modo diverso).
     Applichiamo questo discorso alla Grecia: se la sua situazione finanziaria è molto più catastrofica e se è davvero l’Europa vuole che essa non esca dal sistema comunitario è ovvio che il solito trattamento non può più essere applicato! Occorre tenere conto delle differenti condizioni della Grecia rispetto alle altre economie europee per poterla aiutare davvero ed è proprio questo che Tsipras spera di fare grazie al referendum. Ma sappiamo tutti che così non avviene: ci si intestardisce a pretendere dalla Grecia ciò che la Grecia non può dare e non la si mette in condizioni di poter pagare il debito.
     Questo riguarda anche l’Italia e noi cittadini dovremmo tenerlo presente quando valutiamo le proposte elettorali dei candidati politici.

Possibili contagi
     Se la Grecia riuscisse a strappare all’Europa condizioni più sostenibili per il suo sviluppo (e quindi anche per poter ripagare giustamente il debito contratto dai governi precedenti) si creerebbe un interessante precedente che potrebbe fungere da esempio per gli altri paesi martoriati dalla crisi. Se questo “virus” benefico della non accettazione delle condizioni della dittatura finanziaria prendesse piede anche altrove, l’Europa – questa certa Europa – sarebbe costretta ad abbassare la cresta. È infatti noto che per tenere sotto controllo una serie di soggetti è necessario che essi non facciano gruppo. Poiché l’unione fa la forza, va da sé che una coordinazione internazionale di questi movimenti o partiti anti-austerità sarebbe un buon punto di partenza per riscrivere un’Europa diversa. In Italia a mio avviso il Movimento 5 Stelle è la forza politica che meglio si presta a partecipare a questo tipo di operazione.




     Dopo tutte queste riflessioni appare chiaro come il valore simbolico del No del referendum greco di ieri sia importante non solo per gli stessi greci ma anche per le altre coscienze nazionali, compresa quella italiana. L’opinione pubblica ha bisogno di avvicinarsi di più alle questioni di politica economica dell’Europa, perché la ricostruzione è sempre possibile, non è vero che si deve per forza sopportare passivamente. Ieri la volontà popolare ha appunto dimostrato questo: basta partecipare di più, essere più presenti. È il maggior augurio che si possa fare al nostro paese distratto e politicamente analfabeta.


Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
né s’importa degli avvenimenti politici.

Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.

L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.

Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertold Brecht, L’analfabeta politico

sabato 14 marzo 2015

Caso Ruby: il reato c’è ma non è più punibile. Berlusconi assolto dalla Cassazione

     Lo scorso luglio su questo blog si è parlato in un apposito articolo dell’assoluzione in Appello di Silvio Berlusconi dalle accuse di concussione e prostituzione minorile nell’ambito del processo Ruby. Da poche ore è arrivata la notizia della definitiva pronuncia dei giudici ermellini: la Cassazione assolve Silvio Berlusconi da tutte le accuse.

     Ora, un buon cittadino deve accettare le sentenze, anche perché a non farlo si ricadrebbe nello stesso errore che Berlusconi ha più volte fatto disprezzando la legge solo quando non gli dava ragione. E noi, da buoni cittadini, rispettiamo la sentenza. Certo, non possiamo però fare a meno di notare alcune stranezze e perplessità e, nell’attesa che i giudici rendano note le loro motivazioni, vogliamo dare un’occhiata a queste perplessità: vedremo che questo Berlusconi è un assolto un po’ sospetto. Esaminiamole punto per punto…

La prostituzione è avvenuta davvero
Ruby.
     L’iniziale strategia dei legali di Berlusconi (Ghedini e Longo) si basava sulla (ridicola) favoletta delle “cene eleganti”: ad Arcore non ci sarebbe stato alcun episodio di prostituzione, ma solo cene tra persone per bene, vestite a modo. Questo è quello che Berlusconi è andato sbandierando con una finta indignazione per mesi e mesi (e lo grida ancora oggi quando non è in aula). La verità emersa dai processi, però, è ben diversa: le ragazze venivano invitate alla villa appositamente per prestazioni sessuali e ricevevano per questo delle utilità sotto diverse forme. Prova ne sono i numerosi bonifici, messi in evidenza dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dal pm Sangermano, a favore delle Olgettine.
     Quando il processo è passato in mano all’avvocato Coppi, però, c’è una svolta di realismo: Coppi sa bene che la storia delle cene non regge e allora ammette la verità: è vero, ci sono stati episodi di prostituzione ad Arcore. E anche per questo le prove abbondano, prime fra tutte le intercettazioni telefoniche tra Berlusconi e le Olgettine e anche delle Olgettine tra loro! Quelle di Ruby, poi, sono memorabili: potete riascoltarle in questo post e resterete a bocca aperta. Ma confessando in tribunale che la prostituzione c’è stata resta il problema della minore età di Ruby.

I capolavori di Coppi
L'avvocato Franco Coppi.
     L’avvocato Coppi è riuscito davvero a “rigirare la frittata” violando la logica e stuprando il buon senso, prendendo punto per punto i principali anelli deboli della difesa di Berlusconi e reinterpretandoli a modo suo. Ecco come…

1. Ruby era minorenne: questo elemento giustifica l’accusa di prostituzione minorile, ma grazie a Coppi l’accusa cade perché non è provato che Berlusconi, pur avendo avuto rapporti sessuali a pagamento con la ragazza, sapesse che all’epoca dei fatti fosse minorenne. Perplessità: lo sapevano tutti nel suo entourage, lo sapevano perfino le ragazze, ma Berlusconi era l’unico a non saperlo. Mh…

2. Ruby doveva essere liberata dalla Questura di Milano perché era la nipote di Mubarak: come sappiamo si tratta della scusa creata ad hoc durante la telefonata di Berlusconi al funzionario della Questura Pietro Ostuni per convincerlo a rilasciare la ragazza. Inventando una bugia, l’allora premier avrebbe commesso un reato per coprirne un altro (impedire che la ragazza lo sputtanasse ai questori). Questo giustificava l’accusa di concussione. Ma grazie a Coppi viene fuori che la storia della parentela con l’ex presidente egiziano fu una balla inventata dalla ragazza. Perplessità: come avrebbe fatto allora Berlusconi a convincere Ostuni a rilasciare la ragazza, quando la legge prevedeva che una minorenne beccata per un reato minore venisse affidata a una comunità? Mh…

3. Nella telefonata in Questura si parla di affidare Ruby al consigliere regionale-Olgettina Nicole Minetti perché la portasse in affido in una comunità. Ma questa procedura è prevista solo per i soggetti minorenni: questo vuol dire che Berlusconi sapeva che Ruby fosse minorenne! Ma grazie a Coppi l’idea dell’affido non viene da Berlusconi, bensì sarebbe nato dalla stessa Minetti parlando con Giorgia Iafrate, di turno quella notte in questura. Perplessità: Berlusconi dice a un funzionario “Oh, viene un consigliere regionale a prendersi la ragazza, non te ne frega niente per quale motivo: dagliela e basta” e tutto finisce? Non si può, bisogna dare almeno una piccola motivazione. In questa telefonata stanno scomparendo tutte le frasi, sembra quasi un numero di mimo fatto per telefono. Mh...

4. Berlusconi ha commesso concussione per far rilasciare Ruby: Ostuni sarebbe stato concusso secondo l’accusa proprio perché ha subito delle pressioni da parte di Berlusconi, allora Presidente del Consiglio, affinché facesse una cosa che normalmente non poteva essere fatta. Ora, il reato di concussione fino alla legge Severino permetteva di applicare il caso alla fattispecie, perché esisteva un solo tipo di concussione e quella di Berlusconi lo era per certo. La concussione poteva avvenire con qualunque modalità, ma nel 2012 (quindi quando il processo era ancora in corso!), Berlusconi fa varare la legge Severino, la quale prende il reato di concussione e lo disgrega in due fattispecie: da una parte abbiamo la concussione per costrizione (nuovo art. 317 c.p.), dall’altra una induzione indebita (art. 319-quater c.p.), reato meno grave, in cui una persona non è costretta con la forza e quindi può in teoria rifiutarsi.
     Ora, furono in molti all’epoca a identificare la fattispecie più corretta con la concussione per induzione, ovvero senza azione violenta o coercitiva ma per pressione psicologica o morale. Il Tribunale di Milano però ha scelto di applicare la concussione per costrizione e il capo d’accusa non ha retto, perché Coppi è riuscito a dimostrare che non esiste alcuna prova che Berlusconi abbia costretto Ostuni a commettere il reato. Infatti Berlusconi non ha costretto con la forza Ostuni, ma ha fatto leva sul suo ruolo di Presidente del Consiglio inducendo in Ostuni la paura di provocare un incidente internazionale (Ruby doveva essere la nipote di Mubarak!): era quindi meglio applicabile la fattispecie dell’induzione. Ma così non è stato.

     Ecco quindi che i giudici già in Appello non hanno potuto confermare la condanna del primo grado. Ma attenzione: i fatti restano provati. Restano provate le notti di prostituzione, resta provato che Ruby era minorenne, restano provate le telefonate con cui le ragazze confessano tutto, i pagamenti alle ragazze perché tacessero (e per questo c’è il processo Ruby-ter, dove Berlusconi è accusato di inquinamento delle prove per aver corrotto le ragazze affinché mentissero), insomma c’è tutto… E Berlusconi ha sempre dichiarato alla stampa e ai suoi elettori che niente di tutto questo fosse vero.
     Purtroppo nei Tribunali la verità è un concetto diverso da quello che usiamo nella vita di tutti i giorni: perciò, come dicevo, la sentenza si accetta perché in Tribunale non si è riusciti a dimostrare che Berlusconi abbia commesso quei reati con consapevolezza (ma li ha commessi comunque!), ma ai cittadini elettori non può non sfuggire che dietro questa verità giuridica ne esiste un’altra fin troppo evidente e imbarazzante, che non possiamo (giustamente) usare per condannare qualcuno, ma che ci serve per farci un’idea di chi sia la persona protagonista di quella verità e se meriti il nostro voto.



     Ecco quindi svelato l’arcano, che poi arcano non è: la legge cambiata con il processo ancora in corso, affinché un reato non risultasse più tale e quindi non più punibile, i soldi dati alle ragazze perché non testimoniassero, inquinamento probatorio, un avvocato che confessa spudoratamente il reato quando ormai non si può più punire e chissà che altro. Ecco la ricetta perfetta per essere assolti anche se colpevoli. State tranquilli perciò: Berlusconi rimane il solito birbante.


domenica 1 marzo 2015

Scavi di Pompei, dopo il restauro riapre la Villa dei misteri

     Gli scavi di Pompei riaprono le porte a quella che è probabilmente la maggior attrattiva dell’intero sito archeologico: la celeberrima Villa dei misteri, dopo un intenso lavoro di restauro, sarà di nuovo visitabile a partire dal prossimo 22 marzo 2015.

     La villa, edificata nel II secolo a.C., prende il nome da una bellissima pittura muraria, oggetto del restauro, raffigurante i riti dei culti misterici in onore del dio Bacco. Subì nel corso del tempo una serie di ampliamenti e numerosi restauri, l’ultimo dei quali proprio al momento in cui l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. la seppellì, e raggiunse il suo massimo splendore nell'età di Augusto. In origine la villa offriva un meraviglioso panorama giacché affacciava sul golfo di Napoli e ciò era una logica conseguenza della funzione iniziale per cui era stata concepita: nacque infatti come villa di otium, il genere di villa “da vacanza” tipica dei patrizi romani che amavano trascorrere periodi di riposo o di attività ricreativa in Campania, lungo le coste del golfo partenopeo. Non si trattava quindi di una struttura dedicata ad attività lavorative.

     Ma nel 62 d.C. un violento terremoto la danneggiò e quando fu riparata la sua funzione mutò, diventando una villa rustica, ovvero una casa di campagna che, pur continuando a ospitare nobili cittadini (in una zona detta pars urbana), fungeva anche da fattoria o piccola azienda agricola: furono quindi aggiunti locali adibiti alle attività di produzione (pars rustica) o adatti a contenere attrezzi da lavoro. Nella villa dei misteri si produceva e si vendeva vino, prodotto gettonatissimo in questa parte del territorio campano. Le terre di questa parte del sud Italia erano infatti famose in tutto l'impero per la loro incommensurabile fertilità. Si trattava in generale di una caratteristica comune a molti luoghi della regione, al punto che i romani parlavano di Campania felix (Campania felice).

    
     Si pensa che al momento dell'eruzione la villa fosse in ristrutturazione: infatti un’intera sua area è stata ritrovata priva di suppellettili. Il primo scavo risale al 1909, ma una seconda operazione fu eseguita nel 1929 e tutt’oggi esiste una parte dell’edificio che non è stata ancora riportata alla luce e che secondo gli esperti aggiungerebbe poco a ciò che già sappiamo.

      Molte sono le pitture, in diversi stili, che sono state rinvenute, tuttavia è la serie di affreschi della sala del triclinio ciò che più caratterizza il sito e lo rende la domus patrizia più famosa di tutta l’area archeologica. Le pareti raffigurano, come si diceva, un rituale che vede probabilmente una iniziata che deve diventare sposa del dio Bacco. Le figure sono state realizzate a grandezza naturale e l’autore le raffigurò con una tecnica chiamata per questo megalografia (raffigurazione di grandi dimensioni). Satiri, dei, vergini, amorini sono i protagonisti di queste bellissime scene, che si ispirano in parte alla pittura greca e sono dotati di una morbidezza che ingentilisce lo sguardo; corrono tutt’attorno alle pareti e lo spettatore ha davvero l’impressione di trovarsi fisicamente in mezzo al rituale, con figure raffigurate senza scala che paiono venire fuori dalle pareti e abitare il pavimento di piastrelle in palombino. Le figure sono aggraziate ma decise, ora aeree ora reali e fisicamente presenti e raccontano di una scena sul cui significato gli studiosi si interrogano ancora oggi: la “lettura” delle pareti si effettuerebbe da sinistra e si notano alcuni momenti tipici dei rituali in onore del dio Bacco: vediamo infatti un satiro che degusta del vino (Bacco era il dio del vino), oppure una baccante che scopre il fallo del dio, simbolo di fertilità, così come anche un’altra baccante che danza vigorosamente in preda all’estasi, un momento molto importante nei rituali dedicati a Bacco. Non mancano figure più composte, come una donna che effettua la toilette o una matrona ferma e assorta, come in pausa.



     I lavori di restauro sono iniziati nel 2003, con fondi della sovrintendenza pari a circa un milione di euro, e sono stati estesi a tutta l’abitazione (con l’eccezione del peristilio, oggetto di restauri a parte a causa del crollo di una trave); ai lavori hanno collaborato numerosi atenei, sia italiani sia stranieri, a testimonianza della grande risonanza di questo sito nel mondo. Il direttore del restauro, Stefano Vanacone, ha dichiarato che sono stati rimossi vari strati di una miscela di cera e benzina che sarebbe servita a conservare meglio le pitture nel corso del ’900 ma che, a causa dell’ossidazione, si era scurita, alterando il tono dei colori.

     Le pitture che si sono succedute nel tempo variano a seconda dell’epoca e del gusto dei proprietari: ci sono pitture che si rifanno a uno stile egiziano, di gusto esotico, e affreschi del secondo stile; non mancano un criptoportico, adibito alle passeggiate al fresco e il tipico impluvium dell’ingresso. Nei 2500 metri quadrati di questa villa i visitatori possono ammirare anche dei calchi di vittime e perfino una copia di un torchio vinario.

     I lavori dovevano terminare il 20 febbraio, ma le avverse condizioni atmosferiche e la necessità di ultimare alcuni dettagli hanno richiesto un altro po’ di tempo. La Sovrintendenza ha quindi deciso di rinviare l’apertura al pubblico il prossimo 22 marzo. Si legge infatti sul sito: «Si informa che la riapertura al pubblico della Villa dei Misteri è stata posticipata al 22 marzo, per consentire l’ultimazione degli interventi di restauro degli apparati decorativi, che hanno subito ritardi a causa di condizioni meteorologiche e climatiche eccezionalmente avverse».

     Una bellissima occasione per rientrare in contatto con l’arte e la cultura, un evento imperdibile a cui è moralmente obbligatorio partecipare.

     Vale la pena ricordare che da pochi mesi è uscito un bellissimo libro, scritto da Alberto Angela, che racconta proprio la scomparsa di Pompei ad opera dell’eruzione del 79 d.C. Lo trovate in libreria col titolo I tre giorni di Pompei, edito Rizzoli.

Nota: Alberto Angela e Rizzoli devolveranno una parte del ricavato derivante dalle vendite del libro al restauro di un altro importante affresco di Pompei, lAdone ferito, nella casa omonima. Una bellissima decisione che aggiunge un ulteriore contributo al mantenimento in vita di questo sito straordinario il cui valore e la cui preziosità non sono eguagliate da nessun altro sito archeologico in tutto il mondo.

Alberto Angela posa assieme all'Adone ferito, l'affresco che verrà
restaurato acquistando il suo libro I tre giorni di Pompei: la foto è
stata scattata lo scorso 8 gennaio, poco prima della presentazione
del libro nell'Auditorium degli Scavi di Pompei.