giovedì 18 aprile 2013

Scripta manent, n. 17 – Homo eleutherophobicus

     Mi torna spesso in mente in questi mesi il tema della libertà perduta. Noi, uomini contemporanei che viviamo nell’epoca delle dittature subdole mascherate da democrazie immacolate, non solo non sappiamo dar valore alla libertà, me nemmeno ci studiamo più di perseguirla e ricrearla. Cresciamo desensibilizzati a questo nobilissimo ideale, dal quale deriva ogni forma di bene. Il tema però era caro (e molto più sentito) qualche secolo fa e molti sono gli autori che ne hanno scritto. Propongo qui dei passi del francese La Boétie, che nel suo Discorso sulla servitù volontaria, un agilissimo e piacevole scritto del XVII secolo, rifletteva su questo tema mettendo in luce l’assurdità della schiavitù voluta e scelta dagli uomini. Chiamatela eleuterofobia: la paura della libertà.

     Ma come! Se per ottenere la libertà basta desiderarla, se non vi è bisogno di null’altro che una semplice volontà, vi sarà una sola nazione al mondo che reputi di pagarla troppo cara acquistandola con un semplice desiderio? E chi rimpiangerebbe il proprio desiderio di riottenere un bene che si dovrebbe riconquistare a prezzo del proprio sangue e la cui perdita rende amara la vita a ogni uomo e gradita la morte? Certo, come la fiamma di una piccola favilla divampa e va rafforzandosi sempre di più, e più trova legna da ardere, più ne divora, ma si consuma e finisce per estinguersi da sé non appena si cessi di alimentarla, allo stesso modo, più i tiranni saccheggiano più esigono; più devastano e distruggono, più si dà loro, più li si serve. Questo aumenta la loro forza e li rende sempre più pronti a tutto, annientare e distruggere. Ma se non si dà loro più niente, se più non si obbedisce loro, senza bisogno che li si combatta e colpisca, restano nudi e sconfitti e non sono più niente, come il ramo che non avendo più linfa e alimento alla radice, inaridisce e muore.
     Per conquistare il bene desiderato, l’uomo coraggioso non teme nessun pericolo, l’uomo saggio non si scoraggia dinanzi a nessuna fatica. Solo i vigliacchi e i rammolliti non sanno né sopportare il dolore, né riconquistare un bene che si limitano a desiderare. L’energia per pretenderlo viene annullata dalla loro stessa viltà, non resta loro che il naturale desiderio di possederlo. Questo desiderio, questa volontà comune ai saggi e agli stolti, ai coraggiosi e ai codardi, fa desiderare tutte le cose il cui possesso li renderebbe felici e soddisfatti. Vi è una sola cosa che – non so perché – gli uomini non hanno la forza di desiderare: la libertà, un bene tanto grande e dolce! Non appena la si perde, sopraggiungono tutti i mali possibili e senza di essa, tutti gli altri beni, corrotti dalla servitù, perdono gusto e sapore. Sembra che gli uomini tengano in poco conto la libertà, infatti, se la desiderassero, l’otterrebbero; si direbbe quasi che rifiutino di fare questa preziosa conquista perché è troppo facile.
[…]
     La natura dell’uomo è di essere libero di voler esserlo, ma prende facilmente un’altra piega quando è l’educazione a imprimergliela.
     Diremo dunque che tutte le cose diventano naturali per l’uomo quando vi si abitua, rimane fedele alla natura solo chi desidera ciò che è semplice e non adulterat. Pertanto la prima causa della servitù volontaria è l’abitudine. È quel che succede d’altronde ai più indomiti cavalli che in un primo tempo mordono il freno e poi se ne trastullano, che prima scalpitano sotto la sella per poi presentarsi spontaneamente ai finimenti e pavoneggiarsi tutti fieri della loro bardatura.
     Dicono di essere sempre stati assoggettati, che così hanno vissuto i loro padri. Ritengono di dovere subire il male, se ne convincono a forza di esempi e loro stessi consolidano, contribuendo alla sua durata, il potere di chi li tiranneggia.

     Ma gli anni non danno mai il diritto di agire male, anzi aggravano l’ingiuria. Vi sono pur sempre alcuni, nati meglio degli altri, che sono insofferenti del peso del giogo e non possono fare a meno di scrollarlo, che non si abituano mai all’asservimento e che, così come Ulisse cercava per terra e per mare di rivedere il fumo della sua casa, non dimenticano i propri diritti naturali, le loro origini, la loro prima condizione e colgono ogni occasione per rivendicarli. Essi, avendo un reto giudizio e una mente lungimirante, non si accontentano, come gli ignoranti, di vedere ciò che giace ai loro piedi senza guardare né indietro né innanzi. Ricordano il passato per giudicare il presente e prevedere il futuro. Avendo la testa naturalmente ben fatta, l’hanno ulteriormente affinata con lo studio e il sapere. Anche se la libertà fosse completamente perduta e bandita da questo mondo, essi se la raffigurerebbero, la sentirebbero nel loro spirito e l’assaporerebbero. Quanto alla servitù, essi l’aborriscono, qualsiasi cosa si faccia per mascherarla.

Étienne La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria

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