domenica 13 novembre 2011

Berlusconi si dimette, ma l’Italia resta appesa a un filo


     Risale a poche ore fa quella che non si esagera a definire una delle notizie più significative per l’Italia negli ultimi vent’anni, notizia che è di dominio pubblico non solo nel nostro paese, ma proprio in tutto il mondo: il 12 novembre 2011 Silvio Berlusconi, dominatore della scena politica italiana dal 1994, ha dato le sue dimissioni.
     Anche senza cercare volutamente, in rete, in TV e dovunque in ogni angolo del paese si può essere informati sui dettagli della serata: dell’arrivo di Berlusconi a Palazzo Grazioli per un colloquio col Capo dello Stato Giorgio Napolitano; delle grida a suon di «Buffone!» e «In galera!» dei cittadini che si sono riversati in strada, tenuti a bada dalle forze dell’ordine; dei festeggiamenti di quegli stessi cittadini che hanno esultato fino alle 3 del mattino neanche l’Italia avesse vinto i mondiali; dell’approvazione della legge di stabilità che questo governo è stato costretto a varare e che deve contenere, secondo le richieste dell’Unione Europea, il maxi-emendamento con i punti necessari per risollevare il paese dalla crisi economica in cui versa da tempo. Si può sentir parlare dovunque anche di questo nuovo governo tecnico, nominato in via provvisoria dal Presidente della Repubblica e guidato da Mario Monti, economista bocconiano nominato ad hoc senatore a vita il 9 novembre scorso, in attesa della stabilizzazione del quadro politico.
     La situazione è così delicata che nei prossimi giorni l’attenzione dei cittadini potrebbe addirittura mettere da parte Grandi Fratelli, Barbare D’Urso e Marie De Filippi! Dovunque si sente dire che l’Italia sta attraversando una vera e propria fase di transizione, che l’egemonia berlusconiana è finita e che il “premierato assoluto” non è più un pericolo verosimile. I più tenaci si sono perfino divertiti a stendere statistiche: il numero dei giorni che Berlusconi ha passato alla guida del paese che rendono il suo un periodo di governo paragonabile solo a quelli di Giolitti e Mussolini; il numero di processi giudiziari accumulati in questi anni e mai risoltisi con un’assoluzione come Dio comanda; i miliardi che il Cavaliere ha guadagnato, evaso, pagato per corrompere e comprare giudici, avvocati, parlamentari e per i suoi divertimenti personali (e illegali) sotto forma di (troppo) giovani escort… In effetti ce ne sarebbe da dire per fare il riepilogo della situazione. Ma niente fretta: per queste cose c’è tempo!


     Di sicuro oggi è una data storica per il nostro paese, questo sì, ma lasciamo un attimino da parte i sogni idilliaci che tutti vorremmo fare ora che apparentemente “Annibale non è più alle porte”, e dimentichiamoci per adesso anche di tutti i retroscena del reality show di Casa Berlusconi, per concentrarci un secondo sui veri protagonisti di questa vicenda quasi ventennale: noi! Perché chiariamo una cosa: qui non stiamo assistendo al solito servizio di cronaca politica riferito allo sperduto paesino dell’altra parte del mondo, cui magari guardiamo con quel misto di curioso voyeurismo e ingenua indifferenza. Qui si parla di noi: del panettiere sotto casa, del figlio del professore, dello studente universitario, della donna delle pulizie, del maresciallo dei Carabinieri… quella gente lì. È su di loro che va puntato l’occhio di bue, perché sono loro ad essere in gioco.
     Se c’è un momento buono per farsi un esamino di coscienza in qualità di cittadini, è questo. E lo dico perché la tentazione più forte che viene in questo momento è quella di pensare che finalmente ci siamo liberati dai cattivi che sono usciti di scena e dai quali non potevamo difenderci perché, poverini, come potevamo sapere certe cose? Lo dico anche perché c’è la tentazione di rimettere nelle mani dei neogovernanti la situazione del futuro sempre perché noi, poverini, cosa ne possiamo sapere di politica? Se la vedessero loro! Ebbene, è proprio in questo che sbagliamo! È questa la crisi vera del nostro paese, quella che viene prima di quella economica: la crisi culturale! Abbiamo avuto pessimi governi anche perché siamo stati pessimi cittadini. Vuoi per mancanza di un’adeguata educazione o istruzione; vuoi perché forse ci portiamo ancora dietro quella parcellizzazione multiculturale in cui siamo andati avanti storicamente, dai tempi dei Comuni, e quindi un popolo vero, ancora dobbiamo imparare ad esserlo; vuoi perché per pura coincidenza in questi anni la maggior parte della gente è nata menefreghista e non voleva sentirsi addosso quel fastidioso peso che si chiama “dovere civico” e allora ha preferito lavarsene le mani e smettere di interessarsi agli affari del paese. La colpa è anche nostra, quindi siamo anche noi a dover cambiare! Troppo facile aspettare che l’Unione Europea ci bacchetti la squadra di governo, come si farebbe con un bambino cattivo che ha fatto la marachella, e subito ubbidire per paura che ci mettano in punizione! In tutti questi anni ci siamo rifiutati letteralmente di fare attenzione a ciò che accadeva sotto i nostri occhi, ci siamo fatti crescere a pane e televisione, ci siamo fatti rintontire dalle veline e dal gioco dei pacchi! E quelle poche volte che ci si è azzardati a parlare di politica, lo si è fatto solo per prendere a parolacce l’avversario. E intanto la verità ci scivolava tra le mani, una verità la cui urgenza è oggi più forte che mai: che cioè non abbiamo un cavolo da festeggiare, e per tanti motivi.
     In primis perché il fatto che Berlusconi non si ricandidi alle prossime elezioni non vuol dire che sia uscito di scena, né che abbia smesso di esercitare la sua influenza sugli aspetti più importanti del paese: nelle sue mani ci sono ancora la quasi totalità dei mezzi di comunicazione di massa, giornali, editoria, cinema, solo per citare quelli più rilevanti, perché è noto a tutti che il suo impero economico è immenso. E una delle prove più concrete che un uomo possa manovrare le redini di uno stato anche se non è direttamente al potere ce l’abbiamo, nostro malgrado, ancora sotto i nostri occhi; una prova ingobbita dalla vecchiaia e imbruttita dalle scelleratezze che puzzano di mafia: Giulio Andreotti! Inoltre Berlusconi è ancora indagato per molti processi e non credo che si sia arreso e abbia rinunciato a cercare quella protezione che finora l’ha tenuto dall’altra parte delle sbarre. Infine non credo nemmeno che ora che non è più premier abbia intenzione di andarsi a mangiare tutti i soldi accumulati in questi decenni su una spiaggia delle Seychelles. Quindi in campana, perché il Cavaliere non è sceso dal palco, ma aspetta solo dietro le quinte.
     Altro motivo per cui non c’è nulla da festeggiare è che, abituati come siamo a basare i nostri giudizi sulle “antipatie o simpatie a pelle”, noi non sappiamo votare. Non siamo proprio capaci di usare lo strumento del voto. Questa cosa fu secondo me ben spiegata da Daniele Luttazzi nel suo monologo Decameron, quando diceva che l’elettorato (non solo italiano) di oggi vota in base a suggestioni emotive e che il politico che viene eletto è quello che sa raccontare meglio la sua storia personale (ancora puzza di reality show, come vedete: il meccanismo è quello, non c’è niente da fare). Quindi anche riavendo la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti non potremmo basarci su altro che sulla fortuna, giacché i più di noi o non sono informati sui candidati, preferendo votare per sentito dire e voci di corridoio, o sono proprio disinteressati nei confronti dell’esperienza della scelta in sé, con la scusa – pericolosissima a livello ideologico – che “tanto son tutti uguali”. Abbiamo bisogno di essere formati a fare i cittadini: i bambini di adesso ne hanno bisogno e a scuola dovrebbero studiare anche questo.
     Ancora, la politica italiana, così come in altri paesi, è un sistema quasi in stallo bloccato sulla gerontocrazia e su sistemi clientelari troppo radicati perché siano messi in crisi dalle dimissioni di un solo premier. Senza contare il fatto che, con la sfiducia verso le istituzioni in generale, in politica si candida sempre meno gente per bene e solo quelli che hanno qualcosa da arraffare hanno il coraggio di proporsi.
     La ripresa economica auspicata dalla legge di stabilità, poi, non può ripristinare lo status quo nel giro di poco tempo: per riportare un paese in una condizione decente occorre del tempo perché le forze in gioco sono molte e molto diverse, con esigenze diverse e capacità diverse, e questo significa che ci aspettano tempi duri. Se pensiamo che oggi la Germania, paese dove la burocrazia è molto più veloce, ancora sta lavorando per la ricostruzione delle aree venute fuori dalla guerra, cosa vuoi sperare che in Italia si sistemi tutto in quattro e quattr’otto?

     Ci sarebbero molti altri motivi, ma credo di aver espresso il mio punto di vista. L’esperienza berlusconiana degli ultimi 17 anni non è il primo caso di un paese che si mette in ginocchio da solo e, stando alle statistiche storiche, non sarà nemmeno l’ultimo. Tuttavia ci ha lasciato una lezione da imparare: ci ha mostrato quanto siamo volubili, vulnerabili, ci ha fatto vedere quanto è facile convincere la gente a fare scelte sbagliate facendole addirittura credere di aver fatto la cosa giusta; ci ha dato la dimostrazione di quanto lontani dalla legalità e dalla giustizia si possa arrivare a causa degli interessi personali di una sola persona (non dico di un’oligarchia, ma di un singolo uomo!); ci ha dato la prova che alla gente si può nascondere la verità in modo da non tenerla informata su ciò che è bene fare in futuro usando uno strumento semplice e diffusissimo come la televisione. È un’esperienza fresca questo berlusconismo, ce l’abbiamo davanti a noi. Dobbiamo imparare da questa esperienza, dobbiamo cambiare come popolo. Dobbiamo far funzionare la storia. Solo chi è attento ai fatti è in grado di giudicarli bene e regolarsi nel migliore dei modi per non farsi danneggiare. Non è un caso, per esempio, che da quando Berlusconi è asceso al potere una delle categorie più ostacolate sia stata quella dei comici: la satira, infatti, con la scusa delle risate, esamina i fatti storici e ne fornisce un punto di vista: Luttazzi, Guzzanti, Rossi sono tutti nomi che non hanno lavorato più sulle reti nazionali (o ci hanno lavorato con una certa censura) proprio perché nei loro monologhi illustravano cose che si aveva l’interesse a tener nascoste. Perché mai un Paolo Rossi, per esempio, sarebbe stato così profetico già nei primi anni novanta, quando il fenomeno Berlusconi non aveva raggiunto le dimensioni titaniche degli ultimi tempi?


Mi sovviene un passo di Primo Levi che diceva:
Ogni tempo ha il suo fascismo. […] E a questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine.

     Gli entusiasmi, teniamoli a freno. È presto per cantar vittoria o per festeggiare, siamo ancora appesi a un filo. Non è ancora tempo di aggiornare i libri di storia: è tempo di rileggerli.


2 commenti:

  1. Qua per caso, ammesso che il caso esista. In realtà sono stato indirizzato al tuo blog per via di una foto di Nureyev, dunque forse non è un caso....
    Ad ogni modo il blog mi è parso carino, curioso, intelligente e credo, largamente condivisibile (ho letto troppo poco....). A presto. Fernando

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  2. Grazie Fernando, sei molto gentile! Sarò lieto di rileggere i tuoi pareri in futuro, se vorrai. A presto!

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