giovedì 11 agosto 2011

Latine loquimur, n. 1

     A me le rubriche piacciono, ecco perché ho deciso di introdurne un’altra su questo blog, oltre a Scripta manent. Questa l’ho chiamata Latine loquimur (letteralmente: “noi parliamo latino”) ed è una raccolta di frasi, espressioni, proverbi o citazioni in lingua latina passate alla storia per la loro fama o perché vengono usate ancora oggi nel comune linguaggio parlato e scritto. È anche un modo per ribadire ai più scettici che questa lingua (bellissima) continua a pulsare forte nei principali idiomi di tutto il mondo a dispetto dell’ingrato epiteto che le hanno dato di “lingua morta”. In ogni numero di Latine loquimur lascerò tre citazioni, con traduzione, un commento e la trascrizione delle pronunce: una di queste pronunce è quella adottata in Italia, detta pronuncia scolastica (quella che si insegna nelle nostre scuole); l’altra è invece la cosiddetta “lectio restituta”, ovvero la “pronuncia restituita”, cioè il modo con cui, secondo le più attendibili ricostruzioni, il latino veniva realmente pronunciato nell’antichità e fino a un certo periodo della storia di Roma.

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Lapsus
[pronuncia scolastica: làpsus]
[pronuncia restituita: làpsus]

     Letteralmente lapsus è un sostantivo maschile che significa “sdrucciolamento”, “scivolamento”, perché viene dal verbo labi che significa “scivolare”, “scorrere”. Oggi viene usato col significato di “errore”: cos’è infatti l’errore se non uno sdrucciolamento, una deviazione di qualcosa rispetto alla direzione in cui dovrebbe normalmente andare? La parola viene spesso usata nell’espressione lapsus linguae [pronuncia scolastica: làpsus lìngue; pronuncia restituita: làpsus lìnguae], cioè “errore di lingua”, “errore di linguaggio”, come quando si dice una parola al posto di un’altra o si chiama qualcuno con un nome diverso dal suo. In quei casi può capitare di scusarsi dicendo «Chiedo scusa: ho fatto un lapsus!». Famosa è anche l’espressione “lapsus freudiano”, in quanto per Freud i lapsus sono delle spie, dei segnali che vengono fuori quando i nostri pensieri e le nostre voglie inconsce vogliono riemergere indipendentemente dalla volontà per esprimere qualcosa che abbiamo represso.


Ex abundantia cordis
[pronuncia scolastica: ecs abundànzia còrdis]
[pronuncia restituita: ecs abundàntia còrdis]

     Significa “dall’abbondanza del cuore”, ovvero, con un’espressione meno letterale: “dal profondo del cuore”, “con tutto il cuore”, “dal profondo dell’anima”. Possiamo usare questa espressione quando vogliamo enfatizzare un’azione o esprimere il nostro apprezzamento o la nostra gratitudine: «L’ho fatto molto volentieri, ex abundantia cordis». La locuzione deriva dal Vangelo di Matteo, dove si legge: «Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero. Stirpe di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Infatti è dalla pienezza del cuore [ex abundantia cordis] che parla la bocca» (capitolo XII, versetti 33-35).


Nomen omen
[pronuncia scolastica: nòmen òmen]
[pronuncia restituita: nòmen òmen]

     Vuol dire “Il nome (è) un auspicio”. Oggi non ce ne rendiamo più conto, ma i nomi venivano dati alle cose o per rappresentare foneticamente qualcosa che essi sono o per esprimere il desiderio di cosa si vorrebbe che fossero. Nell’antichità si credeva che il nome di qualcuno contenesse in sé il suo destino, la sua sorte; di conseguenza si davano alle persone dei nomi che fossero di buon augurio. Ecco perché oggi abbiamo nomi con bellissime etimologie, come Elena, che significa “solare”, perché viene dal greco hèlios, il “sole”; oppure Veronica, che significa letteralmente “colei che porta la vittoria” (sempre dal greco phèro, “io porto”, più nìke, “vittoria”); o Massimo, dal latino maximus, “il più grande di tutti”; o Franco, dalla parola barbara frank, ovvero “libero”; o ancora Filippa, dal greco philìa, “amore”, più hìppos, “cavallo”, cioè “colei che ama i cavalli”. E, se è vero che il nome è un auspicio, non vorrei mai essere nei panni di certa gente che si chiama Addolorata, o Crocefissa. Comunque sia, l’espressione si usa quando a una persona di cui si conosce il nome vengono associati eventi o qualità che il nome stesso indica o richiama, in senso sia positivo che negativo. A tal proposito ricordo una battuta del comico Daniele Luttazzi che, citando un articolo di Corrado Augias, diceva che l’etimo del cognome Berlusconi significherebbe “due volte losco”. Berlusconi è infatti l’accrescitivo dell’aggettivo “berlusco”, che deriva dal latino bis luscus, “due volte losco”, appunto. E qui, se permettete, ci sta benissimo: «Nomen omen»!!! Da notare la bella rima interna del motto.

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