28 settembre 1916, Locvizza, sul Carso. Giuseppe Ungaretti è
rintanato nelle trincee del primo conflitto mondiale a fare il soldato. Il
campo di battaglia che puzza di polvere da sparo, freddo e cadavere è l’aria
che normalmente respira. Da quel luogo, privo di ogni forma di Bellezza,
chiunque vorrebbe fuggire, figuriamoci un poeta. Ma, mentre tutti gli altri
sono costretti a restare, Ungaretti riesce per un momento a scappare e lo fa
nel modo in cui solo un poeta può riuscire: creando Bellezza dall’orrore.
Ungaretti ricorda. E ricordando vola via. Ritorna con la
memoria a Parigi, dove era giunto giovanissimo (aveva solo 24 anni) per ragioni
di studio. Ritorna a una lontana notte di febbraio, apparentemente anonima, ma
che per qualche ragione gli si è fissata nella mente e che ora riprende vita
davanti ai suoi occhi graffiati dall’orrore; in quella notte si trova a
Montparnasse, poco prima dell’alba. Davanti a lui un ponte, sotto il ponte le
acque della Senna scorrono lente e buie sotto un cielo cupo, un vero e proprio «oscuro
colore di pianto». Sul ponte, ferma e silenziosa a contemplare il fiume, una
ragazza, Marthe Roux, 16 anni appena: la sua immagine, così «tenue»,
rimane nella mente del poeta per tutti quegli anni. Un «fiore d’Alpe», così la
chiama in un verso poi cancellato dalla stesura finale, che se ne sta lì
immobile, «in un canto di ponte», a vivere il suo malessere. Un malessere in cui Giuseppe si riconosce ora,
tanto che gli pare che i loro stati d’animo siano in realtà uno solo: «le
nostre / malattie / si fondono».
La giovane Marthe è la cosa più malinconica e bella che
riesce a pensare in mezzo a tutta quella morte. Nel 1918, dal fronte, le
scriverà: «la nostra relazione è stata assolutamente pura, ma io volevo avervi
totalmente». E molti anni dopo ancora la ricorda: «Che illusione meravigliosa è
stata per me».
Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa
Su Parigi s’addensa
un oscuro colore
di pianto
In un canto
di ponte
contemplo
l’illimitato silenzio
di una ragazza
tenue
Le nostre
malattie
si fondono
E come portati via
si rimane.
Giuseppe Ungaretti, Nostalgia
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