Alexis Tsipras |
La situazione
della Grecia è delicatissima: Syriza, il partito di Tsipras, dovrebbe mirare ad
ammorbidire l’effetto delle catene della Bce sull'economia nazionale, ma in
Europa si ha interesse affinché la Grecia non abbia l’aiuto che le occorre. Se
Tsipras non riuscisse ad ottenere quello che vuole, alla Grecia resterebbero
due possibilità: obbedire o uscire dall’euro. Ma Beppe Grillo fa capolino con
una proposta che, almeno su carta, pare interessante...
Esaminiamo prima
la situazione: Marcello Foa ci spiega perché la Grecia non ha molte speranze di
ricevere il trattamento di cui ha bisogno in un articolo intitolato Grecia e Bce: avete capito o no chi governa davvero?.
Non chiamatele pressioni, sono ricatti. Non parlate di
separazione di poteri, al vertice dell’Unione Europea non esistono. Sto
parlando, ovviamente, del trattamento che “l’Europa” sta riservando alla
Grecia. Quando la Banca centrale europea annuncia che non accetterà più i
titoli pubblici greci a garanzia dei prestiti bancari, compie un gesto
politico, dalla forza dirompente, paragonabile a un atto militare. Di fatto
priva le banche di liquidità, ed è come se si riducesse l’ossigeno a un
paziente reduce da una lunga malattia. Gli spin doctor della Bce hanno
presentato la decisione alla stregua di “pressioni” sul governo greco; in
realtà è una forma di ricatto, che dimostra, ancora una volta, come in questa
Europa la democrazia sia più formale che sostanziale e come la volontà popolare
non abbia possibilità di affermazione non appena contrasta con gli interessi e
i piani delle élite europee. Fuor di metafora: Draghi ha messo Tsipras con le
spalle al muro: se persiste sulla strada della rinegoziazione del debito, le
banche greche, nel giro di poche settimane o forse di pochi giorni, si troveranno
senza fondi, alcune chiuderanno, la gente assalirà, inutilmente, bancomat e
sportelli, l’economia si fermerà.
A quel punto Tsipras avrà di fronte a sé due alternative:
rompere definitivamente e uscire dall’euro o chinare la testa. Secondo voi come
finirà? L’effetto, se questo scenario dovesse realizzarsi, sarebbe disastroso
per la nostra democrazia: dimostrerebbe Draghi che i vari Syriza, Podemos,
eccetera non hanno alcuna possibilità di realizzare le proprie promesse
elettorali e che ai popoli europei non resta in realtà che una scelta:
applicare i diktat della Troika con un premier di centrosinistra o applicare i
diktat della Troika con un premier di centrodestra. Cambia l’etichetta, non la
sostanza. Nell’Europa di oggi, chi controlla la moneta, ovvero l’euro, di fatto
rappresenta il potere più forte, condizionante in quanto ostativo, di tutte le
istituzioni nazionali ed europee. Un potere che è assoluto. A chi risponde la
Bce? A nessuno. Qual è il contropotere della Bce? Non esiste. Chi può giudicare
la Bce? Nessun tribunale, la Banca centrale beneficia di fatto di un’immunità
assoluta. Ma, vien da pensare, concetti che pensavamo sacri come la
tripartizione dei poteri, la sovranità popolare? Spariti in un colpo.
Non contano più, perché con la pretesa di proteggere la
banca dalle interferenze dei politici, si è di fatto creato un feudo senza
precedenti che ha potere di vita, di sofferenza (tanta sofferenza) e di morte
su tutti i cittadini europei. Con la consueta dose di ipocrisia: all’indomani
del voto in Grecia il presidente della Bce Mario Draghi, della Commissione Ue
Jean-Claude Juncker, del Consiglio Donald Tusk e dell’Eurogruppo Jeroen
Dijsselbloem si sono riuniti per esaminare la situazione e coordinare la
risposta. Scusate, sarò un po’ tonto: ma se la Banca centrale europea deve
essere immune dall’influenza dei politici, perché deve coordinarsi con
istituzioni politiche? Draghi non dovrebbe immischiarsi di questioni politiche
e men che meno partecipare a decisioni che, in una vera democrazia, spetterebbero
ai rappresentanti del popolo. E invece l’indipendenza vale solo verso i
politici nazionali, non ai vertici dell’Unione Europea e non solo perché essi
non hanno piena legittimità popolare. I leader politici, economici, monetari
dell’Unione Europea condividono un disegno, un progetto, un metodo di gestione
del potere. A quei livelli le barriere non contano. Bisogna mantenere la rotta.
E dimostrare a tutti i cittadini europei che il destino è segnato.
Bill Mitchell,
economista australiano, è ancora più duro con Syriza, sebbene a malincuore, e
in un suo intervento sulla Grecia illustra i limiti delle richieste di Tsipras
(traduzione di Domenico Rontoni)
[...] non credo all’idea che Syriza sia un partito radicale. I
suoi discorsi pubblici e i propositi con cui guiderà il popolo greco non sono
per niente radicali e lo vedranno operare in accordo alle regole mainstream
(neoliberiste) che sono decise e difese da Bruxelles. Syriza non sta proponendo
un ritorno alla sovranità valutaria. Piuttosto sta proponendo che Bruxelles sia
morbida con la Grecia per un po’ e fissa una parte delle attività pubbliche
come parte di un alleggerimento concordato delle condizioni di rimborso. Ciò
non è radicale. Ciò assicura che la Grecia rimanga nell’Eurozona, le cui dinamiche
sono dominate dalla Germania, che ha un’economia non confrontabile con
l’economia greca e la rende un partner “impossibile” con cui stare in una
unione valutaria comune.
[...]
La realtà è che la Grecia ha bisogno di uno stimolo pubblico
che è ben al di là di qualsiasi cosa sia ammessa con le regole attuali.
Mantenendo una posizione di sostegno all’obiettivo del pareggio di bilancio non
si fornisce una risposta a Tsipras un simile tema. Ma i greci possono
risolverlo in una singola decisione – lasciare l’Eurozona e ripristinare la
sovranità monetaria. Le affermazioni di Dragasakis [vice primo ministro del governo Tsipras] precludono questa
alternativa.
La sola ragionevole conclusione è che gli obiettivi espressi
da Syriza non sono reciprocamente coerenti. Non possono raggiungere le
originarie aspirazioni di maggior crescita e aumento dei redditi ed equità
mentre permettono a Bruxelles di dominare la quantità dei loro deficit fiscali.
Non possono raggiungere i loro obiettivi con un tasso di cambio fisso (o tasso
di cambio non indipendente) con la Germania come partner nell’unione monetaria.
Le loro promesse politiche si amplificano con la popolazione sofferente. Ma la
realtà è che la popolazione non viene informata da forze progressiste sul danno
auto-inflitto che comporta il mantenere l’euro come valuta. Non ritengo Syriza
la soluzione, dato che tendono verso il centro (che in realtà è la destra). Ma
sarei molto contento di scoprire che mi sbaglio!
Ora, in un clima
del genere c’è da perdere la speranza. E infatti la Grecia, nel caso in cui la
Germania la snobbasse, ha pronto un piano B: ottenere il supporto finanziario
necessario da altre fonti (USA, Russia o Cina...). Ma ecco che Grillo pubblica
sul suo blog un’ideuzza che, proprio perché la situazione è tanto disperata,
pare un bel punto su cui partire: costituire un fronte anti-austerità a livello
internazionale. L’appello si è limitato a chiamare in causa M5S, Syriza e
Podemos, ovvero le principali forze antieuropeiste dell’Europa mediterranea.
Ora, pensate se questo si realizzasse, se si coordinassero davvero le azioni di
più forze insieme; pensate se questo portasse perfino ad imitare l’esempio in
altre zone dell'Europa. Magari non si caccerebbero via a calci i padroni del
mondo dell’Europa finanziaria, ma le possibilità di costruire una risposta
crescerebbero molto di più!
Si legge sul suo
blog «Sarebbe opportuna una conferenza delle forze che in Europa si battono per
la ristrutturazione del debito, magari indetta insieme da Siryza, M5S, Podemos
ed alla quale invitare tutti, con la sola eccezione dei nazisti di Alba dorata
o di Jobbik, che sporcherebbero inutilmente l’iniziativa. Ed è necessario anche
chiamare la gente in piazza a sostegno della Grecia, che ne pensano Sel, M5S,
Fiom, Cgil, le minoranze Pd? O anche la Lega? Ciascuno a suo modo e con i
propri appuntamenti, ma occorre muoversi ed ora».
Beppe Grillo, Pablo Iglesias e Alexis Tsipras, i leader di Movimento5Stelle, Podemos e Syriza, protagonisti
del possibile fronte
anti-austerità contro la politica finanziaria dell'Unione europea.
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