Dopo l’arrivo “ufficiale” della crisi,
ovvero quando il governo Berlusconi non ha potuto più nasconderlo agli italiani
a causa degli effetti sempre più forti che essa produceva, l’insediamento del
governo Monti ha rappresentato per l’Italia l’esordio della tagliola
dell’austerità, la politica del rigore,
come la chiamano oggi, con una dicitura che fa raggelare il sangue. Gli effetti
di questa politica completamente dimentica dei valori della democrazia e dei
reali bisogni delle persone sono arrivati a produrre di tutto: povertà, paura,
licenziamenti, calo del potere d’acquisto, fallimenti… e suicidi!
Il 2012 si è aperto, come tutti
ricorderemo, con una serie di eventi luttuosi in cui decine di imprenditori
onesti si sono visti costretti a togliersi la vita (qualcuno l’ha fatto dopo
aver prima pagato tutti i debiti). E ora, purtroppo, la storia di ripete. Ma a
rinunciare alla vita non è stato un “ricco” imprenditore, bensì un precario.
Carmine Cerbera |
Il suo nome è Carmine Cerbera, docente di Storia dell’Arte formatosi
all’Accademia della Belle Arti di Napoli. Carmine era precario da anni: grazie alla soppressione del mercato del lavoro
doveva accontentarsi di incarichi parziali e temporanei, quando capitavano. Ma
dopo l’ennesimo provvedimento del ministro Profumo, che ha portato le ore
settimanali di insegnamento da 18 a 24, senza aumento di stipendio, Carmine ha
perso le speranze: perché aumentare di un terzo le ore di lezione per chi è già
assunto significa poter fare a meno di un terzo di quelli che non sono assunti.
Traduzione: migliaia di precari non sarebbero stati assunti più, neanche in via
temporanea. Lo stesso Carmine, che appena pochi giorni fa, il 22 ottobre 2012,
aveva conseguito la Laurea Specialistica, proprio per aumentare la completezza
della sua formazione e poter così “competere” (che termine disumano) meglio nel
mercato del lavoro, ha commentato la cosa sulla sua bacheca di Facebook: «Oggi
dovrei essere gioioso perché ho conseguito la laurea specialistica ma sono
triste perché il ministro Profumo ci sta distruggendo il futuro... siamo
precari a vita ammettendo di essere fortunati».
Un uomo che non si voleva dare per vinto,
quindi, che voleva giocarsi fino all’ultima carta. Carmine però viveva con la
consapevolezza che il precariato è una cosa voluta e calcolata, una cosa fatta
apposta, non un imprevisto; Carmine sapeva bene che non erano le cattedre a
mancare (altrimenti perché il MIUR stipulerebbe tutte quelle decine di migliaia
di contratti a tempo indeterminato ogni anno?); Carmine viveva in un mondo dove
le uniche persone che potevano dargli la capacità di immaginarsi un futuro
gliela toglievano ogni giorno, con una nuova decisione “austera”. E quindi si
sentiva impotente, condannato, come uno che davanti a sé ha solo la certezza
del peggio. Chi vive così non scappa dalla depressione… e se non riesce a
vivere neanche quella, la strada che gli resta è una sola: la morte.
E io me lo immagino, Carmine Cerbera, quel
giorno, il giorno dei morti (scelta voluta o curiosa coincidenza?), entrare in
bagno, afferrare il coltello con cui tagliava le sue tele, proprio “quel”
coltello, quello con cui esprimeva il suo lavoro, avvicinarlo alla gola,
esitare qualche istante, magari chiudendo gli occhi, prendere un respiro, l’ultimo
respiro, quello del coraggio, e conficcarlo di netto nella carne.
Così è stato ritrovato il suo corpo,
bagnato nel suo sangue.
Ma il suicidio di Carmine non è un
semplice atto di disperazione, che riguarda solo lui e basta. Carmine è stato
ucciso. Il suo assassino è lo Stato. Non lo Stato come istituzione (in cui
bisogna credere!), ma “questo” Stato, che con il suo operato lo ha indotto a
non vedere altra via d’uscita. Sul web si è subito cominciato a parlare di omicidio di Stato. E secondo me il
termine si adatta benissimo al caso presente. E indignazione a parte, la cosa è
molto più letterale di quanto sembri: la legge italiana riconosce questo tipo
di reato nel codice penale sotto la dicitura “Istigazione o aiuto al suicidio”:
«Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni.»(Codice penale, art. 580, comma 1)
Lo Stato colpevole di omicidio, dunque. Lo
Stato che uccide. Lo Stato che non si limita a chiedere favori alla Mafia, che
non si limita a far entrare i mafiosi in politica, che fa uccidere i magistrati
che vogliono far conoscere la verità… ma che va oltre e ammazza anche senza
armi e senza mandanti, con una forma più sottile, più subdola, più vile:
inducendo al suicidio.
Carmine aveva 48 anni; morendo, lascia una
moglie e due bambine, anche loro senza futuro oltre che senza padre. Ma l’omicidio
di Stato di Carmine non susciterà di certo alcun senso di colpa negli autori di
questo scempio. Ha richiamato, invece, l’attenzione dei suoi colleghi, precari
e non, che si sono mobilitati con un sit in a Roma, davanti al Ministero dell’Istruzione.
Gli striscioni recitano «Il precariato
uccide», «Di precarietà si muore!»
e «Ciao Carmine, continueremo la lotta anche
per te!». Parole di sdegno che si intingono nella rabbia della gente e nell’indifferenza
di chi non sa governare.
Vergogna!
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