venerdì 2 settembre 2011

Latine loquimur, n. 2


     Ho scritto così tanto ad agosto che quasi mi dimenticavo delle rubriche... Parto subito col secondo numero di Latine loquimur. Anche stavolta tre chicche infarcite di latinità, con doppia pronuncia.
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.

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Gutta cavat lapidem
[pronuncia scolastica: gutta cavat làpidem]
[pronuncia restituita: gutta cavat làpidem]

     Vuol dire “La gocciolina scava la pietra”. Si tratta di una bellissima metafora che possiamo considerare un inno alla perseveranza. Così come una gocciolina d’acqua, se picchia ripetutamente sulla roccia, riesce a eroderla e smussarla, allo stesso modo l’uomo può riuscire anche nelle imprese più ardue se insiste in continui tentativi. La frase si usa quindi per incoraggiare qualcuno che desiste dal portare a compimento qualcosa perché scoraggiato dagli insuccessi, o per commentare in modo elogiativo la riuscita di qualcuno che non si è arreso ai primi fallimenti.


Cui prodest scelus, is fecit
[pronuncia scolastica: cui prodest scelus is fecit]
[pronuncia restituita: cui prodest schelus is fechit]

     Lo scelus è il crimine, il delitto, il misfatto; is significa letteralmente “quello”, cioè “colui”; fecit è il passato del verbo facere, che vuol dire “fare”; cui è il complemento di vantaggio di qui, che significa “colui il quale”, quindi si traduce con “al quale”; prodest è la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo prodesse, che significa “giovare”, “essere vantaggioso”. La frase si traduce quindi così: “Ha commesso il crimine colui al quale reca vantaggio”. Sono le parole pronunciate da Medea, protagonista dell’omonima tragedia di Lucio Anneo Seneca (4 a.C. – 64 d.C.) ai versi 500 e 501, e rappresentano il principio di base di ogni ricerca investigativa. La prima cosa che gli investigatori pensano alla scoperta di un delitto è identificare i possibili sospetti e in cima a quella lista c’è sempre colui che trarrebbe il maggiore vantaggio dal delitto stesso. Il cui prodest, quindi, è il movente, il motivo valido per fare qualcosa (o per non farla). «Perché mai dovrei farlo? Cui prodest? A chi giova?» oppure «Dammi un buon motivo per farlo, dammi un cui prodest» sono esempi in cui si può sentire o usare questa espressione.


Ad kalendas Graecas
[pronuncia scolastica: ad calèndas grècas]
[pronuncia restituita: ad calèndas graècas]

     Nel mondo romano le kalendae [pron. scolastica: calènde; pron. restituita: calèndae] erano il primo giorno del mese. Le calende di marzo, ad esempio, erano il primo giorno del mese di marzo. I Greci invece non avevano questo concetto nel loro modo di misurare il tempo, cioè nel loro calendario le calende non esistevano: di conseguenza, quando si voleva dire che una cosa non sarebbe mai stata fatta, la si rinviava molto eufemisticamente “alle calende greche” (significato letterale). Se volete dire a qualcuno che non avete intenzione di fare qualcosa, ditegli pure che la farete ad kalendas Graecas. E quando vi sarà chiesto «E che vuol dire?», voi rispondete: «Mai!».

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