lunedì 13 giugno 2011

Epilogo del referendum: l’amara vittoria

     A pochi minuti dalla fine di questi due giorni di referendum, quasi tutta l’Italia festeggia il raggiungimento del fatidico quorum, che ammonterebbe, secondo i dati ufficiali, a poco più del 57%. Bocciata la proposta del legittimo impedimento, rifiutata l’installazione di centrali nucleari sul territorio nazionale e un bel vaff… alla privatizzazione dell’acqua. Tutti a festeggiare, a gioire a ritmo di slogan come Legittimo godimento oppure Quorum raggiunto: l'Italia s'è desta. E quindi? Tutti felici e contenti?
     Col cavolo! Intendiamoci: io sono contento che il quorum sia stato raggiunto, sono contento che abbiano prevalso i famosi quattro “Sì”, perché ero contro tutta questa manfrina che il governo voleva organizzare. Sono soddisfatto e appagato, rassicurato e tranquillizzato.
     Ma non posso fare a meno di soffermarmi a riflettere su un’altra cosa altrettanto importante, ovvero quella percentuale… 57%! Non so a voi, ma a me pare un po’ poco. È vero che bastava il 50% più uno degli aventi diritto al voto per rendere legittimi i quattro referenda, ma ora non sto parlando del voto in sé, né dei temi che i referenda hanno trattato. Sto parlando di ciò che quella percentuale dice. Perché quel numero dice qualcosa, è segno di qualcosa, è indizio di qualcosa.
     È vero che Berlusconi ha fatto di tutto per boicottare il referendum, invitando perfino a non votare, perché tanto quei quesiti erano a suo dire «assolutamente inutili», e quindi parte degli elettori hanno deciso di fidarsi di lui e hanno rinunciato allo strumento del voto perché credevano di fare non so cosa (bisognerebbe chiederlo a loro). Ma vorrei chiedere a quelle stesse persone: avete omesso di votare perché volevate legittimo impedimento, nucleare e acqua privatizzata? Se è così, perché non siete comunque andati a votare, barrando le caselle col “No”? O piuttosto avete omesso di votare semplicemente perché ve l’ha detto qualcuno, senza esservi interrogati per almeno un secondo sul motivo per il quale ve l’ha detto? Se si fosse votato anche per il “No” potevo capire; ma quasi mezza Italia che se ne sta a casa e se ne strafrega in questo modo dei propri interessi va oltre la mia capacità di sopportare lo schifo.
     Questa astinenza dice (e la dice lunga) che il nostro senso civico è molto basso, che la strafottenza e, in alcuni casi, l’ignoranza è sovrana presso gran parte di noi. Quel numero dice che non sappiamo fare i cittadini; che non siamo all’altezza della democrazia che diciamo di volere; che vogliamo il cane da guardia che ci comanda, perché da soli non vogliamo camminare; che il peso della responsabilità civile è e sarà sempre troppo grande per noi perché ce ne possiamo fare carico; che non vogliamo essere scocciati con questioni “troppo” complicate (non importa se ci riguardano); dice, quel numero, tutta la crisi culturale di questo paese.
     E, prima che crediate che io sia troppo ingenuo e che abbia generalizzato troppo, voglio dirvi che, dicendo crisi culturale, non parlo solo di coloro che hanno scelto di non votare per ignoranza (perché tra loro c’è anche chi non ha votato per altri motivi più sensati); ma parlo anche di coloro che sono andati eccome a votare, e che hanno votato “Sì”, ma senza sapere il senso di quello che stavano facendo. Mi riferisco anche a loro! E anche questo dovrebbe essere pensato in questo giorno.

     Voglio lasciarvi un pezzo tratto dal monologo Chiamatemi Kowalski Evolution di Paolo Rossi che, interpretando Dio, così riflette sulla nostra democrazia:

     Voglio dirvi cosa penso della democrazia. Sicuramente la democrazia è la forma migliore, figlioli, che avete trovato per vivere insieme, in un certo senso della civiltà e di armonia… però devo dirvelo in tutta sincerità: la vostra democrazia ormai si è ridotta e vi ha ridotto, più che a partecipanti, a spettatori, o peggio ancora tifosi; dirò di più… Ormai la democrazia si è ridotta a un “dialogo” fra tre entità: c’è un potere economico, dei partiti e un popolo, un popolo pubblico; a un certo punto parte il potere economico che pensa e suggerisce, per suoi interessi, alla seconda, i partiti, che, interpretandolo, lo spiegano alla terza, il popolo pubblico. Il popolo pubblico non capisce subito, anche perché il linguaggio è difficile; si fa infatti ripetere, continua a non capire e dopo un po’ giustamente il popolo pubblico, che ha anche i suoi problemi quotidiani, si rompe i coglioni e lascia decidere alla prima [il potere economico], che ringrazia la terza [il popolo] e paga la seconda [i partiti]. Chapeau!
     L’avessi inventata io, era normale, ma la trovata è vostra ed è geniale! Allora, questo è l’ultimo messaggio: io sulla vostra democrazia ci faccio la cacca… e non è cacca benedetta; e non è cacca fortunata; e non è neanche come l’altra volta, che l’avete chiamata “manna”!


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