L’Italia è in questi giorni bloccata in
una specie di limbo, chiusa tra le elezioni del 24-25 febbraio e la formazione
definitiva del nuovo governo che avverrà tra pochissimi giorni. Uno scenario
incerto e dubbioso, un tunnel che, per quanto breve, non lascia intravedere la
luce alla fine.
Cos’è successo nel nostro paese? Proviamo
a ricostruire i fatti e a dare se possibile un’interpretazione…
Risultati
elettorali: caos e ingovernabilità
Nei giorni 24 e 25 febbraio hanno avuto
luogo le elezioni politiche per il nuovo governo del paese: la campagna
elettorale, mista di volti nuovi e vecchi, piena di promesse creative e
farlocche («Votatemi e vi tolgo l’Imu!»), avrebbe dovuto far uscire un quadro
più o meno chiaro e coerente della volontà degli elettori. E invece…
Quello che ci siamo trovati è stata l’ingovernabilità. Non esiste al momento
una maggioranza tale da assicurare al paese un governo stabile: alla Camera il
centrosinistra ha vinto per un soffio (anche se il MoVimento 5 Stelle si è
classificato primo partito), mentre al Senato la situazione è di maggioranza
assente. Partiamo dai numeri…
Alla Camera il primo partito è un
“non-partito”, ovvero il MoVimento 5 Stelle, che ottiene il 25,55% dei voti
(108 seggi); segue Pd di Bersani col 25.42% (292 seggi); infine troviamo il Pdl
col 21,56% (97 seggi). Questi i protagonisti principali. Le coalizioni però
hanno un peso e quindi l’intero centrosinistra, con l’apporto anche di Sel,
Psi, Centro democratico & co., ottiene in tutto il 29.55%: sono 340 seggi.
La coalizione di centrodestra invece segue di pochissimo: 29.18%, ovvero 124
seggi. Grazie al Porcellum il centrosinistra si becca il premio di maggioranza.
Salvi per un pelo!
Il Senato è la vera zavorra di queste
elezioni. Qui è terra morta. Il Pd si attesta con il 27,43% (105 seggi); il M5S
segue con il 23,79% (54 seggi); e poi c’è il Pdl col suo 22,30% (98 seggi,
sempre grazie al Porcellum). Le coalizioni di centrosinistra e centrodestra
però si attestano però rispettivamente al 31,63% (113 seggi) e al 30,72% (116
seggi). I numeri sono sballati, così non si può governare. Questa maledetta
legge elettorale ci ha messo del suo, ha influito anch’essa sugli esiti
confusionari e inconcludenti.
Ora riflettiamo un po’ su cosa dicono
questi numeri…
Tutte le ipotesi per il nuovo governo
In primis i risultati delle urne gettano
incertezza sul governo che dovrà guidare l’Italia. Con queste cifre non si va
da nessuna parte, perché mancano maggioranze forti. Quali sono le ipotesi,
allora? Ne sono circolate diverse in questi giorni:
- Il governissimo Pd-Pdl – Mostro chimerico a due teste che dovrebbero sbranarsi a vicenda, il cosiddetto “governissimo” (dove forse l’accrescitivo dovrebbe lasciar posto al dispregiativo) dovrebbe vedere i partiti con i numeri maggiori allearsi per cercare una maggioranza. La sinistra di Bersani e la destra di Berlusconi, da sempre nemici storici, alleati di comune accordo “per il bene del paese”. Un’ipotesi che fa ridere già solo a nominarla, e non solo per l’assurdità teorica che accoglie in sé. Eppure, per quanto senza senso, a qualcuno è venuto in mente perfino questo! Forse perché il giaguaro non è stato smacchiato, come ruggiva… ops… miagolava Bersani in campagna. Vero è anche, come alcuni “intellettuali” sostengono, che negli ultimi anni la sinistra si è pericolosamente spostata a destra e che quindi gli interessi comuni tra Pd e Pdl sono più delle loro differenze ideologiche, quindi un’alleanza ossimorica tra queste due forze politiche sarebbe più conveniente del previsto per gli interessati (anche se poco utile al paese).
- Ritornare al voto – Soluzione auspicata da tutti quelli che con un nuovo voto credono di recuperare consensi. Quindi da molti del Pdl e del Pd. Anche se, c’è da dirlo, non è da escludere che con un ritorno alle urne l’effetto “tsunami Grillo” potrebbe avere un impatto sull’elettorato ancora maggiore, nel senso di un’ulteriore crescita di consensi, vista la sorprendente ascesa del Movimento. Se questo avvenisse, allora sarebbe davvero la fine per i partiti tradizionali, giacché è esplicitamente nelle intenzioni dei grillini quella di eliminare il concetto di partito dalla politica italiana. Per dirla con Mentana, un’intera classe dirigente verrebbe spazzata via. L’ipotesi di tornare a votare è tuttavia, almeno nell’immediato, ostacolata da alcuni fattori: in primis il Porcellum, per com’è strutturato, ha dimostrato di non poter fornire alcuna garanzia: è una legge elettorale fatta apposta per far nascere questo tipo di contraddizioni, concepita per le grandi coalizioni; inoltre il Presidente della Repubblica Napolitano è giunto quasi alla fine del suo mandato e al momento occorre un nuovo Parlamento che elegga il nuovo Capo dello Stato. Infine la richiesta di tornare alle urne dev’essere sollevata da tutte le forze politiche insieme, il che appare improbabile… Napolitano deciderà quindi sulla base dei risultati elettorali, di questi risultati elettorali, se esiste modo di dare un governo all’Italia.
- Un governo 5 Stelle-Pd – L’ipotesi di una collaborazione tra Grillo e Bersani ha accarezzato molti, specie i più antiberlusconiani, a cui basterebbe che il caimano non sia in scena pur di stare tranquilli. Senonché i grillini si sono da sempre proposti come contrari alla forma partitica in generale e non hanno mai nascosto la loro avversione anche per il collaborazionismo di destra che il Pd ha avuto in questi anni. Appare poco probabile, quindi, che proprio loro si alleino con Bersani. Troppo grande sarebbe la perdita di consensi. Forse un’ipotesi del genere si sarebbe potuta avere con Ingroia, che sperava fin dal principio che il Pd cambiasse rotta… Ma Ingroia è fuori dal parlamento (2,25% alla Camera e 1,79% al Senato), quindi non è cosa… In questi giorni, intanto, Bersani continua con questo ridicolo corteggiamento che però non attecchisce: Bersani e Grillo sono un po’ come Sandra Mondaini e Raimondo Vianello.
- Il governo in prorogatio – La prorogatio è la possibilità di prolungare (prorogare) nel tempo i poteri di un istituto che sarebbe arrivato alla fine del suo mandato in attesa che vengano eletti i rappresentanti nuovi. Si dà il caso che la Costituzione italiana consenta la prorogatio per il Parlamento (art. 61, comma 2) e per il Presidente della Repubblica (art. 85, comma 3). Il governo in prorogatio è un’idea del professor Paolo Becchi, docente di Filosofia del Diritto all’Università di Genova. La sua tesi è la seguente: fin quando non sarà pronto il nuovo governo si possono prorogare i poteri del governo Monti, che è un governo dimissionario; se c’è un governo si può avere un Parlamento. Ma il Parlamento è un caos, quindi occorre riandare al voto; poiché non si può andare subito al voto è inutile attendere la nomina del nuovo Presidente della Repubblica, bensì si può cominciare a fare quelle prime urgentissime proposte di legge in Parlamento (tipo: una nuova legge elettorale, o la legge sul conflitto di interesse…) che potrebbe essere votata di volta in volta con maggioranze diverse (M5S + Pd oppure M5S + Pdl…). In questo modo secondo Becchi l’Italia non sarebbe invalidata dall’attesa di queste questioni burocratiche. Quindi usare il governo Monti (che però non potrebbe fare niente in quanto si potrebbe occupare solo degli atti di ordinaria amministrazione) per far lavorare subito il Parlamento (provvisorio, in attesa del nuovo voto) per quei provvedimenti più urgenti. Dopodiché, col Parlamento si elegge il nuovo Presidente della Repubblica, il quale decide in via definitiva cosa fare.
- La delega a Napolitano – Il sindaco di Venezia Massimo Cacciari propone invece di affidare a Giorgio Napolitano la nomina di un governo di personalità «di grande levatura politica e culturale» a cui affidare il compito dei soliti provvedimenti urgenti (abolizione delle province, legge elettorale…) per poi andare al voto di nuovo. Nella sua ipotesi, a differenza di quella di Becchi, non si proroga il governo Monti ma si nominano personalità esterne in via provvisoria in attesa delle nuove elezioni, con le forze politiche attuali che dovrebbero farsi da parte e dare la loro completa disponibilità, rinunciando alla corsa alle poltrone.
Il
suicidio del Pd
Il Pd era il favorito dai sondaggi e aveva
la possibilità di crescere molto nei suoi consensi, forte anche del
potenziamento avuto grazie alle primarie. Sono in molti a ritenere che la
principale forza politica di centrosinistra non abbia affatto saputo fare buon
uso dei presupposti che lo avevano reso “competitivo” in campagna elettorale.
In primis Bersani ha fatto una campagna elettorale vuota: nessuna proposta
originale, nessuno straccio di idea innovativa, a parte la promessa di «smacchiare
il giaguaro», che però smacchiato non è stato. Chi è stato molto critico
riguardo l’insuccesso del Pd è stato il succitato Cacciari che ebbe modo di
sottolineare con toni accesi la stupidità dell’autoaffossamento di Bersani: «Il
Pd è rimasto a metà tra il voler interpretare le spinte arrivate dalla parte di
Grillo e quella di strizzare l’occhio al gruppo di Monti e alla sua visione
dello Stato e dell’Europa […] Come al solito siamo gente affetta da snobismo e
da puzza sotto il naso. Come sempre! […] Sono delle teste di cazzo! Loro sanno
tutto, loro capiscono tutto. Loro possono insegnare tutto a tutti. Mentre gli
altri sono dei cretini!» e poi chiosa quasi anatematico: «Abbiamo sbagliato a
non appoggiare Matteo Renzi. È stato un grande errore!». E in effetti il
mancato ricambio generazionale è un altro dei capi di imputazione al Pd.
Il
boom di Grillo
Un’altra delle novità venute fuori dalle
elezioni è stato il successo del MoVimento 5 Stelle, che ha raccolto gli stessi
consensi di quei partiti ultraventennali come il Pdl e il Pd. L’elettorato
grillino è molto eterogeneo: vi convergono ideologie di destra “pentite”, voti
di sinistra che non sono contenti del Pd, o anche voti di protesta. Nel paese
in cui i comici si impegnano a difendere le istituzioni come dovrebbe fare un
politico e i politici sono ridicoli a mo’ di un comico, è toccato al comico
genovese proporre quelle (anche semplici) idee per migliorare la vita di questo
paese. Dal No Tav all’apologia dell’antipartitismo, Grillo ha comunicato agli
elettori nelle piazze invece che in TV, evitando esplicitamente un’esposizione
mediatica troppo pronunciata, e preferendo invece fare il giro del paese per
trasmettere alla gente una certa vicinanza. E, anche se lo si accusa di essere
un dittatore e di usare metodi mussoliniani, anche se Ferrara, dall’alto della
sua formazione di giornalista e intellettuale, dice che Grillo «fa
dichiarazioni da puttaniere e dimostra di avere un pisello piccolo», sta di
fatto che le sue idee hanno toccato la gente e adesso è un bel bastone tra le
ruote per quelli che volevano spartirsi l’Italia. Grillo si è fatto interprete
di un diffuso sentimento di antipolitica, di antieuropeismo e di antiausterità
e lo ha fatto comunicando in un modo carismatico: il suo successo, oltre ad
aver incarnato il malcontento generale, tradisce anche l’aumento di distanza
tra la società civile e le istituzioni.
La
rimonta di Berlusconi
Forse la lezione più sgradevole delle
ultime politiche è stata la resurrezione del Lazzaro di Arcore. Sarò sincero:
mi ha stupito davvero tanto! Non mi aspettavo che in questo paese gli idioti
fossero così tanti! Che Berlusconi si sappia vendere è noto a tutti da tempo
immemore; ma arrivare addirittura ai risultati che ha ottenuto è cosa davvero
preoccupante, nonché – e qui sta la lezione da imparare – indice che nel nostro
paese abbiamo una capacità di imparare dalla nostra storia pari a zero! Come ha
scritto infatti un giornalista, «nel novembre 2011, quando Berlusconi si dimise
tra le urla e gli sputi della gente dopo quattro anni di disastri, era dato al
7%: bastava votare subito, con la memoria fresca del suo fallimento, e gli
elettori l’avrebbero spianato, asfaltato, polverizzato. Invece un’astuta
manovra di palazzo coordinata dai geniali Napolitano, Bersani, Casini e Fini
pensò bene di regalarci il governo tecnico e soprattutto di regalare a
Berlusconi 16 mesi preziosi per far dimenticare il disastro in cui ci aveva
cacciati» (e quel giornalista, a chi interessasse, è Marco Travaglio).
L’inaccettabile rimonta di Berlusconi,
avvenuta massicciamente soprattutto in Lombardia, Veneto, Sicilia e Campania, è
quindi la testimonianza che in Italia la
gente non sa formarsi un minimo di memoria storica (no, nemmeno nell’arco
di soli 16 mesi!) necessaria per imparare a non commettere gli stessi errori!
Cosa vuoi sperare che si impari qualcosa nell’arco di vent’anni di
berlusconismo?
Proprio come Amintore Fanfani, esponente
della Democrazia Cristiana noto per risorgere inaspettatamente all’ultimo
momento proprio quando era spacciato, Berlusconi è riuscito a ritornare e a “vincere”
in un certo senso queste elezioni, recuperando gran parte del suo elettorato e
azzeccando anche le sue stesse previsioni. L’opera di intortamento di massa,
fatta a colpi di promesse riciclate e non realizzabili, è un virus ancora
efficace sulla mente degli italiani, che, contrariamente a quanto dichiarava
Ingroia, non si sono ancora immunizzati contro il berlusconismo. E ora ce
l’abbiamo di nuovo qui, a minacciare di stuprare la democrazia: lo chiamavano il Rieccolo!
Flop
di Monti
Ricordate Monti? Quello che con la scusa
della crisi si è insinuato nel nostro paese per fare gli interessi del suo
gruppetto di amici che giocano a fare i padroni del mondo armati di
quell’abominevole strumento che si chiama finanza. Il suo fallimento è una
notizia che un pochino consola: 8,30% alla Camera (37 seggi) e 9,13% al Senato
(18 seggi). Sono queste le sue quotazioni, per fortuna troppo poche perché il professore
tecnocrate abbia voce in capitolo in questo futuro scenario politico.
Soprattutto, sono abbastanza scarse da scongiurare quel rischio, tanto
sollevato in campagna elettorale, di un’alleanza Pd-Monti. Grazie a Monti, poi, si ridimensiona Casini e scompare letteralmente Fini. Ci sentiamo rincuorati!
Con il fallimento del partito di Monti gli italiani esprimono in ogni caso un
preciso volere: il rifiuto dell’austerità europeista di stampo germanico.
Meglio di niente…
Calo
dei votanti
Chiudo con un’osservazione sul calo della
percentuale dei votanti. Nelle ultime
elezioni ha votato circa il 75% degli aventi diritto al voto, con un calo
del 5% rispetto alle elezioni politiche del 2008. Questo vuol dire che il 25%
delle persone non hanno voluto esercitare questo diritto, il che è ancora una
volta sintomatico del modo con cui la gente ora guarda alla politica e alla sua
utilità. Gli italiani non ritengono che andare a votare sia utile, i sentimenti
di qualunquismo regnano sempre più incontrastati: per la gente non fa
differenza esprimere la propria preferenza, tanto sono tutti uguali. Sarebbero
d’accordo con Mark Twain: «Se votare servisse davvero a qualcosa non ce lo
lascerebbero fare».
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