Un uomo e la sua amata. Una pineta d’estate. Una pioggia leggera. Sono
questi gli ingredienti con cui è stata scritta una delle liriche più musicali e
vive della letteratura italiana: La
pioggia nel pineto, tratta dalla raccolta Alcyone.
L’uomo è il poeta Gabriele D’Annunzio e la sua amata è l’attrice
Eleonora Duse (nella lirica identificata col nome di Ermione). Siamo in Toscana,
precisamente a Marina di Pisa, una cittadina vicina al mare, tra giugno e
luglio di esattamente 110 anni fa, nel 1902: i due amanti fanno una passeggiata
in una pineta vicina piena di vegetazione, sono felici e spensierati; a un
tratto una pioggia li sorprende: è una pioggia estiva, di quelle lievi e quasi
eteree, con gocce sottili e poco rumorose. Il paesaggio, sotto il velo di
quelle gocce, comincia come ad animarsi e ogni elemento della natura assume una
singolare veste sonora.
I due si inoltrano nella natura selvaggia e vivono questo idillio (la favola bella) così singolare, notando
ora le piante (tamerici, pini, mirti, ginestre…), ora gli animali (le cicale,
la rana) e il loro “timbro” fonico, dato dall’acqua che li bagna; questa vividezza
della natura spinge i protagonisti a un’inevitabile simbiosi, al punto che essi
stessi si confondono con essa e cominciano a sentirsi parte integrante del
paesaggio, come elementi di quella stessa pineta nei pressi del mare.
Una lirica stupenda, dal grandissimo impatto musicale, definita da tutti
i critici come dotata di una musica sua, una musica senza musica, una musica
fatta di suoni verbali, di onomatopee che “parlano” autonomamente, andando
oltre la descrizione fisica dell’evento narrato e fornendo un’immagine sonora
ben precisa delle cose che descrive. Sono versi che sembrano uscire proprio da quella pioggia!
Segue alla lirica un video con la magistrale interpretazione del grande attore
Roberto Herlitzka.
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo vólto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo, e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce dal mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Gabriele D'Annunzio, La pioggia nel pineto, in Alcyone
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