giovedì 24 maggio 2012

Latine loquimur, n. 7


     C’è un’aria molto polemica nelle sentenze di questo numero di Latine loquimur: sarà l’ostilità alla crisi!
     Nota: la pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai Romani.

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Necesse est ut multos timeat quem multi timent
[pronuncia scolastica: necèsse est ut multos tìmeat quem multi tìment]
[pronuncia restituita: nechèsse est ut multos tìmeat cuèm multi tìment]

     Con un po’ di pazienza la frase si traduce così: “È necessario (necesse est) che (ut) colui che molti temono (quem multi timent) tema quei molti (multos timeat)”. Quando una persona instaura attorno a sé un clima di terrore e di ansia, di paura e di repressione, ha ottimi motivi per guardarsi dal gran numero di persone a cui provoca questi disagi: instaurare un’eccessiva sudditanza psicologica nelle persone che ci circondano può renderci invisi a esse e questo può sfociare in moti di ostilità a nostro danno. È un principio che viene tenuto in gran considerazione presso le più grandi tirannie, dittature, regimi e monarchie assolutiste: i governanti monocratici sanno bene che non devono esagerare, se non vogliono ritrovarsi attaccati da quegli stessi che sottomettono; il trucco sta infatti nel tenersi sempre al limite del sopportabile, intimidendo abbastanza da farsi obbedire, ma non tanto da spingere a reagire in nome della sopravvivenza. Così, ad esempio, si comportavano i francesi piegati dalla monarchia al tempo della Rivoluzione del 1789, che prendendo la Bastiglia attuarono di fatto un vero e proprio colpo di stato, spodestarono il monarca e introdussero la Repubblica come nuova forma di governo; così avveniva nella Germania nazista allorché il colonnello von Stauffenberg, in nome di alcuni militari della Wehrmacht  e di alcuni politici tedeschi, attentava alla vita di Adolf Hitler facendo scoppiare una bomba a pochi centimetri di distanza dal dittatore che terrorizzava il mondo intero; così accadeva nella Grecia degli anni ’70 del ’900, quando Alèxandros Panagulis, esponente della Resistenza greca contro la Dittatura dei Colonnelli capeggiata da Papadòpoulos, cercava di uccidere (anche stavolta invano!) il tiranno che logorava Atene e tutta la Grecia…
     Il principio varrebbe anche oggi in cui le democrazie sono, almeno sulla carta, un po’ più presenti, sennonché, soprattutto in questa Italia, il livello di sopportazione della gente alle angherie di chi compie abusi si è vergognosamente alzato: di conseguenza ne deve passare prima che i “tiranni” si sentano minacciati da coloro che intimidano… I popoli antichi erano molto meno mansueti di noi.
     La frase, ad ogni modo, sembra risalire a Decimo Laberio (almeno stando alla testimonianza di Macrobio), drammaturgo famoso per i suoi mimi, che l’avrebbe riferita – guarda un po’ – al dittatore Giulio Cesare al tempo della sua ascesa al potere monocratico: Decimo Laberio morì nel 43 a.C., giusto un anno dopo l’assassinio di Cesare in Campidoglio: sarà stato contento di constatare di averci visto giusto!


Gratis
[pronuncia scolastica: gratis]
[pronuncia restituita: gratis]

     Confessate: non avreste mai pensato che fosse latino, vero? Eppure è così! Questa parolina così allettante, che attira la nostra attenzione e blandisce il nostro orecchio in tutto il mondo, altro non è che il complemento di mezzo del plurale della parola gratia [pron. scol. “gràzia”; pron. rest. “gràtia”], che significa “favore”, “gratitudine”, “riconoscenza”. Quindi gratis, che andrebbe scritto più correttamente gratiis, con due I, significa “per mezzo di favori”, “con la riconoscenza” e indica un modo di ripagare qualcosa usando la sola gratitudine. Quindi, senza pagare niente. Diffidate verso la forma usata da molti, che scrivono e dicono a gratis: non ha alcun significato logico e quella nasce semplicemente in analogia con lespressione “a pagamento”.
     Presso i popoli anglofoni l’usanza è stata soppiantata e sostituita dall’aggettivo free (“libero”), per dire che una cosa è “libera” dall’obbligo di pagamento… Glielo concediamo: dopotutto anche la lingua inglese ha conquistato il mondo intero.


Nec domo dominus, sed domino domus honestanda est
[pronuncia scolastica: nec domo dòminus, sed dòmino domus onestànda est]
[pronuncia restituita: nec domo dòminus, sed dòmino domus honestànda est]

     La sentenza, molto bella, è di quel principe del foro che, secondo il giudizio di Quintiliano, sarebbe stato secondo a Cesare in fatto di oratoria, se questi non si fosse messo a fare il dittatore, ovvero Marco Tullio Cicerone. Andando nel suo De officiis, libro I, 139, si legge: “Non la casa deve dare lustro al padrone, ma il padrone alla casa” (letteralmente: “Non il padrone dalla casa, ma la casa dal padrone deve essere ornata”), dove c’è il bel verbo honestare, cioè “rendere onorevole”, “conferire onore” (honestum in latino non significa “onesto”, ma “onorevole”).
     Il principio, quanto mai condivisibile, appare applicabile anche al di fuori della sfera privata, ovvero a quella pubblica: quando dall’estero ci accusano di essere un paese di mafiosi, di furbastri, di mammoni, ebbene, quei giudizi sono diretti alle persone che rendono il paese tale, non a una fantomatica entità astratta chiamata Italia; la cosa vale anche al contrario: quando si reclamano cambiamenti in questo paese, non bisogna rivolgersi alle alte cariche dello Stato (che sono una minoranza, tra l’altra anche non rappresentativa), bensì dobbiamo essere noi a cambiare. Siamo noi l’Italia!

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