C’è un’aria molto polemica nelle sentenze di questo numero di Latine
loquimur: sarà l’ostilità alla crisi!
Nota: la
pronuncia scolastica è quella usata (e insegnata) in Italia; la pronuncia
restituita è quella che, secondo le ricostruzioni, veniva realmente usata dai
Romani.
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Necesse est ut multos
timeat quem multi timent
[pronuncia scolastica: necèsse
est ut multos tìmeat quem multi tìment]
[pronuncia restituita: nechèsse
est ut multos tìmeat cuèm multi tìment]
Con un po’ di
pazienza la frase si traduce così: “È necessario (necesse est) che (ut)
colui che molti temono (quem multi timent)
tema quei molti (multos timeat)”. Quando
una persona instaura attorno a sé un clima di terrore e di ansia, di paura e di
repressione, ha ottimi motivi per guardarsi dal gran numero di persone a cui
provoca questi disagi: instaurare un’eccessiva sudditanza psicologica nelle
persone che ci circondano può renderci invisi a esse e questo può sfociare in
moti di ostilità a nostro danno. È un principio che viene tenuto in gran
considerazione presso le più grandi tirannie, dittature, regimi e monarchie
assolutiste: i governanti monocratici sanno bene che non devono esagerare, se
non vogliono ritrovarsi attaccati da quegli stessi che sottomettono; il trucco
sta infatti nel tenersi sempre al limite del sopportabile, intimidendo
abbastanza da farsi obbedire, ma non tanto da spingere a reagire in nome della
sopravvivenza. Così, ad esempio, si comportavano i francesi piegati dalla
monarchia al tempo della Rivoluzione del 1789, che prendendo la Bastiglia
attuarono di fatto un vero e proprio colpo di stato, spodestarono il monarca e
introdussero la Repubblica come nuova forma di governo; così avveniva nella
Germania nazista allorché il colonnello von Stauffenberg, in nome di alcuni
militari della Wehrmacht e di alcuni
politici tedeschi, attentava alla vita di Adolf Hitler facendo scoppiare una
bomba a pochi centimetri di distanza dal dittatore che terrorizzava il mondo
intero; così accadeva nella Grecia degli anni ’70 del ’900, quando Alèxandros Panagulis,
esponente della Resistenza greca contro la Dittatura dei Colonnelli capeggiata
da Papadòpoulos, cercava di uccidere (anche stavolta invano!) il tiranno che
logorava Atene e tutta la Grecia…
Il principio varrebbe anche oggi in cui le democrazie sono, almeno sulla
carta, un po’ più presenti, sennonché, soprattutto in questa Italia, il livello
di sopportazione della gente alle angherie di chi compie abusi si è
vergognosamente alzato: di conseguenza ne deve passare prima che i “tiranni” si
sentano minacciati da coloro che intimidano… I popoli antichi erano molto meno
mansueti di noi.
La frase, ad ogni modo, sembra risalire a Decimo Laberio (almeno stando
alla testimonianza di Macrobio), drammaturgo famoso per i suoi mimi, che l’avrebbe
riferita – guarda un po’ – al dittatore Giulio Cesare al tempo della sua ascesa
al potere monocratico: Decimo Laberio morì nel 43 a.C., giusto un anno dopo l’assassinio
di Cesare in Campidoglio: sarà stato contento di constatare di averci visto
giusto!
Gratis
[pronuncia scolastica: gratis]
[pronuncia restituita: gratis]
Confessate:
non avreste mai pensato che fosse latino, vero? Eppure è così! Questa parolina
così allettante, che attira la nostra attenzione e blandisce il nostro orecchio
in tutto il mondo, altro non è che il complemento di mezzo del plurale della
parola gratia [pron. scol. “gràzia”;
pron. rest. “gràtia”], che significa “favore”, “gratitudine”, “riconoscenza”. Quindi
gratis, che andrebbe scritto più
correttamente gratiis, con due I, significa
“per mezzo di favori”, “con la riconoscenza” e indica un modo di ripagare
qualcosa usando la sola gratitudine. Quindi, senza pagare niente. Diffidate verso la forma usata da molti, che scrivono e dicono a gratis: non ha alcun significato logico e quella a nasce semplicemente in analogia con l’espressione “a pagamento”.
Presso i popoli anglofoni l’usanza è stata
soppiantata e sostituita dall’aggettivo free
(“libero”), per dire che una cosa è “libera” dall’obbligo di pagamento… Glielo concediamo:
dopotutto anche la lingua inglese ha conquistato il mondo intero.
Nec domo dominus, sed domino
domus honestanda est
[pronuncia scolastica: nec
domo dòminus, sed dòmino domus onestànda est]
[pronuncia restituita: nec domo
dòminus, sed dòmino domus honestànda est]
La sentenza,
molto bella, è di quel principe del foro che, secondo il giudizio di
Quintiliano, sarebbe stato secondo a Cesare in fatto di oratoria, se questi non
si fosse messo a fare il dittatore, ovvero Marco Tullio Cicerone. Andando nel
suo De officiis, libro I, 139, si
legge: “Non la casa deve dare lustro al padrone, ma il padrone alla casa”
(letteralmente: “Non il padrone dalla casa, ma la casa dal padrone deve essere
ornata”), dove c’è il bel verbo honestare,
cioè “rendere onorevole”, “conferire onore” (honestum in latino non significa “onesto”, ma “onorevole”).
Il principio, quanto mai condivisibile, appare applicabile anche al di
fuori della sfera privata, ovvero a quella pubblica: quando dall’estero ci
accusano di essere un paese di mafiosi, di furbastri, di mammoni, ebbene, quei
giudizi sono diretti alle persone che rendono il paese tale, non a una
fantomatica entità astratta chiamata Italia; la cosa vale anche al contrario:
quando si reclamano cambiamenti in questo paese, non bisogna rivolgersi alle
alte cariche dello Stato (che sono una minoranza, tra l’altra anche non
rappresentativa), bensì dobbiamo essere noi a cambiare. Siamo noi l’Italia!
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