sabato 30 ottobre 2010

Chi ha paura della libertà?

     Erich Fromm è in assoluto uno dei miei autori preferiti. Tecnicamente è uno scienziato, perché è un sociologo e psicologo psicanalista di stampo freudiano, ma del vuoto e freddo scienziato non ha nulla! A sentirlo parlare, sembrerebbe piuttosto un filosofo! Le sue tesi sull’Uomo e sulla società sono tra le più fini ed eleganti, oltre che tra le più attendibili: i suoi messaggi sono pieni di umanesimo, di inni che rievocano e reclamano la parte più nobile di noi proprio in quanto creature viventi.
     Ho deciso di pubblicare il video di questa breve intervista fattagli 10 giorni prima della sua morte, avvenuta il 18 marzo 1980, perché in essa esprime brevemente un concetto che rappresenta la tesi di un suo libro intitolato Fuga dalla libertà (titolo originale: Escape from freedom), un concetto che mi spiazza per la sua chiarezza e la sua semplicità disarmanti! I tedeschi, in effetti, hanno una precisione e una puntualità nel fare le cose che è celeberrima in ogni campo: immaginate cosa viene fuori quando un tedesco si mette ad analizzare un tema come il rapporto che l’uomo ha con la sua libertà! Vi lancio una sfida: guardate il video e ditemi se non restate piacevolmente inebriati dalla verità che vi verrà raccontata!
     Vielen Dank, Herr Fromm!

 

4 commenti:

  1. Sono in sintonia , già Bertrand R. parlava della paura che l'uomo ha del pensiero , cioè della libertà quindi , perchè il pensiero essendo libero diventa irriverente, rivoluzionario e terribile. Vera e grande gloria dell'uomo. Purtroppo la paura blocca la quasi totalità degli uomini in una limbo di credenze , miti e non pensieri o pensieri pilotati da altri. Questo risulta gradevole e ben accetto perchè ci toglie di torno la responsabilità e la neccessità di farci delle domande fondamentali imbarazzanti. Das Sein l'esserci è privilegio di pochi, meglio il si dice , dicono , ha detto il prete , la televisione. Tutti fanno così ecc. la vita cioè non vissuta in prima persona ma ad imitazione di ciò che è conveniente o che gli altri fanno o pensano. Ecco l'enorme fortuna delle religioni , specie quelle che promettono la vita eterna e la resurrezzione. Ecco che i maghi , ciarlatani, imbonitori, gli astrologhi, le sette ecc. ecc. hanno grande seguito e risultano imbattibili. Non è possibile infatti liberare una persona che si crede libera e realizzata appartenendo ad una o più di queste realtà . un saluto Bruno

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  2. Mi trovo d'accordo su tutto, caro Bruno. E nelle tue parole sento riecheggiare, ancora più chiaramente, quelle dello stesso Kant che a proposito della libertà di pensiero così parlava in "Risposta alla domanda: Che cos'è l'Illuminismo?": "La pigrizia e la viltà sono le cause per cui un così grande numero di uomini, dopo che la natura li ha da un pezzo dichiarati liberi dal controllo da parte di estranei (naturaliter majorennes), restano tuttavia volentieri per tutta la vita minorenni [nel senso di succubi]; e [sono le cause] per cui ad altri riesce così facile il dichiararsene i tutori. È così comodo essere minorenne. Se io ho un libro che ha dell’intelletto per me, un prete che ha coscienza per me, un medico che giudica del regime per me e così via, io non ho più alcuno sforzo da fare". Un saluto!

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  3. Ciao Phrenòphilos, così il tuo nome è Aniello! Beh,complimenti per il tuo blog.Il concetto di libertà è forse il più difficile da definire dal momento che ha infinite implicazioni politiche ed esistenziali ad un tempo. Mi piacerebbe quindi aggiungere un mio commento scusandomi in anticipo perché so già che sarò prolissa ma è l’argomento che lo richiede. Dunque, cominciamo dal significato politico.Cos’era per gli antichi la libertà? Senz’altro essa si identificava nella partecipazione attiva e costante al potere collettivo. I cittadini potevano trascorrere l’intera giornata nella piazza pubblica a discutere di politica in primo luogo perché le dimensioni ridotte della polis e l’esclusione dai diritti politici di una gran parte della popolazione consentivano una distribuzione per così dire economica del potere e in secondo luogo perché gli affari privati erano affidati agli schiavi. Al contrario la libertà dei moderni è dominata dall’edonismo, dall’individualismo. L’individuo non vuole altro che le istituzioni gli garantiscano il pieno godimento dei suoi beni privati. L’individualismo è una sacrosanta necessità, non si discute, è all’origine del genio e della creatività dell’uomo. Ma non posso ignorare le parole di un profeta della filosofia politica, Alexis de Tocqueville, che con occhio lucido e critico individuò le contraddizioni della democrazia e ne riuscì a presagire le nefaste conseguenze con un secolo di anticipo. Le riporto testualmente: “Voglio immaginare sotto quali nuovi tratti il dispotismo potrebbe riprodursi nel mondo: io vedo una folla innumerevole di uomini simili e uguali che girano senza riposo su loro stessi per procurarsi dei piccoli e volgari piaceri con i quali riempiono la loro anima […]. Al di sopra di questi si eleva un potere immenso e tutelare che da solo si incarica di assicurare il loro godimento e di vegliare sulla loro sorte […]. Esso ama veder gioire i cittadini, purché essi pensino solo a divertirsi. Lavora volentieri per la loro felicità; ma ne vuole essere l’unico agente e il solo arbitro; provvede alla loro sicurezza, prevede ed assicura i loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige i loro principali affari, le loro industrie” . Si commenta da sé. Come non pensare al fenomeno della perdita di identità sociale delle masse del ‘900 e ai totalitarismi nati proprio in seno alla democrazia? Democrazia e dispotismo, individualismo e nichilismo sono facce della stessa medaglia. E come non pensare, avvicinandoci un po’ di più ai nostri tempi, allo Stato Sociale (inesorabilmente in crisi) che ha portato all’apice il governo biopolitico delle vite. Un governo che può rispondere alle esigenze dei cittadini solo al prezzo di omologarne i bisogni, normalizzarne i comportamenti. Altra contraddizione in nome della libertà democratica. Scopo della società è la realizzazione del profitto inteso come metro del comportamento razionale e giusto, come massima economicità del sistema, dice lo stesso Fromm. Si tratta di un dispotismo ancora più subdolo perché invisibile.Non ci sentiamo oppressi, al contrario. Il più delle volte l'autorità è vista come competenza, depositaria di un certo sapere in nome del quale si stabilisce un criterio di normalità, di utilità ed efficienza in merito alle questioni più private: le abitudini sessuali, la scelta di vivere o morire, di migrare verso altre terre per sfuggire alla fame e alla guerra, la follia stessa. E tuttavia nessuno si oppone perché il rapporto sapere/potere è a nostro sfavore. Qui il discorso rischia di diventare ancora più lungo perché mi sentirei in dovere di chiamare in causa Foucault, ma ti risparmio. Ti lascio solo con qualche domanda aperta. Come è possibile conciliare l'esigenza di uguaglianza sociale e la naturale tensione all'individualismo? Siamo davvero noi gli artefici del nostro destino dal momento che le nostre scelte sono condizionate e le nostre credenze/opinioni sono frutto di un sostrato culturale, sociale dal quale non possiamo prescindere? Un saluto. Martina

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  4. So che ho già scritto tantissimo ma ci tenevo a sottolineare un altro aspetto. Stavolta cercherò di essere sintetica riportando solo un’ultima citazione. In alcune bellissime pagine di Memorie del sottosuolo, Dostoevskij immagina che un giorno la scienza sarà in grado di trovare la formula di tutti i nostri voleri, di spiegare da che cosa dipendono, di stabilire una precisa tabella di marcia in base alla quale l’uomo potrebbe coscientemente e ragionevolmente perseguire le scelte più economiche e vantaggiose per la sua vita. Ebbene? Cos’è davvero vantaggioso per l’uomo, chi lo decide? “L’uomo può augurarsi apposta, coscientemente, persino ciò che è dannoso, ciò che è sciocco e precisamente per avere il diritto di augurarsi persino ciò che è sciocchissimo e non essere legato all’obbligo di augurarsi soltanto ciò che è intelligente. (…) Metterà a repentaglio persino i panforti e desidererà apposta l’assurdità più funesta, l’insensatezza più antieconomica, unicamente per mescolare a tutta questa positiva ragionevolezza il proprio funesto elemento fantastico (…) unicamente per confermare a se stesso che gli uomini sono ancor sempre uomini e non tasti di pianoforte.” Sarà questa la libertà? Forse l’uomo non ha davvero paura delle responsabilità che la libertà comporta, forse semplicemente non ha ben capito cosa sia effettivamente la libertà e dove trovarla. Nella società, in sé stessi, negli altri, nella ragione, nella follia? Non lo so, intanto procediamo a tentoni. Martina

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