Mentre queste elezioni politiche 2022 si concludono, in attesa degli spogli possiamo già prevedere che il cosiddetto partito degli astensionisti, in costante aumento negli anni, si riconfermerà certamente presente anche stavolta.
Ebbene, esso viene troppo sovente trattato unicamente come conseguenza della regressione morale e istituzionale della nostra classe dirigente, ma in verità mi pare il caso di notare l’altra faccia della medaglia, ovvero che l’astensione è anche causa della regressione che vediamo nei nostri politici e che quindi, in ultima analisi, chi si astiene produce le condizioni che portano all’astensione stessa.
Vediamo perché.
In primis non tutti gli astensionisti sono uguali. Ci sono quelli che disertano il seggio elettorale perché non si sentono rappresentati da nessuno, anche sforzandosi, e coloro che si astengono per pigrizia civica, ovvero quelli che si sono autoconvinti che «tanto non cambierà nulla, quindi cosa votiamo a fare?».
Le parole che seguono sono dedicate soprattutto a questi ultimi.
Inutile appellarsi ad argomenti idealistici come gli sforzi, il sangue, le battaglie che storicamente sono state fatte per arrivare oggi a godere di questa forma di libertà, di questo diritto che è anche un dovere ecc. Inutile, perché a costoro non importa nulla di quanto sia costato conquistare questo diritto, non gliene frega niente dei morti che sono stati necessari. Se costoro fossero stati sensibili a questo tipo di ragioni, molto probabilmente all’astensionismo non sarebbero mai approdati.
Andiamo dunque su motivi più concreti.
1. Non votare crea rischi
E andiamoci con una premessa: noi siamo in democrazia e la democrazia è il governo di una maggioranza di elettori, che però tutela e non deve calpestare i diritti delle minoranze.
Nella nostra democrazia, che è parlamentare, noi non eleggiamo chi governa (cioè il Presidente del Consiglio e i suoi ministri), bensì eleggiamo coloro che decideranno chi governa (cioè eleggiamo i membri del Parlamento, deputati e senatori) e che eleggeranno anche il Presidente della Repubblica.
Questa precisazione serve a sottolineare che il legame tra il nostro voto e l’effetto che esso produce (cioè la scelta di chi governa) non è diretto, ma indiretto perché è delegato al Parlamento e quindi già solo per questa ragione occorre nella nostra democrazia una prudenza superiore a quella che si usa nelle democrazie più dirette, dove gli elettori scelgono chi governa senza intermediari.
Basterebbe già solo questo argomento quindi per considerare l’astensionismo (soprattutto quello da pigrizia civica) come un fattore di rischio, perché se i miei interessi (la scelta del Governo) sono delegati a un tramite (il Parlamento), il minimo che io possa fare è sorvegliare molto da vicino quel tramite, anche solo per verificare che effettivamente mi rappresenti nel modo corretto.
Immaginate la stessa situazione in un contesto economico e non politico. Ho un’azienda grande che fa molte cose, io non posso occuparmi di tutto, perciò delego alcune decisioni a un amministratore. Se ora questo amministratore sa di non essere mai sorvegliato quanto è probabile che approfitti della delega che ha per lucrare ai miei danni e a suo vantaggio? Ovvio che lo farà quasi certamente! Tanto nessuno lo scoprirebbe mai. E se io non sono stupido e non voglio rischiare di farmi derubare, devo almeno ogni tanto sorvegliare il suo operato e reagire adeguatamente se scopro che non lavora bene. E il primo momento in cui posso stare attento a ciò è proprio quando scelgo l’amministratore!
Ecco dunque il primo errore dell’astensionista: egli non si rappresenta l’effetto del suo voto come una cosa che lo riguardi. Non riesce a sentire (ho detto “sentire”, non “sapere”) che il suo voto contribuisce ai meccanismi con cui andrà la sua stessa vita. Quindi non sente emotivamente il bisogno di tutelarsi attraverso un rigido controllo da elettore, anzi, si vanta di non occuparsene affatto, come se avesse fiutato una rottura di scatole che poteva dargli fastidio.
Qui molti si difenderebbero così: «Ma cosa vuoi che faccia la mia singola astensione? Siamo 60 milioni in Italia, adesso sta’ a vedere che se non vado a votare scompare la democrazia».
A parte il fatto che, se un comportamento è sbagliato, non c’è ragione di farlo già solo per questo, ma il guaio è che questo ragionamento non lo fa uno solo, bensì molti, tutti ugualmente convinti di essere i soli a farlo. Quindi l’effetto cumulativo di tutti questi ottimisti è che poi gran parte dell’elettorato, anche più della metà, non esegue questo controllo sulla delega. E gran parte pesa più di uno solo.
2. Non votare incoraggia il degrado
Tutto questo è ben noto ai politici che, al contrario degli elettori, sono molto ben informati sulla gente attraverso studi, sondaggi e controlli. Ora, se ammettiamo che un politico sia un potenziale pericolo (come di fatto è) e se quel politico sa che quasi nessuno si interesserà di ciò che vuole fare, è ovvio che si sentirà più libero di commettere atti illeciti contro gli interessi degli elettori.
E non vale il pericolo che poi possa essere punito adeguatamente dopo, cioè attraverso una non rielezione, perché, per poterlo punire, l’elettore dovrebbe conoscere quello che è successo nel frattempo e votare altri la volta successiva. Ma l’astensionista non fa alcuna di queste cose.
Perciò la condanna elettorale, se arriverà, sarà piccola, cioè quel politico perderà pochi voti pur avendola fatta molto grossa.
Non ne siete convinti? Com’è possibile allora che per così tanti anni siano rimasti a capo dei partiti sempre gli stessi candidati? Ricordate il ricambio della classe dirigente, la gerontocrazia, la rottamazione, «fare largo ai giovani» ecc? Ecco, non accade perché l’opinione pubblica è tendenzialmente disinteressata a ciò che nella politica accade e, quindi, tendenzialmente non agisce per lanciare ai politici i messaggi adeguati. E quelli continuano indisturbati.
E questo ci fa arrivare a una seconda conclusione: ovvero che in democrazia non basta che esistano delle regole (anche quelle non scritte), in quanto le regole possono essere violate. Si sa, è la natura umana; occorre anche un controllo morale sul rispetto di quelle regole, di quei patti, di quelle promesse, ovvero occorre che esista un’opinione pubblica attenta, vigile e interessata alla politica. Serve che gli elettori stiano col fiato sul collo ai politici, che facciano loro capire che li sorvegliano, che votino facendo loro le pulci! Deve arrivare il messaggio che se sgarri io ti faccio morire politicamente e quindi devi portare a casa dei risultati come rappresentante.
Invece ai politici arriva addirittura il segnale opposto, che cioè la gente non bada più di tanto alla loro coerenza ed efficienza, quindi per loro ciò è semaforo verde per agire contro di noi.
Ecco quindi che l’astensionista, col suo comportamento, favorisce il degrado morale e l’inefficienza istituzionale dei rappresentanti politici, incoraggiandoli ad agire senza alcun timore.
E questo degrado poi è quello che lo disgusta al punto da scegliere di astenersi!
3. Non votare aiuta le mafie
Un’ultima riflessione sull’astensionismo riguarda la facilitazione che esso fa alle mafie sui pacchetti di voti.
Qualunque magistrato, soprattutto quelli antimafia, potrà testimoniare che nel nostro paese la malavita organizzata (cosa nostra, ’ndrangheta, camorra...) è molto radicata nei vari settori del potere politico, non solo nel senso che i mafiosi mettono al potere gente che faccia i propri interessi, ma anche nel senso che molti politici si rivolgono spontaneamente ai mafiosi per comprare da essi interi pacchetti di voti (in cambio di favori, s’intende).
Ora, per le mafie assicurarsi dei voti costa. Quindi le mafie possono comprare fino a un massimo di voti, non infiniti; esiste un limite anche per quello.
Ebbene, ragionando con numeri piccoli per capirci facilmente.
Poniamo che la mafia abbia il potere di comprare 200 voti e che gli elettori totali siano 1200.
Escludiamo il caso che vadano a votare davvero tutti e accontentiamoci di una percentuale alta di votanti, diciamo 1000 persone.
Se si esprimono 1000 voti e di essi 200 sono comprati dalle mafie, allora vuol dire che in quella situazione la mafia avrà comprato il 20% dei voti, cioè avrà condizionato un quinto delle preferenze, sottraendole alla libera scelta dei cittadini. Ma 4/5 delle preferenze sono “libere” e rappresentano ancora abbastanza bene la volontà reale del paese.
Se però l’astensionismo è alto e va a votare meno della metà, diciamo 400 persone, la mafia potrà permettersi di comprare gli stessi 200 voti di prima. Solo che 200 voti su 400 totali non sono il 20%, bensì il 50%, cioè la metà!
Ovvero: i voti della mafia pesano di più, pur essendo sempre gli stessi! E quindi influenzano in modo più forte le scelte immediatamente successive alle elezioni, perché poi il candidato che ha comprato i voti mafiosi dovrà restituire il favore, magari concedendo appalti alle aziende della mafia per opere pubbliche non davvero necessarie, pagate con soldi pubblici (cioè nostri) che saranno quindi sottratti ai servizi per il cittadino (scuola, sanità, assistenza…) e creeranno buchi di bilancio nelle casse degli enti.
Ecco che l’astensionista finisce addirittura per favorire le mafie che il loro operato riducono il paese e la classe politica proprio in quelle condizioni di degrado materiale e morale che tanto ribrezzo hanno suscitato in lui e lo hanno spinto ad astenersi.
Al di là di tutti questi motivi però, confesso che per me la cosa più deludente di tutte è che in condizioni di alto astensionismo viene meno la possibilità di dire che il paese abbia scelto, indipendentemente da chi vince le elezioni.
Quando si dice “il paese” si intende una percentuale che rappresenti bene il paese, quindi una percentuale alta. Se invece chi ha fatto la scelta è solo una sparuta minoranza, allora la scelta non l’ha fatta il paese “nel suo complesso”.
In tali condizioni sarebbe ancora giusto che la decisione finale sia autorizzata a riguardare poi tutto il paese? Perché magari il paese nel suo complesso avrebbe scelto altro e invece si ritrova qualcosa che non avrebbe preferito.
Secondo me così non è nemmeno più democrazia.
Almeno avessimo l’onestà di non lamentarci dopo...!
******
Il peggiore analfabeta
è l’analfabeta politico.
Egli non sente, non parla,
né s’importa degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina,
dell’affitto, delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.
L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.
Non sa l’imbecille che dalla sua
ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato,
l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi,
che è il politico imbroglione,
il mafioso corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.
(Bertold Brecht)